Libro ormeggiatori ravenna

Ormeggiatori di Ravenna

Presidio di sicurezza

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Realizzazione

Realizzato per

Axia editrice Scarl, viale Giulio Cesare, 71 - 00192 Roma

Gruppo ormeggiatori del Porto di Ravenna

mail: axia@axiaonline.it

Via Fabbrica Vecchia, 5 - 48122 - Marina di Ravenna

Amministratore unico Anna Lucia Visca

mail: info@ormeggira.it

Coordinamento progetto e contenuti

In copertina

Marina Viola

Porto di Classe presso la basilica di Sant’Apollinare Nuovo (Ravenna)

Progetto grafico, ricerca iconografica e foto Claudia Giorgini

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Su concessione SABAP-RA - MiBACT - Italia è vietata ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo

indice Prefazione. DALLA NICCHIA AL FUTURO

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Il ricordo di Eddio

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In memoria di Filippo Rossano

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Introduzione. Quei limiti da superare

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Cronologia

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Imparare a proteggere se stessi. Come eravamo

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I doveri istituzionali di sicurezza. Al servizio del porto

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Stare sempre un passo avanti. La formazione

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Sempre pronti a intervenire. Presidio in porto

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Essere parte del tutto. La Cooperativa

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Prefazione

Dalla nicchia al futuro l compito che mi è stato affidato, scrivere la prefazione del volume di presentazione degli ormeggiatori di Ravenna, assume in me caratteristiche del tutto particolari. Dal lontano 1985, anno in cui sono entrato nel Gruppo con Arnaldo Bongiovanni e Paolo Sirotti, un numero incredibile di cose è cambiato: nel mondo, nel Paese, nei porti, nel costume, nel sociale, nel rapporto tra gli Stati, tra lo Stato e i cittadini. Il mondo è diventato sempre più tecnico e la tecnica ha assunto sempre più un aspetto fondamentale e condizionante delle nostre vite. La velocità con cui questa ha contribuito e contribuisce a trasformare il mondo della produzione e le forme di vita associata portano sempre più

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a misurarci con le conseguenze che si riflettono sul piano sociale, economico e culturale.

E il Gruppo come ha reagito di fronte a tali, epocali, mutamenti?

Occorre innanzitutto premettere che nel settore marittimo si è avuto un continuo aumento dimensionale delle navi e specializzazione per tipo di carico. È noto che tale processo ha comportato una rapida evoluzione navale. L’automazione introdotta sulle navi è stata estesa in ogni comparto, dalle motrici principali ai sistemi di carico e scarico ma, soprattutto, per quel che ci riguarda, ai sistemi di navigazione e conduzione/gestione della manovra. Tutto questo, oltre che comportare una modifica della preparazione degli equi-

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paggi determinando, peraltro, una rilevante riduzione delle tabelle di armamento, ha imposto una conseguente diversificazione e specializzazione dei servizi offerti a terra: organizzazione del lavoro più efficiente, versatile e qualificata.

Ora tante sono le cose e i fatti che si addensano nella mia mente. Posso dire che in quegli anni – entrati in una realtà chiusa, corporativa, rissosa, lacerata al suo interno – individuare un percorso, tale da favorire un processo di sviluppo adeguato alle evoluzioni in atto nello shipping e nei porti, richiedeva un modo di pensare e un atteggiamento anticonformista da “maneggiare” con cura se volevamo, con il contributo di tutti, intraprendere azioni proattive a favore di una funzione più incisiva che il Gruppo doveva svolgere.

La verità, ora come allora, è che proporre nuovi assetti diventa impopolare perché impone cambiamenti. E cambiare il modo in cui si era abituati a lavorare e vivere esige sacrifici che nessuno vorrebbe pagare. Ci dovevamo, quindi, liberare, con le dovute cautele e la giusta aggregazione, dai retaggi atavici che frenavano la nostra azione di fronte al nuovo contesto politico, economico, produttivo, sociale.

Retaggi di un rapporto conformistico e omologante non potevano più essere tollerati anche se caratterizzavano il modo di pensare e di agire di molti colleghi.

Occorreva, pertanto, e innanzitutto, uscire dalla nostra nicchia ancora intrisa, come detto, di deleterie incrostazioni corporative che ci rendevano avulsi ai cambiamenti che, in generale, avanzavano in modo sempre più aggressivo rendendoci, fatto ancor più grave, semplici e inermi spettatori di processi sui quali non avevamo la minima voce in capitolo.

Con la dovuta cautela che tale innovazione anche culturale imponeva, posso ricordare tre fatti importanti, per quei tempi. Diedero un evidente segno di un cambio di passo dell’intero Gruppo: I) Da un lato fare conoscere gli ormeg-

giatori e la loro funzione; pur essendo un piccolo segmento nel ciclo del trasporto, garantivano, con una prestazione professionale, competenza, sicurezza, stabilità e certezza alla manovra della nave in spazi ristretti e congestionati; II) Ancora prigionieri di un regime di vincoli - la “foresta pietrificata” del sistema di ormeggio – che caratterizzava il nostro modo di pensare e agire, c’era da evitare qualsiasi atteggiamento che poteva ricondursi a illogici privilegi o addirittura a “sacche di protezione” che mortificavano il modello, la funzione e il nostro livello professionale; III) Si è ritenuto, infine, opportuno sviluppare nuovi e importanti momenti di confronto con tutti i disponibili a rendere sempre più operativo e sicuro il porto di Ravenna e, soprattutto, offrire una nostra fattiva collaborazione con chi aveva come Stella Polare lo sviluppo del porto.

Penso, fra molti episodi, in primo luogo a tre: - realizzazione della m/b Candiano, adibita alle operazioni al pontile off-shore Sone, e la conseguente inaugurazione pubblica alla presenza di tutte le autorità cittadine. Si trattava di iniziativa nuova e anomala per la nostra realtà. Nuova in quanto è stata la prima manifestazione del genere e

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anomala perché nel porto di Ravenna si era sempre parlato dei problemi riguardanti in generale l’attività economica, il lavoro portuale, ma mai degli ormeggiatori che da anni operavano in silenzio, senza fare notizia, giorno dopo giorno, per garantire alla nave e alla intera comunità portuale il servizio richiesto; - “questione” supply vessel, dove di fatto si supera un atteggiamento di privilegio non conforme alla nostra funzione nel porto, regolarizzando un’attività che imponeva la presenza e l’azione degli ormeggiatori a favore dell’erogazione di un servizio operante h24, tutti i giorni dell’anno.

L’attività ai supply comportò un maggiore e defaticante impegno. Infatti per tali unità, per le quali non era necessaria la presenza a bordo ma la sola l’assistenza Vhf del pilota, non era prevista una preventiva ed efficiente programmazione per cui il servizio da garantire, in tempi a volte strettissimi, richiedeva tempestività di risposta. Tutto questo, assieme a una ripresa dell’attività off-shore, palesava un sottodimensionamento del nostro organico che nel giro di poco tempo vede la pianta alzarsi a 28 unità (entrano, infatti, Eddio, Dover, Sergio e, l’anno successivo. Filippo);

- elaborazione del primo studio sulle banchine: limiti e punti di forza. L’indagine mette a fuoco le caratteristiche costruttive e la necessaria manutenzione alle bitte, parabordi, bottazzi nonché le difficoltà operative cagionate dalla presenza di stretti muretti (es. ex banchine Sarom e Soja) e bitte “fuori sede”. Evidenzia, inoltre, che, di norma, la pulizia di alcune banchine non veniva effettuata al termine delle operazioni di carico/scarico della nave comportando, in alcuni casi, oggettivi rischi all’incolumità fisica degli ormeggiatori. Rileva altresì che alcune scalette di risalita risultavano senza i pioli e, inoltre, è segnalata la scarsa illuminazione notturna in diversi approdi. Si tratta di sostanziali lacune fortemente penalizzanti per la nostra operatività che, giova ricordarlo, è svolta nottetempo in qualsiasi condizione meteo. Il motivo di fondo delle accennate lacune era in larga parte riconducibile al fatto che il nostro veniva considerato un lavoro negletto, una pura appendice alla manovra (ormeggio/disormeggio) del tutto irrilevante per la generale attività portuale.

Ecco allora che assume una straordinaria importanza, grazie alla nostra azione, il cambio di atteggiamento che, da

parte di autorità e operatori, iniziamo registrare. Comincia, infatti, in quegli anni il nostro pieno coinvolgimento nella costruzione delle nuove banchine. Siamo consultati dagli organi di competenza (Capitaneria di porto, uffici tecnici, Demanio marittimo, terminalisti, e in seguito dall’Autorità portuale). Mettiamo a fuoco l’esigenza di costruire banchine con criteri innovativi che vanno dalle doppie bitte o a “doppia testa”, scalette di risalita con portellino di accesso e impugnatura per la risalita, parabordi con golfari incastonati dentro apposita nicchia, illuminazione con torri faro e luci schermate, ecc.

Quanto ho accennato segnò un nostro cambio di passo.

Quei fatti attivarono, inoltre, un diverso approccio al nostro interno, anche culturale, nei confronti della funzione istituzionalmente svolta a favore degli interessi generali del porto. Nel Gruppo si fa strada sempre più la consapevolezza del funzionale collegamento tra il servizio di ormeggio e la sicurezza della navigazione nelle acque dell’ambito portuale. Ed è l’interiorizzazione di questo nuovo approccio, come fatto assolutamente nuovo, che ci spinge a far conoscere la nostra attività e funzione, com-

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prese le caratteristiche e prerogative del servizio svolto. È a questo proposito, grazie agli insegnamenti trasmessici dall’Angopi, che avviene quella “svolta epocale” tesa a far conoscere e apprezzare la nostra attività, non solo nel rapporto nave-banchina ma anche attraverso un nuovo rapporto Gruppo/Utente, sulla rilevanza essenziale della nostra funzione tesa al perseguimento della sicurezza della navigazione e delle acque portuali. Certo, l’accennata svolta, il voltare pagina, significava avere il coraggio di prendere atto che occorreva adeguare al meglio la nostra struttura, l’organizzazione, la strumentazione, la formazione nonché la necessità di favorire il raggiungimento degli obiettivi che in quel tempo venivano posti all’intera categoria in ambito nazionale.

