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La maternità in una culla per la vita

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Il cuore che batte

Il cuore che batte

Alcuni fatti di cronaca avvenuti di recente e portati con giusto rilievo a conoscenza di un’opinione pubblica incuriosita e impressionata, quando nella “culla per la vita” della Clinica Mangiagalli di Milano è stato trovato un bimbo di pochi giorni, e poi quando una madre senzatetto ha portato in ospedale, per lasciarlo lì, il figlio partorito in un capannone, e poi ancora quando un neonato è stato trovato morto sul coperchio di un contenitore di abiti gettati, hanno messo in cuore tre diverse emozioni. Una di gioia, una di dolore, una di responsabile inquietudine. La gioia, per prima. La culla per la vita è stata l’approdo di salvezza per la vita di un bimbo. Senza quel varco di soccorso immediato e segreto nessuno può dire quale sarebbe stato il suo destino. Così invece è stato accolto, salvato, amato. Gli hanno messo nome Enea, quasi profugo avventuroso da una patria d’origine perduta per toccare il lido di una patria adottiva. Scampato al naufragio dell’aborto e alla tragedia del cassonetto.

Ma un’altra emozione si accompagna alla gioia: è la screzia di dolore al pensiero di ciò che dev’esser passato nel cuore della madre al distacco dal figlio partorito. Non un rifiuto, anzi un gesto d’amore estremo, un’invocazione ultima d’affido, appunto il segno d’un amore stremato, di un soccorso invocato, di una lacerazione della vita. E dunque il dolore che lascia intuire una solitudine che supera le forze, come accaduto per quella mamma senzatetto che ha dato alla luce la sua creatura in un capannone. Eppure si può partorire in ospedale con totale assistenza e in modo segreto. Lo dice la legge, a valere per ogni donna che non possa o non voglia esser madre d’anagrafe. Anche questo esito è posto come rimedio a scongiurare disperate derive. Conoscerne la possibilità e divulgarne la conoscenza può mettere in salvo la vita dai rischi di scelte sconfitte. La terza emozione è che dopo aver benedetto le culle e chi le promuove (una preziosa documentazione si trova nel bel libro Culle per la Vita di Rosa Rao) ci si chiede se la promessa di “proteggere la maternità” scritta nella Costituzione non chieda forse qualche attenzione e provvidenza d’aiuto più tempestivo per le mamme che attraversano simili drammi.

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Se la ragione del ricorso alla culla della vita è lo stento di vita della madre, come un tempo meno prospero del nostro accadeva presso le ruote dei conventi, con lettere e medaglie spezzate a confidare l’impotente dolore, quel che ancora manca alla civiltà progredita è l’aiuto totale alla vita, figlio e madre. La nuova vita sbocciata non è solo storia individuale, è storia sociale, appartiene all’intero villaggio. Il diritto dice solidarietà, la psicologia aggiunge un’emozione di “tenerezza responsabile”. Una madre che cerca un futuro meno sventurato per la sua creatura, a costo di separarsene, interpella l’intero villaggio. Ma è il presente che va salvato, la risposta che aiuta la vita non dovrebbe essere postuma, ma precoce e costante.

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