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Madri felici, non equilibriste La fotografia della maternità in Italia nel rapporto di Save the Children

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Il cuore che batte

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L'AUDIO

di Giovanna Abbagnara

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Come stanno le giovani mamme italiane? Questa la domanda che guida l’indagine di Save the Children. E la risposta non è rassicurante. Tuttavia, tra le molte ombre generate dalle difficoltà pratiche, va cercata la promessa di felicità e bellezza che ogni nuova vita porta con sé per la mamma che la accoglie e per tutta la vita sociale che ne è arricchita.

«Ad una settimana di rientro dalla maternità, il mio datore di lavoro, lo stesso che mi aveva assicurato che il mio posto non era assolutamente in pericolo, mi ha comunicato di non aver più bisogno della mia collaborazione in studio», dice Serena da Milano. «All’età di tre anni e tre mesi di mio figlio, ho avuto la sua diagnosi di autismo. Ho dovuto iniziare con lui il percorso intensivo di presa in carico e di terapie che non mi permettevano assolutamente di lavorare. Tra l’altro i supporti e i servizi sono davvero pochi», dice Martina da Roma. Sono solo due delle tante storie che si nascondono dietro i numeri dell’Ottavo Rapporto Le Equilibriste - La maternità in Italia 2023 dell’organizzazione Save the Children .

Il Rapporto si apre con il nuovo record negativo registrato dall’Istat, solo 392.598 nati (-1,9%) individuando la pandemia come uno dei propulsori principali del calo delle nascite.

Al di là dei numeri, come si sentono le mamme italiane? Non comprese, sole e continuamente in corsa per destreggiarsi tra figli e impieghi precari spesso mal pagati. Una donna su due non si è sentita accudita sul piano emotivo/psicologico al momento del parto in ospedale e tornata a casa è la cerchia familiare (partner e parenti) che si è occupata maggiormente della delicatissima fase post partum. Alle mamme, inoltre, è affidata maggiormente la cura del figlio/a: 16 ore contro le 7 dei papà. Il 40% delle mamme intervistate fatica a ritagliarsi del tempo per sé e riporta anche vissuti di crisi o conflittualità nella coppia dopo la nascita del figlio/a.

Pesano anche, e molto, sulla maternità le differenze geografiche: nel Mezzogiorno l’occupazione delle donne con figli si arena al 39,7%, contro il 71,5% del Nord. Tra le regioni più “amiche delle mamme”, spiccano ai primi posti dell’Indice delle Madri (elaborato dall’Istat per Save the Children che misura, attraverso 11 indicatori, la condizione delle mamme rispetto alle tre diverse dimensioni della cura, del lavoro e dei servizi) la Provincia Autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta. Fanalino di coda sono le regioni Basilicata, Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, scontando una strutturale carenza di servizi e lavoro nei propri territori, a testimonianza di un investimento strategico che dovrebbe essere realizzato in queste regioni.

Il quadro che si delinea è desolante, l’emergenza natalità rischia di affondare tutto rappresentando non solo un problema sociale ma un vero e profondo cambiamento della grammatica delle relazioni familiari. È sufficiente leggere il lungo Rapporto per accorgersi di quanto sia fondamentale cambiare rotta nei prossimi anni e rimettere al centro la maternità. A cominciare dall’ordine della narrazione, da disperante a sperante . Invertire la tendenza, significa accogliere ciò che Papa Francesco ha chiesto intervenendo agli Stati Generali della Natalità lo scorso 12 maggio: « sostenere la felicità , specialmente quella dei giovani, perché quando siamo tristi ci difendiamo, ci chiudiamo e percepiamo tutto come una minaccia». La maternità è un’esperienza di felicità perché in questa dimensione la donna può dischiudersi e vivere in pienezza la sua vocazione. Il Rapporto mette in evidenza tutti i limiti strutturali, fiscali, economici di sostegno alla maternità che, se superati attraverso riforme e politiche adeguate, possono certamente contribuire ad aiutare le donne a vivere questa dimensione essenziale del loro posto nel mondo. Ma non basta. I numeri ci indicano che in presenza di una stabilità nel lavoro e con un buon welfare familiare, le donne fanno più figli. Però non sempre è così: paradossalmente in regioni con meno servizi le donne sono più generative biologicamente. Il problema non è dunque solo economico ma soprattutto culturale. Se non si interviene anche su questo fronte è difficile passare dalle analisi alla sintesi. Un buon inizio è cercare il bene. Allenarsi ad una narrazione che si impegni a far venire fuori i semi di vita tra le maglie di una realtà sconfortante. Ho dunque cercato con la lente di ingrandimento della speranza quelle piccole luci disseminate nel Rapporto sulla Maternità presentato da Save the Children . Ne ho trovati almeno tre degni di nota.