A molti interlocutori - penso ad esempio al ministero della Marina Mercantile, Comando generale, organizzazioni sindacali - era chiara la consapevolezza che la miglior realizzazione del servizio comportava la prioritaria finalità consistente nel garantire al meglio la sicurezza della nave e degli impianti. Era, quindi, un organismo unico, operante in tutti gli approdi, la condizione necessaria per acquisire

la più elevata professionalità e l’indispensabile duttilità per far fronte a tutte le situazioni che si potevano presentare e che ogni sottrazione al Gruppo di una, sia pur relativa, parte di opportunità, depauperava queste conoscenze indispensabili per il porto e per la nave.

Ma i cultori del libero mercato, chiusi in una lettura esclusivamente economicistica, rimanevano permeati dalla visione tendente a imporre comportamenti standardizzati, dominati esclusivamente dai meccanismi e dalle leggi di mercato da applicare in ogni manifestazione della vita economica e produttiva. Nasce allora l’impegno della categoria, sotto la sapiente guida dell’associazione nazionale, di operare al fine di favorire un nuovo quadro regolatorio, più consono alle superiori esigenze di sicurezza, atto a validare e rafforzare il modello organizzativo. Nel contempo, si procede con l’individuazione di politiche aperte in profondità alle tendenze che si manifestavano sempre con maggior insistenza, su cui aprire un confronto costruttivo con l’intera utenza.

Mi riferisco, ad esempio, alle tariffe, anzi, meglio, ai costi.

Occorreva cambiare un superato schema di tariffa compen-

sativa della manodopera. Intralcio da risolvere al più presto, perché, di fatto, rappresentava un chiaro e sistematico ricorso all’approssimazione, e, inoltre, per dare un senso reale e tangibile alla costante affermazione che il Gruppo unico (nascono in quel tempo le prime indagini dell’AGCM), depositario dell’esclusiva, può meglio realizzare economie di scala e l’efficientamento del servizio.

Sorge, pertanto, l’esigenza di definire con criteri omogenei, stabiliti a livello nazionale, un sistema tariffario che, oltre ad accorpare tutta una serie di anacronistiche maggiorazioni, chiarisca che l’attività del Gruppo consiste in un servizio frutto di un’organizzazione di uomini e mezzi offerto all’intero porto e stabilisca, allorquando aumenti l’attività e quindi i proventi, che il vantaggio non rimanga a esclusivo appannaggio del Gruppo stesso ma una parte del maggior gettito vada anche a ridurre il costo del servizio, come processo virtuoso rivolto all’intera comunità portuale.

Altra esigenza che inizia a serpeggiare nel confronto interno al Gruppo, anche in relazione ai molti cambiamenti e trasformazioni che richiedevano maggiore specializzazione tecnica e uno sviluppo delle competenze rispetto al passato,

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era la necessità di progredire. Creare in termini di formazione e di investimenti, un percorso, anzi un nuovo inizio, una ricostruzione ab imis per migliorare l’efficienza e la funzionalità del Gruppo soprattutto in un porto, come quello di Ravenna, dalle caratteristiche difficilmente riscontrabili in altre realtà. È da questa analisi che prende corpo il concetto della formazione permanente; un piano di formazione che ha come obiettivo quello di incrementare le competenze tecnicoprofessionali degli ormeggiatori e che ha visto, peraltro con soddisfazione, un’ampia aggregazione, a testimonianza che i percorsi formativi attivati (sopravvivenza, antincendio, antinquinamento, inglese tecnico, radar, gps, padrone marittimo) rappresentavano una ricchezza da valorizzare e sulla quale investire anche per ulteriori programmi di aggiornamento e di qualificazione. Nasce, quindi, in noi, proprio come considerazione strategica, l’impegno in materia di “formazione continua” finalizzata a valorizzare le risorse umane, a migliorare il nostro bagaglio culturale, il nostro arricchimento professionale, la capacità di utilizzare tutti i moderni strumenti messi a disposizione dalla tecnica e dal-

la tecnologia anche per il nostro servizio, in relazione alle esigenze di qualità e di sviluppo di quella cultura Gruppo/ Cooperativa nella quale dovevano sempre più crescere la partecipazione e il coinvolgimento dei lavoratori.

Interiorizziamo, allora, il convincimento che il vero “valore aggiunto” del Gruppo è la conoscenza applicata al lavoro; ecco perché da un Gruppo basato sostanzialmente sul “capitale individuale” passiamo a un Gruppo fondato sul “capitale umano organizzato”. Si tratta di un processo, di una metamorfosi, importante per la correzione della nostra arretratezza. A tal fine si ridisegnano strategie in grado di consentirci di affrontare dinamicamente l’ulteriore fase di avanzamento nei porti. Sorge, inoltre, l’esigenza, non più procrastinabile, di finalizzare risorse economiche a favore di più qualificate professionalità ed accelerare gli investimenti per ringiovanire e modernizzare il parco mezzi con lo scopo di favorire l’erogazione di un servizio a più “ampio raggio” in attività che consentissero di acquisire una diversa dimensione e considerazione della funzione svolta all’interno del porto, debellando la crescente vulnerabilità del nostro modello, ormai attaccato in diverse sedi nazio-

nali ed europee.

Sono scelte che, successivamente, si dimostreranno capaci di farci realizzare importanti interventi sia a favore della sicurezza che dell’interesse generale (Upa, Fofi, Aida, Geostar) e dare una forza e una visibilità al Gruppo mai registrate nella nostra storia. E se oggi possiamo parlare del ruolo del Gruppo ormeggiatori del porto di Ravenna lo dobbiamo a tanti passi, anche molto difficili, compiuti anche attraverso l’apporto di forti e importanti scelte.

Un grande merito è quindi aver capito che la funzione assolta nel porto si valorizza attraverso gli investimenti effettuati. Nasce, perciò, un vero e proprio programma di investimenti e di risorse rivolto al porto senza fini di lucro.

Iniziano in quegli anni le prime acquisizioni delle imbarcazioni in vetroresina munite di tuga che sostituiscono di fatto le open desk in compensato marino. Si familiarizza con l’utilità del doppio motore, iniziato con il “Candiano” e poi voluto in altre imbarcazioni (Eba, Frivlam, ecc…).

Caratteristiche costruttive che rendono più fluida, efficace e tempestiva la conduzione delle nostre unità nautiche. Sono scelte programmatiche orientate all’obiettivo del nostro

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sviluppo come la risultante di interventi strutturali considerati strategici, incentivandone la realizzazione.

Incominciamo, inoltre, a porci l’esigenza di allargare gli spazi della nostra sede operativa per favorire una collocazione più baricentrica rispetto alle caratteristiche del portocanale di Ravenna e, nel contempo, avere una plancia di avvistamento e un luogo adatto per svolgere l’attività di manutenzione al nostro parco mezzi nautico e terrestre. È risaputo che tale obiettivo, ancora oggi, risulta il frutto di uno sforzo che non esito a definire colossale per quanto riguarda l’onere, ma fatto ancor più straordinario fu l’esecuzione rapida del progetto e la conseguente realizzazione della sede. Giova ricordare che con tale opera si è indubbiamente preferita, agli egoismi di bottega, quella generosità che dava un segno diverso e un senso profondo a questa nostra esperienza. Ma questa è un’altra storia.

Un’ultima considerazione.

Nel 1992, prima dell’adozione della legge sulla riforma portuale, abbiamo vestito il Gruppo ormeggiatori con la forma giuridica di Società Cooperativa. Dall’esperienza acquisita ritengo, ancora oggi e con maggiore convinzione

di allora, che l’organismo “Cooperativa Gruppo Ormeggiatori” si presti meglio alle generali esigenze portuali. Da un lato, preserva la funzione di braccio operativo dell’Autorità marittima, difatti la Cooperativa non è, né potrebbe essere, lo strumento surrettizio per la “privatizzazione” del servizio di ormeggio ma, più semplicemente, risulta essere la gestione privatistica di un’attività di “interesse pubblico” regolata dal Codice della Navigazione; dall’altro, favorisce una cultura condivisa di un rapporto sociale responsabile, nel quale si esalta quell’humus in cui si radicano e si alimentano i presupposti di rafforzamento e di adeguata modernizzazione, in relazione alla nostra progressiva affermazione nella realtà portuale ravennate.

Di certo la natura del nostro rapporto col lavoro, col servizio, col Gruppo, col porto, è difficilmente riscontrabile in altri settori e ancor più difficilmente trasferibile in un rapporto di lavoro che raccolga in sé quella forza coagulante di cui è intrisa la nostra particolare forma di autogestione.

In altro modo non ci sarebbe risposta razionale al sottodimensionamento dell’organico, alla reperibilità continua in aggiunta e oltre il normale orario di lavoro, all’aspetto alea-

torio della turnistica, alla cura dei mezzi, ai rischi intrinseci del nostro lavoro.

Il Gruppo/Cooperativa è, inoltre. un modello di impresa che, sviluppandosi in modo congeniale sulla centralità della persona, coniuga mutualità e solidarietà, possibilità di rappresentanza e di tutela delle condizioni occupazionali, qualità e dignità di lavoro e di vita. Un rapporto associativo che affonda le sue radici nell’azione di un’opera e di una fatica che non hanno termine, e che arricchisce la funzione sociale attraverso meccanismi essenziali allo sviluppo intergenerazionale.

