

LE CITTÀ DI CRISTALLO
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Contrasti Urbani di Giovanni Semi
Chi decide la città
di Alberto Molinari e Maria Pungetti
Prospettive europee
di Giovanni Damiani
Il “sistema Milano”
di Carlo Bertotti
La “grande bellezza” secondo Donald di Francesco M. Renne
Transizione green a due velocità di Laura Ciccozzi
Attrattiva, competitiva e resiliente di Roberto Accossu
Le due anime di Varsavia di Theodoros Koutroubas
PROFESSIONI
Una crisi lunga 15 anni
di Camilla Lombardi e Giulia Palma
La scommessa sostenibile delle casse
di Bruno Bernasconi
Tante eredità, poca crescita
di Francesco Bruni
Professionista e manager
di Sara Napolitano
Campioni in campo
di Isabella Colombo
La bizzarra sintassi degli emoticon
di Claudio Plazzotta
Il meglio per la salute dei pazienti
di Carlo Ghirlanda
Una voce indipendente.
Dal 1929
di Gianluca Tartaro
CULTURA
Obiettivo puntato sulla realtà di Romina Villa
Misteri a passo di tango di Roberto Carminati
Quando le storie si intrecciano con le persone di Maria Teresa Pasceri
RUBRICHE
L’Editoriale
di Marco Natali
News From Europe a cura del Desk europeo di ConfProfessioni
Pronto Fisco
di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi
Welfare e dintorni
Un libro al mese di Luca Ciammarughi
Recensioni di Luca Ciammarughi
In vetrina in collaborazione con BeProf
Post Scriptum di Giovanni Francavilla




Laureato in Economia delle imprese e dei mercati presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si occupa dal 2016 di informazione finanziaria, monitorando in particolare l’andamento dei mercati e approfondendo i bilanci delle società quotate. A partire dal 2023 entra a far parte del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, dove affianca all’attività di analisi e approfondimento, la supervisione scientifica di meeting e convegni che coinvolgono gli investitori istituzionali.
Specializzato in economia della concorrenza ed economia pubblica, ha conseguito un MPA in Politica economica presso la London School of Economics e una laurea in Scienze politiche ed Economia presso l'Università di Milano. E' stato Economic adviser per il governo britannico dal 2014 al 2018 e ora è a Bruxelles dove lavora come consulente economico per istituzioni, governi, aziende ed investitori internazionali.
Architetto. Laurea con lode in Architettura allo IUAV di Venezia, dove ha conseguito il Dottorato in Storia dell’architettura e della città. Svolge la professione dal 2001 sia con il proprio studio a Trieste, che con una rete di collaborazioni con importanti realtà italiane ed europee nel campo della progettazione. Ha continuato sempre a fare ricerca, studiando e insegnando a vario titolo presso i politecnici di Milano e Torino, la Facoltà di Architettura dell’Università di Trieste e in Nord America. Attualmente è coordinatore del nuovo Master in Business Architettura allo IAUV di Venezia.
Professore Associato dell’Università Cattolica di Lovanio. Insegna “Comunicazione – Marketing politico e lobbying” e “Sociologia politica”. Attualmente è Direttore generale e senior policy advisor del Consiglio europeo delle professioni liberali (Ceplis).
«Tutte le professioni legate al mondo agricolo svolgono un ruolo essenziale. Ogni figura contribuisce con competenza a tutelare, garantire, assistere e produrre, rafforzando il settore e assicurandone la crescita».
— Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste

Bruno Bernasconi Giovanni Damiani Theodoros Koutroubas Federico Bruni


Ragioniere commercialista e revisore, è faculty member CUOA Business School; formatore in materie finanziarie e fiscali, è esperto in fiscalità degli investimenti, governance societaria e finanza d'impresa. Relatore in numerosi convegni, scrive per diverse testate e ha pubblicato la raccolta di scritti “Economicrazia” (Edizioni Il Vento Antico, collana Uomo & Economia, 2019/2020).
Veneziano di nascita e torinese d’adozione. Si è formato nelle università statali di Milano, Torino e Parigi (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales) e ha insegnato e fatto ricerca, nuovamente a Milano, Chicago, Paris VII, Paris Valde-Marne, City University New York ed EHESS-Paris. Attualmente è professore ordinario di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio all’Università di Torino. Si occupa di trasformazioni urbane, disuguaglianze sociali e territoriali. Al tema della gentrification ha dedicato numerosi articoli e saggi scientifici e due libri, Gentrification. Tutte le città come Disneyland? (Il Mulino, 2015) e Breve manuale per una gentrificazione carina (Mimesis, 2023).
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Francesco M. Renne Giovanni Semi

di Marco Natali
Urbanistica, gentrificazione, ceto medio: la crisi del nostro secolo
In un decreto approvato di recente in Consiglio dei Ministri, il Governo ha varato un Fondo da 80 milioni per la rigenerazione urbana. È un segnale, finalmente, di attenzione alle nostre città ma anche alla crisi drammatica degli immobili. Due piani, quello degli ambienti urbani e della casa che si saldano insieme in una crisi che non conosce precedenti: e oggi infatti riqualificare le città non è solo un’operazione di rinnovamento in risposta ad anni di speculazioni e di consumo sfrenato del suolo ma anche l’unico intervento possibile per affrontare il dramma del crollo dell’offerta di abitazioni. Secondo uno studio dell’Ance, per oltre 10 milioni di famiglie italiane acquistare o affittare casa è ormai un miraggio. Nelle grandi città come Roma, Milano, Napoli, è diventato un sogno sempre più irraggiungibile.
Perché? Non mancano solo le case, risucchiate da un mercato gonfiato dalle locazioni brevi. A mancare è soprattutto il potere d’acquisto. Che si tratti di mutui o affitti, il risultato non cambia: il portafoglio delle famiglie si è assottigliato, e il ceto medio è sprofondato in una crisi silenziosa, ma profonda. In un bellissimo articolo pubblicato sul Giornale, Vittorio Macioce parla di questo piano inclinato che fa scivolare sempre più in basso la spina dorsale del Paese: professionisti, insegnanti, impiegati, schiacciati tra stipendi fermi da anni e un costo della vita che continua a salire.
Il ceto medio è “colto, responsabile, competente”, scrive il giornalista, ma si sente tradito. Tradito da un patto sociale infranto in cui, chi scommette su di sé e sui propri figli, investe in formazione, lavora, studia, paga le tasse si sente sempre meno sicuro. Non riesce più a sostenere un affitto, né ad accendere un mutuo. E così, anche il ceto medio viene spinto fuori dai centri delle città, in una nuova forma di gentrificazione che non colpisce più solo i più fragili, ma si estende a macchia d’olio.
Fermare questa deriva non è solo un’urgenza urbana, ma una sfida sociale. Senza il ceto medio, le città si svuotano di vita e futuro. La rigenerazione deve partire da qui: restituire dignità all’abitare per ricucire un patto sociale di cui non possiamo fare a meno.


I fatti, le analisi e gli approfondimenti dell’attualità politica ed economica in Italia e in Europa. Con un occhio rivolto al mondo della libera professione
COVER STORY



CONTRASTI URBANI
di Giovanni Semi

Il fenomeno della gentrificazione è ormai presente da tempo anche nelle nostre città. Che si vogliono sempre più smart, sostenibili, competitive. L’idea del “decoro” guida l’estetica urbana e sociale e impedisce a persone, pratiche e idee non conformi, minoritarie e marginali di avere diritto alla città. Così i mondi marginali vengono respinti sempre più lontano dal centro. Tutto ciò ha profonde implicazioni democratiche e disegna scenari che meriterebbero maggiore attenzione pubblica
Anche in Italia, da alcuni anni, si parla di gentrification (o, più spesso, di gentrificazione). Nato all’inizio degli anni Sessanta per descrivere il modo in cui i quartieri di Londra si stavano trasformando, questo concetto ormai globale ci parla di classi sociali, di sfratti e di disuguaglianze. Nella sua formulazione originale, riguardava alcuni isolati dei centri storici, da cui le classi popolari venivano allontanate, di buon grado o con la forza, per far posto a gruppi sociali più istruiti, spesso ma non sempre più ricchi, e senza dubbio convinti della bontà della loro anima e del loro gusto.
Nel contesto politico ed economico di crescita tumultuosa degli anni ‘60 e ‘70, gli sfollati trovavano molto spesso soluzioni abitative pubbliche, la maggior parte delle volte migliori di quelle che si lasciavano alle spalle. In un certo senso, a breve termine, si trattava di un processo win-win. Il centro storico, in decadenza,
veniva rigenerato attraverso investimenti privati e pubblici e diventava migliore. Gli abitanti di baracche e immobili, ancora segnati dall’incuria, dall’abbandono o in alcuni casi dai bombardamenti, andavano a vivere in nuovi quartieri moderni, dove l’acqua corrente, i servizi igienici e l’elettricità erano una realtà e non più solo un miraggio. Certo, erano lontani dal centro, sempre più lontani, ma all’epoca questa questione sembrava essere un problema minore. Questo schema è stato particolarmente visibile a Roma, ma anche a Genova, Milano e Torino.
LA SVOLTA DEGLI ANNI ‘80
A partire dagli anni ‘80, tuttavia, il contesto macroeconomico cambia radicalmente. Se la lunga fine dei Trenta Gloriosi (termine con cui si indica il periodo storico che va dal 1945 al 1975), segna ancora la vita urbana e quella dei gruppi sociali che la animano, due grandi trasformazioni diventano visibili e cominciano a produrre altri cambiamenti: si tratta della diffusione di massa della proprietà immobiliare e del cambio di rotta dell’azione pubblica.Gli italiani diventano massicciamente proprietari della loro abitazione già negli anni ‘60. Da allora non smetteranno, sostenuti da politiche chiaramente favorevoli alla proprietà (come testimonia il basso livello di tassazione), di acquisire beni immobili. E lo faranno tutti, tanto che anche gli operai sono ormai in maggioranza proprietari. Ciò avrà come conseguenza un ethos più conservatore delle famiglie, preoccupate di difendere il loro bene conquistato con fatica dopo decenni, se non secoli, di povertà generalizzata. Così facendo, il peso politico degli inquilini si è ridotto, creando una nuova classe di “scarto” composta da coloro che non sono riusciti ad acquistare un’abitazione, nemmeno durante gli anni del boom.
La composizione di questa classe sarà poi trasformata e ampliata a partire dagli anni ‘90 da nuovi gruppi sociali, in particolare
dai migranti e da quelli che vengono chiamati i “nuovi poveri” (le famiglie di working poor, le madri sole e le coppie giovani).
LA CITTÀ CAMBIA PELLE
L’altra grande trasformazione, che a volte si qualifica anche come neoliberismo, è legata al fatto che le città cessano di essere fornitrici universaliste di servizi ai cittadini, e si pensano e agiscono come facilitatrici dei processi di mercato. Per esempio la produzione di edilizia pubblica scompare quasi completamente e si trova al meglio sostituita da piccoli interventi di social housing destinati a beneficiari sempre meno numerosi e più vulnerabili. La semantica cambia e così le pratiche. Le città si vogliono ormai smart, creative, sostenibili, ma anche aperte e competitive: utilizzano fondi pubblici per sostenere eventi privati, scelgono la privatizzazione di servizi pubblici, rifiutano sistematica-



mente di svolgere un ruolo protettivo per alcuni cittadini, privilegiano l’empowerment degli utenti. La città cambia dunque pelle. Difende con la forza i propri abbellimenti strategici, come li chiamava il filosofo tedesco Walter Benjamin. È così che avanza un’idea pericolosa ma ampiamente condivisa di “decoro”, un dispositivo di controllo dell’estetica urbana e sociale che impedisce a persone, pratiche e idee non conformi, “degradanti”, minoritarie e marginali di avere diritto alla città. Se guardiamo ai numerosi decreti “sicurezza” approvati negli ultimi trent’anni, ne abbiamo riprova giuridica.
CENTRI STORICI SENZA ABITANTI
Tale è la gentrificazione che vediamo oggi nelle città assediate da una delle poche industrie che restano ai paesi occidentali, il turismo. Centri storici puliti, splendidi ma vuoti di abitanti, pieni di attrazioni culturali, di appartamenti ad uso temporaneo destinati ai turisti, di ristoranti all’aperto, tutti identici e tutti
diversi, che promettono esperienze urbane e culinarie autentiche. Gli autoctoni hanno due opzioni: partecipare al banchetto, diventando affittuari di stanze e appartamenti e integrando i loro redditi in caduta libera con l’estrazione della rendita dai patrimoni accumulati dalle generazioni precedenti; oppure esserne esclusi, per necessità o per scelta.
POCHE TRACCE DI VITA
Quali città possiamo dunque aspettarci nei prossimi anni? Mi sembra prima di tutto che la gentrificazione, intesa come produzione progressiva dell’urbano per popolazioni più agiate, continui a essere un meccanismo che produce effetti, ma anche numerose contraddizioni. Cittadini, movimenti sociali, attività commerciali tradizionali, tutti coloro che non possono, o non riescono, o non vogliono partecipare a questa macchina urbana stanno al-

zando il tono, in alcuni casi in modo molto rumoroso.Certo, l’industria del turismo urbano non è transitoria, e corrisponde in modo sempre più chiaro a una fase importante e durevole del capitalismo contemporaneo. Questo lascia poca speranza per forme di vita urbana diverse, multiple e rispettose dell’esistenza di tutti. I centri storici continueranno a spopolarsi e le tracce di vita cittadina, come le impronte sulla spiaggia, saranno cancellate in modo regolare e continuo dalle onde del turismo. I mondi marginali sono poco a poco respinti lontano dalla riva. Questo processo è già visibile, con quartieri periferici e semi-periferici (a seconda dei contesti) che si degradano rapidamente mentre il valore dei beni immobiliari del centro aumenta. Tutto ciò ha profonde implicazioni democratiche e disegna scenari che dovrebbero richiedere maggiore attenzione pubblica. ■

CHI DECIDE LA CITTÀ
di Alberto Molinari
Presidente di Asso Ing e Arch. e Maria Pungetti
Presidente di Confprofessioni Emilia Romagna
L'evoluzione del tessuto urbano italiano tra sviluppo economico, implicazioni sociali e memoria collettiva. Elemento cruciale, quest’ultimo, perché strumento di identità e resilienza. Le comunità urbane connesse al loro passato sono meglio equipaggiate per affrontare le sfide future, avendo radici e una storia condivisa che le unisce. Il ruolo dei professionisti tra meccanismi di gestione e partecipazione alle trasformazioni


Il ruolo del settore edilizio nello sviluppo economico italiano è stato a lungo al centro del dibattito, spesso tralasciando le profonde implicazioni sociali che derivano dalle sue trasformazioni. Le città sono organismi vivi, plasmati da “agenti sociali” che, intervenendo nei processi di urbanizzazione, orientano i meccanismi territoriali e modificano la vita di chi le abita. Analizzare queste dinamiche significa comprendere come la ricerca di opportunità lavorative, i flussi migratori interni e la stessa memoria collettiva definiscano la qualità della vita urbana e ne influenzino il futuro.
LA CITTÀ COME POLO D’ATTRAZIONE
Tradizionalmente, l’offerta di posti di lavoro – prima nell’industria, oggi nel terziario –ha rappresentato la “fase di attrazione” che ha guidato l’urbanizzazione di determinate aree. Tuttavia, questa spinta non ha sempre garantito una distribuzione equilibrata della popolazione all'interno delle aree stesse. Superata la grande fase migratoria
degli anni '60, l'attenzione si è spostata sui ricambi migratori interni, ovvero sui movimenti della popolazione all'interno di una specifica area, che influenzano direttamente la qualità della vita.
Questa evoluzione ha ridefinito il movimento pendolare. Se inizialmente era prevalentemente centripeto, oggi si differenzia in base alle categorie socio-professionali: quello legato alla classe operaia si presenta come trasversale, senza che punto di partenza e di arrivo coincidano necessariamente con l'area centrale. Al contrario, i movimenti dei ceti impiegatizi e del terziario in generale rimangono in gran parte centripeti, diretti verso il cuore della città.
La distribuzione della popolazione nelle aree di residenza ha subito un’ulteriore metamorfosi. Dopo una prima fase in cui


l'immigrazione rafforzava l'assetto urbano preesistente, favorendo la crescita dei centri maggiori, la fase attuale vede i centri maggiori e la loro fascia circostante perdere popolazione a favore dei centri limitrofi. Le aree di maggiore sviluppo sono diventate quelle lungo gli assi principali di trasporto, e l’attività edilizia, un tempo orientata alla “saturazione” delle aree urbanizzate, ora si espande in zone precedentemente non edificate. Anche il mercato immobiliare ha invertito le sue tendenze: se negli anni '60 dominava la vendita, oggi assistiamo a una coesistenza di vendita e affitto.
LA SFIDA DELLA PIANIFICAZIONE
Nonostante queste profonde trasformazioni, il controllo urbanistico continua a essere gestito prevalentemente a livello comunale, spesso ignorando gli effetti sui territori limitrofi. La pianificazione intercomunale, sebbene necessaria, è ancora lontana dall’essere pienamente attuata. Questo divario è evidente nelle scelte di
localizzazione dei grandi gruppi commerciali che, necessitando di ampi spazi, si sono insediati nella “corona esterna” dei centri maggiori. Questo fenomeno non solo ha rivoluzionato l’assetto viario, ma ha anche sconvolto l’equilibrio urbano dei centri minori adiacenti, svuotandoli del loro ruolo di “centro servizi” e creando il cosiddetto effetto “donut” (ciambella): tutto nell'intorno, nulla più nel centro.
In questa direzione la pandemia ha impresso un’accelerazione alle dinamiche urbane, portando a una profonda rivalutazione degli spostamenti, del lavoro e della socialità. Non solo, ha evidenziato altresì l’importanza di ripensare il comparto commerciale, spingendo verso una localizzazione a livello di quartiere che disegni la “città dei 15 minuti”. L’importanza di spazi pubblici sicuri e ben progettati, che permettano l'interazione mantenendo il distanziamento fisico, è diventata cruciale. Il risultato odierno è una città con ampie zone, soprattutto quelle industriali in
disuso, che da periferiche sono diventate, se non centrali, quantomeno parte della prima cerchia urbana.
IL RUOLO DELLA MEMORIA
Il legame tra trasformazioni urbane e memoria è un aspetto affascinante ed emotivo della vita delle città. La memoria collettiva di un luogo, intessuta di storie, simboli e tradizioni, interagisce costantemente con i cambiamenti fisici, sociali e culturali dell'ambiente urbano. Questi cambiamenti possono generare nuove identità e dinamiche innovative, ma al contempo rischiano di cancellare tracce storiche e la coesione sociale.
Le città italiane, in particolare, sono veri e propri “archivi viventi”, custodi di epoche passate attraverso edifici, monumenti, piazze e strade. Questi luoghi sono carichi di significati storici e culturali che forgiano l'identità di una comunità. Quando la città muta, la memoria può essere alterata o persa, come nel caso della gentrificazione, che rimpiazza vecchi quartieri con nuove costruzioni, cancellando il passato. La demolizione di edifici storici, senza un'adeguata conservazione o documentazione, è una “cancellazione” della memoria.
Fortunatamente, le trasformazioni urbane, se ben gestite, possono diventare un’opportunità per preservare e rinnovare la memoria storica. La riqualificazione urbana può integrare il vecchio con il nuovo, valorizzando il patrimonio e i luoghi simbolici. Il restauro e la conservazione mirano a mantenere l’autenticità degli spazi, mentre la “musealizzazione del paesaggio urbano” trasforma intere aree in musei a cielo aperto, raccontando la storia attraverso l’interpretazione dei luoghi.
Le nuove generazioni, tuttavia, potrebbero non avere lo stesso legame emotivo con i luoghi della storia. È cruciale riscoprire la memoria attraverso la cultura po-


