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Imprese in rosa
Donne in campo
Il ruolo della donna in agricoltura è profondamente cambiato nel corso degli anni. Tanto si è fatto e molto c’è ancora da fare per avvicinare le donne a questo settore ancora prevalentemente maschile, probabilmente a causa della forza fisica che esso richiede. Ma la presenza delle donne nei campi, ormai giunti al 2021, è tangibile e, sempre di più, molte di loro decidono aprire un’azienda agricola o guidano un’impresa agroalimentare, scegliendo di dedicarsi ad una vita green. Sono donne tenaci, che con la loro forza si fanno spazio in uno dei comparti che in Italia registra la più alta percentuale di occupazione femminile. Sono innovatrici instancabili, capaci di coniugare crescita produttiva e tutela di biodiversità e tradizione. Per questo abbiamo scelto di raccontarvi le storie di alcune socie della cantina Colle Moro, svelarvi le loro esperienze che nascono e si intrecciano sullo stesso territorio, quello frentano. Sono Valentina Tupone, Silvana Iezzi e Dionina Tortella, quest’ultima facente parte anche del nuovo Consiglio di Amministrazione della Cantina Colle Moro insieme a Rosanna Iasci. Quote rosa anche nel rinnovato Consiglio Sindacale, la cui Presidente è la dott.ssa Anna Di Campli, affiancata dalla dott. ssa Simona Fontana, una delle componenti dell’organo. Attraverso i loro racconti vogliamo rendere omaggio a tutte le donne che sorreggono quotidianamente la cantina Colle Moro: socie, amministratrici e dipendenti, premiare la loro forza ed incoraggiarne altre ad investire in questa realtà.
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Dionina Tortella
Raccontaci un po’ la tua storia e come hai deciso di dedicarti a questo settore?
«Ho iniziato a lavorare in questo settore circa 40 anni fa, quando mi sono fidanzata. Poi mi sono sposata e ho proseguito. Mio marito lavorava in campagna ed io lo aiutavo. Quando
lui è venuto a mancare, circa 8 anni fa, ho deciso di non abbandonare tutto il lavoro fatto insieme e mi sono ritrovata così a gestire da sola un’azienda agricola di 10 ettari nel territorio di Frisa, di cui 8 coltivati a vigneto e 2 a uliveto. Spesso mi aiutano delle persone nella potatura e durante la vendemmia. Nel tempo, sono diventata autonoma in molte delle attività da svolgere e ho provveduto ad acquisire anche il patentino per la somministrazione dei prodotti fitosanitari».
Quali sono i principi e i valori che ti esortano ad andare avanti?
«Per una donna gestire un’attività di questo genere non è affatto facile, mi è capitato di trascorrere anche 13 ore in una giornata sul trattore. Dal punto di vista fisico è un lavoro pesante, però mi piace molto e riesco ad organizzarlo. Sono una persona attiva e non me la sono sentita di abbandonare l’azienda di famiglia per trovare un altro lavoro. Mi definisco un’amante della natura, mi piace stare all’aria aperta. Di questo lavoro mi piace il fatto di non essere vincolata da orari prestabiliti e gestisco le attività da svolgere in base ai miei impegni quotidiani. Certo, durante l’anno ci sono periodi più impegnativi di altri: il lavoro maggiore, ad esempio, va da aprile a luglio; a fine agosto inizio la vendemmia sperando che il tempo sia buono e che i trattamenti siano stati appropriati. Ho imparato i vari segreti del mestiere nel corso del tempo. Esistono molti lavori pesanti e occuparsi della campagna è uno di questi; non è facile, ma se piace e lo si fa con amore e con un certo spirito si va avanti».
Quali sono le difficoltà che si incontrano quotidianamente?
«Le difficoltà maggiori le incontro soprattutto quando c’è bisogno di effettuare la manutenzione dei mezzi agricoli, spesso ho bisogno di un supporto per sganciare i rimorchi. In generale, è problematico occuparmi della gestione dei macchinari e trovo faticoso piantare pali di cemento nel terreno per cui sono costretta, mio malgrado, a chiedere aiuto».
