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Padre Ferdinando Colombo e la “moltiplicazione dei CAV”

Incontrai per la prima volta padre Ferdinando Colombo a Milano, in via Tonezza, dove si tenevano gli incontri dei CAV e Movimenti per la Vita lombardi già negli anni del referendum sull’aborto, intorno al 1981.

Subito mi fece un’impressione di lombarda positività. Sicuro di sé, pieno di buonumore e ottimismo, pareva non conoscere ostacoli nella sua militanza cristiana.

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Quando divenni presidente della Federazione lombarda dei CAV, carica che tenni sino al 1991, mi capitò di vederlo sempre più spesso. Mi abituai all’idea rasserenante di questi incontri (un paio al trimestre) che si tenevano al sabato pomeriggio e mi permisero di conoscere persone straordinarie, come succede a chi bazzica nei nostri ambienti. Verso sera, al termine dei lavori, non mancava mai una capatina nella cappella di via Tonezza, che faceva da riferimento spirituale per il locale CAV e la relativa Casa di Accoglienza.

Padre Ferdinando celebrava la Messa vespertina, a cui qualche volta partecipavo. Ma non mancavo mai – prima della funzione – di scambiare due parole con lui, ricavandone sempre consolazione ed energia.

In quegli anni ci fu un po’ di maretta tra i volontari pro life milanesi. Una fortuna, se è vero che – secondo il noto assioma di Machiavelli – nelle relazioni complesse va temuta soprattutto la bonaccia: dopotutto, dalle liti tra patrizi e plebei i Romani uscirono rinvigoriti con l’istituzione dei Tribuni della plebe, che resero più giusto e saldo lo Stato!

Ebbene, proprio per iniziativa di padre Ferdinando, ci fu la moltiplicazione dei CAV e, da quello Ambrosiano, nacque anche il CAV Mangiagalli.

In quegli anni mi capitò anche di invitarlo nella mia città nell’ambito di seguitissimi corsi di aggiornamento per insegnanti (con nomi di valore: mons. Maggiolini, Ferdinando Adornato, Michele Brambilla, Marina Corradi, Paolo Sorbi, Umberto Folena e altri). Feci venire anche lui, un paio di volte. E potei così scoprire un francescano strenuo conoscitore di san Tommaso d’Aquino, cosa che allora pareva ancora un poco ossimorica.

Un legame ancora più stretto, di vera complicità, si realizzò quando iniziai a occuparmi del festival Cantiamo la vita.

A lungo cappellano Rai, padre Ferdinando mi dava le giuste soffiate per fare arrivare sul palco del festival una troupe televisiva.

La cosa funzionò più di una volta, e così la buona notizia della vita poté moltiplicarsi nell’etere.

Se anche negli ultimi anni ci si era persi un po’ di vista (non era più a Milano), non venne mai meno l’affetto per un uomo che per me ha sempre incarnato la consolazione sapiente e concreta del Vangelo.

Che è poi lo specifico di un uomo di Chiesa, e ciò di cui tutti abbiamo bisogno.

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