polare, la trasmissione orale e l’educazione urbana. Le tecnologie digitali, come archivi online, app e realtà aumentata, possono offrire strumenti potenti per connettere passato e presente.
La memoria non è solo un elemento da conservare, ma uno strumento di identità e resilienza. Le comunità urbane connesse al loro passato sono meglio equipaggiate per affrontare le sfide future, avendo radici e una storia condivisa che le unisce. Le città non sono statiche; la memoria viene continuamente reinventata e riscritta. La cultura urbana, le feste popolari e l’arte urbana sono modi attraverso cui le persone mantengono viva la memoria, anche in un contesto di cambiamento.
La relazione tra trasformazioni urbane e memoria è complessa e multilivello. Se da un lato le trasformazioni possono comportare rischi per la memoria storica dei luoghi, dall’altro possono anche offrire nuove opportunità per rileggere il passato, preservarlo e costruirne nuovi significati. Le città, attraverso i loro cambiamenti, sono sempre luoghi in cui la memoria viene attivamente negoziata, conservata, e reinterpretata.
DALLA SMART CITY ALLA RESILIENZA
Alla base delle trasformazioni urbane c’è (o ci dovrebbe essere) la qualità della vita delle persone che vivono nelle città. Periodicamente, sui giornali spuntano le classifiche delle città in cui si vive meglio, dove il livello di benessere si coniuga con la soddisfazione dei cittadini rispetto all’offerta di servizi e strutture delle amministrazioni locali. Sanità, istruzione e trasporti sono certamente priorità assolute, come pure la sicurezza, le relazioni sociali e il tempo libero.
Si tratta di elementi essenziali che stanno alla base dei processi di rigenerazione urbana. Soprattutto nelle città del Nord
Europa, dove la riqualificazione di spazi pubblici, il recupero di edifici storici o industriali, la creazione di nuovi servizi e infrastrutture, lo sviluppo di nuove attività economiche, ma anche la valorizzazione dell'identità culturale locale hanno rimodellato il volto delle città.
Le trasformazioni delle città contemporanee sono processi complessi e continui, guidati da fattori sociali, economici, tecnologici, culturali e ambientali. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un radicale processo di urbanizzazione e crescita demografica.
L’espansione suburbana e la formazione di “città diffuse” pongono sfide significative in termini di consumo di territorio e sostenibilità. La sfida è promuovere l’inclusività sociale, affrontare le disuguaglianze e migliorare l’accesso ai servizi per tutti i cittadini. Il decentramento e

il remote working stanno spostando le persone verso aree più tranquille ma digitalmente connesse. La necessità di una crescita urbana sostenibile si traduce, quindi, nell’incentivare la riqualificazione piuttosto che la nuova costruzione. In questo senso l’avvento delle smart cities ha rivoluzionato la gestione urbana, grazie all’uso di tecnologie IoT (Internet of Things) e all’analisi dei Big Data, che permettono di ottimizzare servizi come traffico, qualità dell’aria e gestione dei rifiuti, migliorando l’efficienza e la rapidità delle decisioni amministrative.
Accanto alla gentrificazione, si afferma il Green Urbanism, che integra spazi verdi nel tessuto urbano per migliorare la qualità dell’aria e offrire luoghi di socializzazione. La crescente consapevolezza delle sfide ambientali, come il cambiamento climatico, ha spinto molte città a diventare più sostenibili e resilienti, e ad adottare politiche green e soluzioni innovative per affrontare i problemi legati all’inquinamento, alla gestione delle risorse e al cambiamento climatico. La mobilità sostenibile (dal bike sharing al car sharing fino alle colonnine per la ricarica delle auto elettriche); l’uso di energie rinnovabili, che incentivano l’efficienza energetica nelle abitazioni e negli edifici pubblici; così come le misure per prevenire o ridurre i danni derivanti da eventi climatici estremi, come inondazioni, ondate di calore o tempeste sono ormai priorità.
La spinta tecnologica non ha solo effetti sulla sostenibilità, ma anche sulla decentralizzazione e sulle infrastrutture digitali che collegano persone e servizi. Il telelavoro e la creazione di distretti tecnologici, per esempio, stanno ridefinendo la distribuzione della popolazione, favorendo la mobilità intermodale, che combina diversi mezzi di trasporto, ottimizza i tempi e riduce l’impatto ambientale.
UN APPROCCIO PROFESSIONALE
La gestione della città è un tema vastissimo che abbraccia pianificazione, amministrazione e manutenzione, ma anche sicurezza, servizi sociali e partecipazione civica. In sintesi, le città del futuro dovranno essere sempre più resilienti, ecologiche e capaci di adattarsi rapidamente ai cambiamenti sociali e tecnologici, promuovendo sostenibilità, inclusività e qualità della vita per tutti i cittadini. La sfida è creare ambienti urbani che siano funzionali e tecnologicamente avanzati, ma che allo stesso tempo preservino e valorizzino la loro ricca memoria storica e la coesione sociale. Un processo lungo, che non può prescindere dal ruolo chiave dei liberi professionisti, vera e propria cinghia di trasmissione tra le esigenze dei cittadini e la programmazione delle amministrazioni comunali. A loro il compito di indirizzare l’evoluzione delle città.■


PROSPETTIVE EUROPEE
di Giovanni Damiani
Dalle coste del Baltico alle rive del Mediterraneo, le città europee si stanno reinventando attraverso progetti che coniugano innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e qualità della vita. Un panorama che, osservato dalla prospettiva italiana, evidenzia un preoccupante ritardo culturale del nostro Paese
In un contesto mondiale di incredibile dinamismo e cambiamento paradigmatico di assetti economici, sociali e geopolitici in cui un numero inimmaginabile di persone si muove verso la vita urbana creando poli di megalopoli senza precedenti, anche l’Europa contemporanea sta attraversando una stagione di straordinario fermento architettonico e urbanistico. Dalle coste del Baltico alle rive del Mediterraneo, le città europee si stanno reinventando attraverso progetti che coniugano innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e qualità della vita. Un panorama che, osservato dalla prospettiva italiana, evidenzia un preoccupante ritardo culturale del nostro Paese rispetto alle più avanzate sperimentazioni architettoniche continentali. Una prospettiva che, prima che stigmatizzata, va analizzata per capire come ridare al nostro Paese un ruolo, che in molte occasioni storiche ha avuto in modo straordinario, nel panorama della ricerca architettonica e degli spazi urbani.
Ogni luogo ha la sua storia, le sue leggi e la sua mentalità. L’Europa non è certamente un territorio uniforme in tal senso e ogni paese e ogni sua area e regione meriterebbe una analisi puntale. Tuttavia, basterà citare alcune delle esperienze centrali a titolo esemplificativo per sviluppare una cultura della contemporaneità che possa contagiare l’Italia e farla uscire da una condizione di retroguardia. Una situazione che poi, anche in termini di investimenti internazionali, la penalizza.
Perché la questione chiave non è se i palazzi in “stile contemporaneo” siano “belli o meno” ma che ogni epoca storica ha trovato una sua forma che ne rappresenta il potere e il denaro corrente e le forme di città che noi oggi vediamo quando passeggiamo per Londra, Parigi, Ginevra o Berlino sono quello che il potere e i soldi di oggi hanno certificato come il

modo di essere del nostro tempo. Quello che cercano, perpetuano, riproducono, costruiscono e su quello investono, giusto o sbagliato sia.
ABITARE SOSTENIBILE
Il primo sguardo lo diamo ai Paesi Bassi, Amsterdam e Rotterdam rappresentano oggi laboratori viventi dell’architettura contemporanea. Il quartiere Ijburg di Amsterdam, costruito su isole artificiali, dimostra non solo come l’edilizia residenziale possa essere ripensata integralmente: case galleggianti, edifici in legno e materiali riciclati, sistemi di raccolta delle acque piovane integrati nel design urbano. Il complesso residenziale “8 House” di Bjarke Ingels, con la sua forma a monta-
Quartiere Ijburg ad Amsterdam
gna che permette di raggiungere in bicicletta gli appartamenti ai piani superiori, sfida le convenzioni dell’abitare verticale.
Rotterdam, una città completamente portuale ed industriale, ricostruita interamente dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale con uno stile modernista con tantissimo cemento a vista, ovvero tutto quello che sembrerebbe non piacere oggi, è diventata un luogo pieno di spazi aperti, parchi, palazzi simbolo di innovazione e coraggio e ha fatto della sperimentazione architettonica la sua cifra distintiva.
Tra i tantissimi progetti ci piacere guardare al Markthal di MVRDV che mostra come il ripensare ad un mercato cittadino possa diventare un’occasione per fare una architettura funzionale e visionaria, creando un landmark urbano che ridefinisce l’identità della città, oggi pubblicizzata al mondo


“8 House” di Bjarke Ingels
Il Markthal di Rotterdam

sulle riviste di viaggi come un luogo in cui andare al mercato a comprare e provare sul posto nuovi cibi gourmet.
SPAZIO PUBBLICO PROTAGONISTA
Altro luogo che ha completamente cambiato pelle grazie al design è la capitale danese che ha trasformato il concetto stesso di spazio urbano. Il quartiere di Ørestad, sorto negli anni ‘90, integra residenze, uffici e servizi in un tessuto urbano attraversato da piste ciclabili sopraelevate e giardini pensili.
Il progetto più emblematico rimane però la trasformazione del porto: Havnebadet, le piscine pubbliche nel canale urbano, e il quartiere di Refshaleøen dimostrano come aree industriali dismesse possano rinascere come spazi di aggregazione sociale che fanno di Copenhagen uno dei posti più attrattivi per i giovani di una fascia colta, benestante e destinati ad avere ruoli primari nello sviluppo futuro del
Il porto di Havnebadet a Copenhagen
Quartiere di Refshaleøen a Copenhagen

mondo, ovvero esattamente la fascia che sta abbandonando in modo drammatico l’Italia.Il Copenhill, termovalorizzatore progettato da BIG con una pista da sci sulla copertura, sintetizza perfettamente l’approccio danese: infrastrutture che non si nascondono ma diventano occasioni di socialità e svago. Un esempio di come l’architettura pubblica possa essere al servizio della comunità senza rinunciare all’audacia progettuale.
RECUPERO DELL’EREDITÀ URBANA
Citiamo poi la Spagna, perché ha una struttura sociale ed economica molto simile a noi. Le città spagnole hanno saputo bilanciare innovazione e conservazione con risultati straordinari. Barcellona ha trasformato il quartiere del Poblenou da zona industriale a distretto tecnologico mantenendo la memoria storica attraverso il recupero creativo di fabbriche e magazzini. Il 22@ district mostra come la rigenerazione urbana possa avvenire senza cancellare il passato. Madrid, con progetti come il Matadero e la Tabacalera convertiti in centri culturali, dimostra che il riuso adattivo può dare nuova vita agli edifici storici e la recente pedonalizzazione della Gran Vía e la creazione di nuove piazze verdi nel centro storico mostrano una visione urbanistica che privilegia il cittadino sull’automobile con incredibili risultati in termini di approvazione dei cittadini e interesse degli investimenti.
IL RITARDO ITALIANO
L’Italia, pur possedendo un patrimonio architettonico e urbanistico senza eguali, sembra aver perso la capacità di immaginare il futuro delle proprie città. Mentre le capitali europee sperimentano nuovi modelli abitativi e spazi pubblici innovativi, le nostre città rimangono ancorate a una concezione museale dell’urbanistica. Le nostre periferie, costruite nel dopoguerra senza una visione urbanistica


Il termovalorizzatore di Copenhill a Copenhagen, progettato con una pista da sci sulla copertura
Il Poblenou di Barcellona, una vecchia area industriale convertita in un nuovo quartiere moderno nella zona costiera di Barcellona
L’Italia, pur possedendo un patrimonio
architettonico e urbanistico senza eguali, sembra aver perso la capacità di immaginare il futuro
delle proprie città
coerente, attendono ancora progetti di rigenerazione degni di questo nome. Mentre Amsterdam sperimenta quartieri completamente sostenibili e Copenhagen trasforma i propri waterfront in spazi pubblici, le periferie italiane rimangono troppo spesso abbandonate al degrado ponendoci la domanda su quando abbiamo smesso di avere coraggio e fiducia nel cambiamento e perché da noi il cambiare delle cose di cui tutti si dicono insoddisfatti, è visto sempre come il viatico per un peggio dato per certo. Vogliamo chiudere con un tratto di speranza convinti che l’Italia debba e possa superare la falsa dicotomia tra antico e moderno, comprendendo che la qualità architettonica contemporanea può dialogare con la storia senza subirla passivamente. Le esperienze europee dimostrano che l’innovazione architettonica non minaccia l’identità urbana ma la arricchisce, creando nuovi landmark che si affiancano a quelli storici. ■
IL “SISTEMA MILANO”

Nel capoluogo lombardo la riqualificazione di molte aree urbane attira cospicui investimenti immobiliari. I prezzi delle case e degli affitti schizzano alle stelle. I vecchi residenti e il commercio di vicinato stanno scomparendo. Un cambiamento che altera la composizione sociale dei quartieri, aumentando le disuguaglianze sociali. E mentre 35 mila milanesi abbandonano la metropoli, la Procura accende un faro sulla speculazione edilizia
di Carlo Bertotti

Panta rei. Tutto cambia costantemente e alcune cose, alcuni luoghi, anche più velocemente di altri. Uno di questi luoghi è indubbiamente la città di Milano, metropoli cosmopolita dal respiro europeo ma sempre più esclusiva e selettiva. Una città che sta diventando solo per i più abbienti e che allontana chi non può più permettersela? Un modello incentrato solo sul profitto?
Tra il 2015 e il 2021 il valore degli immobili a Milano è cresciuto del 41%, quello degli affitti del 22% mentre l’incremento dei redditi è stato solo del 13%. Un’impennata che negli ultimi cinque anni ha visto lievitare i prezzi delle case fino a 4.700 euro al mq nell’usato (42,4% in più) e di 7.690 euro al mq nel nuovo (48,1% in più). Facendo due calcoli, se con 300 mila euro a Milano ci si deve accontentare di un bilocale di 40 mq, nell’hinterland con la stessa cifra si può arrivare ad acquistare quasi un centinaio di mq.
E i dati sugli affitti non inducono certo all’ottimismo: prendere un appartamento in affitto nel 2024 è stato più costoso a Milano che nelle grandi città europee. Nel capoluogo lombardo un affitto medio di un appartamento ormai è arrivato a 2.090 euro al mese con un incremento del 5,6% rispetto all’anno precedente. Cifre decisamente fuori dalla portata per molti milanesi che hanno finito per spostarsi sempre più fuori città: i dati Istat relativi al 2023 dicono infatti che in un anno hanno lasciato la città ben 35 mila milanesi, il 2,6% dei residenti.
INCHIESTE APERTE
Ma oltre all’aumento vertiginoso dei prezzi delle case, Milano vive da qualche tempo anche un profondo stallo economico e giudiziario in ambito edilizio, causato da decine di pratiche ferme negli uffici amministrativi e dalle inchieste condotte dalla Procura di Milano. Sono circa 150
infatti le nuove costruzioni residenziali incompiute a Milano: decine di pratiche ferme e cantieri bloccati per le inchieste della Procura sulla gestione dell’urbanistica in città.
Nel marzo di quest’anno si è dimesso l’assessore alla casa del comune di Milano Guido Bardelli a causa del terremoto scaturito dalle inchieste sulla speculazione edilizia nel capoluogo lombardo e della “comunanza d’interessi” con Giovanni Oggioni, l’ex dirigente dell’urbanistica milanese finito agli arresti domiciliari per corruzione e depistaggio. A succedere a Bardelli all’assessorato è arrivato l’ex sindaco PD di Trezzano sul Naviglio, Fabio Bottero
I cantieri bloccati dalla Procura in città dopo le inchieste sull’urbanistica hanno come minimo comun denominatore la medesima accusa, ovvero quella di aver trasformato le ristrutturazioni di piccole palazzine in edificazioni di vere e proprie nuove costruzioni, sovente torri o grattacieli, autorizzate in Comune con un semplice documento, la “Scia”, una segnalazione certificata d’inizio attività senza un piano attuativo che servirebbe al contrario a garantire i servizi necessari ai residenti dell'area, oltre al pagamento dei corretti oneri di urbanizzazione.
La procura ha cominciato ad interessarsi a quello che poi in seguito è diventato un vero e proprio "Sistema Milano" grazie al caso di un cortile tra piazza Aspromonte e via Filippino Lippi, dove al posto di una palazzina da due piani è stato invece progettato un condominio di ben sette piani. È poi seguita l'inchiesta sulla Torre Milano di via Stresa, un edificio già completato alto 24 piani costruito al posto di un paio di edifici da due e tre piani attraverso la presentazione della solita famigerata Scia. Stesso percorso per le Park Towers di via Crescenzago con due nuovi grattacieli, alti rispettivamente 81 e 59 metri, rea-

lizzati dopo la demolizione di due vecchi capannoni che sorgevano nei pressi di via Crescenzago. Le accuse dei magistrati, anche in questo caso, sono di abusi edilizi, lottizzazione abusiva, falso.
E se da un lato il Comune di Milano difende la sua politica di rapidità e sburocratizzazione, dall’altro la Procura ha evidenziato con le sue inchieste un sistema in cui l’equilibrio sociale è venuto a mancare, dove alcune costruzioni sono state realizzate in modo inappropriato, senza valutazione dell’area in cui si trovavano e dove alcuni funzionari e professionisti sono arrivati alla lottizzazione abusiva.
VIA ALLA GENTRIFICAZIONE
In realtà la riqualificazione di spazi, la ristrutturazione di edifici e l’ampliamento dei servizi rientra - sulla carta - in un percorso di trasformazione urbanistica, architettonica e sociale che parte da investimenti e da interventi in aree ur-

bane degradate o di zone parzialmente dismesse. Ma nella Milano delle case con prezzi impossibili e dei cantieri bloccati la riqualificazione di alcuni quartieri ha condotto ad un processo di trasformazione del territorio che ha portato con sé anche alcune evidenti problematiche che si possono riassumere in un termine sempre più presente nel vocabolario della metropoli: gentrificazione.
Una parola che riassume in sé un processo di trasformazione di un’area urbana precedentemente degradata o caratterizzata da bassi redditi, attraverso l’arrivo di nuovi player immobiliari che investono in ristrutturazioni e riqualificazioni con un conseguente aumento dei costi abitativi e una progressiva sostituzione delle comunità preesistenti con nuovi residenti più abbienti. In un ipotetico sommario, le diverse tappe della gentrificazione si possono evidenziare nell’aumento dei prezzi immobiliari, nel cambiamento della com-

posizione sociale del quartiere coinvolto e infine nell’alterazione dell’identità del quartiere con un significativo aumento delle disuguaglianze sociali o dei casi di emergenza abitativa. Un altro aspetto da non sottovalutare è che in questi quartieri numerose attività commerciali, panetterie, edicole, vecchi bar di quartiere o anche spazi culturali vengono sempre più spesso soppiantati da locali che si fregiano di offrire un’offerta gastronomica all’avanguardia. Si chiama foodification, una nuova forma di gentrificazione connessa alla proliferazione e progressiva affermazione di ristoranti e cocktail bar con modalità molto simili tra loro e menu che sembrano dettati dalle tendenze sui social.
La foodification è un’ulteriore tappa di “riqualificazione” dei quartieri che diventano ancora di più meta per turisti, con una presenza che di fatto fa aumentare anche gli affitti brevi in una sorta di regola non scritta in virtù della quale la domanda di Airbnb è più alta dove è più forte la presenza di locali alla moda e di offerta gastronomica varia. Meccanismo vizioso che a sua volta vede poi crescere ulteriori investimenti nel settore del cibo contribuendo ad allargare il divario fra i diversi tessuti del territorio urbano ampliando un modello di città diseguale.
NOLO E IL CITY BRANDING
Nei cambiamenti di quartiere un ruolo fondamentale ce l’ha il city branding, ossia l’utilizzo di strumenti di marketing per promuovere città o quartieri allo scopo di attrarre risorse, turisti, abitanti o nuove aziende. Le città o i quartieri in questo caso vengono messe letteralmente in vetrina, proponendo un’identità forte capace di attrarre un certo target. Il caso di NoLo (Nord Loreto) è un esempio di come l’utilizzo dei social per promuovere il distretto e le sue peculiarità, abbia favorito in qualche modo una forma di gentrificazione con lo sfruttamento graduale
della promozione della zona veicolato e successivamente sfruttato in chiave commerciale a uso e consumo del mercato immobiliare. I nuovi abitanti di NoLo sono in maggioranza giovani italiani in età lavorativa, single, laureati e appartenenti a gruppi sociali e professionali di tipo “creativo”.
Una popolazione giovane ma anche molto dinamica, dato che progressivamente ha inevitabilmente finito per influire sull’aumento del prezzo degli affitti: solo il 57% della popolazione del quartiere risiede infatti nel quartiere da almeno dieci anni, uno dei dati più bassi della città. Ma oltre a cambiare le persone sono cambiati anche gli spazi e il loro utilizzo. Le trasformazioni fisiche e funzionali dell’area hanno interessato i locali situati al piano terra e nei cortili, in passato utilizzati da artigiani o a scopi commerciali e oggi reinterpretati ad uso abitativo. Il tam


tam dei social e il city branding hanno poi contribuito a descrivere NoLo con una narrazione enfatica che di fatto ha contribuito ad aumentarne ulteriormente l’attrattività. E se la sinergia tra commercio, innovazione e cultura attrae studenti, imprenditori e creativi da tutta la città anche qui c’è un altro lato della medaglia perché il problema è che ad un certo punto si è cominciata a vedere la sostituzione dei negozi tradizionali con locali destinati agli aperitivi mentre parallelamente il prezzo delle case è aumentato…
I nuovi abitanti e frequentatori plasmano i quartieri “gentrificati” a loro immagine e somiglianza: nuovi esercizi commerciali, nuove attività, bar, uffici, studi. Un assetto fiammante e inedito che però fatalmente contribuisce all’esclusione e all’allontanamento di chi, quelle aree urbane, le abitava in precedenza. E intanto a Milano i quartieri acronimo continuando a contribuire a immagini spesso artefatte e ste-



reotipate di diverse zone a Milano: oltre a NoLo ecco infatti Nom (North of Milano); NaPa, il distretto promosso dai ristoratori della zona e sviluppatosi attorno al Naviglio pavese; Noce, la cui sigla sta per Nord Cenisio e comprende la zona compresa tra il cimitero Monumentale e il ponte della Ghisolfa; SouPra (South of Prada); GiaLo (Giambellino e Lorenteggio); ViPreGo (Villa, Precotto e Gorla).
Sembra proprio dunque che la Milano dei tram, delle bocciofile, della nebbia, delle manifestazioni e delle fabbriche non esista più. Oggi, e chi non si adegua è fuori (letteralmente) c’è la Milano dei grattacieli, di City Life, di Gae Aulenti, delle enoteche trendy e dei locali gourmet, dei quartieri dai nomi acronimo figli dei social e di un marketing ricco di facciata ma povero di contenuti. Insomma, così è se vi pare, prendere o lasciare o al limite traslocare qualche chilometro più in là… ■