Va detto che oggi, maggio 2017, anche alla luce del nuovo quadro normativo nazionale ed europeo, si presenta la necessità di effettuare una “manutenzione” al modello Gruppo/Cooperativa. Il Regolamento europeo, all’art.9, prevede, infatti, la figura dell’Operatore interno da noi indicata per soddisfare le caratteristiche dell’attuale disciplina che intendiamo fissare in forma definitiva; non solo come difesa delle nostre prerogative ma soprattutto in quanto premiante per l’intera portualità nazionale.

In conclusione, voglio ricordare i soci fondatori che oggi

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non possono vivere, e gioire, insieme con noi questo straordinario momento che vede la categoria impegnata a Ravenna nell’organizzazione del Secondo Forum sulla Sicurezza Portuale, avvenimento di straordinaria importanza e di riconoscimento per gli ormeggiatori e barcaioli dei porti italiani ma soprattutto per il Gruppo ravennate.

Indirizzo un saluto deferente e commosso a Emanuele Stella, Roberto Tinnirello, Giuseppe Carli e a chi è perito nell’alto sacrificio mentre svolgeva il proprio dovere: Eddio Lisnardi (primo presidente della cooperativa) e Filippo Rossano, che hanno lasciato testimonianza della loro tenace fedeltà, di uno sconfinato amore. A loro, in memore apprezzamento per il lavoro svolto, rivolgo dal profondo della mente e del cuore, la sentita gratitudine di tutti i Soci.

Cesare Guidi Presidente Angopi

Il ricordo di Eddio Il 27 maggio 1993 alle ore 8.20, mentre ci accingevamo a partecipare ai lavori del Consiglio Nazionale A.N.G.O.P.I., sono stato testimone del tremendo incidente, avvenuto nella maniera più assurda in quel di Orte, che ha determinato, dopo sette drammatici mesi di agonia, la Tua infausta e crudele morte.

Eddio, assieme e grazie alla Tua concretezza, avevamo individuato le idee forza per raggiungere importanti obiettivi.

Tutto questo in una situazione generale non solo in movimento ma estremamente complessa, all’interno della quale eravamo obbligati a favorire l’iniziativa del Gruppo/Cooperativa.

Eddio, dando dimostrazione del meglio di Te stesso, con la Tua pacata intelligenza ci hai insegnato a perseguire caparbiamente, per non cadere nello sterile pragmatismo senza principi, la politica realistica nutrita non solo di valori oggettivi ma in particolar modo intrisa di un profondo spirito solidaristico.

Ci hai condotti altresì nella costante pratica dell’autogestione,

arricchendo le condizioni più utili alla vita interna: dal momento assembleare all’autonomia del consiglio nell’esercitare il mandato conferitogli, dalla collegialità e partecipazione nella gestione al decentramento nella realizzazione quotidiana, valorizzando responsabilità, competenze e professionalità.

Eddio, con pervicacia, grande lungimiranza ma soprattutto in tempi difficili per la vita interna, hai sempre sostenuto che i grandi mutamenti avvenuti a ritmi impetuosi ci costringono ad adeguare le risposte, in termini di investimenti, flessibilità, economicità ed efficienza. Nel Tuo impegno miravi alla condizione di operare strategie finalizzate a preservare e consolidare il ruolo tradizionale del Gruppo Ormeggiatori.

Queste Tue scelte di fondo hanno favorito non solo la nostra crescita e l’individuazione delle attività e delle migliori condizioni per poterle realizzare; ma anche l’assunzione di un impegno programmatico sui vari aspetti che compongono la vita sociale della Cooperativa, rendendo così possibile la

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definizione degli obiettivi e la gestione di standard ottimali per approntare le risorse necessarie.

Eddio, nel seguire la traccia che hai segnato, il nostro impegno è divenuto certamente più sereno e fattivo. Infatti, tutta la Cooperativa Gruppo ormeggiatori del Porto di Ravenna oggi ispira la propria azione a quelle tesi.

Proprio per queste ragioni siamo ancora in grado di mantenere alta la nostra bandiera nel porto.

Come volevi Tu! Eddio, a Te, nel ricordo deferente e affettuoso del primo Presidente della nostra Cooperativa alla quale con il sacrificio della Tua vita, hai lasciato testimonianza della Tua tenace fedeltà e di uno sconfinato amore, va il mio fraterno memore apprezzamento per il lavoro svolto insieme e, dal profondo della mente e del cuore, la sentita gratitudine di tutti i Soci.

Cesare Guidi

Ampie le ali del bianco gabbiano leggère si librano sulla casa di Eddio.

La mobile prua, davanti, è pronta a salpare nell’azzurra del cielo nell’azzurro del mare.

Il sole risplende sul lucido legno che narra le storie di menti capaci di mani operose.

Sulle invisibili onde dell’aria solcate e confuse del candido uccello

arrivano voci vicine e lontane Echeggiano nomi si chiamano amici si dicono frasi o parole, si impostano fasi di ormeggio.

Le mani segnate dall’arido salso marino iniziano il greve usuale lavoro attente al controllo dei moti precisi che chiedono sempre la stessa sapienza.

Le fronti sudate solcate da rughe,

i muscoli tesi si fanno più freddi nel buio di gelide notti nell’umida luce di giorni brumosi.

Un’ agile, fragile barca, di uomini armati esperti nell’arte, ardita si accosta a nave imponente che incombe.

Le menti son pronte i muscoli, gli occhi, le rapide mani afferrano solide funi e docile fanno

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il gigante.

A tratti lontana l’immagine torna del caro compagno perduto.

Il fresco suo viso la lieve memoria conforta la pena e l’esilio.

La mente torna ai cari ricordi.

Sovente si pensa alla tiepida casa, ai teneri affetti.

Così corre il tempo sul filo dell’ onda leggera e schiumosa.

Son uomini forti, gli ormeggiatori.

Son tanti e diversi.

Impresso nei cuori il nome di Eddio.

PER L ‘INAUGURAZIONE DELLA SEDE DEGLI ORMEGGIATORI DI RAVENNA, DEDICATA A EDDIO ISNARDI Marina Lombardozzi 7 ottobre 1995

In memoria di Filippo Rossano Marina, mercoledì 17 ottobre 2007 Chi era Filippo.

Parlare di Filippo per me non è solo una grande sofferenza e credo che tutti voi lo comprendiate. Nella nostra famiglia lascia un vuoto che solamente chi ci conosce ne riesce a capire la reale dimensione.

Noi Guidi – sempre intenti a operare, a fare, direi senza tregua da mia madre a mia sorella senza dimenticare mio padre – lo abbiamo accolto fin da giovinetto nel nostro focolare.

Questo uomo giovane si è sempre distinto per il suo comportamento riservato, mai sopra le righe, calmo, apparentemente distaccato. Diverso da noi, eppure era forse un punto d’equilibrio importante. Sembrava che vivesse in un mondo quasi separato dalla nostra epoca, dai suoi livelli tecnologici, mai travolto da questo ritmo incalzante che segna la vita moderna. Perché l’amore per l’arte, la passione per la

musica, per il canto, erano valori umani di cui era intriso e per lui spiazzavano molte delle altre considerazioni che oggi ci avvolgono tutti quanti.

Misurato nel suo comportamento, mai esuberante, il suo volto sereno, il suo sguardo sempre intento, con un’espressione concentrata alle cose che accadevano intorno a lui, quasi a osservarle per giudicarle con un metro che a me, molte volte, risultava sconosciuto.

Trasmetteva però un senso di calma, direi di riflessione, creava un’atmosfera di benevolenza e forse proprio per questo suo modo di essere ha contribuito a creare una famiglia esemplare.

La vita mi ha portato a conoscere tanta gente, ma credo di poter dire che il rapporto con Guerrina così saldo, così unito, così legato da un amore intenso che non è mai venuto meno,

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difficilmente mi è capitato di osservare.

E quando dico questo, penso al vuoto tremendo che colpisce mia sorella e mio nipote e forse anche la nipotina, Sophia.

Sapete, un giorno arrivò la notizia inaspettata che la ragazza di mio nipote, Paola, pur così giovane aspettava un bambino. Dramma? No, gioia! E per Filo gioia serena come è nella sua natura e questa bambina diventa un po’ la gioia di tutta la famiglia, a cominciare dall’attesa spasmodica di mia nonna che è diventata trisavola, mia mamma e mio padre bisnonni, mia sorella nonna e il ragazzo Vincenzo papà.

E allora mi domando: Filo è veramente scomparso? E rimane in noi solo il suo ricordo? No! Perché nella nostra casa rimarrà per sempre la sua impronta. Ulisse ha costruito con le sue mani abili il Talamo, Filo quelle cassapanche, una volta si chiamavano bauli, di legno massiccio, dove le nostre

famiglie conservano tra l’altro anche quelle poche care cose che però vale la pena portarsi dietro. Quello per cui si è lavorato, e che alla vita ha dato un senso. Ci ha quindi consegnato queste sue opere, come vibrante testimonianza del carattere e della filosofia di questo uomo speciale e gentile che è entrato nella nostra vita. Non amava gli spigoli ma amava l’armonia delle linee, ogni cosa che faceva doveva suscitare un sentimento di serenità, di pace e questo lo riscontro non solo nella cassapanca ma anche nel tavolone che ha fatto e dove spesso ci riuniamo con l’intera famiglia.

Tutto ciò lo custodiremo con amore e con affetto, perché dà un tono unico all’atmosfera che regna nella nostra casa ed è anche per questo che penso che Filo non andrà mai via da noi e sarà sempre presente.

Voglio anche testimoniare il rapporto esemplare che ha avuto con mio nipote Vincenzo e questo lo rilevavo proprio quando sentiva la necessità di rimproverarlo. Il suo sguardo severo si raddolciva per quei lampi di profonda benevolenza che i suoi occhi riverberavano, contribuendo a dare a quella severità un tono del tutto particolare.

