Articolo di Marcello Santarelli, apparso sul giornale Tiburno il5 novembre 2019. Seconda pagina

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Cronaca Tivoli

TIBURNO Martedì 5 novembre 2019

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La violenza non ha distinguo sociali. Il caso di una donna che denunciò il marito per abusi sul figlio creando prove ad arte è stata smascherata così

Sopra, l’Ispettore Sinibaldi. A sinistra, in moto ai tempi in cui faceva parte dei Falchi Antirapina della Squadra Mobile di Roma

Ó Sabato 9 alle ore 18 la presentazione al Gran Hotel Duca d’Este

“Donne in cammino”, il libro sui diritti firmato dalla prof i intitola “Donne in cammino... verso la pienezza dei S diritti umani”, è il libro scritto e curato da Cinzia Merletti e dall’ispettore Davide Sinibaldi che verrà presentato sabato 9 novembre alle ore 18 presso il Grand Hotel “Duca d’Este” alla presenza di Arcangela Galluzzo, Delegata alla Legalità del Comune di Fiumicino, Dirigente della Segreteria Pari Opportunità della Regione Lazio con proiezioni fotografiche di Maria Antonietta Pirri. Il testo, patrocinato da “Big Bang Guidonia Montecelio” e “Quote Merito”, è stato pubblicato in mille copie a spese di Pro Do. C. S. e di Cinzia Merletti, 54 ani di Marco Simone, insegnante di Musica alle scuole medie di Villanova, formatrice per docenti, socia dell'Associazione Culturale ed Ong Progetto Domani Cultura e Solidarietà e autrice di numerosi testi su intercultura e musica nel mondo arabo-islamico e mediterraneo.

E soprattutto oggi abbiamo formidabili strumenti che prima non avevamo, basta pensare che la Questura di Roma in tutti i commissariati territoriali ha creato dei gruppi di lavoro come il Modello Tivoli con investigatori specializzati che a tempo pieno si occupano soltanto di questo, presenti anche all’esterno che vanno nelle scuole. Dal 2012 col progetto Scuole Sicure abbiamo incontrato migliaia di ragazzi e la collaborazione dei docenti ha permesso di far emergere casi che prima venivano messi sotto al tappeto. Dà più soddisfazione professionale arrestare rapinatori e pusher o pedofili e uomini violenti? C’è una caratteristica che accomuna chi fa il mio lavcoro: alla fine dell’indagine ci si sente sporchi, è come se ti rimanesse attaccato qualcosa che t’ha sporcato perché calarsi nel pozzo profondo in qualche modo ti lascia un segno indelebile: non c’è mai soddisfazione, piuttosto provo un senso di pietas nei confronti di commette il reato e di chi lo subisce. Al conterario, noi cerchiamo in qualche modo di aiutare una parte e l’altra, non pensiamo che chi ha sbagliato necessariamente abbia sempre torto. Si spieghi meglio. Se un uomo sbaglia è perché probabilmente il suo percorso di vita lo ha messo nelle condizioni di sbagliare. Allora gettiamo sempre un’ancora nei confronti di chi vuole essere aiutato perché ci rendiamo conto che non è consapevole della violenza che agisce. Non potrei mai parlare di soddisfazione, piuttosto è una sorta di spinta che diamo a noi stessi quando otteniamo un buon risultato, anzi ci permette di affrontare il prossimo caso con più slancio Il caso che l’ha fatto sentire più “sporco”? Il caso Rocchi in assoluto, è stato il caso che ha segnato me e i miei collaboratori in maniera indelebile per la nostra esistenza. Perché? Abbiamo dovuto affrontare per la prima volta una situazione che si era così cronicizzata e normalizzata sul territorio in cui vivo: Faceva male soltanto l’idea che quest’uomo potesse aver agito così male nei confronti di tanti bambini. Ma abbiamo avuto la possibilità di toccare con mano e quasi essere presente nei momenti in cui abusava di loro. Sequestrammo centinaia di video e

dovemmo visionarli uno per uno per dare un volto a quei bambini che nel frattempo erano diventati adulti: durante la visione ho visto i miei collaboratori, tra l’altro uomini corpulenti, alzarsi per andare umilmente in bagno e piangere, perché il dolore che si prova ti fa sentire sporco, ci si vergogna di essere uomini, ci si vergogna di non aver avuto la possibilità di intervenire prima e interrompere questa escalation di violenza assoluta. Ecco perché il caso Rocchi è uno dei fatti che mi porterò dietro per tutta la vita e così i miei colleghi che vissero questa lunga esperienza investigativa che ci ha lasciato un dolore profondo, al di là della condanna esemplare confermata anche in Appello. Ha più incontrato le vittime di Rocchi per la strada? Certo, ma cerco di allontanarmi per non fargli rievocare quel vissuto così traumatico perché in qualche modo la mia figura li riporta a quei fatti devastanti per le famiglie. Durante le indagini ebbi un grande aiuto dalla Asl di Guidonia che garantì supporto per i bambini e per i genitori in un percorso travagliatiassimo che ha segnato tutti quanti noi. Lo Stato come aiuta le vittime dopo? Un nucleo familiare che subisce questo genere di crimini non può essere mai lasciato solo, per cui lasciamo i nostri recapiti telefonici, il mio cellulare squilla giorno e notte perché quelle persone nel momento del bisogno devono avere un soggetto al quale rivolgersi. E anche la Asl non si sottrae da queste responsabilità. Tuttavia al territorio mancano le case rifugio, oggi le donne le collochiamo in case famiglia che per loro natura non sono specializzate per questo genere di percorsi ma accolgonole vittime nella consapevolezza del pericolo al quale sono esposte. Credo che sia veramente la nostra sfida. Perché nel 2019 una donna che non denuncia e si tiene le botte? La condizione principe che determina la violenza è la cultura: quella donna da bambina è stata esposta alla violenza dove c’era una madre che subiva l’agito del padre, quindi la giustificazione della madre è stata presa a modello e lei a sua volta ha continuato a giustificare l’uomo violento. Che faccia ha una donna vittima di violenza?

