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Alla fiera del bebè

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Il cuore che batte

Il cuore che batte

Si è tanto discusso, anche quest’anno, dell’evento milanese Wish for a baby, tradotto in Fiera del bebè , con una nomea che mette i brividi. Incontrare i migliori esperti di fertilità di tutto il mondo, pubblicizzavano gli organizzatori. Che surrettiziamente, si teme, propagandassero in realtà la maternità surrogata. Un surrogato, lo sappiamo, è un sostituto, in genere scadente, di un prodotto di buona qualità. I nostri nonni ricordavano il caffè surrogato, il burro surrogato nei razionamenti di guerra. Se le parole hanno un peso, dicono l’innaturalità e la riduzione a prodotto del dono della vita. Perché nessuna donna sana di mente vivrebbe nel suo corpo la gioia e il peso, i rischi di una gravidanza, porterebbe in seno una creatura per nove mesi vedendo cambiare il suo corpo, per generoso altruismo verso l’umanità impossibilitata ad avere un figlio. Gli uteri non si affittano, neppure si comprano; e gli offerenti, invece, hanno la possibilità di pagare, chi offre ha bisogno di essere pagato. Parliamo di sfruttamento dei ricchi sui poveri, di più, del povero corpo delle donne, sempre vittime delle pretese maschili, dato che la maternità surrogata non riguarda coppie omosessuali femminili, com’è ovvio. Decenni di “il corpo è mio” buttati al macero per soggezione al capitalismo puntellato e giustificato dall’ideologia, dall’egoismo. Avere un figlio, continueremo a ripeterlo, non è un diritto. Perché un figlio non è una merce da acquistare, o acquisire. È una persona, e ha diritto a un padre e una madre, ha diritto a conoscere il suo DNA, a sapere chi l’ha voluto sentendolo palpitare nel proprio ventre. E se è vero che ci sono bimbi maltrattati, abbandonati, non sta a noi accrescerne il numero, creando orfani per soddisfare l’improvviso ghiribizzo di chi vuole un figlio come vorrebbe un’automobile o un cane. Siamo inorriditi dall’esproprio e deportazione dei bambini ucraini in Russia, strappati alle loro famiglie per essere rieducati dal potere. È solo apparentemente più gentile strappare un figlio alle viscere che l’hanno custodito e nutrito, pagando la sua orfanezza. È doloroso e deprimente assistere alle sottigliezze verbali di chi tollera, o addirittura condivide la GPA, ovvero gestazione per altri, basta cambiare il termine, ingentilirlo, condirlo quasi di altruismo.

Stupisce e inquieta vedere tentennamenti anche in quel mainstream culturale e politico che lotta per i diritti di qualsivoglia minoranza, che si appropria della patente di difensori di libertà e uguaglianza. Ma diritti, libertà e uguaglianza non valgono per una sola minoranza, quella dei bambini. Non bisogna smettere di dire la verità, di gridare la disumanità e l’obbrobrio, anche se tutto congiura contro la verità dell’uomo. Riscaldare i cuori in un mondo che è diventato gelido, scriveva Tolkien, è il compito di chi non voglia stare con l’omertà, la complicità, la vigliaccheria.

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