Le storie, i personaggi e le notizie di primo piano commentate dalle più autorevoli firme del mondo della politica, dell’economia, dell’università e delle professioni

PRIMO PIANO

LA “GRANDE BELLEZZA” SECONDO DONALD

La legge di bilancio per il 2026 della nuova amministrazione USA sta sollevando tantissime discussioni. Al di là delle incognite legate all’intervento militare in Iran, la manovra di Trump genererebbe un aumento del deficit federale di 2,4 trilioni di dollari, implementando una politica economica regressiva. Che potrebbe allargarsi a tutto il resto del mondo
di Francesco M. Renne

La legge di bilancio per il 2026 della nuova amministrazione USA sta sollevando tantissime discussioni, sia sotto il profilo economico-finanziario che sotto quello politico-sociale. La sua “titolazione” è “One Big Beautiful Bill Act” (OBBBA); una sorta di “grande bellezza” per i suoi fautori, che però, come nell’omonimo film del regista Sorrentino, appare più grottesca che bella, negli effetti che genera, rischiando di diventare addirittura una telenovela (d’altronde Beautiful, nomen omen), stante la risicata maggioranza al Senato, di solo tre voti per i repubblicani.
Più di millecento pagine che hanno innescato tensioni anche fra la compagine governativa, compresa la definitiva frattura fra il Presidente Trump e Musk, che ha lasciato la (già taraballante, in verità) guida
VARIAZIONE
del DOGE, ovvero il Department of Government Efficiency, un'organizzazione temporanea creata negli Stati Uniti con obiettivo la modernizzazione della tecnologia dell'informazione, la massimizzazione della produttività e il taglio di regolamentazioni e spese eccessive (partita con l’ambizione di risparmiare 2 trilioni di dollari e fermatasi, ad oggi, a centottanta miliardi). Il primo continua a difendere il “big beautiful bill”, il secondo l’ha definito addirittura “un disgustoso abominio”.
TRA GUERRA E DEFICIT
Al di là delle incognite legate al recente intervento militare in Iran che, secondo alcune stime, potrebbero far lievitare la spesa militare fino a 150 miliardi di dollari, la norma, che si prefigge di essere un boost per la crescita
COMBINATI DELLA MANOVRA DI BILANCIO USA
Variazione media annua delle risorse delle famiglie e percentuale del reddito di legge corrente al netto dei trasferimenti e delle imposte (2026-2034)
Fonte: The Budget Lab calculations
economica, riprende la politica dei tagli alle spese già avviata con la prima presidenza Trump (il Tax Cuts and Jobs Act del 2017), ampliandola nei contenuti soprattutto alle prestazioni socio-sanitarie e nel contempo implementa dei tagli fiscali asimmetrici che, nel loro insieme, generano un effetto regressivo e un impatto negativo su deficit e debito.
Secondo il Congressional Budget Office (CBO), se venisse introdotta senza variazioni, genererebbe un aumento del deficit federale di 2,4 trilioni di dollari (duemilaquattrocentomiliardi), dato da 3,67 trilioni di minori entrate e 1,25 trilioni di minori spese, portando il rapporto Debito/Pil dall’attuale 121% circa al 124/129% (in funzione delle stime del Pil sul 2026). GLI
Debito che, peraltro, sconta oggi tassi di interesse che non stanno scendendo proprio in virtù dei dubbi su inflazione e crescita del Pil (-0,3 nel primo trimestre 2025 e +3,8 nel secondo; ma servirebbe una crescita del Pil a doppia cifra per riassorbire l’impatto strutturale sul debito), dovuti anche alle scelte erratiche sui dazi sostenuti dall’amministrazione americana (oltre che agli scenari geopolitici incandescenti su più fronti).
GLI EFFETTI REGRESSIVI
Ma il tema che più fa discutere è la scelta di implementare una politica economica regressiva, allocando i tagli di imposte ai percentili con redditi maggiori e tagliando i programmi di aiuti sanitari e sociali in capo ai percentili con reddito più basso. Secondo
Fonte: U.S. Department of the Treasury. Fiscal Service via FRED®
alcune stime (Yale Budget Lab e Pennsylvania University) i tagli ai programmi MedicAid (sanità), Chip (sostegno all’infanzia) – che assieme oggi vengono utilizzati da circa il 50% dei bambini americani – e SNAP (sostegno alla nutrizione; che verrebbe perso da circa 2 milioni di soggetti) genereranno un costo medio a persona di oltre mille dollari ad anno al quintile a minor reddito della popolazione americana (con maggior incidenza ai bisognosi di farmaci e cure), a fronte di risparmi medi a persona per 44 mila dollari ad anno al percentile a maggior reddito.
Tagliare le spese inutili e, soprattutto, gli sprechi, è cosa certo utile (al bilancio pubblico) e responsabile (per la sostenibilità del sistema economico-finanziario);

farlo generando effetti regressivi (riducendo l’accesso ai sostegni sanitari, ai buoni pasto, alle agevolazioni scolastiche) e rimodulando asimmetricamente il carico fiscale (eliminando la tassazione su mance e straordinari, ma anche riducendola su proprietà e donazioni, senza toccare la tassazione sul lavoro), appare incoerente e – a parere di chi scrive – irresponsabile. A ciò aggiungendo l’impatto interno della nuova politica dei dazi che, a sua volta, rischia di impattare regressivamente sulle fasce più deboli.
VERSO LA STAGFLAZIONE
Va altresì detto che le uniche voci di incremento di spesa (non marginali) sono quelle legate alla repressione dell’immigrazione, al controllo delle dogane e alle spese militari; certo, in linea con le promesse fatte in sede di elezioni (un po’ meno con chi sosteneva la nuova amministrazione come costruttrice di pace). E, ancora, che la tenuta del sistema finanziario americano dipende dalla capacità di mantenere alta la domanda di sottoscrizioni di titoli pubblici, unica leva per poter davvero ridurre i tassi. Il fatto è che l’andamento del dollaro, in calo in questi mesi sulle altre principali valute, rischia di alimentare un loop negativo che sta iniziando a far intravedere – a meno di un cambio di rotta interno, oggi difficilmente prevedibile, o di imponderabili eventi esogeni legati alle evoluzioni geopolitiche – lo spettro della stagflazione. Il fatto è che se si inceppano gli USA, per l’effetto economico-finanziario a catena che si genererebbe, il resto del mondo non avrebbe certo di che ridere.■


TRANSIZIONE GREEN A DUE VELOCITÀ
di Laura Ciccozzi Ufficio Studi Confprofessioni
Il successo della transizione ecologica nel Pnrr dipenderà dalla capacità di spendere in un anno quasi 30 miliardi. Se tutto andrà come da cronoprogramma, la missione 2 vedrà nei prossimi mesi una notevole accelerazione di spesa. A cominciare dalle comunità energetiche, agli autobus e treni a emissioni zero, fino alle reti elettriche intelligenti e ai pannelli fotovoltaici nel settore agroalimentare
La liquidazione della settima rata, prevista a fine giugno, è un momento cruciale nel lungo e tortuoso percorso del Pnrr, che determina l’avvenuto raggiungimento di 67 obiettivi per un totale di 18,2 miliardi di euro. Cifre molto alte rispetto a quanto ottenuto finora, pur se inferiori allo sforzo che sarà richiesto per ultime due rate (di dicembre 2025 e giugno 2026) che insieme valgono 100 obiettivi e 41,2 miliardi di euro.
Il Pnrr italiano si appresta, dunque, a tagliare il traguardo con le prime tre missioni che primeggiano nettamente sulle altre per volume di spesa. Secondo la sesta relazione del Governo sullo stato di attuazione del Piano, presentata lo scorso marzo, nella missione 1 – digitalizzazione è stato speso il 52% dei fondi, pari a 19,76 miliardi; nella missione 2 – transizione ecologica il 38,7%, pari a 20 miliardi; nella missione 3 – infrastrutture il 38%, pari a 17,79 miliardi.
MISSIONE 2 IN CHIAROSCURO
La missione 2 sembra presentare, più delle altre, un andamento in chiaroscuro. Ad esempio, sono stati tutti già spesi i 14 miliardi dell’investimento “Rafforzamento dell’Ecobonus per l’efficienza energetica” che, del resto, si inquadra in un piano più ampio di crediti di imposta per la riqualificazione energetica degli edifici privati ormai collaudato da tempo.
Arrancano, invece, gli investimenti sull’idrogeno: la notevole complessità delle opere, unita ai tempi ormai stretti, ha spinto il

Governo a deviare parte dei 2,9 miliardi originariamente stanziati su un’altra misura della Missione 2, e precisamente lo sviluppo del biometano. Un settore che, al contrario, appare molto promettente. Allo stesso modo, circa 600 milioni di euro originariamente destinati all’installazione di infrastrutture di ricarica elettrica per gli autoveicoli – progetto che si è rivelato un clamoroso insuccesso – vengono deviati su un nuovo investimento denominato “Programma di rinnovo della flotta di veicoli commerciali privati e leggeri con veicoli elettrici”.
Quasi last minute entra, dunque, nel Pnrr un bonus auto elettriche, che consentirebbe di spendere rapidamente le risorse a disposizione e non doverle restituire a Bruxelles.
RISCHIO IDROGEOLOGICO
Non è un caso che l’ultima richiesta di revisione tecnica del Piano presentata dal Governo italiano alla Commissione, e approvata il 5 giugno scorso, abbia ad oggetto molti investimenti della missione 2.
Si tratta, infatti, di progetti complessi che sono divenuti irrealizzabili per diverse cause: aumento dei costi dovuto all’inflazione, sopravvenuta assenza di domanda, interruzioni delle catene di approvvigionamento e allungamento degli iter autorizzativi. Spazio, dunque, a nuovi progetti in luogo di quelli originariamente previsti.
Del resto, in tema di tutela ambientale esiste già un convitato di pietra: l’investimento da 2,4 miliardi “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico”.
Una assoluta priorità del Paese, su cui si è abbattuta la scure della revisione del 2023, che ha tagliato dal Pnrr e trasferito sui fondi di coesione progetti giudicati irrealizzabili per un totale di 15 miliardi. Irrealizzabilità derivante in questo caso dalla frammentazione delle risorse stanziate in progetti fortemente eterogenei e, pertanto, difficilmente attuabili – oltre che rendicontabili –dalle pubbliche amministrazioni locali nelle strette tempistiche imposte dal Piano.
30MLD DA SPENDERE
Insomma, il successo della transizione ecologica nel Pnrr dipenderà dalla nostra capacità di spendere in un anno quasi 30 miliardi. Se tutto andrà come da cronoprogramma, la missione 2 vedrà nei prossimi mesi una notevole accelerazione di spesa. Vediamo, dunque, quali sono questi investimenti. Ci sono 2 miliardi per le comunità energetiche (Cer), cioè le coalizioni organizzate di utenti che collaborano tra loro per produrre, consumare e gestire energia pulita attraverso impianti locali. Gli incentivi,

L'impianto di idrogeno di Fusina, vicino a Venezia
che originariamente dovevano riguardare solo i piccoli comuni sotto i 5 mila abitanti, sono stati recentemente estesi anche ai comuni fino a 50 mila abitanti con l’evidente obiettivo di aumentare rapidamente la spesa.
E ancora, 3 miliardi per l’acquisto di autobus urbani e treni a zero emissioni; 2,5 miliardi per il rafforzamento della smart grid, la rete elettrica dotata di sensori intelligenti che ottimizzano la distribuzione di energia in tempo reale; 2 miliardi per l’istallazione di pannelli fotovoltaici nelle strutture produttive del settore agroalimentare; 500 milioni per l’ economia circolare con progetti “faro” altamente innovativi per il trattamento e il riciclo dei rifiuti provenienti da filiere strategiche.
Da ultimo, ricordiamo che nel 2023, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, la dotazione finanziaria del Pnrr è aumentata grazie al REPowerEU, il piano per la riduzione della dipendenza energetica dell’Unione europea dalle importazioni di energia dall’estero.
È, dunque, evidente che i risultati raggiunti nella missione 2 non saranno sufficienti a decretare il successo – o l’insuccesso – del Pnrr sul fronte della transizione ecologica. Infatti, la nuova missione 7 comprende 5 riforme e 17 investimenti da 11,2 miliardi, specificamente dedicati allo sviluppo delle fonti rinnovabili, efficienza energetica, sicurezza degli approvvigionamenti e creazione di nuove infrastrutture energetiche. Ma questa è un’altra storia, e un’altra corsa contro il tempo. ■


ATTRATTIVA, COMPETITIVA E RESILIENTE
di Roberto Accossu Vicepresidente Fidaf
Così sarà l’agricoltura dopo il 2027. Almeno secondo la “Visione europea per l’agricoltura e l’alimentazione”, lanciata a febbraio dalla Commissione europea. Tema al centro di un convegno svoltosi a Roma il 12 giugno scorso, organizzato dalla Fidaf e dal Conaf con il supporto di Confprofessioni. Ecco come l’Unione europea intende affrontare, nei prossimi anni, i profondi mutamenti che stanno interessando il comparto agricolo.



La nuova Politica agricola comunitaria (Pac) post 2027 comincia a scaldare i motori. Lo scorso febbraio la Commissione europea ha presentato il documento la “Visione Europea per l’agricoltura e l’alimentazione post 2027”, un significativo passo in avanti nella definizione delle strategie per il futuro del settore agricolo, che dovrà essere maggiormente competitivo, resiliente, equo e attrattivo per le prossime generazioni, rispettoso dei territori e delle tradizioni, incentrato sulle produzioni e sulla sostenibilità ambientale ed evidenzia l’importanza dell’agricoltura per contrastare e combattere gli effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente. Gli ingredienti ci sono tutti: un’agricoltura più sostenibile, attrattiva e remunerativa, con l’obiettivo dichiarato di invertire

Una fase dei lavori dell'evento promosso da Fidaf e Conaf
l’attuale trend di abbandono delle campagne e riportare i giovani verso le professioni agricole.
Sulla base delle esperienze maturate nelle scorse programmazioni, la “Visione” vuol rendere l'agricoltura più sostenibile, attrattiva e remunerativa, con l’obiettivo dichiarato di invertire l’attuale trend di abbandono delle campagne e riportare i giovani verso le professioni agricole. Partendo da questi presupposti, gli interventi dei vari relatori hanno illustrato gli obiettivi, particolarmente ambiziosi, che la Commissione si è posta per rendere il sistema agroalimentare:
▪ attrattivo;
▪ competitivo;
▪ resiliente;
▪ equo per le future generazioni di agricoltori.
Sono questi i quattro punti cardine della nuova visione europea per l’agricoltura, sui quali sviluppare le nuove politiche di sostegno per il mondo agricolo. Per Giuseppe Blasi - Capo Dipartimento politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale del MASAF - l’Italia ha una posizione chiara sulla nuova Politica Agricola Comune, che dovrà avere risorse adeguate per affrontare le nuove sfide prospettate dalla “Visione Europea per l'agricoltura e l'alimentazione post 2027” ed è contraria all’istituzione del fondo unico, di cui si parla con insistenza in questi mesi, in cui potrebbero confluire i finanziamenti agricoli. Pasquale di Rubbo – European Commission (DG AGRI) Unit an

Policy Perspectives – ha illustrato la “Visione Europea per l'agricoltura e l'alimentazione post 2027” indicandone gli obiettivi e la data entro la quale la Commissione vuole raggiungerli. Ha evidenziato che la “Visione Europea” intende:
▪ costruire un settore agricolo attraente che garantisca un tenore di vita equo e sfrutti nuove opportunità di reddito;
▪ rendere il settore agricolo competitivo e resiliente di fronte alle sfide globali;
▪ adeguare le esigenze future del settore agroalimentare con la sostenibilità ambientale; valorizzare gli alimenti e promuovere condizioni di vita e di lavoro eque in zone rurali dinamiche.
L'intervento del presidente della Fidaf, Andrea Sonnino
Ermanno Comegna - Economista agrario – ha focalizzato il suo intervento su semplificazione delle politiche degli interventi in agricoltura; aumento dell'innovazione in agricoltura e digitalizzazione ha ricordato che lo scorso 14 maggio 2025 è stato pubblicato il rapporto della Commissione europea sui costi amministrativi della PAC, (Study on simplification and administrative burden for farmers and other beneficiaries under the CAP ANNEXES I, II, III, IV May 2025) dal quale sono stati desunti i dati sotto riportati, che evidenziano i costi che le aziende agricole all’interno dell’Unione devono sostenere per presentare le varie domande di sostegno, ponendo a confronto i dati europei con quelli italiani.
Dall’analisi risulta che:
▪ i costi interni medi annuali per azienda agricola che sono necessari per presentare la domanda annuale (il tempo dedicato dal personale aziendale) ammontano per l'Italia a 647 euro, contro una media di 627 euro a livello europeo;
▪ i costi esterni per il pagamento dei servizi di consulenza generano una spesa annuale media di 1.276 euro in Italia e 601 per l’intera Unione europea;
▪ il totale dei costi amministrativi legati alla PAC è di 1.923 euro in Italia e 1.227 euro come media dell'Unione europea.
Questo è un esempio di come i costi, sia economici sia in termini di tempo dedicato dagli agricoltori per controlli e adempimenti burocratici, stanno diventando or-
mai insostenibili per le aziende agricole e per le stesse amministrazioni pubbliche. Rammenta che la consultazione pubblica del 2024, promossa dalla Commissione europea, alla quale hanno risposto 26.000 agricoltori, ha evidenziato come il 69% di questi ha avuto almeno una visita in azienda negli ultimi tre anni e ciò comporta tempo da dedicare e situazioni di stress.
Thomas van Gilst della BEI (Banca Europea degli Investimenti) ha illustrato il ruolo della banca europea nel finanziare interventi agricoli finalizzati a sviluppare pratiche e tecnologie agricole innovative e sostenibili; rendere la produzione alimentare più sostenibile ed efficiente; migliorare l’accesso e l’entità dei finanziamenti (6,4 miliardi di euro) che l’istituto
Il Rapporto della Commissione Europea sui costi amministrativi della PAC

ha concesso nell’Unione, nel 2024, ad agricoltori, microimprese e piccole imprese a sostegno del settore dell'agricoltura e della bioeconomia.
Giovanna Maria Ferrari - ISMEA
Direzione Supporto al Piano
Strategico della PAC – nel suo intervento ha sottolineato che l’agricoltura italiana non è un settore attrattivo per un giovane che intende intraprendere l’attività agricola. Ha poi evidenziato la diminuzione, riscontrata dall’analisi dei dati relativi alle imprese agricole, del numero dei giovani che lavorano in agricoltura negli ultimi anni.
Ha proseguito affermando che, da una recente indagine svolta dall’ISMEA, risulta che le aziende agricole condotte da giovani sotto
i 35 anni, nel 2024, sono diminuite del 3% rispetto all'anno precedente e del 9,2% negli ultimi cinque anni, come ben evidenziato nella tabella sotto riportata.
Secondo l’ISMEA, per rendere più attrattiva l’attività agricola, al fine di favorire l’ingresso dei giovani in agricoltura, è necessario garantire ai giovani l’accesso:
▪ alla terra - tramite l’Osservatorio delle terre agricole e rurali
▪ al credito - creare uno Strumento finanziario nazionale semplice
▪ alle competenze - Formazione continuativa, educazione imprenditoriale e finanziaria Consulenza qualificata Unione delle competenze.
Incidenza delle imprese agricole giovanili sul Totale delle imprese
Fonte: elaborazioni Ismea-Rete PAC su dati Istituto Tagliacarne-Infocamere *Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio
SEMPRE MENO GIOVANI NELLE IMPRESE AGRICOLE
Ha concluso i lavori il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, sostenendo l’importanza di investire sul ricambio generazionale, sulla formazione mirata e sulla sostenibilità economica dell’attività agricola che deve garantire redditi adeguati. Il convegno ha consentito di conoscere in maniera più approfondita gli obiettivi ed i contenuti del documento pubblicato, mettendo in luce che la Visione:
▪ collega il sostegno all’agricoltura alla sostenibilità economica, incoraggiando l'introduzione di nuove tecnologie che consentano di migliorare l'efficienza e la sostenibilità delle pratiche agricole;
▪ vede il comparto agricolo maggiormente competitivo, resiliente, equo e attrattivo per le prossime generazioni, rispettoso dei territori e delle tradizioni, incentrato sulle produzioni e sulla sostenibilità ambientale ed evidenzia l’importanza dell’agricoltura per contrastare e combattere gli effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente;
▪ sostiene gli obiettivi climatici dell'UE adottando pratiche innovative garantendo che la decarbonizzazione e la competitività vadano di pari passo;
▪ vuole aiutare gli agricoltori a misurare e migliorare le loro prestazioni a livello di azienda agricola;
▪ intende proteggere le risorse naturali per garantire la salute dei suoli dell'acqua e dell'aria e ripristinare la biodiversità per preservare la natura per le generazioni future.
Concludendo, la “Visione Europea per l'agricoltura e l'alimentazione post 2027” presentata lo scorso febbraio dalla Commissione, rappresenta un progresso significativo nella definizione delle strategie per il futuro del settore agricolo, anche se un giudizio definitivo potrà essere espresso solo dopo il 16 luglio quando saranno presentati il nuovo QFP (Quadro finanziario pluriennale) e la proposta di riforma della PAC.■
Francesco Lollobrigida Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste


