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I diritti dell'embrione

La riflessione di Giuliano Amato, ex Presidente del Consiglio, sul tema della riforma dell’art. 1 del codice civile per il riconoscimento della capacità giuridica del bambino embrione è particolarmente attuale e intellettualmente onesta.

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Ne riproponiamo qui uni stralcio: L’articolo “I diritti dell'embrione”, pubblicato su Liberal, nell’aprile aprile 1997, si può leggere integralmente su Vitanews.

Una recente proposta di iniziativa popolare chiede al parlamento di cambiare l’art. 1 del codice civile. L’art. 1 c.c. è un pilastro del nostro ordinamento. Esso regola l’acquisto della capacità giuridica, vale a dire dell’idoneità a essere titolari di diritti e di obblighi. E stabilisce che ciò accade al momento della nascita. Per la sua semplicità, per la sua stessa collocazione in testa al codice, la disposizione è da decenni un punto di partenza che i giuristi danno per scontato. Dopo tutto la legge riconosce dei diritti allo stesso nascituro e dice - art. 1 - che il nascituro quei diritti li ha, ma subordinati alla nascita. Una vicenda, questa, che è sempre apparsa logica ad alcuni, piuttosto attorcigliata ad altri, ma che non ha mai indotto a mettere in discussione l’impianto. Oggi qualcuno lo fa e costringe a porsi domande che per decenni si era smesso di fare. L’ancoraggio della capacità giuridica al momento della nascita è infatti un punto di partenza da quando c’è il codice, ma per secoli era stato un tema di discussione, oltre che di discipline e di proposte diverse. Se le esigenze originarie non le condividiamo più e se altre non sono sopraggiunte, perché continuiamo a considerarlo un punto di partenza?

Sono queste le domande a cui dobbiamo rispondere. Sicuramente, se è oggi (e non ieri) che esse si impongono alla nostra attenzione, lo si deve ai tanti problemi che si sono venuti affollando attorno al trattamento del concepimento. E questi problemi convergono tutti su un’unica questione: con che cosa abbiamo a che fare quando interveniamo sul concepito?

Stiamo però attenti: qualunque sia la soluzione a cui si arriva davanti a questa pregiudiziale questione, essa non ipoteca in modo meccanico e manicheo le soluzioni dei problemi che pure la presuppongono. E quindi in nessun caso, neppure in quello del riconoscimento del concepito come soggetto, il reimpianto o l’interruzione della gravidanza diverrebbero per ciò stesso e comunque inammissibili. Neppure su tale premessa, infatti, verrebbero meno la specificità del concepito rispetto ai soggetti già dotati di autonomia e quindi la possibilità di situazioni, e di conflitti, che pongono un peculiare problema di scelta. Basti pensare, per l’IVG, al rischio alla vita o alla salute della madre o al dramma delle gravidanze da incesto o da stupro.

Il rilievo della questione pregiudiziale è perciò un altro e riguarda la cornice in cui queste scelte si pongono. Altro è infatti che esse siano affrontate sulla acquisita premessa che il concepito incarna una pertinenza della madre, altro è che esso incarni un valore meritevole di tutela, altro infine è che si tratti di un soggetto di diritto.

Di qui la necessità di metterla a fuoco, questa premessa, a mente sgombra, separando la discussione che la riguarda da quelle che, nella cornice da essa fornita, dovranno poi, ma solo poi, essere fatte. Davanti alla proposta di cambiare l’art. 1 del codice civile, è dunque dell’art. 1 c.c. che si deve parlare. […] Fra il momento del concepimento e quello della nascita non possono più maturare differenze.

Non rimane allora nulla delle ragioni che avevano sedimentato storicamente l’ancoraggio della capacità giuridica al momento della nascita. C’è dell’altro? Non le difficoltà, che qualcuno ha avanzato, di accertare il momento del concepimento, primo perché esso ha già rilievo giuridico anche oggi, secondo perché, al di là delle presunzioni già in uso, la scienza medica ha oggi strumenti che non aveva quando questo rilievo fu dato. Né si può dire che anticipare la capacità giuridica al momento del concepimento significa violare l’intimità del ventre materno. L’intimità del ventre materno, lo specialissimo rapporto che nasce fra madre e figli, lo specialissimo ruolo che ne deriva per la madre in tutte le vicende che interessano il concepito, sono presupposti indefettibili di qualunque disciplina, comunque orientata, che riguardi lo stesso concepito. Non li si può tuttavia far valere per escludere a priori che questo specialissimo rapporto sia pur sempre un rapporto a due, riconosciuto come tale dalla legge, che del resto già oggi una disciplina sul concepito la dà, per di più mutevole per le varie fasi della gravidanza. In particolare, non può farli valere chi sostiene al tempo stesso il minimo di interferenza legislativa, tanto nell’interruzione della gravidanza quanto nelle varie tecniche di fecondazione artificiale e di reimpianto.

Se è logico presumere infatti che la ragione di questo minimo di interferenza debba essere in tutti questi casi la stessa, ciò esclude di per sé che tale ragione possa essere l’intimità del ventre materno. E quindi chi pretende di non avere interferenze legislative nel decidere di tali vicende si fonda non sulla premessa che l’embrione è nel suo ventre, ma che l’embrione è cosa sua. Il che è francamente diverso. L’unica conclusione consentita a chi apre un dibattito sull’art. 1 è che esso, frutto di una lunghissima maturazione storica e per decenni indiscusso, dopo i tanti cambiamenti intervenuti (di civiltà, di tecnologie, di scelte nuove che si devono affrontare), si trova oggi in un contesto profondamente diverso: tanto diverso che la storia ha ormai invertito, rispetto al suo mantenimento, l’onere della prova. Non tocca più a chi vuole cambiarlo dimostrare le ragioni per cui intende cambiarlo. Tocca a chi lo vuole lasciare com’è, dimostrare le ragioni attuali per cui dovrebbe restare com’è. La discussione si apre da qui.

«Il tema da voi trattato è tra quelli che molti cercano di accantonare e che tuttavia ritornano sulla scena perché sono ineludibili. La vita inizia con il concepimento e il bambino concepito è già una creatura che inizia il suo cammino nel mondo. Sono convinto, e non da oggi, che una delle implicazioni di ciò sia il riconoscimento della sua capacità giuridica, che è capacità di essere titolare di diritti tutelabili e tutelati dall’ordinamento già dal concepimento. Così dovrebbe essere nella realtà civile e sociale del nostro tempo»

(Giuliano Amato, messaggio al Movimento per la Vita Italiano in occasione del convegno nazionale svoltosi a Firenze nel 2011)

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