Vincenzo era un figlio tanto atteso e tanto desiderato, quanto

ha fatto penare il suo arrivo, al quale ha sempre, con la sua misura, manifestato un affetto profondo. E Vincenzo divenne il perno attorno al quale l’amore che univa Filo a Guerrina diventò qualcosa di indistruttibile.

Fortuna vorrà che mia sorella, il cui dolore è indicibile, abbia la forza di superare questa prova, anche se rimarrà sempre immersa nel dolore e nella malinconia, perché è una donna che ha sempre trovato nel dedicarsi agli altri uno dei motivi per dare senso e vitalità alla propria esistenza e sono convinto che manterrà per tutta la sua vita l’amore per Filo come se fosse sempre al suo fianco.

Coraggio cara sorella sei circondata dal dolore di tutti i tuoi cari e sostenuta dal loro amore per te!

Caro Vi, perdere un padre che non è una esagerazione dire giovane nel corpo e nell’anima, è drammatico. Capisco nel profondo la tua sofferenza e il senso di estraneità che il mondo circostante ti trasmette, un senso che in questo momento ti pervade e ti domina, ma mi soccorre, Vi, per darti un messaggio di speranza, proprio la vicenda di tuo padre.

Come ben sai tuo papà nasce in un paese sperduto, in una zona amena circondata da monti, da pascoli e da boschi. Un

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paese che in quel tempo era in forte declino, un declino che durava da anni, dove venivano sempre più a mancare i più elementari mezzi di vita. E il padre di questo fanciullo, nonno Vincenzo, per fare vivere la sua famiglia, emigra come minatore in Belgio, di cui noi tutti ricordiamo, come simbolo di sofferenza, la tragedia di “Marcinelle”.

Ma il sacrificio di questo nonno per mantenere i sei figli non era di per sé sufficiente e Filo, cresciuto in simbiosi con la sua terra natia e con i boschi che la circondavano, a 16 anni venne qui, in questa nostra amata Marina, paesaggio diverso a lui ignoto, spesso nebbioso, solo, ma ospite della famiglia di sua sorella e combinazione sotto la nostra abitazione. Ma dove effettivamente lo conosco e imparo a frequentarlo è in quella straordinaria esperienza che sono gli scout di Marina a metà degli anni ‘60.

Filippo inizia subito a lavorare in un’attività che risulta la più corrispondente alla sua natura e cioè in un cantiere dove si costruivano imbarcazioni con l’elemento più antico e tradizionale da lui ben conosciuto: il legno. Diventa maestro d’ascia, per lui il legno non aveva segreti e sotto le sue abili mani diventava un materiale estremamente duttile. Poi, da

costruttore di barche, volle diventarne conduttore e anche qui si impadronì di questo mestiere, a lui totalmente ignoto, trasferendo però le sue conoscenze di costruttore e trasmettendoci con i suoi segreti tutti gli equilibri e i possibili squilibri. Era diventato un nostro collega ormeggiatore, un nuovo mestiere tanto distante dalla sua cultura e tradizione che neppure avrebbe immaginato se fosse rimasto al suo paese.

Nella famiglia degli ormeggiatori, forse all’inizio, fu accolto con una certa diffidenza più che altro per la sua eccessiva riservatezza che a noi tutti, certamente più esuberanti, ci sembrava fosse dovuta a un certo distacco rispetto al nostro modo di agire e di lavorare. Poi invece tutti capimmo che era il tratto più profondo del suo modo di essere, che gli derivava anche da quel miscuglio di dura vita, sconforti e tristezze, generati dalla lontananza da quegli elementi a lui più cari: monti, boschi, pascoli e soprattutto il cielo limpido della Calabria. La sua terra.

Naturalmente divenne un bravo ormeggiatore e nelle discussioni, spesso accese, che caratterizzano le nostre assemblee, sapeva sempre mantenere la calma e quando interveniva lo faceva in modo pacato ma fortemente significativo, nel sen-

so che riusciva sempre a trovare i punti essenziali oggetto del confronto. E tutto ciò, in una certa misura, da un lato rasserenava e dall’altro favoriva la riflessione e la conclusione positiva e concreta alla quale dovevamo giungere.

E così lo riconoscemmo come uno di noi.

Ma pure nella nostra sede – che tutti noi abbiamo voluto e che chiunque abbia visitato ne è rimasto meravigliato – Filippo lascia una sua impronta che mi auguro possa durare per tutto il tempo in cui la nostra categoria vivrà. Mi riferisco al più significativo degli arredi, progettato e realizzato completamente da lui, con le sue mani, nel quale unisce bellezza e funzionalità: è la consolle della plancia. Ed è proprio per questo che lo spirito di Filo sarà sempre parte integrante di questa nostra casa.

Sono anche queste le ragioni per le quali siamo riusciti a ottenere, con voto quasi unanime, dal Comune di Ravenna la proprietà di questo terreno e, ovviamente anche per altri motivi – nella nuova viabilità di collegamento attorno a Ravenna – l’intestazione della rotatoria intitolata alla categoria degli ormeggiatori.

Ci sono uomini che fanno cose straordinarie ogni singolo

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giorno della loro vita e non lo danno a vedere. E nessuno gli dà peso.

Dico questo anche perché la ragione fondamentale di avere avuto la fortuna di annoverare Filippo nella nostra compagine con la sua genialità, unita all’esperienza, emerge nella realizzazione di questa intera struttura e nel modo con il quale abbiamo proceduto per organizzare la manutenzione e gli interventi sulle nostre imbarcazioni. Proprio su questo è riemerso tutto il suo patrimonio di conoscenze: di come si fanno le barche, di come si possono rendere più funzionali e agevoli rispetto alle esigenze richieste dal nostro lavoro, e aveva sempre presente che il problema delle comodità che stavamo offrendo a noi stessi, se da un lato ci agevolavano, dall’altro avevano l’effetto negativo di non farci più apprezzare le reali situazioni in cui si svolgeva il servizio.

In questo tragico evento, e voi, cari colleghi, sapete bene che raccontare tutto questo è perfettamente inutile se non lo si vive in prima persona, Filo ci ha lasciato un messaggio che guai a noi se non lo raccogliamo. È come se ci dicesse: ragazzi in ogni prestazione tipica del nostro servizio, anche in quella apparentemente più semplice, si nasconde,

terribile, un’insidia. Non basta l’esperienza, non bastano la professionalità e la qualificazione, bisogna sempre svolgere il lavoro con la massima attenzione e tensione. Se hai fatto qualche errore, anche minimo, da qualche parte nelle tue scelte, nell’equipaggiamento, nell’impostazione della manovra, questo, sta pur certo che quando meno te lo aspetti, emerge. Allora il segreto sta nel fare le cose sempre nella maniera più semplice possibile e, anche se hai fiducia nelle tue capacità, sii riverente verso il lavoro, verso il rischio.

Guai ad abbassare la guardia.

E nel ricordarlo voglio anche dire che Filo, nell’allontanarsi da noi, ci ha voluto lasciare questo ultimo suo insegnamento e, pur avvolto nel suo alone di tranquillità ci ha fornito, pagando con il massimo sacrificio, una lezione, un avvertimento, un monito di cui gli dobbiamo essere immensamente grati.

Questo è il messaggio che noi dobbiamo accogliere con la massima serietà, perché ognuno di noi sa che è vero e lo sa perché quotidianamente ci prendiamo molti rischi, quasi sempre poco visibili al resto delle persone, siamo gente che dà molto al porto e alla comunità, ricevendo, è vero,

apprezzamenti ma in alcune circostanze accuse ingiuste e mortificanti.

E allora questo messaggio, oltre che a noi, è rivolto a tutti coloro che non conoscono o che guardano con estrema sufficienza al nostro lavoro.

L’ultima cosa che voglio dire è che noi amiamo questo nostro porto, i nostri rispettivi porti, e siamo consapevoli che ci ha dato molto, ma aggiungo anche che siamo stati e vogliamo rimanere protagonisti e partecipi del suo avvenire, perché sentiamo il porto e la nave come un qualcosa che ci appartiene, che dà un senso al nostro lavoro e un valore che trascende fortemente la limitatezza del nostro servizio nel quadro della complessità molto più vasta della funzione del porto stesso.

Filippo tra pochi giorni avrebbe dovuto intraprendere un viaggio diverso, un meritato riposo dopo un’intera vita dedicata al lavoro. Purtroppo tutto questo non gli è stato concesso.

Alcune volte la morte sopraggiunge più ingiusta che mai e proprio nel momento in cui si ha più voglia di vivere e di assaporare, assieme a tutti i tuoi cari, questo straordinario e

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meraviglioso fenomeno che è la vita. Proprio in questo momento, purtroppo, il corpo e l’energia che l’animava tornano ai suoi liberi elementi.

Filo, sono certo che nell’affrontare questo nuovo mare, ignoto e sconosciuto, sarai in grado di programmare questa inedita navigazione con la stessa serenità, calma e fiducia che hai sempre dimostrato.

Filippo, salutandoti a nome di tutti i tuoi cari e a nome di tutti gli ormeggiatori e barcaioli dei porti italiani, non posso che augurarti una Buona navigazione e che il vento ti sia favorevole.

Cesare Guidi

Introduzione

Quei limiti da superare avenna è una città che ha un porto. Ma non è una città portuale. C’è sempre stata una frattura tra questi due luoghi. Fisica e culturale insieme. La stazione ferroviaria ne è esempio eloquente: è stata costruita per guardare la città. Creando un muro di binari a separarla dalla darsena che pure, fino alla fine degli anni 80, era il cuore pulsante del porto.

