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Scusate, aspetto un bambino
Nel quartiere dove abito non c’è un solo negozio di vestiti per bambini, di giocattoli per bambini. Negli ultimi anni sono spuntati sei negozi e store per animali. Non pappe, ma abiti, cappottini per cani e gatti, mobilia e gadget, cosmetici e giochi. Sì, è un quartiere di anziani, come tutta Italia, ormai. Ma gli asili nido sono pieni, anche quelli privati purtroppo. E allora perché, mi chiedo. Senza alcuna antipatia per cani e gatti, che pure preferisco senza parures alla moda, capaci di divertirsi e divertire con un filo di lana o una palla.
So bene che sono preziosi compagni di vita per tante persone sole, ma lo erano anche prima che ci fossero boutiques, arredi e corsi di formazione loro dedicati.
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L’assenza totale di negozi per bimbi mi inquieta, per non dire di reparti per mamme in attesa. Introvabili, al più qualcosa in rete, di scarsa qualità. I piccini non rendono, sono troppo pochi, ma non basta. C’è una mentalità che poco a poco si insinua e li relega nell’eccezione, con un certo fastidio. Perfino le nonnine si infastidiscono se un bambino piagnucola, strilla o intralcia il passaggio con la carrozzina. Prevale la richiesta di essere privilegiati, nelle code o nel rispetto delle regole, in quanto anziani, che un tempo pazienti lasciavano posto ai bambini, con comprensione e sorrisi. Nei bar ingombri, i giardinetti sono un miraggio, palle tricicli urla pianti disturbano.
È una dissuasione sottile, che si somma alle difficoltà economiche delle giovani coppie, alla povertà del welfare, al doppio lavoro delle giovani donne, alla sopportazione malevola sui posti di lavoro delle donne in gravidanza. Si aggiunge alle sempre più frequenti domande allibite su come fai e chi te lo fa fare, quando una mamma dice no all’apericena o alla serata a ballare. Alle testimonianze dei vip che si peritano di dire coram populo che sono realizzate senza figli, anzi, di più. Ma si parte dai negozi per cani, che sostituiscono quelli per bimbi, dal chiamare il cagnolino “il mio bimbo”. Non riuscendo a negare ragionevolmente il concetto di persona al neonato, gli si toglie l’accoglienza della comunità, di cui una persona ha bisogno, di cui una persona è parte. Si chiama fare terra bruciata. Ma nella terra bruciata non cresce nulla, restano solo aridità e desolazione.
Monica Mondo, torinese, laureata in Lettere Classiche, vive a Roma, lavora come autore e conduttore a Tv2000, ma soprattutto fa la madre di tre figli adolescenti e impegnativi.
Ha scritto per diverse testate giornalistiche, di cultura e politica; ha lavorato nell’editoria e per la radio; ha pubblicato con Marietti due romanzi, Sarà bella la vita e Il mio nome è Khalid e un saggio con il cardinal Georges Cottier, Selfie. Dialogo sulla Chiesa con il teologo di tre papi, per Cantagalli.