LE DUE ANIME DI VARSAVIA

di Theodoros Koutroubas

Le elezioni presidenziali in Polonia hanno decretato la vittoria del candidato nazionalista Nawrocki, sostenuto dal partito ultraconservatore Diritto e Giustizia. Personaggio discusso per una serie di accuse in patria, ha ottenuto l’appoggio di Trump e ora si prepara a una difficile coabitazione con il primo ministro, l’europeista Tusk, già presidente del Consiglio europeo
La ventata di aria fresca che ha inondato le istituzioni dell’Unione e gli eurofili di tutto il continente dopo il trionfo di Nicusor Dan in Romania il 18 maggio scorso è durata il tempo di una nuova tornata elettorale in Polonia. Nonostante la vittoria del sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, di orientamento liberale, al primo turno delle elezioni per la presidenza della Repubblica di Polonia, è stato il suo rivale, il nazionalista cristiano ed euroscettico Karol Nawrocki, a vincere con una maggioranza risicata alle urne del secondo turno del 1° giugno scorso, che succederà il 6 agosto prossimo al suo collega conservatore Andrzej Duda alla carica di capo di Stato di uno dei più grandi Paesi membri dell’Ue.
Nato a Danzica da un padre che aveva combattuto contro il comunismo nelle fila di Solidarność e proveniente da una famiglia modesta, il nuovo presidente eletto ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia presso l’Università della sua città natale ed è autore di numerose opere sulla Polonia comunista, quest’ultima oggetto principale della sua ricerca accademica. Avendo lavorato principalmente presso l’Istituto della Memoria Nazionale, il quarantaduenne Nawrocki, padre di tre figli, che non ha mai ricoperto una carica elettiva in precedenza, ha sorpreso molti quando è stato candidato, sostenuto dal Partito ultraconservatore “Diritto e Giustizia” (PiS) del famigerato Jarosław Kaczynski. Il passato di Nawrocki è stato in realtà duramente criticato durante la campagna elettorale per una serie di
accuse: dal favoreggiamento della prostituzione (quando lavorava come addetto alla sicurezza in un lussuoso hotel di Sopot), alla frequentazione di personaggi della malavita locale mentre praticava attivamente la boxe; dall’oscura vicenda di un appartamento acquistato a basso prezzo da una persona anziana e disabile fino alle risse organizzate dagli ultras. Tuttavia queste accuse, smentite dal diretto interessato, non sono state sufficienti a convincere la destra religiosa che lo storico, relativamente giovane, non corrispondesse realmente al profilo di un sincero alfiere dei valori più conservatori del cattolicesimo.
UNA DIFFICILE COABITAZIONE
Per il PiS, continuare a detenere la presidenza era essenziale: dopo la vittoria dell’ex presidente del Il premier polacco Donald Tusk

Consiglio europeo Donald Tusk alle elezioni legislative del 2023 e il conseguente smantellamento della forte e autoritaria presa del partito sui media statali e sulle diverse agenzie governative, mantenere le chiavi del palazzo Belweder era infatti vitale per continuare a bloccare i piani del primo ministro di allineare la Polonia alle altre nazioni liberali del continente.
Essendo eletto direttamente dai cittadini, il presidente della Polonia è infatti investito di poteri politici concreti, tra cui il diritto di veto sulla legislazione e di sciogliere il Parlamento per indire nuove elezioni. I veti presidenziali possono essere annullati solo da una maggioranza di tre quinti nel Sejm (la camera bassa del Parlamento polacco) e la coalizione di Tusk è ben lungi dal controllare questo numero di parlamentari.
Ripetutamente bloccato dal presidente Duda ogni volta che Tusk aveva tentato di rivedere le rigide leggi sull’aborto o di istituire un’unione civile per partner dello stesso sesso, il primo ministro sperava davvero che la personalità carismatica di Trzaskowski, un uomo che ha ricoperto la carica di segretario di Stato per gli Affari europei, ministro per la digitalizzazione, nonché membro del Parlamento europeo e poi nazionale, prima della sua trionfale elezione a sindaco della capitale al primo turno con un sonoro 57,41% dei voti, sarebbe stata sufficiente a schiacciare una persona relativamente sconosciuta come il candidato del PiS, per di più gravata da una serie di scandali.

PALADINO DELLA SOVRANITÀ
Trasformando le elezioni presidenziali in un referendum sul governo Tusk, Nawrocki ha condotto una campagna contro l’ideologia di genere, i diritti degli omosessuali, l’immigrazione, il liberalismo economico e l’aborto, presentandosi come il paladino della sovranità polacca contro un’invasiva integrazione europea e ponendo l’accento sul rafforzamento delle relazioni con Washington piuttosto che con Bruxelles. Come previsto, l’amministrazione statunitense ha dato il suo pieno appoggio a candidato sostenuto dal PiS, che si è recato personalmente alla Casa Bianca il 2 maggio scorso per ricevere il sostegno di Donald Trump, mentre il suo avversario Trzaskowski veniva elogiato dall’élite dell’Ue e dal neoeletto presidente della Romania Nicusor Dan.
Karol Nawrocki, il neoeletto presidente della Polonia


Le divisioni all’interno della coalizione di governo del Parlamento, guidata dal partito di Donald Tusk, hanno in qualche modo facilitato la vittoria dei conservatori, dato che i partner del primo ministro si sono rifiutati di sostenere un singolo candidato alla carica di capo dello Stato al primo turno. Il risultato sorprendentemente equilibrato (Nawrocki ha ottenuto il 50,89% dei voti, mentre il 49,11% dell’elettorato ha favorito Trzaskowski) dimostra tuttavia quanto sia profondamente divisa tra le linee ideologiche la popolazione, in un momento in cui la guerra culturale è diventata per un gran numero di cittadini almeno altrettanto cruciale di quella combattuta con le armi a pochi chilometri dai confini del Paese.
Quanto al futuro, chi pensava che l’elezione di Tusk avesse strappato Varsavia dall’abbraccio di Budapest si è sbagliato. Il nuovo presidente, il cui mandato scadrà solo nell’agosto 2030, molto probabilmente porrà il veto sistematico alle leggi votate dal Sejm, impedendo così al premier Tusk di attuare il suo programma, con l’obiettivo di costringerlo a cercare elezioni anticipate in un contesto favorevole al PiS.
Renderà inoltre meno significativa la determinazione della Polonia a sostenere l’Ucraina e si opporrà fermamente al sogno di Unione europea di Kiev. Ciò non significa che la Polonia sia tornata politicamente simile alla Slovacchia o all’Ungheria. Il futuro è quindi, come sempre in politica, incerto e, come dicono i francesi, “qui vivra verra”. Il tempo lo dirà.■
Palazzo Belvedere (Belweder) a Varsavia, residenza del presidnte della Repubbica polacca
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NEWS FROM EUROPE
Le news più rilevanti dalle istituzioni europee selezionate
dal Desk europeo di ConfProfessioni
Cese, l’intelligenza artificiale incontra l’intelligenza delle libere professioni
L’11 giugno 2025 il Comitato Economico e Sociale Europeo ha celebrato la Giornata Europea delle Libere Professioni, focalizzata sul rapporto tra innovazione tecnologica e professioni regolamentate, con particolare attenzione all’intelligenza artificiale (AI). Il professor Ulrich Bodenhofer, professore di Intelligenza Artificiale presso l’Università di Scienze Applicate dell’Oberösterreich, ha sottolineato come l’AI debba rimanere uno strumento guidato dall’intelligenza umana. Il primo panel ha discusso le sfide legali ed etiche, evidenziando la mancanza di riferimenti chiari nell’AI Act
per le libere professioni e l'importanza di una governance etica. Nel secondo panel si è parlato dell’uso efficace dell’AI nei servizi professionali, tra cui robotica e digitalizzazione, ribadendo il ruolo centrale di fiducia, competenze ed etica. Il terzo panel ha esplorato l’impatto dell’AI sulla qualità della vita, toccando temi come formazione, sostenibilità e architettura etica. Ha chiuso l’evento Rudolf Kolbe, riaffermando la necessità di un’AI umano-centrica, con le libere professioni garanti del principio “humans in command”, linea che sarà portata avanti nel prossimo parere ufficiale del Cese.

LEGGI L'ARTICOLO
COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO (CESE)
Il
lavoro Ue
secondo l’Ela

A cinque anni dalla sua istituzione nel luglio 2019, l’Autorità europea del lavoro (Ela) ha ricevuto una valutazione positiva dalla Commissione europea, che ne riconosce il ruolo cruciale nel promuovere una mobilità del lavoro equa all’interno dell’Unione europea. Con oltre 14 milioni di cittadini europei che vivono e lavorano in uno Stato membro diverso dal proprio, l’Ela si è dimostrata un attore chiave nel garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori mobili e nel coordinare le attività di vigilanza tra gli Stati membri. Tra il 2019 e il 2023, l’Ela ha supportato gli Stati membri in 168 ispezioni del lavoro transfrontaliere, coinvolgendo oltre 13.500 lavoratori in settori ad alto rischio come trasporti, edilizia e agricoltura. Queste azioni hanno contribuito a rafforzare l’applicazione delle norme Ue in materia di mobilità del lavoro e di sicurezza sociale, promuovendo condizioni di lavoro più eque e sicure per i lavoratori mobili. I risultati principali evidenziano che l’Ela ha fatto decisi progressi nei suoi 4 obiettivi chiave: efficacia, efficienza, coerenza e valore aggiunto. Allo stesso tempo, evidenzia la rilevanza del mandato dell’Ela, specialmente in considerazione della transazione digitale e verde, dell’aumento della mobilità intra-Ue, della carenza di manodopera.
L'Ue lancia la strategia digitale
L’Unione europea coopera da tempo con i paesi di tutto il mondo nell’ambito delle priorità digitali. E in quello del Global Gateway e attraverso i nuovi partenariati per la sicurezza e la difesa con gli alleati. Il 5 giugno 2025, la Commissione e l’Alto rappresentante hanno definito una visione comune e adottato una Comunicazione congiunta per l’azione esterna dell’Ue in materia digitale, compiendo un passo deciso verso la costruzione di una presenza digitale più forte e coesa sulla scena internazionale. Con l’adozione di una nuova strategia digitale per l’azione esterna, si vuole promuovere la cooperazione tecnologica globale, rafforzare la sovranità digitale e sostenere i paesi partner nella loro transizione digitale. La strategia arriva in un momento cruciale, in cui la rivoluzione digitale sta trasformando profondamente economie, società e dinamiche geopolitiche. L’obiettivo dell’Ue è duplice: affermarsi come attore tecnologico credibile e rafforzare le collaborazioni con partner strategici attraverso un approccio fondato su valori condivisi e regole comuni. Tra i pilastri della strategia, spiccano tre linee di azione principali: espandere i partenariati internazionali; promuovere un’offerta tecnologica UE integrata; rafforzare la governance digitale globale.

Balcani, il Cese apre il 10° forum della società civile

Si è tenuto a Budva (Montenegro) il decimo Forum della società civile dei Balcani occidentali, promosso dal Comitato economico e sociale europeo (Cese) con il sostegno della Commissione europea e di altri partner regionali. L’evento, svoltosi il 13 e 14 maggio, ha riunito oltre 100 rappresentanti di istituzioni, sindacati, datori di lavoro e organizzazioni civiche, con l’obiettivo di rafforzare il dialogo regionale e sostenere il percorso di adesione del Montenegro all’Ue, previsto per il 2028. L’iniziativa, organizzata con il sostegno della Commissione europea (DG ENEST), dell’Open Society Foundation – Western Balkans (OSF-WB), del Western Balkans Fund (WBF) e del Regional Cooperation Council (RCC), ha visto la partecipazione - tra gli altri - dl vicepremier montenegrino Nik Gjeloshaj che ha espresso fiducia nei progressi negoziali, mentre il capo della delegazione Ue, Johann Sattler (nella foto), ha ribadito il ruolo strategico dell’allargamento. Interventi chiave anche da parte del Cese, della Fondazione europea per la formazione professionale e del Consiglio di Cooperazione Regionale. Centrale il ruolo della società civile nel processo di adesione all’UE e nella realizzazione del Pilastro europeo dei diritti sociali.
MAGGIORI INFORMAZIONI
10TH WESTERN BALKANS CIVIL SOCIETY FORUM
Analisi, tendenze e avvenimenti del mondo professionale, raccontati dai protagonisti delle professioni

PROFESSIONI

UNA CRISI LUNGA 15 ANNI

di Camilla Lombardi e Giulia Palma
Osservatorio delle libere professioni

Dalla crisi finanziaria del 2008 i redditi reali dei liberi professionisti segnano una persistente perdita del loro potere d’acquisto. Stagnazione economica, inflazione e un quadro normativo troppo rigido hanno determinato una contrazione di circa 3 mila euro in termini reali. Che sale a oltre 5 mila euro per le famiglie dei lavoratori autonomi. Senza interventi mirati si corre il rischio che la libera professione diventi meno attrattiva
Adistanza di oltre quindici anni dalla crisi finanziaria globale del 2008, i redditi reali degli italiani non hanno ancora recuperato i livelli pre-crisi. L’analisi dei redditi, depurata dall’inflazione attraverso l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca), restituisce un quadro critico. L’andamento dei redditi dei liberi professionisti iscritti alle Casse private mostra una dinamica fortemente condizionata dalla crisi del 2008. Nel 2022, il reddito reale risulta ancora inferiore dell’8% rispetto al 2008, segnando una persistente perdita di potere d’acquisto. In termini assoluti, si tratta di una riduzione di 3.026 euro.
I lavoratori dipendenti del settore privato non agricolo hanno subito una contrazione legger-
mente maggiore in termini percentuali (-9,6%), ma inferiore in valore assoluto: -1.912 euro.
Ancor più drammatica è la situazione delle famiglie in cui il principale percettore di reddito è un lavoratore indipendente: rispetto al 2008, nel 2023 queste famiglie perdono ancora circa 5.200 euro in termini reali, a fronte di una perdita di 3.500 euro per le famiglie con percettore dipendente. Tradotto su base mensile, si tratta rispettivamente di -433 e -295 euro.
IL PESO DELL’INFLAZIONE
Tra le ragioni principali di questo calo si evidenziano il rallentamento nella crescita dei redditi nominali, la stagnazione economica del decennio post-crisi, e l’incapacità strutturale di adeguare i compen-

Valori del reddito reale in € 2008. Redditi deflazionati con l’Indice dei prezzi al consumo (Ipca).
DIFFERENZA RISPETTO AL 2008 DEI REDDITI FAMILIARI IN TERMINI REALI, DIVISIONE PER PRINCIPALE PERCETTORE DI REDDITO
Differenze in €2008. Redditi deflazionati con l'Indice dei prezzi al consumo (ipca). Anni 2008-2023
Fonte: elaborazioni Osservatorio delle libere professioni su dati Istat
si alle dinamiche inflattive. Nel caso dei liberi professionisti, ciò è spesso dovuto alla debole posizione contrattuale nei confronti dei committenti forti – pubbliche amministrazioni e grandi imprese – che impedisce l’adeguamento dei compensi al costo della vita.
A questa fragilità si aggiunge la rigidità normativa di molti contratti pubblici e la concorrenza interna tra professionisti, che in contesti di crisi spinge al ribasso i prezzi dei servizi offerti. Infatti, tra il 2009 e il 2015, il numero di iscritti alle Casse è aumentato, ma il mercato non è riuscito ad assorbire le nuove competenze.
Questo squilibrio ha esercitato una forte pressione al ribasso sui redditi medi. A peggiorare il quadro è intervenuto l’effetto cu-
mulato dell’inflazione: dopo un decennio di relativa stabilità, tra il 2022 e il 2024 i prezzi sono saliti rapidamente. In soli tre anni, l’indice Ipca passa da 116,2 a 135,3, segnando una crescita cumulata di oltre il 16%. Un’accelerazione spinta dall’aumento dei costi energetici, innescato dalle tensioni internazionali e dagli effetti ancora persistenti della pandemia.
Questo incremento repentino ha colpito direttamente i redditi reali, annullando in pochi mesi i lenti progressi accumulati nei sette anni precedenti.
L’ONDA LUNGA DEL COVID
Dai dati emerge che esistono differenze significative tra le crisi del 2008 e quella legata alla pandemia da Covid-19. Nel primo caso, l’impatto sui liberi professionisti
è stato profondo, esteso e prolungato nel tempo. I redditi nominali si sono contratti per anni, mentre quelli reali sono crollati fino a -20% rispetto al 2008. Il recupero è iniziato solo dopo il 2016, con un timido ripresa interrotta dalla pandemia. La crisi da Covid-19, pur drammatica in termini economici e sanitari, ha avuto effetti differenti.
Non solo la flessione dei redditi è stata meno pronunciata (-3% per i professionisti rispetto al -6% dei dipendenti privati tra il 2019 e il 2020), ma anche il successivo recupero si è rivelato più rapido.
Nel 2021, i redditi reali dei professionisti sono risaliti al 94,3% rispetto al livello del 2008, sostenuti anche dagli strumenti straordinari di supporto economico varati
dal governo. Questo confronto fa emergere un punto cruciale: a differenza della crisi del 2008, in cui mancavano efficaci meccanismi di tutela per i lavoratori autonomi, durante la pandemia lo Stato ha introdotto misure specifiche per questa categoria – dai bonus ai ristori – che hanno contribuito ad attenuare l’impatto.
Un altro elemento determinante riguarda la natura stessa della crisi pandemica: sebbene grave, la fase di chiusura è stata relativamente breve, e la ripresa è stata accompagnata da un’imponente iniezione di liquidità e da robusti investimenti pubblici.
Questi fattori hanno favorito una più rapida ripartenza dell’attività economica, suggerendo che politiche pubbliche tempestive e mirate possono svolgere un ruolo decisivo nel contenere gli effetti di shock sistemici.La progressiva erosione del reddito reale rappresenta una sfida significativa per la sostenibilità del lavoro autonomo in Italia. Diventa sempre più importante avviare una riflessione complessiva sulle tutele, sul sistema fiscale e sul ruolo economico di questa componente fondamentale del mondo del lavoro, valorizzandone il contributo alla trasformazione del tessuto produttivo nazionale.
In assenza di interventi mirati e di una visione di lungo periodo, la libera professione rischia di diventare meno attrattiva per le nuove leve, rallentando il suo processo di rinnovamento, con possibili ripercussioni sull’intero sistema economico.■