Mi piace, perciò, citare le parole di Giovanni Cavalieri, nel volume “Ravenna. Orizzonti del porto”. Scrive: «… al di là dei tralicci della stazione ferroviaria inaspettato incombe il castello di poppa di una nave. Ecco, appunto, improv-

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viso compare il porto di Ravenna. Chi conosce la millenaria storia di Ravenna conosce anche l’intima e diretta correlazione fra le fortune e la potenza dell’una e il progresso e l’espansione dell’altro. Ciò, malgrado il fatto che i suoi stessi abitanti abbiano sempre più volentieri rivolto l’attenzione verso la terra piuttosto che verso il mare….».

Eppure, la città uno sbocco al mare lo ha fortemente voluto fin dalle origini Romane, con la costruzione del porto di Classe e dei canali per congiungerlo all’Adriatico e a Ravenna. Poi le alterne fortune legate ai traffici delle merci, dall’epoca Bizantina alla nascente Repubblica di Venezia.

Per non parlare, venendo a tempi più vicini, della lungimiranza di industriali del calibro di Enrico Mattei, degli stessi

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Ferruzzi. Compresero la necessità e l’unicità di un porto canale come questo, che corre perpendicolare alla costa e dispone di grandi spazi retroportuali per il deposito delle merci.

Il porto, insomma, ha da sempre rappresentato, nelle intenzioni, un cardine per l’economia romagnola. Valorizzarlo avrebbe rafforzato l’espansione industriale negli anni della ricostruzione postbellica. E poi la scoperta di giacimenti metaniferi al largo delle nostre coste ha aperto altre prospettive: il porto avrebbe potuto essere per lungo tempo il volano dell’economia ravennate. Invece proprio la sua particolarità, quel farsi strada per 11 kilometri nel ventre della terra di Romagna per riuscire a raggiungere la città, ha

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separato. Ne sono nate due entità, incapaci di comunicare l’una con l’altra. «…nulla di più – continua Cavalieri parlando del canale Candiano - per la stragrande maggioranza dei ravennati, che una via d’acqua per raggiungere in modo diverso che con la consueta bicicletta, la spiaggia».

In queste poche righe sta tutto il senso della “separatezza”.

Il fatto, insito nella popolazione di Ravenna e nella cultura ravennate, di non comprendere fino in fondo la grandiosità e la potenzialità di questo porto.

Una sorta di non cultura del mare che porta, in maniera miope, a vedere solo una parte di ciò che può offrire questo importante veicolo economico. Le città con grande tradizione marinara, Genova, Napoli, Trieste, hanno il genius loci del mare: per secoli le popolazioni hanno vissuto e lavorato nel porto e con il porto. A Ravenna non accade perché la città ha sempre guardato verso la terra, verso la campagna come fonte di sostentamento. Convinzione consolidata, negli anni, nel Dna di persone e istituzioni.

Abbiamo un porto in gran parte privato; negli 11 chilometri di canale i terminalisti sono per la quasi totalità imprenditori privati. Negli anni questo si è rivelato un valore

aggiunto. Perché ciascun imprenditore cerca di portare a casa il risultato e l’economia gira. Così come è un valore aggiunto essere un porto multi-purpose, con tante varietà merceologiche. Questo, negli anni della crisi, ha avuto il suo peso: laddove perdevi un settore lo equilibravi con un altro. Nonostante la lontananza, pure concettuale, dalla città, il nostro è dunque un porto in salute, anche perché può contare su ottimi Servizi tecnico-nautici: ormeggiatori, rimorchiatori, piloti sono fra i migliori, tutti professionisti con strutture di eccellenza. Il porto dà lavoro a oltre diecimila persone, fra impieghi diretti e indotto. Numeri di tutto rispetto. E che potrebbero aumentare se venisse implementato, migliorato. «E’ tuttavia evidente – riprendo ancora le parole di Cavalieri – che Ravenna non può certo adagiarsi, a costo del suo progressivo inevitabile declino, sulla via del consolidamento dei risultati raggiunti ma deve necessariamente imboccare quella, coraggiosa ma corretta, di continuare la sfida nei confronti dei porti concorrenti…».

Ravenna è il porto della regione Emilia Romagna. Sarebbe naturale che vi trovasse sbocco l’economia medio padana.

Di fatto, non è così: una serie di carenze infrastrutturali e

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logistiche porta gli imprenditori, da Modena a Piacenza, a sfruttare i porti della Toscana o quello ligure di La Spezia, meglio collegati. Eppure in Liguria hanno le montagne dietro; noi siamo in pianura padana, dovrebbe essere fisicamente più agevole creare collegamenti efficienti verso il Nord Europa, ma viviamo questo paradosso logistico.

«Circa gli interventi infrastrutturali – ancora Cavalieri – è indispensabile provvedere all’approfondimento dei fondali ai 10,50 ed agli 11,50 metri». Scriveva negli anni 90 e noi oggi siamo ancora a reclamare gli 11,50. Le nostre dighe foranee, i breakwater, che si protendono per circa due chilometri oltre l’imboccatura del porto, hanno questa importantissima funzione di essere di riparo dagli insabbiamenti perché la struttura orografica della costa è di profilo estremamente basso: arrivi a tre miglia dalla costa e hai 13 metri d’acqua. Se non ci fossero state le dighe, l’imboccatura del porto sarebbe stata pregiudicata costantemente perché qualsiasi inondazione, burrasca, d’inverno frequentissime, avrebbe continuamente insabbiato l’imboccatura. Da qui nasce un’ovvia considerazione: il porto canale deve avere in maniera imprescindibile un costante mantenimento del

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fondale. Il nostro porto ha, comunque, bisogno di superare i propri limiti, fisici e logistici. Richiede interventi strutturali: l’approfondimento dei canali e l’adeguamento dei collegamenti. Richiede attenzione dal punto di vista non solo imprenditoriale ma anche politico e culturale. E senza una presa di coscienza generale del peso specifico del porto nell’economia della città si rischia di perdere sempre più competitività fino ad avere margini e movimentazioni risicati. Questo non è accettabile oggi, quando di competitività si ragiona su scala mondiale e quando si ha a che fare con una struttura portuale che possiede delle vere e proprie eccellenze.

Senza falsa modestia mi sento di includere il nostro servizio tra queste eccellenze. Credo che la nostra realtà abbia compiuto un grande passo in avanti in questi anni, in termini di professionalità, di strutture, di mezzi, di tutto quanto è necessario per offrire un livello, qualitativo e di standard di efficienza, elevato. Siamo considerati, all’interno della portualità ravennate, un servizio di eccellenza e un presidio per la sicurezza, come ci è stato riconosciuto in molteplici occasioni non solo dalle Autorità. Questo è un grande rico-

noscimento che va a onore dell’intera categoria.

E’ forte in noi il senso di appartenenza al Gruppo così come lo spirito generazionale, la volontà di tramandare i nostri valori, l’abnegazione e il ruolo che abbiamo sempre avuto e mantenuto in tutte le sedi per il servizio che facciamo.

Questo è il vero punto di forza.

E nella veste giuridica della cooperativa noi ci riconosciamo in pieno. La nostra è una realtà autogestita, «Senza padroni né padrini», come dice il presidente della nostra associazione nazionale, Cesare Guidi, in cui ciascuno ha un ruolo: chi si occupa della sede esterna, chi dei mezzi, della telefonia, dei documenti, della carpenteria, dei vhf, chi dello smaltimento rifiuti, della falegnameria, degli impianti elettrici, del vestiario, chi della fatturazione, delle verifiche, dei certificati Imo e via dicendo… Il lavoro è curato in tutti gli aspetti che sono correlati al nostro servizio e alle nostre esigenze, cercando di coinvolgere tutti e di cogliere da ognuno la propria propensione.

Ciò che ne emerge con forza è il Gruppo, non l’individuo.

Ognuno dà al proprio porto nei termini e per le capacità che ha, al fine di raggiungere un risultato di squadra; non

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avremo mai un Maradona che vinceva le partite da solo.

Il collettivo, in questi termini e in questo contesto, fa sì che il nostro Gruppo e il nostro servizio siano l’eccellenza.

Perché facciamo squadra, perché uniamo gli sforzi e gli intenti per ottenere il massimo, anche per creare un ambiente di lavoro sereno, un contesto nel quale le persone possano dare il meglio di sé. Anche se tutto ciò è faticoso, perché la perfezione non esiste, il rischio zero non esiste.

Queste caratteristiche, questi elementi, sono ciò che per me ha fatto e fa la differenza, anche rispetto alle altre realtà lavorative aziendali. In questo credo e da questo, negli anni, ho tratto la forza e l’orgoglio di rappresentare il mio Gruppo.

Mauro Samaritani Capogruppo ormeggiatori del porto di Ravenna

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Cronologia

1973

on ordinanza n.12 del 29 maggio 1973 il Comandante del porto e Capo del Compartimento marittimo di Ravenna stabilisce che dal primo giugno gli ormeggiatori del porto canale di Ravenna saranno costituiti in Gruppo unico denominato “Gruppo ormeggiatori del porto di Ravenna”. I due gruppi precedentemente esistenti: “Gruppo ormeggiatori di Ravenna” e “Gruppo ormeggiatori di porto Corsini”, sono contestualmente sciolti.

Il primo Capogruppo è Pilade Ravegnani, eletto con 15 voti su 15 votanti.

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1992

el mese di agosto il Gruppo ormeggiatori di Ravenna si costituisce in cooperativa.

E’ il primo a dotarsi di tale forma giuridica.

La cooperativa, di fatto, veste il Gruppo che fino a quel momento non aveva personalità giuridica.

L’Angopi, in quegli anni presieduta da Gerardo Campidonico, aveva provveduto a effettuare uno studio su quale fosse la forma che meglio si attagliava alle caratteristiche dei Gruppi ormeggiatori, optando in fine per quella cooperativa.

