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Il cuore che batte

di Daniela Ferrara

«Quando ho sentito il cuoricino che batteva sono stata invasa da una immensa tenerezza e poi un dolore sordo». Così mi aveva scritto Paola quando pensava che l’aborto fosse l’unica soluzione. Quell’ecografia, però, ha smosso qualcosa in lei. Sedicente atea, Paola ha una malattia rara e una situazione affettiva caotica: si accompagna ad un uomo che vede saltuariamente, che ha un processo pendente, che fa mille promesse e non le mantiene, che ubriaco l’ha picchiata mandandola al pronto soccorso, con un passato da tossicodipendente e la presente tentazione della droga, che ha continui sbalzi di umore e furenti attacchi di gelosia perché Paola convive con la madre e l’ex compagno che non ha alloggio. I due condividono la passione per gli animali esotici che entrambi possiedono. Paola non ha conosciuto il padre e ha vissuto con il compagno della madre, che si è sempre disinteressato di lei; ha un trascorso da cubista in locali e discoteche, periodi di depressione e pessimismo, una sorella molto più grande che abita in un’altra regione, sostanzialmente un’estranea. La scoperta di essere incinta è stata uno shock per lei e per il suo “entourage ”. Il primo pensiero: abortire. «Come faccio – si diceva – a crescere un figlio in questa situazione? Mia madre è ultraottantenne ed è una vita che mi ricatta e si serve di me come se fossi la sua stampella; Simone (l’ex coinquilino) mi dice di fare come mi pare, Toni (il padre del bambino) ha continui sbalzi di idee, umore, atteggiamento: mi maltratta e mi offende, poi mi dice che mi ama e che non può vivere senza di me; vuole questo bambino e poi non lo vuole più…Io ho una malattia genetica rara e non voglio mettere al mondo una creatura con questa “eredità”. In questa situazione, proprio non posso». Con grande facilità senza colloquio e senza che nessuno si interessasse veramente di lei, ottiene il documento per l’intervento, come lo chiamano. Nel frattempo, si sottopone a un controllo per la malattia rara e il medico viene a sapere della gravidanza e dell’intenzione di abortire. Con molta delicatezza e capacità di ascolto, il medico le suggerisce di pensarci bene, le racconta di una sua parente allontanata dalla famiglia perché incinta, che poi accolse il bambino, oggi brillante studente universitario ed è una mamma felice. Le dice che non è sola con il suo “problema” ma che esistono persone che possono aiutarla. Ne vale la pena! «Non è un grumo di cellule, ma tuo figlio. Forse sarà l’unica persona che ti amerà veramente. Nessuno ti giudica e ci sono persone che possono condividere le tue paure e le tue difficoltà». Il medico chiama una sua amica dei CAV. Paola, nonostante la fermezza del proposito, si lascia coinvolgere, si lascia affiancare. Sembra incuriosita e attratta. Incontri tra lacrime e leggerezza, paura e speranza. Racconti di una vita difficile e un po’ allo sbando. Quel tempo dedicato a lei, senza giudicare, solo offrendo sostegno, vicinanza e la carezza economica che si chiama Progetto Gemma, senza chiedere nulla in cambio, un po’ alla volta sembra riscaldare il cuore di Paola, un po’ ribelle che, tra un “se è maschio si chiamerà Mattia”, torna a ripetere che andrà comunque ad abortire. Arriva la fatidica mattina. Paola è accompagnata a distanza con la preghiera per lei e per il suo bambino. Poi il messaggio: «Lo tengo!». Una gioia. La gioia di una donna che ha ritrovato sé stessa e la sua sete di amare e di essere amata. Una gioia che parla del coraggio che non delude e di una solidarietà tra persone che non si conoscevano e che il piccolo Mattia - che poi è nato – ha sorprendentemente unito. Oggi Paola è una mamma che condivide ogni cambiamento di Mattia con foto e video e il loro amore attraversa le immagini.

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