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LA SCOMMESSA SOSTENIBILE DELLE CASSE
di Bruno Bernasconi
Itinerari Previdenziali
Gli investimenti sostenibili sembrano attraversare una fase di rallentamento dopo il forte sviluppo registrato negli ultimi anni. Una parziale battuta d’arresto più nella forma che nella sostanza, che non cambia la volontà di contribuire a uno sviluppo economico-sociale sostenibile in linea con i trend di lungo periodo. E le Casse di Previdenza lo testimoniano
L’attuale contesto di perdurante incertezza che vige sui mercati finanziari, con il susseguirsi di crisi improvvise e inaspettate, ha portato a fasi ormai cicliche di volatilità che impongono agli investitori di adottare scelte di portafoglio in grado di coniugare strategie opportunistiche di breve con allocazioni di medio-lungo termine che garantiscano rendimenti adeguati nel tempo. Un assunto ancora più vero per enti previdenziali come le Casse Privatizzate, che stanno progressivamente affiancando alla loro mission principale di garantire prestazioni pensionistiche adeguate e sostenibili ai propri iscritti un sistema sempre più orientato verso una visione integrata e inclusiva del welfare.
Il rapporto AdEPP 2024 sottolinea infatti l’impegno di tali enti verso una significativa espansione delle prestazioni erogate, con un ruolo sempre più rilevante delle componenti non IVS, a testimonianza della volontà di non limitarsi solo a fornire un supporto economico nella fase finale della carriera, ma di configurarsi come partner dei propri iscritti durante tutto il loro percorso lavorativo.
Un impegno che mira a riflettere i cambiamenti demografici, economici e sociali in atto, in cui rivoluzione tecnologica, invecchiamento della popolazione e cambiamento climatico rappresentano alcuni dei trend legati a doppio filo con la sostenibilità e che influenzano trasversalmente diversi settori e asset class. Tuttavia, dopo il forte sviluppo registrato negli ultimi anni, gli investi-

ESG sembrano attraversare una parziale battuta d’arresto, che appare però più radicata negli Stati Uniti rispetto all’Europa. Il Vecchio Continente, infatti, con un peso sugli asset ESG a livello globale dell’84% contro l’11% degli USA, ha raggiunto un grado di maturità sul fronte della finanza sostenibile che rende improbabile un completo dietrofront, mostrando piuttosto un rallentamento fisiologico e alcuni ripensamenti più nella forma che nella sostanza.
PATRIMONI IN CRESCITA
Ma come si pongono le Casse di Previdenza nei confronti della
menti
IN QUALI STRUMENTI INVESTE/INVESTIRÀ L’ENTE?
Fondi comuni tradizionali
Quaderno di Approfondimento 2025 - “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”
sostenibilità? Innanzitutto, vale la pena sottolineare la solida condizione economico-finanziaria dimostrata negli anni da questi enti, con un attivo patrimoniale complessivo (a valori di bilancio) passato dai 37,6 miliardi del 2007 ai 107,03 miliardi del 2023, pari a un tasso di crescita medio annuo del 6,8% (+185% complessivo).
La modalità di gestione degli investimenti preferita da questi enti è per via diretta: secondo l’ultima indagine su investitori istituzionali e gestori finanziari curata da Itinerari Previdenziali (a cui hanno partecipato le 19 Casse di Previdenza), tutte le Casse, a eccezione di una, effettuano attualmente investimenti diretti in OICR tradizionali e in FIA, seguiti da obbligazioni (89%) e azioni ed ETF (entrambi scelti dal 68% dei
rispondenti). Anche nel prossimo futuro FIA e OICR si confermano i principali strumenti su cui investire, rispettivamente con l’84% e il 68% delle preferenze, mentre la percentuale di chi pensa di aumentare l’esposizione nel reddito fisso scende al 58%, complice probabilmente l’aumento del peso di tale asset class nell’ultimo biennio a seguito del rialzo dei tassi di interessi, che hanno invece iniziato ora una fase di discesa.
Il tutto senza dimenticare il ruolo rilevante in termini di sostegno al sistema Paese: tutte le 19 Casse rispondenti alla survey detengono in portafoglio strumenti che investono nell’economia reale; il 21% lo fa con una quota pari a oltre il 50% del patrimonio totale e il 47% con una quota compresa tra il 10% e il 50%.
NEL PROSSIMO FUTURO OGGI
NON SOLO RENDIMENTO
Venendo al capitolo riguardante gli investimenti sostenibili, la settima edizione della survey sulle politiche di investimento SRI curata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali evidenzia come, sebbene la percentuale di Casse che adotta formalmente una politica di investimento sostenibile sia solo del 37%, molti enti acquistano comunque prodotti finanziari che rispettano i criteri ESG pur non dotandosi di linee guida formali.
Importante sottolineare, inoltre, come tutte le Casse che ancora non adottano una politica sostenibile, con la sola eccezione di un rispondente, hanno valutato di implementarla in futuro dopo aver affrontato internamente il tema. Un impegno verso la sostenibilità che va oltre le logiche del solo rendimento: i motivi che spingono gli enti a introdurre investimenti SRI, infatti, sono per il 53% dei rispondenti la volontà di fornire un contributo allo sviluppo sostenibile (ambientale e sociale) e la gestione più efficace dei rischi finanziari (37%), mentre solo 2 Casse mirano all’ottenimento di rendimenti migliori.
Considerazioni analoghe emergono anche nelle valutazioni ex-post in riferimento agli effetti generati dall’investimento sostenibile, che per il 43% degli enti rispondenti riguardano benefici in termini di reputazione, mentre l’86% riscontra un miglioramento della diversificazione del rischio e solo 2 rispondenti hanno segnalato un aumento del rendimento. I principi a cui si ispira l’attività sostenibi-
le sono principalmente gli UNPRI e gli SDGs delle Nazioni Unite e, tra quest’ultimi, i più votati risultano, con l’80% delle preferenze, l’SDG 3 – Salute e benessere, e l’SDG 7energia pulita e accessibile, con il 70% dei riscontri; seguono al terzo l’SDG 13 – Lotta contro il cambiamento climatico con il 60%, a parimerito con l’SDG 5 – Parità di genere, che potrebbe aver meritato una menzione speciale anche per via della tendenza alla femminilizzazione di alcune professioni (biologi, psicologi, ecc.).
Risultati che evidenziano, da un lato, il sopracitato crescente impegno verso forme di welfare a sostegno dei propri iscritti e, dall’altro, il focus rivolto alle tematiche ambientali per il positivo impatto socio-economico.

LA STRATEGIA
Al fine di perseguire questi obiettivi generali di sostenibilità, le esclusioni si confermano la strategia maggiormente scelta dalle Casse di Previdenza con il 53% delle risposte, seppur in costante calo negli ultimi due anni a favore di altre strategie in crescita come l’engagement, in aumento dal 26% del 2023 al 32% del 2024 fino al 37% dell’ultimo anno. Seguono best in class con il 47% e gli investimenti tematici in calo anche in questa rilevazione indicati dal 42% del campione. Entrando più nel dettaglio, le esclusioni riguardano principalmente i settori della pornografia e del lavoro minorile (per il 42% dei rispondenti), seguono le armi (37%), al pari di tabacco e gioco d’azzardo. Con riferimento alla strategia best in class, i criteri

LE STRATEGIE SRI ADOTTATE DALLE CASSE DI PREVIDENZA
La maggioranza delle
Casse
ha dichiarato di voler incrementare l’esposizione verso gli investimenti sostenibili nel prossimo futuro, prevalentemente verso i settori della Silver Economy, energie rinnovabili e infrastrutture sanitarie
maggiormente indicati nella fase di selezione degli emittenti in portafoglio sono riduzione delle emissioni di anidride carbonica ed efficienza energetica, entrambi indicati dal 32% dei rispondenti, confermando l’attenzione rivolta alla lotta al cambiamento climatico; in riferimento agli investimenti tematici, invece, chi applica questa strategia lo fa soprattutto nel campo dell’efficientamento energetico (37%), della salute (32%) e della Silver Economy (37%). Infine, la maggioranza delle Casse (79%) dichiara di voler incrementare l’esposizione agli investimenti sostenibili nel prossimo futuro, prevalentemente verso i settori della Silver Economy (79%), delle energie rinnovabili (71%), delle infrastrutture sanitarie (57%), dell’healthcare e delle piccole e medie imprese (50%). ■

ITALIA, TANTE EREDITÀ, POCA CRESCITA
di Francesco Bruni
La Voce.Info
Le previsioni dicono che solo nel 2025, nei paesi avanzati, verranno ereditati circa 6 trilioni di dollari, pari al 10% del Pil e più del doppio della media del secondo dopoguerra. E il nostro Paese non fa eccezione visto che ogni anno viene ereditato quasi un quinto del Pil nazionale. Le soluzioni per riequilibrare la situazione ci sono ma sono impopolari. Una su tutte: tornare a crescere economicamente per avere salari migliori e per incentivare le nuove generazioni a raggiungere l’indipendenza economica attraverso il lavoro


L’Economist del 1° marzo scorso ha dedicato la sua copertina alla cosiddetta “ereditocrazia”, ovvero l’aumento del peso delle ricchezze ereditate registrato in molte economie avanzate. Il fenomeno sta ridefinendo il rapporto tra lavoro e ricchezza, con implicazioni politiche e sociali considerevoli.
Nella maggior parte dei paesi sviluppati, il valore dei trasferimenti di ricchezza da una generazione all’altra è aumentato significativamente negli ultimi anni. Solamente nel 2025, si prevede che verranno ereditati nei paesi avanzati circa 6 trilioni di dollari, pari al 10% del Pil e più del doppio della media del secondo dopoguerra. La letteratura economica ha identificato numerosi meccanismi alla base del fenomeno, destinato a continuare nei prossimi anni.
In particolare, l’apprezzamento significativo di asset immobiliari e finanziari ha incrementato la ricchezza accumulata, la riduzione del numero di eredi, dovuta al calo della natalità tra i baby boomer, ha limitato la dispersione dei patrimoni, la riduzione o l’eliminazione delle imposte di successione ha favorito il consolidamento delle ricchezze ereditate, mentre la crescita dei salari è rimasta inferiore rispetto a quella dei rendimenti immobiliari e finanziari. In questo contesto globale, in che misura possiamo parlare di “ereditocrazia” anche in Italia?
IL VALORE DELLE EREDITÀ
Il valore totale delle eredità e delle donazioni in rapporto al Pil è cresciuto dall’8,4% nel 1995 al

15,1% nel 2016 e oggi sfiora il 20%: più che in molti paesi avanzati. Per dare un ordine di grandezza, la cifra rappresenta più del doppio della spesa sanitaria pubblica e privata in Italia.
Negli ultimi 15 anni, il numero di miliardari in Italia è aumentato da 10 a 71, ma il fenomeno non è limitato a pochi ultra-ricchi. Si stima infatti che un erede italiano su quattro abbia ricevuto più di 200 mila euro nel 2016: un ammontare che la maggior parte delle famiglie italiane impiegherebbe più di otto anni ad accumulare (il reddito della famiglia mediana nel 2024 era di circa 26 mila euro).
GLI IMMOBILI FANNO BOOM
Il valore totale degli immobili detenuti dalle famiglie italiane è aumentato meno che in altri paesi
avanzati (da 4,2 trilioni nel 2005 a quasi 6 trilioni nel 2022). Tuttavia, gli aumenti sono stati molto più marcati in alcuni centri urbani come Milano, dove i prezzi medi di vendita (una misura diversa dal valore totale degli immobili) sono aumentati quasi del 40% in dieci anni, con picchi sopra al 50% in alcune zone della città.
Dato che l’Italia cresce da decenni ai tassi più anemici del continente, anche aumenti non troppo elevati dei valori immobiliari possono creare un’importante divergenza rispetto ai redditi.
Sempre a Milano, si stima che i prezzi delle case e degli affitti siano cresciuti tre volte più rapidamente dei salari dei milanesi, dal 2015 a oggi. E non si tratta di un fenomeno soltanto meneghino:
sono sei le città dove il rapporto tra costo della casa e redditi è più alto che nel capoluogo lombardo: Venezia, Firenze, Napoli, Bologna e Roma.
SOLUZIONI IMPOPOLARI
Secondo l’Economist, l’ereditocrazia si può combattere attraverso quattro meccanismi: (1) aumentare (o re-introdurre) le tasse di successione, (2) costruire case dove c’è eccesso di domanda, (3) tassare adeguatamente le proprietà, e (4) stimolare la crescita economica, per ridurre il rapporto tra ricchezza e Pil. Che potenziale potrebbero avere queste soluzioni in Italia?
Per quanto riguarda le tasse di successione, le aliquote italiane sono molto basse, le franchigie
alte e le esenzioni significative. Fu un governo di centro-destra ad abolire l’imposta totalmente nel 2001, ma furono due governi di centro-sinistra ad abbassarla drasticamente (Amato, 2000) e a reintrodurla nella sua forma attuale (Prodi, 2006). Si tratta di una tassa percepita da molti come ingiusta (si dice che la stessa ricchezza sia tassata due volte: quando viene generata e quando la si trasmette alle generazioni successive). Tuttavia, aumentando le aliquote, e riducendo franchigie ed esenzioni, si potrebbe ridurre l’incidenza dei trasferimenti di ricchezza sul Pil e aumentare le risorse a disposizione per politiche redistributive. Per esempio, con un sistema simile a quello francese o belga (entrate pari a ~0.7% del Pil), si genererebbero quasi 15 miliardi

l’anno nel breve periodo, destinati a crescere nei decenni a venire: quanto basta per aumentare immediatamente la spesa nella sanità pubblica del 10%.
PIÙ CRESCITA ECONOMICA
Relativamente ai patrimoni, checché se ne dica, questi sono tassati in maniera abbastanza consistente: meno che in Regno Unito, Francia e Belgio, ma più che in Germania e Olanda. Più della metà del gettito viene dagli immobili: circa 1,25 punti di Pil. Tuttavia, se la percentuale aumentasse al livello di Francia (2% del Pil) o Regno Unito (3%), l’erario potrebbe incassare fino a ulteriori risorse da investire in politiche redistributive.
A differenza di altri paesi avanzati, la popolazione italiana è destinata a diminuire nei prossimi anni. Di conseguenza, stimolare eccessivamente la costruzione di nuove case potrebbe rivelarsi poco lungimirante. È senz’altro utile costruire di più in alcune specifiche aree critiche, ma misure come incentivi fiscali per la riqualificazione di immobili sfitti e sottoutilizzati, oltre a politiche mirate sugli affitti, potrebbero avere un impatto più efficace nel riequilibrare il mercato immobiliare rispetto ai redditi.
Ad ogni modo, come ci ricorda l’ Economist , la soluzione più efficace è anche la più difficile da realizzare, soprattutto in Italia: una crescita economica sostenuta e sostenibile che faccia aumentare i salari e che incentivi le nuove generazioni a raggiungere l’indipendenza economica attraverso il lavoro. ■

Da decenni l'Italia cresce ai tassi più anemici del continente, per questo anche aumenti contenuti dei valori immobiliari possono creare un’importante divergenza
rispetto ai redditi

PROFESSIONISTA
E MANAGER

In un contesto sempre più dinamico e imprevedibile, pianificare e gestire strategicamente il proprio lavoro è il discrimine tra successo e improvvisazione. Non vale solo per le imprese. Anche il libero professionista deve mettere a punto obiettivi chiari e misurabili, applicare il project management e imparare a gestire tempi e risorse
di Sara Napolitano

Non solo per startup e grandi imprese. La pianificazione strategica è la base di ogni attività, anche di quella professionale, perché serve a porsi obiettivi, tracciare la strada del business e monitorarne le evoluzioni nel medio e lungo periodo. «Nella cassetta degli attrezzi del professionista oggi devono esserci anche competenze manageriali e imprenditoriali» spiega Claudio Rorato, direttore dell'Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano che ha un focus sui professionisti. «Oggi viviamo una complessità che prima non c’era. In un mondo così flessibile e digitale non servono solo nuove conoscenze ma anche un diverso approccio al mercato e alle sue esigenze, interazioni più ampie e sistemi più flessibili.
Pianificare strategicamente significa avere consapevolezza delle necessità del proprio macro ambiente, costituito da aspetti normativi, concorrenziali, di mercato, e delle variazioni che avvengono al suo interno». Se poi, a una strategia chiara, segue anche una moderna organizzazione del lavoro, intercettare i cambiamenti e cavalcarli diventa possibile.
OBIETTIVI MISURABILI
Dove sarò tra cinque anni? Quali obiettivi considero imprescindibili per il mio business e quali valori mi pongo? Quale impatto ha il mio lavoro sui miei stakeholder? Queste sono solo alcune delle domande che ogni professionista dovrebbe porsi quando avvia la propria attività o intraprende una fase di crescita. «La prima cosa da analizzare, per mettere a punto

una strategia, è il contesto di riferimento» spiega Rorato. «Analizzare dove sta andando il Paese e quindi il micro ambiente nel proprio ambito di riferimento e scegliere di conseguenza le proprie direttrici. Poi, capire come si può generare valore per i propri clienti, in cosa, per esempio come consulenti, si può fare la differenza, quale lacuna del mercato si può colmare».
Un ingegnere edile che, in linea con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, si pone come obiettivo di contribuire a migliorare l’ambiente del territorio in cui opera deciderà per esempio di seguire solo progetti che garantiscano criteri di sostenibilità, di fare rete con realtà o altri professionisti che condividano i suoi valori, di partecipare a gare che presentino determinati parametri ambienta-
li. Pianificando strategicamente la sua attività, ogni azione sarà misurabile e così potrà capire strada facendo quanto ogni passo lo avvicina all’obiettivo finale.
L’ANALISI DEL CONTESTO
La pianificazione strategica arriva però dopo un’attenta analisi di tanti aspetti, come il contesto di riferimento e quello territoriale, il target, gli stakeholder, i punti di forza e di debolezza della propria proposta, le opportunità e le minacce del mercato e ogni altro aspetto che può influenzare le scelte. «Pianificare vuol dire imparare a gestire i rischi invece che reagire agli eventi, evitare che tutto ciò che è imprevisto sia una sorpresa, prevedere le problematiche, anticipare le criticità» spiega Andrea Vismara, consulente e formatore di Project Management e docente di 24Ore Business School «Passare quindi da una gestione reattiva a una anticipativa, ragionare nella logica del “se piove” di un wedding planner». Ecco perché un’analisi del business non può essere solo appannaggio di aziende e start up ma risulta essenziale anche per i professionisti.
Bisogna però distinguere tra grandi studi associati e singoli. Mentre per i primi è ovvio ragionare in termini “aziendali” per i piccoli potrebbe non esserlo. Ma per loro è altrettanto importante. «Soprattutto in ottica di collaborazione» continua Rorato. «Sempre di più oggi, per ottimizzare tempi e informazioni, l’utente cerca un interlocutore unico per i suoi bisogni: il professionista che avrà analizzato il suo mercato con i suoi nuovi bisogni avrà capito per esempio
Andrea Vismara, consulente e formatore di Project Management e docente di 24Ore Business School
quanto sia necessario superare l’individualismo e agire in rete con colleghi che completino le sue aree di specializzazione per ampliare l’offerta di servizi, coprire meglio determinate aree e rispondere con più efficacia alle nuove necessità».
SUPERARE L’INDIVIDUALISMO
Nei grandi studi professionali, spesso già strutturati come aziende, l’organizzazione del lavoro, che deriva da una buona pianificazione, dovrebbe favorire la crescita. «Organizzare il lavoro vuol dire definire con chiarezza ruoli e responsabilità, condividere strategia e valori con i collaboratori, concentrarsi sul benessere delle persone, fissare parametri certi per regolare i comportamenti, fissare obiettivi chiari» spiega Rorato. «Tutto questo stimola la visione globale da parte di tutti i componenti della squadra in modo che ciascuno non si limiti solo al proprio compito ma si senta responsabilizzato». Per esempio, curando la relazione con un cliente anziché limitarsi a risolvergli un problema tecnico, e imparando a gestire la conflittualità tra colleghi, a dare e ricevere feedback, ad agire sempre nella logica di squadra e non di individuo.
STRUMENTI E COMPETENZE
Perché ogni azione sia in linea con i propri obiettivi di crescita bisogna acquisire le competenze del project management, proprio come fanno le aziende. «Lo standard dominante è quello del Project Management Institute che permette di generare risultati gestendo tempi e costi» spiega
Vismara. «A seconda del contesto esterno si può applicare un approccio statico o adattivo, analizzare cioè cosa serve per ottenere un risultato oppure definire a monte budget e tempi per poi scoprire via via cosa poter realizzare».
Ci sono oggi tanti corsi online che permettono ai professionisti di apprendere le tecniche e acquisire le competenze del project management, e altrettanti strumenti di task management, come Trello, Asana, Monday, Kanban board che servono a seguire i flussi di lavoro ed essere certi che siano sostenibili per il proprio business, interagire con collaboratori, rispettare scadenze, gestire priorità, distinguere tra compiti urgenti e importanti, definire obiettivi specifici e misurabili e valutare le performance. ■
Claudio Rorato, direttore dell'Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano

CAMPIONI IN CAMPO
di Isabella Colombo
Avvocati, medici e ingegneri si sfidano sui campi da calcio, padel o sulle piste da sci, trasformando lo sport in occasione di benessere, aggregazione e solidarietà. Tra campionati, tornei e iniziative benefiche, cresce in tutta Italia il fenomeno dei professionisti-atleti


Architetti che sfrecciano sciando sulle piste trentine di Folgarida, medici che si affrontano in bilaterali di tennis sui campi turchi di Antalya, ingegneri che si sfidano in regata nelle acque di Ancona. Professionisti e sport è un binomio che negli ultimi decenni ha preso forza ed è passato dal rango di partitelle tra colleghi alla fine di pesanti giornate in ufficio o in corsia a veri e propri campionati che raggiungono le fasi nazionali e gli onori delle cronache sportive.
I LEGALI FANNO SQUADRA
Onori come quelli appena raccolti dalla neonata Unione sportiva forense italiana. «La nostra Nazionale di calcio ha esordito il 6 giugno 2024 in un contesto internazionale e storico: a Roma, abbiamo affrontato la squadra nazionale vaticana con una formazione rappresentativa degli avvocati-calciatori di tutta Italia, dalla Valle D'Aosta alla Sicilia» racconta Alessio Cerniglia, avvocato a Novara dove è anche presidente della più antica squadra di calcio in città, e presidente dell’Unione sportiva forense italiana. Ad aprile si era disputata a Milano la seconda Coppa Italia di Padel e a febbraio i Campionati Lombardi di Sci Avvocati e Magistrati.
Perché di sport, tra i professionisti, ce n’è per ogni gusto, passione, competenza e capacità. «Siamo partiti con 160 atleti di ogni parte d’Italia, circa 60 realtà sportive forensi» continua Cerniglia. «Otto squadre di calcio, tre di basket, sei di beach volley, 40 atleti per il padel e altrettanti per il tennis, ma stiamo rapidamente crescendo cercando di aggregare quante più realtà sportive esistenti già
Alessio Cerniglia Delegazione
Nazionale Medici
domenica sportiva, febbraio 2025


nell’avvocatura, con l’obiettivo di creare una casa comune per promuovere lo sport a tutte le età. In un contesto come il nostro, soggetto spesso e volentieri a ritmi stressanti, lo sport migliora la qualità della vita».
SALUTE IN CAMPO
La preparazione ai campionati nazionali, per chi di professione non fa l’atleta ma il medico, l’ingegnere, il biologo o l’avvocato, non è certo facile. «Bisogna incastrare turni, permessi, ferie, settimane difficili e impegni lavorativi improrogabili, così spesso approfittiamo delle occasioni di aggiornamento professionale, unendo l’utile al dilettevole» spiega Giovanni Borrelli, presidente della Nazionale Italiana Medici Calcio.
«Fissiamo un congresso scientifico e contemporaneamente disputiamo il nostro campionato, facciamo ricerca e nello stesso tempo ci divertiamo, celebriamo l’amicizia, lo stare bene insieme, il valore della salute non solo professato ma vissuto. Quest’anno per esempio, a Monopoli in provincia di Bari disputeremo la 23ma edizione del Campionato italiano di calcio dei medici, organizziamo un convegno su sport e disabilità che vedrà l’intervento di Rossana Pasquino, campionessa paralimpica di scherma.
Insieme allo sport, alla ricerca scientifica e all’aggiornamento professionale si fa anche del bene. «Organizziamo almeno due eventi l’anno e sempre a scopo benefico» continua Borrelli. «In occasione del triangolare di fine marzo a Locri, in campo con la Nazionale Attori e l’associazione Le Colonne

d’Ercole, abbiamo raccolto i fondi per contribuire alla realizzazione di un Laboratorio di medicina di precisione del reparto di oncologia dell'Ospedale di Locri. Conoscendo la cronica carenza di strutture all’avanguardia al sud siamo molto orgogliosi di questo risultato, sentiamo di aver fatto qualcosa di importante nel segno dello sport che unisce tutti».
MEDICI IN MAGLIA AZZURRA
La Nazionale Italiana Medici Calcio è la sintesi virtuosa di un movimento che raccoglie circa 400 atleti in tutta Italia, dai neolaureati agli ultra sessantenni, dai medici di base ai cardiochirurghi. Gente a cui piace fare le cose in grande. «L’anno scorso abbiamo disputato le fasi finali della Coppa Italia a Viareggio, nella struttura di Marcello Lippi che ha assistito alla

Nazionale Italiana medici Calcio Giovanni Borrelli
finale insieme al ministro per lo Sport Andrea Abodi» dice Borrelli. «La super coppa tra Palermo Trinacria, la squadra vincitrice dello scorso campionato e il Napoli l’abbiamo giocata nel capoluogo siciliano proprio il giorno del compleanno di Totò Schillaci alla presenza di moglie e figlio. Insomma, non ci facciamo mai mancare momenti emozionanti». Tra i medici-atleti chi più chi meno bazzicava già il prato verde prima della specializzazione ma lo scopo naturalmente va molto oltre il gesto tecnico o il risultato sportivo. «Negli spogliatoi nascono amicizie e persino collaborazioni, si fa rete, ci si scambia opinioni e ci si confronta anche su tematiche di lavoro, sempre in un clima di festa e amicizia».
PROFESSIONISTI IN PISTA
Nel Paese del calcio anche tra i professionisti-atleti il pallone è lo

sport da sempre più praticato ma di recente anche altre discipline varcano i confini della partita serale tra colleghi o del torneo di paese nel weekend. A settembre l’Unione sportiva forense italiana sarà impegnata nella seconda edizione delle “forensiadi”. «Useremo questo termine perché daremo spazio a tanti sport» spiega Cerniglia. «Oltre al calcio maschile e femminile disputeremo incontri di tennis, ping pong, padel, beach volley, scherma e sci. Il grande progetto è costruire una federazione e lavorare in maniera ampia per strutturarsi in modo capillare su tutto il territorio. Vogliamo diffondere il più possibile i valori dello sport».
Fanno eco gli ingegneri che, per il 69° congresso nazionale della categoria di ottobre a Macerata, hanno organizzato tanti eventi sportivi da richiamare circa duemila professionisti da tutta Italia. A partire da giugno e fino all’autunno si susseguiranno incontri di calcio ma anche corsa podistica su strada, una Granfondo Leopardiana e persino il primo Campionato nazionale di calcio balilla. ■
Campionato Italiano Sci - Ingegneri e Architetti

LA BIZZARRA SINTASSI DEGLI EMOTICON
di Claudio Plazzotta
Marciume cerebrale. Dall’asilo nido alle scuole superiori impazza l’italian brain rot. Cuoricini, immagini antropomorfe, meme e filastrocche in rima senza senso, ad alto contenuto offensivo spopolano su TikTok e sulle piattaforme digitali. Una nuova forma del linguaggio per tradurre emozioni o contenuti caotici che danno agli adolescenti materiale nuovo e potenzialmente pericoloso? Il dibattito è aperto


L’uso, e spesso l’abuso, degli emoticon secondo alcuni analisti sta portando alla fine della scrittura e a una sorta di ritorno a forme di comunicazione primitive, tipo geroglifici. Non solo: il più recente boom dell’Italian Brain rot (buttare il cervello al macero all’italiana), con l’impazzare tra i bambini e i ragazzi di filastrocche senza senso, in un mix di parole, parolacce e suoni cavernicoli, metterebbe a rischio pure la comunicazione orale, con una involuzione linguistica condita di versi gutturali, in un gramelot che forse sarebbe piaciuto a Dario Fo.
Va però ricordato che negli ultimi 25 anni il genere umano ha dovuto adattarsi a una clamorosa rivoluzione nella comunicazione: fino a tutto il Novecento, diciamo così, i dialoghi avvenivano quasi esclusivamente di persona o al telefono, e quindi il tono della conversazione era chiaro ed esplicitato dalla espressione del viso e pure dalla modulazione della voce.
Nel nuovo millennio l’umanità è stata invece precipitata in una nuova forma di comunicazione, quella digitale, mediata da piattaforme: email, sms, whatsapp, social. Necessità di sintesi, pigrizia nel digitare i tasti e quindi scrivere messaggi lunghi, capacità di fare comprendere il tono della conversazione, possibilità di dire cose che magari a parole uno si vergogna a dire, gettando ami per vedere se qualcuno abbocca: gli emoticon sono stati la risposta più immediata. Inizialmente costruiti con i segni di interpunzione (ricordiamo il sorrisino :-), ecc), e poi con gli emoticon veri e propri,

Francesca Chiusaroli, docente di glottologia e linguistica all’Università di Macerata
e quindi la faccina che ride alle lacrime (ti sto dicendo questa cosa, ma sono ironico), quella che manda bacini (è una cosa affettuosa, e poi non si sai mai…), o il pollice alzato per comunicare un “va bene, ma adesso finiamola qui perché mi sto annoiando”, ecc ecc.
LINGUAGGI DIGITALI
Come spiega Francesca Chiusaroli, docente di glottologia e linguistica all’Università di Macerata, le caratteristiche del nuovo linguaggio digitale sono principalmente due: «Una è l’abbassamento del livello di attenzione e di sorveglianza dello stile di scrittura, il che rende questo tipo di linguaggio sempre molto dinamico, spontaneo, ma passibile di vari refusi, perché poco o nulla viene riletto e corretto. L’altro, invece, riguarda la brevità. Questi messaggi tendono a essere molto brevi e veloci perché simulano in qualche modo il parlato spontaneo: infatti sono un sostituto più dello scambio a voce che di quello scritto».
La prima icona composta da una combinazione di segni di punteggiatura è stata inviata nel 1982 da Scott Fahlman all’interno di uno scambio comunicativo lavorativo professionale, in una chat interna a un gruppo di docenti universitari del dipartimento di informatica del Carnegie Mellon University di Pittsburgh in Pensilvania. «L’intento del professore era quello di rendere le comunicazioni web più comprensibili traducendo in segni grafici ciò che solo l’intonazione della voce e il linguaggio extraverbale potevano conferire a una frase, come ad esempio l’ironia. La comunicazione, infatti»,
prosegue Chiusaroli, «non è fatta di sole parole, ma di tutta una serie di elementi cosiddetti del paralinguaggio che possono essere lo sguardo, il tono della voce, il gesto delle mani, quindi tutto un contorno che disambigua costantemente il messaggio e che si perderebbe totalmente nel momento in cui facciamo uso di scambi veloci per iscritto. In questo senso, allora, possiamo intendere l’uso degli emoticon non come una perdita, o un impoverimento del linguaggio scritto, ma come un ampliamento del linguaggio parlato, una forma nuova che aiuta a tradurre l’espressione di emozioni propria della comunicazione orale in una nuova forma ibrida del linguaggio».
L’emoticon, inoltre, e questo è molto tipico dei giovani che cercano un gergo incomprensibile agli adulti, si presta alla costruzione di codici che i più grandi non conoscono. La serie inglese Adolescence, su Netflix, ce lo ha svelato: il cuore viola �� indica l’eccitazione sessuale, la melanzana �� indica il pene, la pesca �� il lato b, i tacos �� la vagina, le gocce �� l’orgasmo. Non proprio un codice così inaccessibile e originale, ma gli emoticon servono anche a questo.
L’ITALIAN BRAIN ROT
Fatto sta che se avete figli, nipoti, o comunque contatti con ragazzi nati dopo il 2000, difficilmente riceverete parole in risposta ai messaggi. Ma solo faccine, o, come cantano i Coma_Cose, cuoricini. Se in qualche modo si sono perse le speranze sulla lingua scritta, destinata comunque a evolvere in base alle nuove esigenze di
comunicazione digitale, ecco che qualcosa di simile sta accadendo anche nella comunicazione orale. Dall’asilo nido alle scuole superiori, infatti, in questi mesi impazza l’italian brain rot: sono immagini antropomorfe, create dalla intelligenza artificiale e che spopolano su TikTok pronunciando filastrocche in rima senza senso, ad alto contenuto offensivo.
Scioglilingua illeciti e immorali per chi non ha tempo per nulla se non per scrollare video, immagini in flusso continuo: il brain rot, appunto, il marciume cerebrale. Filastrocche poi usate pure per comunicare oralmente, con codici precisi e noti solo ai giovani, a base di Trallallero Trallalà, Trippi Troppi Troppa Trippa, Bombardiro Croccodilo, Cappuccino
Assassino, Ballerina Cappuccina o Schimpanzini Bananini, e pure versi gutturali.
Un linguaggio che più è utilizzato più fa guadagnare punti all’interno di una comunità chiusa come può essere una classe scolastica o un gruppo di amici. Come spiega bene Michael Rich, pediatra e fondatore del Digital Wellness Lab, in una intervista al New York Times, «gli utenti affetti da brain rot tendono a filtrare le loro esperienze quotidiane attraverso la lente dei contenuti online, modellando di conseguenza la loro comunicazione e il loro comportamento.
Molti dei miei pazienti considerano il brain rot come una medaglia d’onore, un po’ come il raggiungimento di punteggi elevati nei
videogiochi. Fanno a gara a chi passa più tempo sullo schermo, come se fosse un premio».
Nulla di nuovo sotto il sole, per carità: se un tempo esisteva il linguaggio farfallino, con cui intere generazioni di figli si sono trasmessi segreti convinti che i propri genitori non li comprendessero, oggi con questi meme, di cui molti genitori sono ignari, i bimbi sentono di appartenere al gruppo dei pari e di ribellarsi agli adulti. Il brain rot, insomma, «soddisfa il bisogno di novità degli adolescenti”, perché, come sottolinea la psicologa familiare Cheryl Eskin, «questi contenuti sono caotici, impossibili da comprendere e divertenti, dunque danno agli adolescenti ciò che desiderano: materiale nuovo e potenzialmente pericoloso». ■

PAGINA A CURA
ANDI
Associazione Nazionale
Dentisti Italiani

Carlo Ghirlanda, Presidente Andi

Il meglio per la salute dei pazienti
ANDI – Associazione Nazionale
Dentisti Italiani, è il sindacato di categoria con una presenza territoriale capillare attraverso tutte le sedi provinciali e regionali. L’associazione conta oltre 28 mila dentisti in Italia, formando una rete rappresentativa di quella medicina di prossimità che è fondamentale in una società costituita da una elevata percentuale di anziani a riposo rispetto alla forza di lavoro attiva, situazione tra l’altro in continua evoluzione.
ANDI non è solo un sindacato, ma una rete di professionisti impegnati “a fare il meglio per la salute dei pazienti”, promuovendo un rapporto di fiducia medico-paziente e garantendo standard elevati nelle cure odontoiatriche. Una associazione quindi, portatrice di interessi dei propri associati attenta al cittadino-paziente. ANDI da sempre enfatizza la centralità del valore della persona e, insieme, dei valori del benessere e della salute. L’attività di ANDI si esplica in contesto nazionale, integrandosi tra l’altro in Confprofessioni, il soggetto che riunisce i diversi liberi professionisti, ma anche internazionale, con un fattivo contributo in FDI “World Dental Federation”, CED of “Council European Dentist” ed ERO “European Regional Organization”.
RAPPRESENTANZA E
TUTELA SINDACALE
L’Associazione promuove la tutela professionale, culturale, scientifica e sindacale degli odontoiatri, affiancandoli nello svolgimento dell’attività libero-professionale. ANDI è interlocutore privilegiato e punto di riferimento delle istituzioni (Ministero della Salute, Regioni, FNOMCeO), partecipando attivamente a proposte legislative, regolamentazioni professionali ed accordi contrattuali, attraverso un rapporto continuo e trasversale con le forze politiche del Paese e con le forze rappresentative di altre professioni liberali.
Offre inoltre supporto legale, fiscale e consulenza personalizzata per i propri associati con polizze RC professionali gestite ed erogate da Oris Broker di ANDI. L’Associazione è anche e-commerce odontoiatrico attraverso l’attività di ANDI Shop.
La stampa associativa con le testate di ANDI Informa, RIS, le quotidiane News di ANDI Oggi, unitamente ad un aggiornato sito web (www.andi. it e www.dentistionline.it, dedicato ai corsi), permettono una esaustiva informazione per gli iscritti, tanto in termini di contenuti che di tempistica.
FORMAZIONE CONTINUA
Attraverso ANDI Servizi, provider ECM accreditato dal 2013, l’Associazione organizza corsi residenziali, FAD e blended utili alla formazione
ed all’aggiornamento professionale con erogazione di migliaia di crediti ECM ogni anno. Oltre ai corsi clinici e scientifici gestisce anche la formazione obbligatoria per la sicurezza sui luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/08) e sulla privacy/GDPR, nonché corsi sulla Radioprotezione a tutela di operatori e cittadini. Gli organi territoriali della Associazione sono cruciali ai fini dell’aggiornamento professionale di Odontoiatri e personale di studio.
PREVENZIONE
E INIZIATIVE SOCIALI
ANDI promuove la cultura della Prevenzione come elemento fondamentale per favorire la sostenibilità delle cure odontoiatriche, notoriamente poco supportate dal SSN in Italia. In tal senso trovano massima espressione il “Mese della Prevenzione Dentale”, longeva iniziativa oggi alla 45° edizione e l’“Oral Cancer Day”. Attraverso Fondazione ANDI ETS, promuoviamo progetti di ricerca scientifica, di cooperazione nazionale ed internazionale che vedono interventi di odontoiatria sociale anche nei Paesi in via di sviluppo attraverso una rete di volontari ANDI.
Fondazione ANDI ETS infatti si impegna costantemente a perseguire obiettivi di solidarietà, assistendo persone in condizioni di disagio fisico, economico e sociale, con particolare attenzione ai bisogni odontoiatrici e della salute in generale.
RICERCA SCIENTIFICA
ANDI è supportata nella ricerca scientifica anche da SISOPD (Società Italiana di Stomatologia, Odontoiatria e Protesi Dentaria) costituita su iniziativa di ANDI.
SERVIZI DIGITALI E INNOVAZIONE
ANDI mette a disposizione dei soci piattaforme digitali come DentistiOnline, dedicata alla formazione di operatori e personale, strumenti per la gestione dello studio (fatturazione elettronica, GDPR, Centri di costo, Calcolo del valore dello studio, ...). Da citare qui anche ANDI Lab, software house specializzata nello sviluppo di soluzioni digitali destinate primariamente al mondo dell’odontoiatria. È nata nel 2021 per volontà di ANDI.
SANITÀ INTEGRATIVA
FAS – Fondazione ANDI Salute è il Fondo integrativo senza scopo di lucro creato e gestito dagli odontoiatri di ANDI.I Piani sanitari sono offerti non solo a cittadini, aziende e collettività ma anche ad altri Fondi sanitari o Società di mutuo soccorso con le quali il FAS sottoscrive accordi di gestione. A differenza delle tradizionali convenzioni tariffarie, il FAS ANDISalute rispetta la “Libertà di scelta” del Medico per l’iscritto al fondo, garantendo qualità e continuità delle cure. ■
I numeri fondamentali di ANDI
anno di fondazione: 1946. numero soci: oltre 28.000.
struttura territoriale: capillare, con dipartimenti regionali e sezioni provinciali in tutto il Paese.
principali campagne nazionali: Mese della Prevenzione Dentale, Giornata mondiale della Salute Orale, Oral Cancer Day, campagne su antibiotici, fumo e apnee del sonno.
eventi ecm annui: centinaia di eventi formativi organizzati ogni anno con erogazione di migliaia di crediti formativi.
consociate: ANDI Immobiliare S.r.l., ANDI Lab S.r.l., ANDI Progetti S.r.l., ANDI Servizi S.r.l., FAS Servizi S.r.l., Fondazione ANDI Salute, Oris Broker S.r.l..
ets: Fondazione ANDI E.T.S. e S.I.S.O.P.D. ■
PAGINA A CURA

ADC
Associazione Dottori
Commercialisti
Una voce indipendente. Dal 1929 PAGINA A CURA
Gianluca Tartaro,
Presidente ADC
Nazionale


Riconosciuta come interlocutore autorevole da istituzioni e dal mondo accademico e imprenditoriale, ADC più di un sindacato di categoria è una casa comune aperta al confronto