Divenire Cooperativa comporta anche un cambiamento di mentalità nel Gruppo; si comincia a ragionare più come una società e di conseguenza a fare degli investimenti per il proprio lavoro.

Avviato il rinnovo del parco mezzi il passaggio successivo è la decisione di acquistare uno spazio dove edificare una sede a misura delle proprie esigenze. La zona prescelta è un’area abbandonata di Marina di Ravenna, di proprietà del Comune.

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1995

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iene inaugurata la sede di Via Fabbrica Vecchia realizzata su progetto dell’architetto Alberto Polacco. E’ dotata di un ampio garage per lavorare in autonomia, l’officina per i motori e la falegnameria dove effettuare la manutenzione delle barche in legno.

L’estetica dell’edificio si ispira a una nave, con la plancia che guarda verso

il mare.

La realizzazione della darsena per i mezzi nautici arriva di conseguenza.

L’istituzione delle Autorità portuali, nel 1994, aveva dato nuovo impulso a quei progetti di ampliamento e miglioramento che erano rimasti inattuati dagli anni 80; tra questi c’è il banchinamento di parte dell’area di fronte alla sede degli ormeggiatori che viene completato nel 2006. Nei dieci anni che precedono il completamento dei lavori pubblici gli ormeggiatori realizzano in proprio una porzione di banchina e dei pontili in legno per i propri mezzi.

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1997

l Gruppo ormeggiatori di Ravenna è tra i primi a dotarsi della certificazione ISO 9001 per la qualità. Nel 2004 acquisisce anche la certificazione per l’ambiente (ISO 14001) e la sicurezza e salute sul luogo di lavoro (BS OHSAS 18001). E’ fondamentale essere in regola con le normative in materia la cui mancata osservanza è punibile anche penalmente. Essere certificati non è obbligatorio ma consente di seguire una serie di procedure che permettono di rispettare la norma la quale, invece, è obbligatoria. Il certificato attesta che lo si sta facendo nella maniera giusta. Le norme sono continuamente aggiornate, per questo il Gruppo è affiancato da una società di consulenza che ha il compito di verificare, ogni anno, la correttezza delle procedure messe in atto e della relativa documentazione. L’ente di certificazione, il Rina, fa quindi la sua verifica e rilascia la certificazione una volta constatato che tutto è in ordine.

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1998

li ormeggiatori di Ravenna cominciano a formarsi con i corsi STCW. Per primi intuiscono l’importanza della formazione di base e si impegnano a frequentare i corsi ai sensi della convenzione IMO STCW/95: sopravvivenza individuale e salvataggio, antincendio di base e avanzato, MAMS (marittimo abilitato ai mezzi di soccorso), sicurezza personale e responsabilità sociale, primo soccorso elementare, osservatore radar e radar ARPA, ARPA SAR BTW, operatore G.M.D.S.S. Nel 2000, presso la sede del Gruppo, si tengono anche i corsi di Padrone marittimo e Direttore di macchina.

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2007

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li ormeggiatori di Ravenna cominciano a collaborare con i colleghi della KRVE, che riunisce gli ormeggiatori del porto olandese di Rotterdam, già da tempo specializzati nelle missioni in off shore all’estero. Dopo alcuni giorni di training presso la sede di Rotterdam si parte per Dubai, Sud Africa e Brasile.

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2008

iene costituita un’ATI (associazione temporanea di imprese) con i Gruppi ormeggiatori di Chioggia e Venezia e si procede alla sottoscrizione del contratto con A-LNG per lavorare sul rigassificatore off-shore. Iniziano anche i corsi per la certificazione Bosiet (Basic Offshore Safety Induction and Emergency Training) espressamente richiesta dal terminal per operare in off shore. Questo tipo di lavoro non si limita infatti alle operazioni di ormeggio e disormeggio; la squadra fa anche una permanenza di sicurezza a bordo del rigassificatore, mantenendo un presidio per tutto il periodo di discarica della nave.

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Si svolge in questo anno l’ultimo bando di concorso in cui è previsto l’impiego della battana come mezzo nautico.

Oggi queste storiche imbarcazioni con scafo in legno sono state tutte sostituite da mezzi in alluminio o in vetroresina.

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Primi anni 2000 ormeggio da una battana Ferruccio Feletti, ravennate, è andato in pensione dopo 25 anni di lavoro nel corso dei quali ha preso parte a molti dei passaggi epocali nella vita del Gruppo.

Sul finire degli anni 80 ha ricoperto l’incarico di Capogruppo (allora si usava ancora l’espressione Caporale) per un paio d’anni

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Imparare a proteggere se stessi

Come eravamo o cominciato a lavorare il primo gennaio del 1978. Arrivai in sede con la tuta; sapevo di dover lavorare nelle banchine e mi sembrava logico indossarla. Invece ero l’unico. Gli altri erano in maglioncino e jeans.

Mi dissero, ridendo: ‘Che cosa devi fare, il meccanico?’. Eppure io la tuta me la sono messa quel giorno e l’ho tolta solo il 31dicembre 2003, quando sono andato in pensione.

All’epoca la nostra sede era un casotto di legno; c’era un pentolino sulla scrivania per raccogliere la pioggia che cadeva dal tetto”.

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Anno 2017

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Anno 1994 Intervento su Al Taif I presidi di sicurezza sono importantissimi.

Ma per gli ormeggiatori della vecchia guardia è stato ostico, all’inizio, abituarsi a usarli.

Gli scarponi col puntale d’acciaio, fondamentali, erano considerati scomodi per certi lavori in banchina. Anche il casco poteva dare fastidio.

Di divisa ancora non si parlava.

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Anno 1994 Intervento su Al Taif Oggi sarebbe impensabile lavorare senza guanti quando si maneggiano cavi d’acciaio come nella foto

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Anni 90 L’affermazione della tuta come abbigliamento da lavoro è, per gli ormeggiatori di Ravenna, il primo passo verso il superamento di quell’abitudine di utilizzare abiti civili, non solo scomodi ma soprattutto non adatti a garantire la sicurezza personale

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Anni 90

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Con l’arrivo delle divise l’abbigliamento da lavoro degli ormeggiatori si fa sempre piÚ sicuro e confortevole

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Anni 90

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Anno 2017 L’utilizzo dei DPI (Dispositivi di protezione individuale) per la sicurezza è un aspetto serio e importante.

Grazie all’attenzione che oggi si mette nell’uso costante di casco, occhiali, scarpe con suole adeguate, il numero degli infortuni si è molto ridotto

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Gli ormeggiatori di Ravenna sono stati tra i primi a dotarsi delle certificazioni di qualitĂ , ambiente e sicurezza

Anno 1994 Intervento su Al Taif

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Anno 1997/98 Intervento su Alexander Courage

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Anno 2001 Intervento su Father’s Blessing

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In passato c’era meno consapevolezza anche dei danni alla salute che potevano derivare da una postura non corretta.

La colonna vertebrale va sempre salvaguardata: ci si deve abbassare in maniera corretta se non si vogliono rischiare danni seri

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In questo mestiere nonostante l’evoluzione tecnologica che ha reso piÚ agevole il lavoro sotto molti aspetti una cosa è rimasta costante: comunque sia si deve tirare il cavo

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Anno 2001 Intervento su SIR

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Anno 2017 Oggi il Gruppo dedica grande attenzione alle normative sulla sicurezza.

Due soci della Cooperativa si occupano espressamente dell’argomento rimanendo costantemente aggiornati su ogni nuova circolare in materia, sia sul materiale che sulle norme

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Fino a una ventina di anni fa era quasi considerato normale andare in coperta in pantaloncini e ciabatte

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Anno 1996 Intervento su Fofi (in basso a sinistra) Bisogna stare sempre attenti perché l’infortunio è dietro l’angolo. Non tutto può essere previsto ma la formazione e l’esperienza fanno molto

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Anni 90

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Anno 2017 L’integrazione piÚ recente ai DPI sono le luci posizionate sul casco. Sembra una piccola cosa ma, facendo una operazione in banchina, al buio, accendere una lampadina permette di vedere dove si mettono le mani senza rischiare di farsi del male

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Anni 90 Arnaldo Bongiovanni, classe 1960, è entrato negli ormeggiatori di Ravenna nel 1985.

Lui e Paolo Sirotti sono oggi i due membri del Gruppo in attività con la maggiore anzianità di servizio.

Dal 2006 al 2012 ha ricoperto l’incarico di Capogruppo

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I doveri istituzionali di sicurezza

Al servizio del porto el 1996 ci facemmo carico di condurre un’operazione delicata, per dovere istituzionale e senza alcuna remunerazione: trainare ciò che restava del relitto di una nave, l’UPA, dalla darsena di città fino al bacino di carenaggio dove sarebbe stata completata l’opera di smaltimento. Nessuno degli altri operatori portuali volle assumersi la responsabilità di rimorchiare un relitto in pessime condizioni che avrebbe potuto anche collassare in mezzo al canale. Arrivare dalla darsena fino ai bacini, infatti, è un bel viaggio. Tanto è vero che all’ingresso del bacino ci stavano aspettando con la bottiglia dello champagne pronta da stappare”.

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Anno 2004

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Anno 1996 La nave UPA, collassata a causa di un cedimento strutturale, giaceva da mesi nella darsena di città , minacciando di affondare da un momento all’altro e di creare seri danni alla navigazione del canale Candiano.

Il compito di trainarla fino ai cantieri di smaltimento viene affidato agli ormeggiatori di Ravenna che vi si dedicano con meticolosa precisione per diversi giorni.

Prima dello spostamento vero e proprio è infatti necessario procedere al posizionamento dei galleggianti che dovranno garantire la stabilità del natante durante il tragitto

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Anno 1996 Il relitto su cui si è andati a operare era ciò che restava dopo che la società incaricata della demolizione aveva già completato una prima fase di alleggerimento direttamente nel punto in cui era ormeggiato

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L’operazione, difficile ma necessaria, non passa inosservata agli occhi della stampa locale.

