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La capacità giuridica del concepito Significato di una proposta

di Pino Morandini

Il concepito e la capacità giuridica

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Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (di seguito chiamata DUDU) si trova solennemente sancito: «è indispensabile che i diritti dell’uomo siano protetti da norme giuridiche». È questo, del resto il compito principale che attende la politica nell’atto di approvare leggi di diritto positivo, come affermava Carlo Casini.

Giuridicamente il modo di conferire de jure condito a tutti gli esseri umani uguale dignità entro una società egualitaria è il riconoscimento a tutti della loro capacità giuridica, al punto che l’art. 6 della DUDU assurge a “diritto” quel riconoscimento (ribadito poi dall’art. 16 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, 1966) e l’art. 22 della nostra Costituzione statuisce che «nessuno può essere privato, per ragioni politiche, della capacità giuridica…».

La capacità giuridica è l’attitudine a essere titolare di diritti e di doveri, ossia il modo con cui l’essere umano viene considerato soggetto e non oggetto. Pertanto non può, né deve, essere negata a nessuno perché «rappresenta la condizione prima del principio d’eguaglianza non solo formale ma, soprattutto, sostanziale» (M. Dogliotti, Commentario al Codice civile).

L’ordinamento può escludere dal novero dei soggetti alcuni esseri umani, cioè negare loro la capacità giuridica? Possiamo tranquillamente affermare di no, alla luce della DUDU e della nostra Costituzione, sopra citate. Una volta riconosciuto anche un solo diritto, non si può escludere la qualifica di soggetto a chi ne è titolare.

Al punto che molte tragedie occorse nell’ultimo secolo, la schiavitù protrattasi per secoli (ed ancor oggi in vigore in taluni luoghi) dovrebbero servire da monito in tal senso.

Mossi da ciò, al figlio concepito e non ancora nato possiamo fondatamente riconoscere la capacità giuridica?

Preso atto che la scienza dimostra con dovizia d’immagini come dal concepimento siamo in presenza di un individuo appartenente alla specie umana (per i dubbiosi dovrebbe comunque soccorrere il c.d. principio di precauzione), l’ordina- mento giuridico offre varie e importanti indicazioni che orientano verso il riconoscimento a lui della capacità giuridica. Così l’art. 1 della legge 40/2004, in cui il concepito è definito “soggetto”; l’art. 320 del c.c., che attribuisce ai genitori la rappresentanza legale dei figli “nati e nascituri” (è intuibile che non può essere rappresentato un soggetto che non esiste); la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che sostiene che «la tutela del concepito ha fondamento costituzionale» (sent. 27/75) e in particolare colloca la sua situazione giuridica «tra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Costituzione» (sent. 35/97); la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che definisce il concepito «centro di interessi giuridicamente tutelato» (sent. 11503/93) e gli riconosce «l’attitudine ad essere titolare di diritti» (sent. 17811/2014); il Comitato Nazionale di Bioetica, per il quale l’embrione umano va trattato come persona e non come cosa, invocando il principio d’eguaglianza per evitare discriminazioni (pareri del 1993, 1996, 2003 e 2005).

Art. 1 cc: la proposta di modifica del 1995

Fu pertanto semplicemente profetica e ricca di futuro la proposta di modifica dell’art. 1 del Codice civile tesa a riconoscere la capacità giuridica a ogni essere umano sin dal concepimento.

Profetica, perché risale addirittura al 1995, allorquando fu presentata alla Camera come proposta di legge di iniziativa popolare, corredata da 197.277 sottoscrizioni (tra cui quelle di 400 docenti universitari e 16 rettori d’università), fatta propria anche dal Forum delle Associazioni Familiari con una petizione che raccolse 1.400.000 adesioni.

Profetica, perché capace di attrarre autorevolissimi laici quali Giuliano Amato (già Presidente del Consiglio e poi della Corte costituzionale), il quale (Firenze, 1977) affermò: «Ho l’impressione che appartenga a residui (…) storicamente archiviati che la capacità giuridica si acquisti al momento della nascita». Tema che riprese nel 2011 (Convegno CAV): «il bambino concepito è già una creatura che inizia il suo cammino nel mondo (…). Sono convinto che una delle impli- cazioni di ciò sia il riconoscimento della sua capacità giuridica, che è capacità di essere titolare di diritti tutelabili e tutelati dall’ordinamento già dal concepimento. Così (…) dovrebbe essere nella realtà civile e sociale del nostro tempo». È ricca di futuro, perché riconoscere la capacità giuridica sin dal concepimento significa estendere il principio d’eguaglianza anche a chi già esiste, ma è talmente piccolo da poter essere ignorato e scartato. E in siffatta estensione sta il cardine della modernità. Non è forse il valore della vita, cioè la dignità umana, che rende eguali gli uomini? E il diritto alla vita non è forse la prima manifestazione di quella dignità? Ciò, infatti, trova consacrazione nelle varie Carte sui diritti umani approvate nel dopoguerra. La proposta in questione, annotava C. Casini, non è pertanto animata da vis polemica , bensì dal desiderio di contribuire a “una ricomposizione morale e civile”. Quanto essa sarebbe oggi particolarmente necessaria!

Né s’intende intaccare con detta proposta la legge 194/78, perché il presupposto di questa, a parere della maggioranza dei suoi sostenitori, sta nella tutela della maternità durante la gravidanza e della salute della donna.

È ricca di futuro, anche perché riconoscere al concepito la capacità giuridica rafforzerebbe il duplice profilo interessante la vita nascente. Quello giuridico, atteso come appaia tutt’altro che superfluo affermare in legge che ogni essere umano è a tutto tondo un soggetto. Quello morale, considerato che l’esperienza conferma sempre più decisivo lo sguardo che siamo capaci di rivolgere alla donna e al bimbo che porta in grembo. Quello sguardo dice della nostra umanità! Sancire che anche quel figlio è uno di noi, aiuta a essere più capaci di uno sguardo autentico. Solo la coscienza del valore in gioco può costituire una difesa concreta della vita. Ma la coscienza individuale e collettiva ha bisogno di essere illuminata. E la razionalità collettiva espressa da una legge che riconoscesse sempre il figlio come “uno di noi” è una luce sfolgorante.

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