Nel maggio del 1929, nella splendida cornice di Venezia, si riunì la Prima Assemblea Costituente del sindacato dei dottori commercialisti: un momento fondativo che pose le basi per la successiva istituzione degli Ordini professionali.
Da quell’evento, testimoniato dagli atti originali che l’Associazione Dottori Commercialisti (ADC) conserva con orgoglio, prende avvio una storia di impegno costante al servizio della categoria. Novantasei anni dopo, quello stesso patrimonio ideale continua a ispirare un’associazione che ha saputo evolversi restando fedele a tre pilastri non negoziabili: libertà, competenza e modernità.
ADC è oggi una realtà capillarmente diffusa sul territorio nazionale e riconosciuta come interlocutore autorevole tanto dalle istituzioni quanto dal mondo ac-
cademico e imprenditoriale. La sua forza risiede nella capacità di coniugare il rigore tecnico tipico dei commercialisti con una rappresentanza realmente indipendente: una voce che non teme di indicare soluzioni, di proporre riforme, di difendere la dignità della professione quando nuove normative o prassi rischiano di metterne in discussione l’autonomia.
Formare professionisti preparati, semplificare il dialogo con la pubblica amministrazione, rafforzare le competenze esclusive e aprire nuove strade all’internazionalizzazione sono obiettivi che l’associazione persegue quotidianamente.
In un contesto segnato da trasformazioni digitali, pressione regolatoria crescente e concorrenza globale, ADC lavora per rendere la formazione continua più attuale e utile, per snellire
gli adempimenti che gravano sugli studi e per facilitare l’aggregazione fra professionisti, anche in ottica interprofessionale. Non meno importante è l’attenzione riservata alle nuove generazioni, cui si offre sostegno concreto affinché possano conciliare crescita professionale e qualità della vita.
Il nuovo Consiglio Nazionale eletto per il mandato 20252029 incarna la volontà di unire esperienza e rinnovamento. Alla guida siede il Presidente Gianluca Tartaro, affiancato dai Vice- Presidenti Raffaele Ianuario e Roberto Torelli. Il coordinamento operativo è affidato al Segretario Rosa Billone e al Tesoriere Vincenzo Staltari. Completano la squadra i consiglieri Giuseppe Balbi, Marco Faleo, Marianna Fioravante, Luca Ghironzi, Domenico Ivan Gratta, Barbara Guglielmetti, Marco Lagomarsino, Monica Montanari, Salvatore Salice e Giovanna Stefanelli: professionisti provenienti da ogni parte d’Italia, portatori di competenze tecniche eterogenee e di una comune capacità di mediazione con i decisori pubblici.
Nei prossimi anni ADC intende ripensare i modelli formativi privilegiando l’e-learning e le esperienze sul campo, a promuovere un confronto costruttivo con il legislatore per ridurre la burocrazia che ostacola gli studi, a presidiare i confini della professione contrastando derive che ne possano intaccare il prestigio, e a costruire ponti stabili con università, imprese e ordini esteri. Al centro di ogni iniziativa resta la persona: il commercialista come professionista capace, autonomo e protagonista dell’economia reale. «Più di un sindacato di categoria, una casa comune aperta al confronto» – così amano definirsi i soci di ADC. ■
PRONTO FISCO
Le novità tributarie e il loro impatto sulle professioni nel commento di Lelio Cacciapaglia e Maurizio Tozzi
Dichiarazione dei redditi, nel labirinto delle deduzioni/ detrazioni
In piena stagione dichiarativa, tra gli aspetti da osservare con maggiore attenzione vi sono sicuramente gli oneri deducibili e detraibili, che possono consentire il contenimento del peso fiscale o addirittura l’emersione di un credito nel caso di rilevanti ritenute subite. Ecco alcune regole basiche, per “sfruttare” al massimo i benefici fiscali connessi
La stagione “dichiarativa” è ormai avviata e tra gli aspetti da dover osservare con maggiore attenzione vi sono sicuramente gli oneri deducibili e detraibili, che possono consentire il contenimento del peso fiscale o addirittura l’emersione di un credito nel caso di rilevanti ritenute subite.
Le novità che si incrociano per l’anno 2024 sono numerose, sia interpretative (con i vari documenti di prassi emanati), che normative e anche della giurisprudenza della Cassazione; tutte da prendere in considerazione in aggiunta alle “tradizio-
nali” indicazioni contenute nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione.
Bisogna, pertanto, procedere ad un adeguato “punto della situazione”, per consentire la massima fruizione dei benefici fiscali in connessione con le novità di periodo, ricordando le regole basiche che caratterizzano l’utilizzo degli oneri in argomento:
▪ La rilevanza degli stessi “per cassa”, in funzione del relativo pagamento. Possono riguardare anche oneri di anni precedenti (ad esempio, il pagamento di contributi arretrati), ma il beneficio fiscale è sempre connesso al momento dell’esborso finanziario;
▪ La fruizione c.d. “a capienza”, non potendo originare riporti a periodi d’imposta successivi, ovvero crediti e/o rimborsi. Di fatto, gli oneri deducibili vanno fruiti fino a capienza del reddito complessivo del contribuente, mentre gli oneri detraibili hanno come limite l’imposta lorda;
▪ La spettanza, in alcuni casi, anche per gli oneri sostenuti nell’interesse dei soggetti fiscalmente a carico. In queste ipotesi, l’onere può essere intestato direttamente a chi sostiene la spesa, ovvero ai soggetti fi-
scalmente a carico. Gli aventi diritto (i genitori di solito), detraggono le spese direttamente a loro intestate, mentre nel caso di spese riferite ai soggetti a carico, si ha piena facoltà di suddivisione, anche a prescindere dalla modalità con cui gli aventi diritto ripartito le detrazioni per carichi di famiglia.
Le regole appena richiamate sono fondamentali: ad esempio è inutile attribuire un onere a chi ormai è incapiente, altrimenti si perde il connesso beneficio, essendo preferibile attribuire l’onere ad altri aventi diritto, pur se magari con un riconoscimento economico più basso ove la spettanza del beneficio è inversamente proporzionale al reddito (ma almeno qualcosa si sfrutta).
Piccoli margini di manovra sono possibili, come, venendo alle novità del 2024, nel caso dell’opzione di modificare da 4 a 10 rate la fruizione del superbonus 2023 (in modo da ricreare “capienza” per chi non riusciva a sfruttare al massimo l’agevolazione).
L’obiettivo è dunque offrire un’adeguata sintesi per evitare di “perdere per strada” parte dei benefici spettanti. ■
WELFARE E DINTORNI
Il Contratto collettivo nazionale degli studi professionali ha costruito un’articolata rete di tutele intorno a tutti coloro che operano all’interno di uno studio professionale. In questa rubrica le ultime novità dalla bilateralità di settore
Fondoprofessioni: erogati 29 milioni nell’ultimo quadriennio
Negli ultimi quattro anni sono stati assegnati circa 29 milioni di euro, con l’approvazione di quasi 20 mila piani formativi. Cresce il volume dei contributi assegnati, per effetto del positivo andamento delle adesioni e delle risorse incassate; basti pensare che nel 2021 sono stati assegnati poco meno di 5,5 milioni di euro mentre nel 2024 sono stati superati gli 8,8 milioni di euro. È quanto emerge da un report di Fondoprofessioni, che ha analizzato l’andamento della formazione finanziata dal 2021 al 2024. Entrando nel dettaglio, la percentuale di micro-imprese (da 1 a 9 dipendenti) in formazione è vicina all’80%. La fascia dimensionale più presente risulta essere quella degli studi professionali e delle aziende da 2-3 dipendenti, che rappresentano quasi il 30% della platea complessiva. «Gli
Avvisi di Fondoprofessioni sono pensati per agevolare l’accesso alla formazione finanziata degli studi/aziende, anche di più piccola dimensione, dando loro la possibilità di sviluppare le competenze necessarie in base alla specifica attività svolta e alla mansione del singolo dipendente», ha spiegato Franco Valente, direttore di Fondoprofessioni. Nel periodo sono stati coinvolti in formazione circa 55 mila allievi, in particolare nelle fasce di età da 25 a 34 anni (25-26%), da 35 a 44 anni (26-28%) e da 45 a 54 anni (24-27%), che insieme costituiscono circa l’80% della platea. Si è assistito a un incremento della partecipazione dei giovani fino ai 24 anni, passati dal 5,55% nel 2021 al 7,82% nel 2024, anche per effetto di specifiche iniziative realizzate dal Fondo.

Gestione
Professionisti, copertura anche per studi senza dipendenti

Anche le società, le associazioni e gli studi associati senza dipendenti possono usufruire delle coperture di Gestione professionisti. Nel sito è attiva, infatti, una apposita sezione Studi NO DDL (Non Datori di Lavoro) dedicata alla attivazione delle coperture volontarie in favore dei titolari/soci/associati/collaboratori esterni con partita iva individuale, non aventi già copertura attiva Gestione Professionisti, di studi/società che non hanno assunto lavoratori dipendenti in applicazione del Ccnl Studi Professionali. Per i professionisti appartenenti a tali realtà possono essere richieste e acquistate sia le coperture principali (Base 48 euro e Premium 72 euro all’anno) sia le coperture integrative infortuni (da 22 a 311 euro all’anno per un massimale ulteriore da 100 mila a 500 mila euro rispetto a quello già previsto dalla copertura principale). Le coperture decorrono dal 1° giorno del 2° mese successivo al pagamento, che può essere effettuato mediante Mav cumulativo generato in autonomia dalla sezione dedicata. Le coperture sono valide 12 mesi dalla decorrenza e possono essere annualmente rinnovate nei termini per garantirne la continuità.
Ebipro, da settembre si
aprono i centri estivi
Dal 1° settembre 2025 al 31 dicembre 2025, esattamente in contemporanea con la garanzia “Libri scolastici”, verrà attivata per la prima volta la finestra temporale della nuova prestazione di Ebipro “Centri Estivi”. È già pubblica sul sito web ebipro.it la pagina e il relativo regolamento che fissa i requisiti, limiti e documentazione richiesti per l’accesso al contributo. L’intervento di Ebipro in favore dei lavoratori dipendenti di studi professionali iscritti al sistema bilaterale, sarà un rimborso del 30% della spesa documentata per un importo massimo complessivo annuo di 300 euro. L’iscritto dovrà cumulare i documenti espressamente elencati dal Regolamento Unico (e dalle “Istruzioni in sintesi”), e inviarli in un’unica soluzione attraverso una domanda telematica da compilare accedendo alla piattaforma Area Riservata. La prestazione avrà ad oggetto le spese sostenute per i figli per le loro attività diurne ludico-ricreative durante la sospensione scolastica estiva del 2025 e, nello specifico, interesseranno le quote di iscrizione e rette di frequenza ai centri estivi. Sarà riconosciuto qualsiasi tipo di centro estivo (comunale, privato, religioso) per qualsiasi fascia oraria diurna (orario pieno diurno, mezza giornata).

Pronto FAS, il dentista è online

Pronto FAS è un innovativo servizio di sostegno odontoiatrico, offerto da Cadiprof, Cassa di Assistenza Sanitaria Integrativa per i Lavoratori degli Studi Professionali, grazie alla collaborazione con il Fondo di assistenza sanitaria integrativa Fondazione ANDI Salute (FAS), a beneficio dei propri associati. Il servizio è incluso nel Piano Assistenziale Cadiprof ed offre prestazioni di telemedicina, nello specifico video-consulti odontoiatrici, in quelle situazioni di urgenza in cui è difficoltoso recarsi dal proprio dentista. Il servizio Pronto FAS presenta le seguenti caratteristiche chiave: il team odontoiatri di triage è composto da odontoiatri appositamente formati per comunicare efficacemente con i pazienti fragili, analizzare le loro esigenze e valutare il miglior percorso di soluzione. Il sistema di tele-visita permette un contatto comunicativo diretto tra i pazienti e professionisti capaci di intercettare e risolvere i loro bisogni; non sostituisce la pratica clinica tradizionale. Pronto FAS è un servizio di sostegno odontoiatrico che si aggiunge e non si sovrappone alla cura periodica della propria salute dentale. Non è un servizio di emergenza medica e pertanto non può essere utilizzato per richiedere interventi di terapia medica o chirurgica non a carattere odontoiatrico.
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Gli eventi, le mostre, i film e i libri del momento in Italia e all'estero da non perdere per fare un pieno di cultura e di bellezza

CULTURA


Obiettivo puntato sulla realtà
Due istituzioni museali e un’unica a mostra, per celebrare Sebastião Salgado e la sua visione ecologista. Il fotografo, che ha curato personalmente la mostra, è scomparso lo scorso maggio, ma il suo messaggio risuona forte e chiaro attraverso le sue immagini
di Romina Villa
Nella pagina a fianco: Sebastião Salgado
Un misto di meraviglia e inquietudine. E’ ciò che si prova davanti agli scatti in bianco e nero di Sebastião Salgado, esposti a Trento e Rovereto, in due mostre organizzate in contemporanea per celebrare uno dei fotografi più premiati e osannati degli ultimi decenni. Si tratta del suo ultimo progetto artistico, in senso letterale, perché Salgado ci ha lasciati lo scorso 23 maggio, trasformando così le esposizioni al MUSE di Trento e al Mart di Rovereto in un ultimo saluto al suo pubblico.
Si è spento a Parigi, dove viveva ormai da anni con la moglie Lélia Wanick Salgado, autrice e produttrice cinematografica, con la quale il fotografo ha condiviso sei decenni di vita, di carriera, ma soprattutto di passioni. Come quella per la natura e la preservazione dell’ambiente, che si è trasformata nel tempo in una causa da portare avanti con determinazione.
Nato nel 1944 a Minas Gerais, in Brasile, si era formato inizialmente come economista e statistico, in patria e poi in Francia. Negli anni’ 70, durante una missione in Afri-
ca per conto dell’Organizzazione Mondiale del Caffè, aveva cominciato a interessarsi di fotografia, attività amatoriale che in poco tempo si era trasformata in una scelta definitiva di vita.
Ha svolto per molti anni la professione di fotoreporter di guerra, documentando i maggiori conflitti per oltre due decenni. Molti di questi reportage sulle popolazioni si sono trasformati in progetti più ampi, come quello intitolato La mano dell’uomo, incentrato
sulla condizione umana in relazione al lavoro manuale, che ha portato Salgado a visitare ventisei paesi in sei anni.
PERSONE E I LUOGHI
L’Africa lo aveva colpito e sarà protagonista di molti suoi lavori, ma in generale volle raccontare di luoghi e persone, ritraendo uomini e donne in paesi difficili o remoti, dando testimonianza di situazioni sociali e politiche avverse, senza mai cadere nella trappola della pietà. Per lui con-

tava solo non intaccare la dignità delle persone che fotografava.
Nel 1994, fu testimone del genocidio in Ruanda. Una lunga esperienza sul campo che lo aveva minato nel fisico, ma che fu devastante soprattutto nello spirito, tanto che decise di abbandonare per un po’ la fotografia. Con la moglie tornò in Brasile, dove nel 1998, insieme, crearono l’Instituto Terra, una fondazione che da allora si occupa di salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità.
In un paese, che sempre di più, adottava l’agricoltura intensiva a scapito delle foreste, il progetto della fondazione partì proprio da quell’angolo di Brasile che per Salgado era casa, nella regione chiamata Vale do Rio Doce. In una grande tenuta che apparteneva alla famiglia Salgado, la fondazione diede il via ad un’imponente opera di riforestazione che continua tuttora e che ha dato vita ad una riserva naturale. Questa esperienza portò Salgado a riflettere sulle tematiche am-
Un ghiacciaio ai piedi del Cerro Torre, della Torre Egger e della Punta Herron, cime situate in Patagonia al confine tra Cile e Argentina, 2007 © Sebastião Salgado/Contrasto

bientali e a ritornare alla fotografia, puntando il suo obiettivo sulla natura. Cominciò a girare in lungo e in largo il pianeta, alla ricerca di luoghi ancora vergini e non intaccati dall’uomo, realizzando immagini che esprimono la natura in tutta la sua grandiosità. Da questo peregrinare nacque il progetto “Genesi”, durato dal 2004 al 2012. In luoghi incontaminati, dove popolazioni isolate vivevano secondo ritmi ancestrali e dove regnava ancora un ecosistema, che altrove l’uomo aveva annientato, Salgado maturò la consapevolezza che tutto ciò andava preservato. Alla pubblicazione di “Genesi” è seguita la realizzazione del documentario “Il sale della Terra”, co-diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado (figlio del fotografo), che ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2014, il César per il migliori documentario nel 2015 e una candidatura agli Oscar. Salgado ha viaggiato in più di cento paesi e tutti i suoi progetti fotografici, oltre ad essere pubblicati sulla stampa ed esposti in mostre internazionali, sono stati raccolti in libri, sempre curati dalla moglie Lélia. Oltre a quelli già citati e tra i tanti pubblicati, ricordiamo “Altre Americhe” (1986), “Sahel. En fin del camino” (1988), “Terra” (1997) e “Amazônia”(2021). Dopo la sua scomparsa, di lui ci rimane una visione illuminata dell’umanità, il suo pensiero ecologista e i tre milioni di alberi nella Vale do Rio Doce.
LA MOSTRA AL MUSE E AL MART
Si intitola “Ghiacciai” la mostra dedicata a Sebastião Salgado che ha luogo a Trento e Rovere-


Gli iceberg sono pezzi di ghiacciaio che si staccano e vanno alla deriva nel mare. Isole Sandwich Australi, 2009 © Sebastião Salgado/Contrasto
to. Nata da un’idea del Trento Film Festival, l’esposizione è curata da Lélia Wanick Salgado ed è prodotta in collaborazione con Contrasto e Studio Salgado, e con il coordinamento di Gabriele Lorenzoni (Mart) e Luca Scoz (MUSE). L’evento ha visto la luce proprio nell’ Anno Internazionale della Conservazione dei Ghiacciai, proclamato per il 2025 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con l’intento di sensibilizzare la società sull’argomento. La drammatica e costante riduzione della superficie dei ghiacciai sul pianeta è acclarata ormai da decenni, così come è noto il ruolo fondamentale di essi nella regolazione dei sistemi climatici e idrologici. Dopo i viaggi dedicati ai luoghi e alle popolazioni più remote, Salgado ha documentato la crisi climatica,
fotografando i ghiacciai in tutto il mondo, dall’Artico al Canada, dalla Patagonia all’Himalaya, fino alla Russia. Le immagini in bianco e nero , per la maggior parte inedite, sono state scelte personalmente dal fotografo e sono esposte in grande formato.
Per il Mart di Rovereto, sono state selezionate 50 fotografie di ghiacciai sparsi in varie regioni del mondo, in un percorso suggestivo che termina con una sala video dove vengono proposti alcuni film sul tema, scelti dal Mart e Trento Film Festival. Al MUSE di Trento, invece, le fotografie di Salgado compongono una grande installazione site specific di dieci immagini in formato gigante, sospese nel Grande Vuoto, lo spazio creato per il museo da Renzo Piano. Le foto sono
state scattate tutte in Canada, nel parco nazionale e riserva di Kluane e costituiscono un unico nucleo.
La mostra, che vede unite istituzioni che operano in diversi ambiti, in questo caso arte, scienza e cinema, non solo offre al grande pubblico la possibilità di ampliare la propria conoscenza su questo grande artista, ma ne condivide gli ideali e il principale obiettivo, ovvero porre l’attenzione sull’emergenza di questi decenni e di quelli a venire, la crisi climatica del nostro pianeta. ■
“GHIACCIAI” MUSE (TRENTO) FINO ALL'11 GENNAIO 2026
PRENOTA
“GHIACCIAI” MART (ROVERETO) FINO AL 21 SETTEMBRE 2025
PRENOTA

Misteri a passo di tango
Fra una crociera in vela e un festival di danza un professionista palermitano riesce con successo a dedicarsi tanto all’attività da commercialista, che svolge con un suo studio sin dal 1996, quanto a quella di romanziere e giallista sfociata nella pubblicazione di un ciclo di sei titoli
di Roberto Carminati

La Sicilia è terra fertile per il filone letterario del giallo e per racconti che - magari prendendo spunto dalla realtàruotano attorno a intrighi e vicende oscure. Per il commercialista palermitano Giovanni Balsamo un motivo c’è. «È per eccellenza luogo di misteri», ha detto a Il Libero Professionista Reloaded, «dove nulla è mai come sembra. È culla di paradossi e a dimostrarlo sono anche i capolavori di Leonardo Sciascia o di Luigi Pirandello».
Ma più che di Sciascia e del Nobel, Balsamo - iscritto all’Ordine di Palermo dal 1996 - è erede dell’altra stirpe illustre dei Santo Piazzese e Andrea Camilleri; e con i gialli si confronta dal 2010.
INDAGATORE DI BELLEZZE
Data a quell’anno la prima apparizione del suo commissario Antonio Marongiu - nel volume Le vie dei Guiscardi, seguito da Il frullo del beccaccino, autofinanziato prima e poi premiato e rieditato da Mondadori per Kobo. «Sono riuscito a dare seguito e concretezza», ha proseguito Balsamo, «a una mia passione di ragazzo. Al liceo scrivevo favole e novelle o testi di ambientazione onirica e la vena creativa è poi riesplosa con le detective story. Alla metà dello scorso decennio ho dato alle stampe L’illusione del giusto per Fanucci e Desde l’Alma per l’ennese Nulla Die.
Dopo una pausa e sempre per quest’ultimo sono arrivati negli ultimi due anni Una voce dal mare e Omicidio in La maggiore». La figura del protagonista è chiaramente il filo rosso che tiene

Omicidio in LA maggiore, Giovanni Balsamo
Desde el alma, Giovanni Balsamo

insieme le sei successive produzioni; l’altro leitmotiv è rappresentato dalla Trinacria nelle sue molteplici sfaccettature. «Ogni storia», ha precisato Giovanni Balsamo, «ha come teatro dei luoghi realmente esistenti, a cominciare dal commissariato di Oreto-Stazione. Marongiu è un ex studente di filosofia e un autentico teorico dell’understatement legato al Capoluogo da una passione viscerale. Ne ama l’arte, la cultura e le tradizioni e ne considera la conoscenza quasi come un obbligo e un segno di rispetto nei confronti di una città che dal sacco edilizio degli anni Cinquanta e Sessanta è rimasta segnata nel profondo. Non può perciò che rattristarsi della superficialità e scarsa propensione al sapere dei concittadini».