Liberare la darsena dalla presenza ‘ingombrante’ dell’UPA è stato un servizio che gli ormeggiatori hanno reso, con perizia straordinaria, all’intero sistema portuale ravennate

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Non sono mancate le attestazioni di stima da parte dell’Autorità pubblica per il servizio reso, a titolo gratuito, nell’esclusivo interesse e per la sicurezza del porto e di tutti gli operatori

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Anno 1996 La fase finale del lavoro di trasferimento del relitto presso il bacino di smaltimento è durata circa quattro ore. Le due barche da off shore in dotazione al Gruppo, il Candiano e L’Eba (nella foto in questa pagina), erano posizionate una a prua a rimorchiare e l’altra a poppa a direzionare il relitto

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Il 22 aprile 1997 gli ormeggiatori di Ravenna sono protagonisti del recupero della nave albanese Aida, all’ancora in avaria al largo di Cesenatico con il suo equipaggio a bordo.

Le condizioni meteomarine sono proibitive e la nave non può utilizzare i motori poiché l’elica e il timone sono avvolti da cime, cavi e gavitelli che rendono peraltro pericolosa la manovra di avvicinamento degli ormeggiatori che utilizzano allo scopo il Candiano (a destra in una foto d’epoca)

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Anno 1997 Gli ormeggiatori procedono, con la perizia marinaresca che li contraddistingue, allo sbroglio delle ancore e alla presa a rimorchio dell’Aida fino al porto di Ravenna.

L’intera operazione, svolta senza fini speculativi e a garanzia della sicurezza della navigazione e degli interessi generali del porto, ha richiesto nove ore di lavoro.

Non sono mancate le attestazioni di stima da parte delle AutoritĂ e di gratitudine da parte della societĂ raccomandataria della nave Aida

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La motobarca Candiano, utilizzata per l’operazione Aida, non è piÚ nella dotazione degli ormeggiatori di Ravenna.

Oggi si trova presso il Gruppo di Civitavecchia dove continua a svolgere egregiamente il suo lavoro

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Il 24 agosto 1998 l’equipaggio della motobarca Eba mette la propria competenza e professionalità a disposizione dell’Istituto di geologia marina del Cnr impegnato nel recupero di dati dalla stazione oceanografica abissale Geostar, un importante strumento di rilevazione delle correnti, dei campi magnetici e dell’attività sismica posizionato a 30 miglia al largo della costa ravennate.

L’intervento degli ormeggiatori è richiesto in particolare per il recupero del messaggero satellitare, programmato per tornare in superficie con il suo carico di dati importantissimi per la ricerca ma rilasciato con 18 ore di ritardo sull’ora stabilita e con proibitive condizioni meteomarine

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Anno 2017 La motobarca Eba utilizzata per il recupero del messaggero satellitare

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Anno 1998 Il recupero del messaggero satellitare era reso difficoltoso a causa delle condizioni per nulla ottimali del mare, con onde alte circa un metro. Grazie all’ausilio di un radiogoniometro l’equipaggio dell’Eba riesce a individuare e recuperare il prezioso strumento. Immediato e sentito è il ringraziamento del CNR per l’aiuto prestato

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Interventi in sala macchine Tra le attività svolte per dovere istituzionale e senza fini di lucro rientrano anche gli interventi a bordo delle navi sequestrate. Tali imbarcazioni, il più delle volte abbandonate dall’armatore, rimangono in porto anche per anni, prive di equipaggio, e quando le esigenze operative del porto lo richiedono vanno spostate dal loro ormeggio in un’altra posizione che non sia di intralcio alle attività.

Gli ultimi interventi di questo tipo per il Gruppo di Ravenna risalgono al 2009 su tre imbarcazioni delle quali era stata affidata loro la custodia giudiziale: erano responsabili di tutto quello che succedeva a bordo.

In varie occasioni si dovette denunciare la presenza a bordo di persone non autorizzate.

Il problema sicurezza era piuttosto serio: gli zatteroni, ormeggiati in darsena di città, erano continuamente violati da persone che li utilizzavano per dormire e bivaccare.

Nelle operazioni di spostamento di queste navi, quando erano ancora efficienti e con un po’ di bunker, cioè di gasolio, gli ormeggiatori salivano a bordo e, dopo aver verificato che non vi fossero problemi, facevano partire i motori in modo da poter utilizzare anche i verricelli per tirare i cavi

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Anno 2017 Stefano Trombini è nel Gruppo ormeggiatori di Ravenna da 24 anni.

Nella Cooperativa è responsabile della formazione e dell’aggiornamento professionale

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Stare sempre un passo avanti

La formazione l motivo per cui a Ravenna abbiamo deciso di alzare i paletti dei titoli professionali è che qui si è sempre guardato avanti. C’è stata, per fortuna, una visione più ampia. Gli ormeggiatori di Ravenna sono tutti titolati anche se la formazione più importante è il trasferimento di conoscenze dagli anziani ai più giovani.

In 24 anni di servizio ne ho viste arrivare molte di persone; è una lotta continua riuscire a inculcare loro l’importanza delle dotazioni di sicurezza così come le esigenze di formazione continua. Ma è una grande soddisfazione sentirsi dire oggi dai colleghi che, senza l’elmetto, a lavoro si sentono nudi. Lavorando anche in off shore siamo sempre stati precursori nelle dotazioni di sicurezza”.

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Anno 2008 Corso Bosiet (in alto) Per lavorare sul rigassificatore di Chioggia è richiesto dal terminale il certificato BOSIET (Basic Offshore Safety Induction and Emergency Training) rilasciato da centri autorizzati da OPITO, organizzazione che si occupa di lavoro in offshore Anno 1998 Corso antincendio STCW a Pavia (a destra)

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Anno 1998 Corso antincendio STCW a Pavia Gli ormeggiatori di Ravenna sono stati precursori in molti campi. Negli anni Novanta sono i primi a comprendere l’importanza della formazione e cominciano a frequentare i corsi di basic training IMO STCW per il personale marittimo

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Anno 2017 (In alto) Ormeggiatore impegnato nella formazione continua, specificamente strutturata sulle esigenze di formazione e aggiornamento professionale della categoria, giunta nel 2017 al giro di boa del primo quinquennio

Anni 2000 (A lato) Presso la sede del Gruppo vengono organizzati corsi di formazione per i titoli professionali per i motoristi: padrone marittimo (qualifica che ormai non esiste piĂš, corso fatto nel 2000) e direttore di macchina (2000)

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Anno 2017 Parte essenziale della formazione è il passaggio di consegne ai piÚ giovani. Il Gruppo ha una radicata cultura per la trasmissione del sapere e delle conoscenze da una generazione all’altra

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Anno 2007 Rotterdam corso di formazione

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Nel 2006, durante un’assemblea dell’ Eba - l’associazione europea degli ormeggiatori i colleghi olandesi della KRVE ‛sfidano’ gli italiani a dimostrare di avere anche loro personale formato per l’ off shore

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Dieci ormeggiatori, dai diversi Gruppi d’Italia, vengono selezionati per recarsi in Olanda dove effettuare una settimana di training con gli ormeggiatori del porto di Rotterdam, già da tempo impegnati nello spostamento di piattaforme. Bastano pochi giorni agli italiani per dimostrare di essere bravi e preparati.

Vengono infatti immediatamente invitati a far parte delle squadre operative. Il primo intervento è a Dubai nel 2007 per caricare una piattaforma.

Alcuni mesi dopo, con passaporti e vaccinazioni in ordine, si parte per Cape Town a ormeggiare il pontone con la piattaforma caricata a Dubai.

Nel 2009 è la volta del Brasile per l’alaggio di una nave. A quella prima esperienza seguiranno nuovi corsi di formazione a Rotterdam che serviranno anche a saldare i rapporti con i colleghi della KRVE oltre che contribuire al riconoscimento del ruolo della categoria a livello nazionale e internazionale

Anno 2007 Sud Africa Un lavoratore del porto di Saldanha Bay

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Anno 2007 Sud Africa Il pontone Gavea Lifter in fase di affondamento

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Anno 2007 Sud Africa Il pontone Gavea Lifter con la piattaforma da ormeggiare a Saldanha Bay

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Anno 2007 Sud Africa Un lavoratore del porto di Saldanha Bay

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Anno 2009 Brasile Il cantiere “Estaleiro Maua”, nella baia di Rio de Janeiro, è la sede dell’operazione di alaggio del drilling vessell PEREGRINE 1 condotta congiuntamente dagli ormeggiatori italiani e quelli di Rotterdam.

La PEREGRINE 1, lunga 149 mt. Larga 24 e con un peso di circa 48.000 tonnellate, è stata fatta scivolare nel suo alloggiamento predisposto sulla coperta del submergible barge Gavea Lifter con l’ausilio di 5 rimorchiatori locali ma soprattutto per mezzo dei cavi manovrati dagli ormeggiatori

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Anno 2009 Brasile Ormeggiatore di Ravenna sulla gru a bordo del pontone Gavea Lifter.

Il mezzo è stato utilizzato per liberare la coperta e il vano motore dai molti impedimenti presenti durante la preparazione delle operazioni di alaggio.

L’intero progetto è stato portato a termine in dodici giorni, inclusa la meticolosa preparazione delle manovre e dei mezzi necessari

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Fine anni 80 (a destra) Tra le attività nelle quali gli ormeggiatori sono specializzati c’è l’ormeggio dei pontoni.

La caratteristica di questi ultimi è di non avere personale a bordo.

Gli ormeggiatori quindi salgono direttamente a bordo del pontone e fungono anche da equipaggio per procedere all’ormeggio e disormeggio Anni 2000 (a sinistra)

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Anno 2009 Il 10 agosto del 2009 gli ormeggiatori di Ravenna svolgono il primo servizio presso il terminal off-shore A-LNG al largo di Chioggia.