Cosa si potrebbe fare per accrescere il numero di donne a lavorare nel settore agricolo?
«Le donne in questo settore ci sono e molte collaborano nelle imprese di famiglia facendo però lavori che richiedono meno forza fisica: come raccogliere l’uva durante la vendemmia o i ceppi durante la potatura delle viti. Occuparsi della campagna richiede molto tempo, le ore di lavoro sono tante e si è condizionati dal tempo, dall’andamento delle stagioni e dal cambiamento climatico. È difficile fare delle previsioni e capita a volte di non guadagnare quello che ci si aspetta. Bisogna sperare che il mercato del vino e dell’olio vada bene altrimenti si è costretti a tirare la cinghia. Non mi è mai capitato di prendere delle agevolazioni e comunque sono rivolte a donne giovani sotto i 30 anni. In cantina sono iscritta come socia da una ventina di anni, nel passato sono stata anche vicepresidente, mentre in quest’ultimo mandato ho la delega nel gestire i rapporti tra i soci e l’agronomo. Il mio compito è quello di incentivare i soci a collaborare con il nostro agronomo in modo che seguano sempre di più dei protocolli di lavorazione dei vigneti, dalle concimazioni, ai trattamenti, alle potature per ottenere uve con caratteristiche migliori. Consiglierei sicuramente questo lavoro alle donne: è un lavoro che si può fare e gestire, è bello se ci si crede, se piace e lo si fa con amore».

Valentina Tupone
Raccontaci un po’ la tua storia e come hai deciso di dedicarti a questo settore?
«È iniziato tutto tanti anni fa, quando durante il periodo di raccolta delle olive andavo ad aiutare il mio futuro marito per trascorre del tempo con lui. Mi ero appena diplomata in ragioneria e non avevo ancora chiaro il mio percorso lavorativo. Poi ci siamo sposati e mi sono trasferita a Torre Sansone. Inizialmente, l’impresa agricola era di mia suocera, a sua volta ereditata, e quando una decina di anni fa lei è andata in pensione l’azienda di famiglia è stata intestata a me. Venendo da Lanciano e non avendo mai avuto possedimenti terrieri il mondo agricolo era per me sconosciuto. Ricordo che la strada di Torre Sansone la percorrevo con mio nonno solo per andare al mare o per andare in cantina a comprare il vino. Non mi sono posta limiti e ho iniziato a fare un lavoro completamente diverso da quello che mi aspettavo, grazie al sostegno di mio marito. Con il passare del tempo è diventata una cosa che mi è piaciuta sempre di più. Non volevo essere solo un nome di riferimento per l’attività ma protagonista e partecipe. Oggi c’è molta burocrazia da seguire e spesso mi ritrovo a vagare per uffici. Ho imparato, dopo diversi anni, a identificare un pezzo di terra sulla cartina, ho trovato il mio metodo per studiarle e capirle. È un ambiente bello perché si da valore alle persone sul campo, c’è molta meritocrazia, si riconosce il lavoro dell’altro anche tra colleghi imprenditori. Alle assemblee i primi anni andavano mio suocero e mio marito ma ora vado tempo sono riuscita a farmi accettare e conoscere. Pochi si buttano a fare questa vita, molto dettata dai ritmi della natura. Alcune lavorazioni biso-

io, mi sono fatta spiegare tutto. È un lavoro ancora molto maschile: la maggior parte dei titolari di aziende agricole sono uomini. La presenza femminile c’è sempre stata, anche tra le generazioni passate; le donne sono state una grandissima forza-lavoro, ma nascosta, che ha lavorato nell’ombra e sacrificato tanto, forse più degli uomini. Quello che bisognerebbe fare è, a parte dare nuova linfa al settore dell’agricoltura con la creazione di aziende femminili, uscire allo scoperto ed essere imprenditrici in prima linea. Ancor oggi, il lavoro che la donna compie è molto invisibile per la società. Io con il gna farle in un determinato periodo dell’anno perché poi non si può più. Tutto si chiude con il raccolto. Sono 12 mesi di lavoro finalizzati alla settimana della vendemmia. Sono contenta di vivere in campagna all’aria aperta. Questo stile di vita è stato molto rivalutato, in particolar modo in seguito al lockdown, ed è diventato quasi un privilegio vivere così. È un modo bellissimo di poter crescere i figli. Questo lavoro richiede sia impegno fisico che mentale, bisogna sapere cosa fare e quando farlo. Ormai, sono una ventina di anni che vado in campagna, più si va avanti e più l’agricoltura si fa moderna, il clima cam-
bia e diventa una sfida: ci ritroviamo a correre dietro ai cambiamenti climatici. Appena crescono i ragazzi mi piacerebbe studiare meglio questo settore, mi appassiona
Quali sono i principi e i valori che ti esortano ad andare avanti?