Giovanni Balsamo
Una voce dal mare, Giovanni Blasamo
L'illusione del giusto, Giovanni Balsamo


PIÙ PROG CHE POLICE…
Le indagini di Marongiu si svolgono per la quasi totalità a Palermo e questi «si muove spesso guidato e ispirato dalle suggestioni». Lo si può notare nel solo caso ambientato nelle isole Eolie - Balsamo è appassionato velista e l’arcipelago è fra le sue rotte e mete predilette - ovvero Una voce dal mare, ove più che mai le apparenze ingannano. «Basti pensare», ha ricordato, «che patrona dell’isola di Salina è Santa Marina: la tradizione vuole che sia vissuta in convento in vesti di frate».
Altrove le scene del crimine richiamano alla memoria fatti realmente accaduti e rielaborati poi dal processo creativo del dottore commercialista; o traggono spunto dalle molte sue vite. «L’illusione del giusto», ha detto, «rimanda a uno scandalo accaduto al Tribunale di Palermo e il tema portante è un’accusa di pedofilia.
Occupandomi di amministrazione giudiziaria ho spesso a che fare con giudici e magistrati, benché non con gli omicidi. Desde l’alma è ambientato nel mondo del tango». Già, perché oltre a scorrazzare in barca a vela per i mari (sino a Malta, fra gli altri) accompagnato dalla moglie Germana e dal levriero Artù, succeduto a Eve, Giovanni Balsamo è anche assiduo tanguero e ha partecipato a eventi e festival di ballo in tutta Europa. Anzi, un altro motivo ricorrente dei suoi libri è la musica.
Ne ascolta lo scrittore, devoto soprattutto al rock progressivo degli anni Settanta e ai King Crimson di Robert Fripp e in passato membro
di diversi gruppi nei panni di chitarrista e di bassista; ne mastica parecchia e dei generi più svariati lo stesso Antonio Marongiu.
… PIÙ MONTALBAN
CHE MONTALBANO
Per questo le sette note hanno acquisito un ruolo centrale in una sua recente creazione. «Omicidio in La maggiore», ha spiegato, «vede come argomento-principe la gelosia. Per risolvere un caso iniziato al teatro Massimo di Palermo il commissario deve muoversi su due piani.
Da una parte c’è un balletto musicato sulla Sonata a Kreutzer di Beethoven; dall’altro l’omonimo romanzo di Lev Tolstoj. Ed entrambi sono per l’indagatore fonte delle già citate, preziosissime sue suggestioni». Il commissario-musicofilo integra in sé «almeno un buon 50%» della personalità del suo padre letterario, descrittosi come «attento osservatore» che trae dal quotidiano «alcune caratteristiche dei personaggi» poi messi in pagina. Ma il giallo gli è entrato nel sangue in maniera quasi inaspettata e tardivamente.
«Ho preferito a lungo», ha ammesso Balsamo, «i classici dell’avventura sullo stile di Joseph Conrad. La fiamma s’è accesa quando la lettura di Manuel Vazquez Montalban mi ha fatto capire che anche questo genere offre grande libertà e apertura. Credo che lo scrittore catalano sia stato unico nel dare al giallo una vera dimensione letteraria». Certi amori, canterebbe però qualcuno, «non finiscono» e
piuttosto «fanno dei giri immensi e poi ritornano» e chissà che in futuro Giovanni Balsamo non voglia o non possa tornare all’antico o cimentarsi comunque in qualcosa di completamente diverso. «Tendo a essere un po’ dispersivo», ha concluso, «e il giallo mi aiuta a lavorare in maniera più organizzata e strutturata.
Dovrei però essere a buon punto con un progetto che ho nel cassetto da vent’anni ed è basato su un flusso di coscienza. Mi affascina l’idea di mettere mano a un fantasy e qualche idea di trama da sviluppare già c’è».


Quando le storie si intrecciano con le persone. Confprofessioni a Procida Racconta
Dall’11 al 14 giugno, Procida è stata il palcoscenico di un’edizione straordinaria del Festival letterario ideato da Chiara Gamberale con la casa editrice Nutrimenti e curato da Creavità. Un'occasione per riaffermare l'impegno della Confederazione nella diffusione di una cultura della professionalità umana, aperta e generativa di Maria Teresa Pasceri
pagina a fianco: Marco Natali, Presidente di Confprofessioni al Festival Procida racconta
Nella
C’è un momento, durante un festival come Procida Racconta, in cui le parole smettono di essere solo narrazione e diventano relazione. È lì che accade qualcosa di più profondo: le storie smettono di appartenere solo a chi le scrive o le racconta, per diventare patrimonio di chi le ascolta, le accoglie e le porta con sé.
Dall’11 al 14 giugno, Procida è stata il palcoscenico di un’edizione straordinaria del festival letterario ideato da Chiara Gamberale con la casa editrice Nutrimenti e curato da Creavità. Una manifestazione, giunta alla sua nona edizione, che ha saputo valorizzare le voci dell’isola, quelle degli autori invitati, ma soprattutto quelle delle persone che ogni giorno abitano il territorio — chi ha scelto di restare, chi ha deciso di tornare, chi non ha mai smesso di credere nella forza della propria identità.
In questo contesto autentico e suggestivo, Confprofessioni ha preso parte all’evento come partner, abbracciando il senso profondo dell’iniziativa: ascoltare, comprendere, condividere. Tre azioni che non riguardano solo il mondo della cultura, ma che rappresentano un paradigma del nostro modo di intendere la rappresentanza: vicina alle persone, aperta al dialogo, capace di costruire valore attraverso le relazioni.
STORIE CHE ISPIRANO
Durante l’ultima serata, nella splendida cornice del molo di Procida, si sono alternati racconti e testimonianze che hanno toccato corde profonde. I ricordi di

un pescatore, la determinazione di una giovane madre dell’isola, la passione di chi ha scelto di contribuire con il proprio lavoro a un’idea di comunità più solida e consapevole.
In questo intreccio di voci, Confprofessioni ha riconosciuto l’essenza del proprio impegno quotidiano: dare voce ai professionisti, sostenere le loro storie, creare connessioni che vadano oltre le categorie e diventino rete.
TEMPO CONDIVISO
Oltre alla partecipazione pubblica, il festival ha offerto a Confprofessioni anche un’occasione speciale: una sessione di team building immersiva, riservata ai propri rappresentanti nazionali e territoriali. Un momento dedicato all’ascolto e alla condivisione, che
ha coinvolto i partecipanti in un percorso emotivo e professionale. Con la guida attenta del team di Creavità, il gruppo ha riflettuto sull’identità comune, sul significato di “appartenenza”, sul ruolo sociale della rappresentanza.
In un contesto informale ma ricco di stimoli, come il Castello Aragonese di Ischia, è emersa una consapevolezza ancora più forte: il valore della squadra non si misura solo nei risultati, ma nella capacità di riconoscersi in una visione condivisa, capace di guardare al futuro senza perdere il senso del presente.
Raccontarsi, come professionisti e come persone, ha significato anche interrogarsi su valori condivisi, sulla visione comune e sul senso profondo dell’impegno collettivo. Per Confprofessioni, infatti, la partecipazione a questo tipo di iniziative non è un’azione accessoria, ma una scelta coerente con il proprio modo di intendere la rappresentanza: umana, culturale, comunitaria.
In un’epoca in cui il lavoro rischia spesso di ridursi a prestazione e rendimento, restituirgli una dimensione relazionale e valoriale è una forma di resistenza civile. Sostenere la cultura, coltivare il dialogo e rafforzare il senso di appartenenza sono strumenti concreti per costruire comunità professionali più coese, inclusive e responsabili.
UNA CULTURA CHE UNISCE
Essere presenti a Procida Racconta ha significato per Confprofessioni riaffermare il proprio
impegno per una cultura della professionalità che sia umana, aperta, generativa. Una cultura che non si limita a tutelare diritti e interessi, ma che si prende cura delle persone, delle loro storie, delle loro fragilità e potenzialità.
Perché ogni professionista porta con sé un racconto. E quando questi racconti si incontrano, si ascoltano e si valorizzano, si costruisce qualcosa che va oltre il singolo: una comunità. ■ Chiara Gamberale

UN LIBRO AL MESE
Le novità editoriali che non possono mancare nella libreria di un professionista
di Luca Ciammarughi

Satie, il bohémien precursore delle avanguardie
titolo : Quaderni di un mammifero
autore : Erik Satie
A cura di Ornella Volta
editore : Adelphi
prezzo : 30 euro
pagine : 352
Il 1° luglio sono ricorsi i 100 anni dalla morte di Erik Satie: un bel modo di ricordare il compositore francese nato a Honfleur il 17 maggio 1866 è rileggere i Quaderni di un mammifero, raccolta di suoi scritti pubblicati nel 1980 da Ornella Volta e giunti ormai alla sesta edizione Adelphi. Non c’è da stupirsi che questa figura bizzarra e geniale abbia resistito al passare del tempo: già John Cage, nel cuore del Novecento, sosteneva che «Satie ci è indispensabile». In questo volume, suddiviso in tre sezioni (Ai suoi interpreti - Agli altri - A sé stesso), capiamo le ragioni dell’affermazione di Cage persino senza ascoltare una nota: bohémien, gimnopedista, esoterico, gotico, rosacrociano, dadà, patafisico, surrealista, socratico e molto altro ancora, Satie anticipò molte delle correnti fondamentali delle cosiddette “avanguardie” senza tuttavia mai lasciarsi intrappolare in una definizione o in un’etichetta. L’aspetto che emerge maggiormente dai suoi scritti è l’umorismo,
attraverso cui egli si fa beffe di tutto e tutti, senza tuttavia mostrare mai un tracotante orgoglio (l’umiltà e la povertà rimasero sempre fra le sue caratteristiche). Sarebbe sufficiente la seguente frase per comprendere il personaggio, dandy inconsapevole di esserlo (come forse tutti i veri dandy) e candido (quasi fanciullesco) guru: «Quando ero giovane, mi dicevano: vedrà, quando avrà 50 anni! Ho 50 anni, e non ho visto nulla». Ciò che Satie attacca è non solo il passatismo e l’accademismo, ma tutti quei cascami dell’Ottocento che sopravvivono persino nell’opera di un contemporaneo assai ammirato come l’amico Debussy: si prendano per esempio le didascalie all’interprete de Les bains de mer, in cui il compositore si fa burla degli effetti liquidi dell’impressionismo: «Il mare è vasto, signora / In ogni caso, è piuttosto profondo / Non si sieda sul fondo. È molto umido / Ecco delle care vecchie onde / Son piene d’acqua / Sì, è tutta bagnata! / Eh, sì». La prima parte, dedicata alle “Istruzioni all’interprete” di cui Satie riempie le sue partiture, ci mostra un antesignano di Tristan Tzara, Picabia, Apollinaire: al pianista sono suggerite frasi esilaranti come “Ancora più barboso, se possibile”, “Come un usignolo con il mal di denti”, “Continui senza perdere i sensi”, “In punta di denti, quelli di fondo”, “Non prenda quell’espressione an-
tipatica”, “Ricominci facendo finta di niente”, “Ripeta a volontà, ma non di più”, “Sulla lingua”. Non c’è solo un sense of humour a tratti inglese (Satie aveva origini in parte britanniche), ma anche la fiducia nel fatto che il pensiero possa influire sull’interpretazione (“Adesso consultatevi interiormente, vi prego”, “Non esca dall’ombra”, “In fondo al pensiero”): non a caso, Satie vietava rigorosamente di leggere ad alta voce il testo durante l’esecuzione della musica – non si trattava dunque di un espediente teatrale, ma di «un segreto tra il mio interprete e me». Nonostante le frecciate a Debussy (a proposito del primo quadro della Mer, Dall’alba a mezzogiorno sul mare, disse: “Verso le undici, succede qualcosa”) e a Ravel (“Rifiuta la Legion d’honneur, ma tutta la sua musica l’accetta”), Satie unirà fino alla fine il suo caustico risentimento verso chi aveva fatto carriera a una costante autoironia. Sapeva di essere per molti versi un dilettante (“Tutti vi diranno che non sono un musicista. È vero”), ma era anche “munito di chiaroveggenza”. La sua musique d’ameublement anticipò mille tendenze, fra cui il minimalismo: lo sviluppo di matrice classico-romantica lasciava il posto a una costruzione a pannelli basata sulla forza onirica del “rimanere nel presente”. Al contempo, il culto della precisione e della trasparenza, in opposizione non solo ai fumi wagneriani, ma anche alle nebbie impressioniste, apriva la via – contemporaneamente a Stravinsky – all’anti-retorica e all’essenzialità “bianca” di Jean Cocteau e del Group des Six (impossibile pensare a certe pagine di Poulenc, senza esser passati per Satie). Fulminante nei motti, fu quasi un Woody Allen ante litteram: «Il mio medico mi ha sempre detto di fumare. Fumi, amico mio: sennò, un altro fumerà al suo posto».■
RECENSIONI
Cinema, balletto, musica e libri. Un vademecum per orientarsi al meglio tra gli eventi culturali più importanti del momento
a cura di Luca Ciammarughi




ANDREA RICCIO PER “MUSICA E POTERE”
Nel contesto del laboratorio “Musica e potere” tenutosi a Napoli presso l’Istituto Italiano di Studi Filosofici, il 3 giugno scorso il giovane pianista Andrea Riccio ha tenuto un entusiasmante recital dedicato a sei compositori cruciali nel panorama delle avanguardie novecentesche: Nono, Sciarrino, Berio, Porena, Stockhausen e Schönberg. Con l’ausilio della diffusione elettroacustica e la regia di Francesco De Simone, in una suggestiva semi-oscurità che aggiungeva mistero alla mesmerica
ARTURO BENEDETTI
MICHELANGELI.
IL MIO MAESTRO
Continuano le celebrazioni dell’importante anniversario dei trent’anni dalla morte di Arturo Benedetti Michelangeli, uno dei massimi pianisti di ogni tempo. Oltre a un cofanetto Deutsche Grammophon che ristampa l’intero lascito per “l’etichetta gialla”, di particolare interesse è un volumetto Zecchini di 152 pagine scritto da colui che fu uno degli allievi più cari di Benedetti Michelangeli, Carlo Maria Dominici. Oltre a soffermarsi dettagliatamente su aspetti tecnici (meccanica del pianoforte, posizione della mano, legato e molti altri), Dominici ricostruisce la figura umana del Maestro bresciano di origine umbra partendo dall’incontro in prima persona, in grado di far piazza pulita dei tanti stereotipi che circondano il mito (primo fra tutti, l’aura algida e austera). Il libro è arricchito da commoventi fotografie e documenti inediti.
ambientazione di Palazzo Serra di Cassano, Riccio ha saputo evidenziare sapientemente le differenze fra le estetiche e i linguaggi senza cadere in un approccio freddamente oggettivizzante, ma conservando sempre invece la freschezza di uno sguardo soggettivo e ispirato (emblematica l’interpretazione di Sofferte onde serene, per niente imitativo dell’approccio polliniano). Fra le rivelazioni, i bellissimi Sei Ländler in memoria di Serapione di Boris Porena, dal sapore post-schubertiano.
PIETRO BELTRANI ILLUMINA
LA MUSICA PIANISTICA DI RESPIGHI
Già distintosi per eccellenti pubblicazioni discografiche dedicate a Rachmaninov e Gershwin, il pianista Pietro Beltrani aggiunge un ulteriore tassello alla sua ricerca, dedicandosi a un repertorio poco conosciuto ma prezioso: la musica pianistica di Ottorino Respighi. Gemma assoluta sono i Tre Preludi sopra melodie gregoriane, in cui la profonda cultura respighiana in termini di musica antica si muta in linguaggio estremamente personale e tutt’altro che passatista. La personalità interpretativa di Beltrani, che è anche un fantastico jazzista e improvvisatore, è perfetta per restituire l’afflato di una musica che non sopporterebbe una lettura troppo ingessata e accademica, anche in una forma rigorosa come quella della Sonata in fa minore.
MENDELSSOHN E SOFOCLE A SANTA CECILIA
Fortunatamente, l’estate non è soltanto il tempo del mainstream disimpegnato. L’intelligente programmazione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma ci ha permesso di scoprire un lavoro prezioso e raramente eseguito, le musiche di scena composte da Felix Mendelssohn per l’Antigone di Sofocle, in un’interpretazione di pregio. Sul podio dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, al suo debutto per questa istituzione, Francesco Lanzillotta ha ben evidenziato la solennità dello sguardo “antico” del compositore amburghese, senza però dimenticare il sottile tormento che impregna questo lavoro. Nella traduzione tedesca di Donner, e con un adattamento del testo recitato in italiano di Gianni Garrera (efficace interprete nella parte del Narratore Massimo Popolizio), il testo sofocleo acquista nella dimensione romantica tedesca una dimensione di conflitto ancor più forte. Forse qualche momento di stampo Sturm und Drang poteva risultare più infuocato. Eccellente l’orchestra e anche il coro diretto da Andrea Secchi
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Probabilmente, anche Zio Paperone, il personaggio dei fumetti della Disney, sarebbe saltato sulla sedia davanti all’ultimo report sulla ricchezza globale 2025 stilato da Ubs, che registra un aumento marcato e costante della ricchezza in tutto il mondo a un ritmo del 3,4% dal 2000. Solo nel 2024, i grandi patrimoni globali sono schizzati del 4,6%, dopo un incremento del 4,2% nel 2023.
In soldoni, 648 mila persone sono entrate nel tanto esclusivo quanto affollato club dei 60 milioni di miliardari, seduti su un patrimonio complessivo di circa 226.470 miliardi di dollari. Un trend che, secondo gli analisti di Ubs, continuerà per tutta la seconda metà del decennio e già si calcola che entro il 2029 ci saranno oltre cinque milioni di nuovi “paperoni”.
Li chiamano “Emilli”, ovvero i milionari di tutti i giorni: circa 52 milioni di investitori che possiedono da uno a cinque milioni di dollari e che negli ultimi cinque anni è quadruplicato, per un patrimonio complessivo di circa 107 mila miliardi di dollari. A guidare questa particolare classifica sono Svizzera, Stati Uniti, Hong Kong, ma anche gli italiani “nel loro piccolo” si difendono. L’Italia è al 23° posto su 56 della classifica di Ubs, con i suoi 1,3 milioni di milionari e grazie soprattutto alla spinta di 71 miliardari che hanno visto lievitare il loro patrimonio di circa 61 miliardi in un solo anno (in altri termini: 167 milioni al giorno). Nei loro portafogli si concentra una ricchezza di 272 miliardi di euro.
Soldi che arrivano per la maggior parte da eredità (ne abbiamo parlato a pag. 82) e che nei prossimi vent’anni dovrebbe superare la soglia di 2.300 miliardi di euro, amplificando ulteriormente le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi netti equivalenti. E come ci ricorda Oxfam Italia: il 5% più ricco delle famiglie italiane, possiede oggi quasi il 20% in più dell’ammontare di ricchezza complessivamente detenuta dal 90% più povero.
di Giovanni Francavilla
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