Nelle immagini la squadra è impegnata nell’ormeggio della nave thanker Lng Dukhan

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Nelle immagini il recupero di un fender staccatosi dalla piattaforma A-LNG di Chioggia. Il parabordo, spiaggiato sulla costa ravennate, dopo essere stato agganciato dagli ormeggiatori verrĂ ricondotto verso la piattaforma con una delle imbarcazioni del Gruppo adatta ad avvicinarsi alla riva grazie al basso pescaggio

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Anno 2017 Nicola Nanni, 43 anni, ha ereditato l’amore per il mare dal nonno materno, comandante di navi.

Lasciati gli studi a 17 anni per imbarcarsi, ha conseguito la maturità artistica anni dopo studiando alle scuole serali.

E’ ormeggiatore dal 2008.

Il suo bando di concorso è stato l’ultimo in cui si è utilizzata la battana come imbarcazione

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Sempre pronti a intervenire

Presidio in porto oi siamo un presidio di sicurezza. Le nostre barche – a dirlo sembra cosa banale ma non lo è - sono sempre ormeggiate con la prua verso fuori. Inoltre la guardiola è presidiata in ogni momento. Qualunque cosa accada, in 5 minuti abbiamo un uomo pronto a mettere in moto la barca e in 15 minuti siamo già fuori dalle dighe. La gente di mare è così: pronta a dare una mano se c’è bisogno.

Una notte dei ragazzi, giocando, hanno slegato un peschereccio. Io ero di servizio con un collega e abbiamo notato che questa barca andava per conto suo, allora abbiamo messo in moto il nostro mezzo, l’abbiamo raggiunta, rimessa in banchina e legata. Poteva andare a finire in mezzo al canale oppure accostarsi senza fare danni, non si può sapere, ma era doveroso intervenire per la sicurezza di tutti”.

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Anno 2012 Neve in banchina

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Il Gruppo di Ravenna ha in dotazione 9 mezzi nautici adatti a soddisfare tutte le esigenze operative

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La motobarca Terzo Sirotti è uno dei due mezzi da off shore in dotazione al Gruppo

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Fine anni 80 La motobarca Sirotti Terzo era dedicata all’ormeggiatore Terzo Sirotti scomparso in mare nel 1966 mentre, con i suoi compagni, era impegnato nel tentativo, poi riuscito, di salvare dieci persone dal naufragio della Carmelina Prima. Alla sua memoria è stata conferita, nel 1967, una medaglia d’oro al merito di marina

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Anni 90 La battana è una imbarcazione storica, con scafo di legno, che si usava in passato nel Gruppo. Nel 2008 si tiene l’ultimo bando di concorso con questo mezzo

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Anno 2017 Nel processo di rinnovo dei mezzi del Gruppo anche le imbarcazioni in legno sono state sostituite da barche in vetroresina e con motore a due eliche, dotate di maggiore manovrabilitĂ

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Anno 2007 Anche i mezzi di trasporto terrestre, per andare dalla sede alla banchina¸ si sono evoluti nel tempo. Nei primi anni della cooperativa si utilizzava la Fiat 126, sostituita successivamente dai vari modelli della Fiat Panda

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Anno 2017 Oggi il Gruppo utilizza dei pick up, molto piĂš adatti alla funzione e modificati per montare il verricello

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La motobarca Ormeggiatori 3 Gli ormeggiatori, sempre presenti e vigili in porto, sono un presidio di sicurezza

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La guardiola della sede ormeggiatori è orientata verso il mare ed è presidiata giorno e notte.

Qualunque richiesta di aiuto viene raccolta in tempo reale

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Dicembre 2014 Il 24 dicembre 2014 gli ormeggiatori di Ravenna sono protagonisti di una coraggiosa e rischiosa operazione di salvataggio condotta con l’ausilio dei propri mezzi nautici adatti all’off shore: l’Eba e il Terzo Sirotti.

In condizioni meteomarine a dir poco proibitive riescono a salvare la vita di tre marittimi caduti e dispersi in mare dopo la collisione della loro nave, Gokbel, con la Lady Aziza proprio all’imboccatura del porto

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Febbraio 2017 La Lady Aziza, coinvolta nel crash che ha mandato a picco la Gokbel nell’inverno del 2014, giace ormeggiata nella darsena di città , sotto sequestro giudiziario

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Lo spirito indomabile della gente di mare spinge ad agire senza esitazioni quando c’ è qualcuno in pericolo

Dicembre 2014 Gli ormeggiatori hanno sfidato la furia del mare e del vento a rischio della propria vita per strappare tre marinai al tragico destino dei loro compagni e della nave

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Anno 2017 Dotazioni efficienti e funzionali contribuiscono allo svolgimento del lavoro di ormeggiatore sempre in maniera ottimale

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Nel parco mezzi degli ormeggiatori non può mancare la gru autocarrata per il varo e l’alaggio delle imbarcazioni.

In varie occasioni la gru è stata messa a disposizione degli altri soggetti operanti in porto. Il modello nella foto è stato dismesso e sostituito nel 2014

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Febbraio 2017 Nel continuo rinnovo e aggiornamento della dotazione del gruppo rientra anche l’arrivo della nuova gru autocarrata Terex, inaugurata nel 2014

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Anno 2017 Andrea Saracino, nato nel 1982, dopo il diploma di perito agrario ha scelto la strada del mare.

Dal 2000 ha collezionato titoli ed esperienza fino a vincere il bando di concorso che gli ha permesso, nel 2013, di entrare nella Cooperativa ormeggiatori

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Essere parte del tutto

La Cooperativa i ho messo dieci anni a realizzare il mio sogno di diventare ormeggiatore. Adesso che sono in cooperativa è come scalare un’altra volta la montagna: è una realtà davvero particolare e imparare a conoscerla e farne parte è impegnativo. Ciascuno di noi 28 ormeggiatori è partecipe della realizzazione di tutto: la gestione del lavoro, il nostro compenso che è equamente diviso tra tutti, un articolato discorso amministrativo e burocratico, gestione dei mezzi, della sede...

La struttura cooperativa per me è il massimo: se vuoi fare qualcosa c’è la possibilità di crearlo, di svilupparlo. Sei sempre un ingranaggio del sistema ma con il tuo cervello. A differenza degli altri posti in cui ho lavorato qui mi sento parte del tutto. Il Gruppo lo vivo come una seconda casa e i colleghi come una famiglia. Ho grande rispetto per loro e lo dimostro con la serietà, con il dare il 100% nei momenti belli e in quelli brutti. L’unità e la coesione sono la nostra forza”.

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Gli ormeggiatori di Ravenna sono i primi in Italia, nel 1992, a costituirsi in cooperativa

La cooperativa veste il Gruppo di una personalitĂ giuridica che non aveva.

L’atto costitutivo e lo statuto della cooperativa (nelle foto ai lati) ne sono i documenti cardine

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La sede nel 1996 Tra le prime decisioni prese dalla Cooperativa c’è quella di acquistare uno spazio dove edificare una sede, di proprietà, a misura delle proprie esigenze.

La zona prescelta è un’area abbandonata di Marina di Ravenna, di proprietà del Comune.

Il nuovo edificio viene inaugurato nel 1995

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La sede oggi Realizzata su progetto dell’architetto Alberto Polacco, la sede ricorda nell’estetica una nave, con la plancia a prua che guarda verso il mare

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Darsena ormeggiatori anni 2000 Il banchinamento di parte dell’area di fronte alla sede degli ormeggiatori viene completato nel 2006.

Il braccetto della darsena è una variazione in corso d’opera richiesta all’Autorità portuale e realizzata per poter ormeggiare al meglio i mezzi del Gruppo

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Banchina ormeggiatori nel 1996 Nei dieci anni che precedono il completamento dei lavori pubblici gli ormeggiatori provvedono a realizzare in proprio una porzione di banchina e dei pontili in legno

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Anno 1996: la banchina e i pontili antistanti la sede del Gruppo

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Anno 2017: la darsena, le banchine e la strada di fronte alla sede

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Nuova sede Con l’arrivo di Filippo Rossano (mancato nel 2007), maestro d’ascia, si comincia a rimettere a posto le battane, le vecchie barche di legno non ancora sostituite dai nuovi mezzi

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L’officina di via Fabbrica Vecchia è molto spaziosa e ideale per lavorare sulle barche

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Per lavorare in autonomia sono indispensabili un garage spazioso, l’officina per i motori, la falegnameria.

Anche per queste ragioni la vecchia sede in concessione demaniale si faceva sempre piĂš stretta

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La Cooperativa ha sempre provveduto in proprio alla manutenzione del parco mezzi

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Fine anni 90: momenti di lavoro nella nuova sede

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Ottobre 2008 La sede venne concessa all’Associazione Nazionale Marinai d’Italia per l’allestimento della mostra sui mezzi subacquei e sui “Sommergibili in Adriatico” (foto in basso), una delle ini-

ziative organizzate per la celebrazione del centenario della nascita dell’Ammiraglio Longanesi Cattani. In quell’occasione gli ormeggiatori misero a disposizione tutta la loro professionalità anche

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per l’ormeggio della nave scuola della Marina Militare, Amerigo Vespucci (nella pagina accanto), in sosta per 4 giorni a Ravenna

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Nell’ampio piazzale antistante la sede non è mai mancata l’occasione di vivere momenti di convivialità e di arricchi-

mento culturale. Nel settembre 2001 vi si sono esibiti l’attore premio Nobel Dario Fo e sua moglie Franca Rame mentre il

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gruppo musicale ravennate i Malardott è ospite degli ormeggiatori quasi ogni estate

Finito di stampare nel mese di Maggio 2017 presso Mediagraf SpA Noventa Padovana (PD) da www.printbee.it

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