Il lavoro di cura delle donne , sia per attività dirette come allattare un figlio o prendersi cura di un partner ammalato, sia per attività indirette come cucinare e pulire, è non solo assai prezioso per la crescita dei figli ma ha anche una valenza economica tanto che si discute sull’equivalenza in termini di importanza rispetto al lavoro retribuito. Questo aspetto proprio delle donne andrebbe maggiormente valorizzato come una vera ricchezza e non come un condizionamento culturale e sociale. La donna non dovrebbe essere costretta a scegliere di rinunciare al lavoro di cura per mancanza di servizi o di problematiche legate all’azienda e di organizzazione del lavoro. È importante dare a questo aspetto la sua assoluta peculiarità. Una madre mentre cura, nutre, accudisce un figlio, rigenera anche il tessuto sociale con quella capacità propria di generare relazioni profonde e feconde.

Una più soddisfacente resa lavorativa .

Il Rapporto afferma che tra le mamme che lavoravano prima del parto, il 28% dichiara di aver lasciato la propria occupazione, il 17% di aver ridimensionato le proprie possibilità di carriera, il 27% di essere passata al part-time per un periodo o definitivamente. Nel 5% dei casi il neonato ha portato una promozione e per una mamma su cinque l’arrivo di un figlio ha permesso di riorganizzare al meglio il lavoro. Eppure, 7 mamme su 10 sono abbastanza soddisfatte della propria vita lavorativa dopo la nascita dei figli. Come leggiamo questo dato? La maternità non è un ostacolo alla carriera, anzi, sviluppa nella donna tante abilità umane di cui fanno tesoro nel lavoro, potenziando la creatività, la pazienza e lo sguardo sugli altri. Porta più felicità anche nel mondo del lavoro.

La riscoperta della paternità. «Molte persone mi dicevano “Tanto i papà fino a due anni di età non esistono per i figli”, invece io ho potuto sperimentare che non è così. A volte qualcuno mi dice, “Ah ti sei messo a fare il mammo!”. Ed io rispondo: “No, faccio il babbo”»: è una delle storie riportate nel Rapporto. Secondo i dati, è vero che c’è ancora una forte disparità tra i papà e le mamme sul fronte del lavoro, anzi addirittura si evidenzia che una volta diventati padri, aumenta l’impegno degli uomini nel lavoro retribuito proprio perché si sente maggiormente la responsabilità di sostegno e protezione. Ma c’è anche un trend di crescita legato a scelte lavorative dei padri che richiamano l’esigenza di bilanciare meglio e di più la vita familiare con quella lavorativa. Sono molto più presenti, più accudenti, più inclini alla collaborazione, giocano di più con i figli. I congedi parentali degli uomini e di paternità sono raddoppiati dal 2013 al 2021 e questo mette in luce la necessità di rafforzare l’unità di coppia nell’ottica della genitorialità che di conseguenza rafforzerebbe di molto la maternità. In conclusione, il Rapporto evidenzia molto la necessità di adoperarsi per “conciliare” famiglia e lavoro. Meglio sarebbe approfondire e realizzare una “integrazione” piuttosto che una conciliazione tra le due dimensioni, che si trovano entrambe nel cuore e nell’identità della donna. Anche il linguaggio è espressione di un cambiamento che, se vissuto rispettando il proprium della maternità, non può che portare bellezza e fecondità in molti ambiti della vita sociale e familiare.

il Rapporto

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