«Ho scoperto molta tradizione in questo settore, le famiglie sono numerosissime, c’è molta

sentire gli anziani che raccontano come si facevano alcune cose una volta. Agli incontri noi donne ci individualizziamo subito e scatta immediatamente quel sentimento di solidarietà. Ho fatto il corso di primo insediamento di imprenditore agricolo previsto dal Piano di Sviluppo Rurale e ottenuto il patentino per il trattamento di prodotti fitosanitari. Mi piace stare in regola con tutto, un’azienda deve essere condotta in maniera responsabile, mi sono riseduta al banco dopo anni con il quaderno e la penna, erano dei corsi serali. Ho iniziato per amore, poi è diventata passione e poi lavoro. È stato un percorso naturale, basta un po’ di curiosità e nessun pregiudizio sul mondo agricolo». voglia di aiutarsi, sono riuscita a decifrare con il tempo le varie parentele, era comico che gli altri sapessero chi fossi mentre io non li riconoscevo. Per alcune occasioni, come quelle religiose, ci si riunisce per fare dolci, specie in occasioni di matrimoni o del Natale. C’è molta aggregazione famigliare, la famiglia e le tradizioni sono al centro di tutto. Nella stalla ci sono ancora attrezzi vecchi appesi, c’è un attaccamento molto forte al passato e alle storie antiche. Ho riscontrato una fedeltà alla famiglia e alla terra incredibile, forse neanche io vorrei che un domani ci fosse qualcuno che mi dicesse non lo fare più, qui è difficile per gli anziani lasciare la terra, loro la curano fino allo stremo delle proprie forze. Alla fine della giornata lavorativa sono soddisfatta e capisco di aver preso la strada giusta. Il lavoro fisico a volte ti può far cedere anche mentalmente e ti può far mollare, forse non è per tutti».
Quali sono le difficoltà che si incontrano quotidianamente?
«I primi anni ero distrutta, poi l’esperienza ti aiuta a dosare la forza, la mia altezza mi ostacola un po’ perché sono alta 1.45 m.. Sono entrata in quest’ambiente in punta di piedi, prima davo solo una mano, poi ho iniziato a gestire tutto, non mi sono preclusa nessun tipo di attività, solo non guido il trattore. Il mio lavoro mi viene riconosciuto da tutti quelli che mi conoscono. Gli anziani, che in questo settore hanno più esperienza, hanno testato il mio “far serio” sulla faccenda e pian piano penso di essere riuscita ad entrare nei loro cuori, con il tempo uno alla volta me li sono conquistati facendo soltanto il mio lavoro. Si tratta di un lavoro che a livello fisico richiede molto impegno, in particolare durante la raccolta e la potatura verde delle viti. Le donne poi hanno diversi ruoli, hanno sempre il triplo delle incombenze tra la casa, la famiglia e il lavoro. Solo con il tempo viene riconosciuto il lavoro che una persona fa, meritandolo sul campo e rimboccandosi le maniche».
