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Il genderismo e la cancellazione della maternità

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Il cuore che batte

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Qual è lo stato della maternità nel XXI Secolo?

Rischia davvero la cancellazione? Siamo di certo di fronte ad un fenomeno di frammentazione della riproduzione umana in cui la dignità della procreazione è seriamente messa a repentaglio: questo spezzettamento, com’è stato definito da più parti, vede come primo bersaglio la maternità.

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Vi è un altro tipo di frammentazione, decisamente più sottile, e che forse sottende quella della procreazione: quella derivante dall’idea che il sesso biologico ed il genere sessuale siano due cose a sé stanti. Si parla spesso della teoria del gender, ma bisognerebbe iniziare ad utilizzare con più frequenza il termine genderismo1, dal momento che siamo ormai passati da tempo dalla teoria alla pratica, al punto che in alcuni Paesi si sta già facendo retromarcia.

Il genderismo ha delle conseguenze ben precise ed evidenti in ambito legislativo, come denunciato con chiarezza a livello europeo dalla Federazione delle Associazioni familiari cattoliche in Europa (FAFCE). Un esempio per tutti è quello della direttiva UE n. 2023/970 «volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione», uno strumento giuridico di cui si potrà certamente discutere sull’efficacia e l’opportunità, ma che ha come obiettivo dichiarato quello di garantire un principio di giustizia e di buon senso per il quale ad uno stesso lavoro corrisponda una stessa retribuzione.

Questo ha a che vedere direttamente con la maternità, dal momento che molti studi hanno dimostrato che la vera differenza salariale non è tra uomini e donne, ma tra donne con figli e tutti gli altri lavoratori. Questa disparità è in totale contrasto con il contributo inestimabile che le madri danno alla società, che include il loro impegno professionale, senza limitarsi ad esso: si tratta del motherhood pay gap, molto più concreto ed importante di un vago gender pay gap . Come affermato anche dall’Organizzazione internazionale del lavoro, questa problematica è strettamente connessa all’assenza di politiche familiari efficaci e di una cultura non amica delle responsabilità genitoriali 2 .

Per tornare alla direttiva UE, sembrerebbe dunque scontato che essa dedichi un occhio di riguardo alle pratiche discriminatorie nei confronti delle lavoratrici incinte e delle neo-mamme, che «includono disincentivi alla maternità, rifiuto di assumere, modifiche svantaggiose dei termini del contratto di lavoro al rientro dal congedo di maternità, vessazioni e persino rifiuto di prolungare i contratti di lavoro a tempo determinato e licenziamento» 3 .

Eppure no. Al contrario, il Parlamento europeo è arrivato a proporre di elimi-nare qualsiasi menzione della parola sesso, rimpiazzata con la parola genere . La vicepresidente della FAFCE, Angelika Weichsel Mitterrutzner, subito dopo il voto in Parlamento, aveva protestato, chiedendosi in un comunicato stampa: «Se l'obiettivo di questa direttiva è combattere il divario retributivo di genere tra uomini e donne, che tipo di protezione attueranno queste misure se non si fa menzione delle donne?» 4 . Sotto attacco non è soltanto la maternità, ma la stessa differenziazione sessuale e, quindi, l’essere donna e l’essere uomo. L’essere padre e l’essere madre. In sede di negoziati interistituzionali, tali derive sono state rifiutate grazie anche al senso pratico degli Stati Membri, ma il testo adottato fa comunque riferimento al fatto che «in alcuni Stati membri è attualmente possibile registrarsi legalmente come appartenenti a un terzo genere, spesso neutro», affermando che la direttiva lascia «impregiudicate le pertinenti norme nazionali che danno attuazione a tale riconoscimento in materia di occupazione e retribuzione».

La Costituzione ungherese, nella sua versione più recente, rappresenta invece un esempio di reazione positiva alla concretezza del genderismo. Nel dicembre 2020, il Parlamento ha infatti adottato il 9° emendamento costituzionale, che afferma che «la madre è donna» e che «il padre è uomo». Una precisazione che avrebbe fatto sorridere alcuni anni fa, ma che oggi appare quanto mai opportuna.

1. Termine già attestato in La Repubblica del 25 luglio 1995, p. 9, Mondo (Vittorio Zambardino). Cfr. treccani.it/enciclopedia/genderismo

2. Cf. Damian Grimshaw e Jill Rubery, The motherhood pay gap: A review of the issues, theory and international evidence, Organizzazione Internazionale del Lavoro, Ginevra, 2015.

3. FAFCE – New Women for Europe, White paper on Protecting Women from Maternal Mobbing, Bruxelles, 2021.

4. FAFCE, Comunicato stampa, Strasburgo, 6 aprile 2022, https://www.fafce.org/press-release-the-european-parliament-asks-toreplace-sex-by-gender-in-a-directive-on-pay-transparency/

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