“Donne in cammino - spiega l’autrice - nasce nel 2017 da un progetto per le scuole partito da un bando del Ministero delle Pari Opportunità contro la violenza sulle donne. Lo scopo era sensibilizzare sulla cattiva relazione tra uomo e donna e combattere gli stereotipi culturali. Al termine del progetto decisi di cristallizzare il lavoro svolto lasciando un segno scritto in collaborazione con l’ispettore Sinibaldi e altri autori. Il libro parla di diritti umani e cooperazione internazionale, del ruolo della donna nella società e di stalking, fino al profilo dell’uomo violento. La violenza riguarda molte persone, anche chi non dice nulla: parlarne apre le coscienze per far sì che emergano situazioni represse e sottaciute”. (ma. sa.)

La riconosciamo nel momento in cui varca la soglia del commissariato: è stata espropriata della propria identità, è priva di anima, ha gli occhi spenti e lo sgaurado rassegnato. E tende a rimuovere il suo traumatico vissuto nell’arco del tempo, spesso non è così oculata e precisa nei racconti e fa uno sforzo abissale perché prova un dolore enorme. Gli esperti dicono che per superare un dolore bisogna riviverlo e quindi elaborarlo. Quello che facciamo noi è questo: trovare il sistema per far non solo rievocare ma anche rivivere tutta la violenza nascosta e rimossa per poi riportarla al pubblico ministero che è altrove. A Tivoli siamo molto fortunati, abbiamo un Procuratore capo che ha istituzionalizzato un enorme gruppo di lavoro fra terzo settore, Asl, forze dell’ordine, scuole e servizi sociali, con un Pool di 4 pubblici ministeri specializzati. In questi 10 anni sono capitate donne che hanno denunciato ma in realtà era un bluff? Sì,una piccola percentuale. Perché lo fanno? Ad esempio perché vogliono accaparrarsi un ingiusto profitto in sede di separazione magari utilizzanzo i figli come strumento di rivendicazione in fase di separazione. Un caso emblematico? Quello di una donna affetta dalla sindrome di Munchhausen che ha addirittura agito atti lesivi sul figlio denunciando l’ex marito come autore quando il bambino era con lui nel fine settimana. Come l’avete scoperto? Aveva architettato tutto a regola d’arte, comprese le lesioni sul bambino, e tutto faceva pensare che l’uomo fosse un pedofilo. Chiudemmo le indagini, portammo al pubblico ministero prove inconfutabili, ma c’era qualcosa che non mi tornava. Cosa? Il suo racconto era troppo preciso e circostanziato. E il bambino era plagiato, recitava una sorta di filastrocca che lei filmava col telefonino e produceva a noi quei video. In realktà i bambini che subiscono una violenza non sono così bravi a esplicitarla anzi al contrario: la violenza la normalizzano, non la vivono come un atto violento.

L’ORCO Giuseppe “Joe” Rocchi, 51 anni di Villanova, animatore di feste per bambini è stato condannato a 20 anni in primo e secondo grado per le violenze sessuali perpetrate per un decennio ai danni di 11 minori

Cinzia Merletti, 54 anni, docente alle scuole di Villanova

Come ne siete venuti a capo? L’indagine era chiusa ed era prossimo l’arresto dell’uomo. Ebbi un colloquio col pubblico ministero Gabriele Iuzzolino esprimendo le mie perplessità, quindi chiesi e ottenni un’intercettazione ambientale nella casa dell’indagato: scoprii un padre amorevole, sicuramente più bravo di quanto non sia stato io coi miei figli, un genitore presente, dolce e attento. Eppure, quando dopo il fine settimana lo riportava dalla madre la donna ci raccontava che aveva subito violenza. Era impossibile, perché non lo avevamo mai perso di vista per mesi quando era col papà. Questo ci permise di scagionare l’uomo e allo stesso tempo di indagare la madre che oggi è a giudizio per il reato di calunnia aggravata. Lui che disse? Venne nel mio ufficio ringraziandomi in lacrime e disse: tutto quello che ho pensato di lei me lo rimangio e le chiedo perdono. Risposi che rientra nelle dinamio che del gioco e l’importante è cercare e trovare la verità. Questa è stata una soddisfazione professionale. Invece Rocchi come reagì? Il giorno in cui andai ad arrestarlo gli dissi se aveva bisogno di aiuto poteva contare su di noi. Lui rispose che ai bambini voleva bene, che li amava. Pedofili e uomini violenti: come se ne esce? E soprattutto, l’Ispettore Sinibaldi tornerà a dare la caccia ai rapinatori? No, non tornerei alle batterie di rapinatori perché quello che oggi stiamo affromtando è una battaglia senza quartiere alla quale non possiamo sottrarci, è la vera sfida del futuro perché questo genere di violenza dipende dalla cultura: se continuiamo ad esporre i bambini alla violenza da adulti avremo altra violenza e sarà un ciclo senza fine. Dobbiamo spezzarla e possiamo soltanto con un cambiamento culturale. Il mio oggi con orgoglio vanto un gruppo di lavoro che nell’arco della mia lunghissima carriera non ho mai avuto, stiamo crescendo perché non si finisce mai di imparare e credo che oggi il mio ruolo sia quello di essere a disposizione della collettività ma soprattutto di trasmettere queste competenze ai miei colleghi più giovani. Come diceva Buscetta parlando con Falcone, per fare un discreto poliziotto ci vogliono 10 anni: io penso che ce ne vogliano molti di più.


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