Cosa si potrebbe fare per accrescere il numero di donne a lavorare nel settore agricolo?
«Penso che in un Paese l’agricoltura sia alla base di tutto; il mercato è cambiato in seguito al progresso e oggi c’è molto spazio anche per le donne. Loro hanno un modo diverso di prendere le decisioni che potrebbe fare la differenza. Tra i soci anziani c’è molta paura del cambiamento, basti pensare che pochissimi di loro usano la posta elettronica. Consiglierei sicuramente ad altre donne di intraprendere questo lavoro ma occorrerebbe più informazione su come diventare imprenditrici agricole. Forse ci sono alcuni comparti più indicati per le donne, come la coltivazione di erbe aromatiche o prodotti naturali utilizzati oggi da molte aziende per la composizione di cosmetici, prodotti di bellezza e per la cura del corpo. Siamo tornati al bio non solo nel settore agroalimentare. Certo il settore vitivinicolo e olivicolo è forse uno dei più duri per le donne, io sono cambiata tantissimo. Ci vuole anche un po’ di spirito di volontà e basta saperla prendere nel verso giusto questa vita. Il contatto con la natura del resto è impagabile e mi piace raccogliere i frutti del mio lavoro. È una dimensione di vita che dà tanto. Ci sono molti sacrifici da fare, bisogna sporcarsi le mani e seguire il ritmo della natura, la tua vita è condizionata da esso. Ma poi quando arriva la vendemmia si raccolgo i frutti del lavoro di tutto l’anno e qui in zona è una festa di trattori, si mangia e si beve insieme per incontrarsi a fine giornata in cantina, dandoci la forza a vicenda per ricominciare il giorno dopo. La mia azienda è composta da circa 4 ettari di terra coltivati a vigneto e 2 a uliveto. In questi ultimi 10 anni abbiamo rimpiantato vigneti nuovi e vari per diversificare i profitti e i tempi del raccolto. Prima avevamo solo il Trebbiamo ora anche Chardonnay e Pinot grigio. Abbiamo intrapreso un percorso di lotta integrata delle colture e utilizziamo prodotti fitosanitari poco impattanti sulla natura, grazie alla preziosa collaborazione dell’agronomo della cantina. Sono 12 anni che ho preso in mano l’azienda e la sto migliorando attraverso l’acquisto di nuove attrezzature e la messa a norma di molte cose. Nel settore vinicolo occorre un forte ricambio generazionale per poter attuare un investimenti perché non vedono un futuro nelle nuove generazioni, se si calcola che l’età produttiva di un nuovo vigneto è di 20-25 anni. Spero che i fondi europei possano muovere le persone giovani e che la cantina possa superare questo duro periodo economico grazie alla sua presenza in diverse tipologie di mercato, oggi sempre più instabile e vulnerabile. Bisogna essere aperti a vari fronti. Devo ringraziare i miei suoceri e mio marito per la fiducia che mi hanno dato e per tutto quello che mi hanno insegnato e mi stanno ancora insegnando, è un percorso che facciamo tutti in famiglia. Si lega ancora la trasandatezza alla figura delle donne nel settore agricolo, ma oggi non è più così. Noi donne siamo tante cose: siamo brave ad

cambio di marcia. Molti soci tra i 60 e gli 80 anni sono restii a rimpiantare nuovi vitigni o hanno paura ad effettuare essere 100 mila cose e a farne 10 mila. Se piace una cosa le donne trovano una soluzione a tutto».
Silvana Iezzi
Raccontaci un po’ la tua storia e come hai deciso di dedicarti a questo settore?
«L’azienda agricola la possiedo dal 2004, da quando mia madre è andata in pensione, ma ho iniziato questo lavoro nel 1990. All’epoca la mentalità era molto diversa, questo è un lavoro che è sempre stato per antonomasia maschile, le donne non erano ben viste. Io ero giovanissima, avevo 20 anni e avendo alle spalle una famiglia che si occupava di questo settore ho sempre aiutato. Frequentavo l’università ai cambiamenti ed ho imparato ad amarlo e a svolgerlo con passione questo lavoro. All’inizio era molto difficile praticarlo, occorrendo molta forza fisica. Ancora oggi sono ostinata ad andare avanti e mettermi alla prova. Gli anni non si somigliano, ogni anno è una sfida nuova, ci sono delle variabili notevoli che influenzano le varie attività. La mia è una piccola azienda nel comune di San Vito Chietino di circa 4 ettari, di cui 2 ettari e mezzo a coltivati a vigneto ed il resto a oliveto. Ho dei terreni

ed ero indirizzata verso un altro mondo, ma la morte di mio padre ha stravolto le nostre vite e ho deciso così di intraprendere questa strada ed occuparmi dell’azienda di famiglia. Non era proprio la vita che volevo, ma sono sempre stata pronta che non si prestano a diverse tipologie di uva, per questo coltivo solo Trebbiamo e Merlot. La mia famiglia è socia della cantina dal 1980, prima lo era mio nonno, poi mia madre ed ora io».
Quali sono i principi e i valori che ti esortano ad andare avanti?
«Non so da dove traggo la forza di ricominciare a lavorare per un altro anno, poi arriva il momento del raccolto e significa che ce l’ho fatta, ci si deve prefiggere delle mete e degli scopi, molto deve essere anche dettato dal cuore, quando si ha la passione le decisione da prendere si sentono. L’attaccamento alle tradizioni proviene dall’educazione che si è ricevuti».
Quali sono le difficoltà che si incontrano quotidianamente?
«Quando ho iniziato mi sentivo un po’ fuori luogo, le donne non prendevano decisioni, non era facile trovare una donna che organizzava la raccolta dell’uva. Ricordo a proposito un brutto episodio che mi è capitato anni fa: una persona proveniente dall’estero si è rifiutata di lavorare per me in quanto donna. Saltuariamente mi aiutano mio figlio, quando è libero dagli impegni universitari, e mio marito. Per lui questo lavoro è stata una scoperta perché non proviene da una famiglia contadina e svolge un altro impiego, è meccanico e si occupa soprattutto della manutenzione dei mezzi agricoli».
Cosa si potrebbe fare per accrescere il numero di donne a lavorare nel settore agricolo?
«Giorni fa vedevo una trasmis-

sione che parlava di nuovi investimenti in agricoltura, penso che se adeguatamente supportate ci sono delle attività che le donne possono fare più facilmente. I progetti ecosostenibili oggi vanno per la maggiore. Dalla coltivazione delle ginestre, ad esempio, è possibile ricavare fibre tessili e creare vestiti, realizzando mobili con gli scarti. Anche la nostra cantina potrebbe investire nella diversificazione, lasciando sempre al centro la produzione di vino, ma reinventandosi ed affacciandosi ad altri mercati. Diversificare gli investimenti significa rimanere competitivi e sempre sul mercato. Il ricambio generazionale è fondamentale, i giovani hanno sempre quell’entusiasmo che li spinge ad andare avanti, possono vedere oltre quello che vedo io. Di ragazzi se ne vedono pochi in questo settore perché loro non vedono un reale guadagno, va bene la passione ma il lavoro deve essere remunerato, inoltre si tratta di un impiego in cui l’attesa conta molto e ai giovani non piace aspettare e questo è un altro punto che depone a sfavore dell’ingresso delle giovani generazioni. Occorre un sostegno delle istituzioni per intraprendere questo lavoro e spesso non ci si sente opportunamente tutelati. Noi donne siamo un po’ più precise nel fare il nostro lavoro. Mi piace sempre rendermi conto di quello che succede, non mi accontento, voglio sempre capire quello che sta succedendo. La passione dovrebbe animare tutte le persone che lavorano, perché l’attività svolta in maniera sterile non porta frutto, non bisogna accontentarsi ma andare oltre, se non altro provarci».
