San Charles de Foucauld

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San Charles de Foucauld a cura del Centro Missionario Francescano laperlapreziosa@libero.it

Introduzione Doveva far molto sorridere gli ufficiali della accademia militare di Saint-Cyr guardare il loro compagno Charles, sdraiato nel suo divano, banchettare con i cibi più prelibati sorseggiando champagne, e osservare poi appeso nella stanza lo stemma araldico della sua casata, i “de Foucauld”, dove sotto un leone rosso è scritto il motto “Indietreggiare mai”. Eppure veramente quel giovane, dopo aver conosciuto il vuoto delle cose, il fallimento di una vita senza senso e la realtà della dolce presenza di Cristo, non si volterà mai più indietro. Si spingerà missionario sempre oltre, fino a giungere ad evangelizzare i Tuareg nei deserti africani più sperduti. Monaco senza monastero, maestro senza discepoli, cercherà di trasmettere Cristo con la semplicità della vita, con il sorriso di una presenza amica. Charles amava ripetere spesso un pensiero ascoltato dal suo padre spirituale: «Gesù ha talmente preso l’ultimo posto che nessuno è mai riuscito a toglierglielo». Se è vero che non si può togliere a Cristo questo “privilegio”, è anche vero che ogni cristiano può fare compagnia al suo Signore e imitarlo nell’amore: a volte, come è successo a Charles de Foucauld, fino all’estremo, fino al martirio.


In una nobile famiglia

Charles de Foucauld nasce a Strasburgo il 15 settembre 1858. La sua è una nobile famiglia che ha dato alla Francia cavalieri e uomini di stato. Viene battezzato due giorni dopo la nascita: «Mio Dio, noi tutti dobbiamo cantare la tua misericordia: figlio di una santa madre, ho imparato da lei a conoscerti, ad amarti e a pregarti: il mio primo ricordo non è forse la preghiera che mi faceva recitare al mattino e alla sera: “Mio Dio, benedici il papà, la mamma, il nonno, le nonne e la sorellina”?… » Ma i genitori e la nonna paterna muoiono nel 1864. Il nonno materno accoglie presso di sé i due bambini: Charles, di 6 anni, e Maria, di 3 anni. «Ho sempre ammirato la grande intelligenza di mio nonno la cui tenerezza infinita ha circondato la mia infanzia e la mia giovinezza di un’atmosfera d’amore: ne sento sempre con emozione il calore». Il 28 aprile 1872 riceve la Prima Comunione e la Cresima.

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Un giovane senza Dio

Con la guerra franco-prussiana del 1870, l’Alsazia diventa tedesca e nonno e nipotini, avendo optato per la nazionalità francese, lasciano Strasburgo e si rifugiano a Nancy. Charles è intelligente e studia senza difficoltà. Ama molto i libri e legge di tutto. Poco a poco si allontana dalla fede. Continua a rispettare la religione cattolica, ma non crede più in Dio: «Per 12 anni non ho né rinnegato niente, né creduto in niente, disperando della verità e non credendo più nemmeno in Dio: nessuna prova mi sembrava abbastanza evidente... Se un poco lavoravo a Nancy era perché mi si permetteva di alternare i miei studi con una folla di letture, le quali m’hanno dato, sì, il gusto dello studio, ma m’hanno fatto pure quel male che sapete... Se voi sapeste come tutte le obiezioni che mi hanno tormentato, che deviano i giovani, sono luminosamente e semplicemente risolte

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da una buona filosofia cristiana! Fu, per me, una vera rivoluzione, quando me ne accorsi.... Ma si gettano i fanciulli nel mondo senza dare loro le armi indispensabili a combattere i nemici che trovano in sé e fuori di sé, e che li attendono in folla alla soglia della giovinezza. Eppure da quanto tempo i filosofi cristiani hanno risolto, con tanta chiarezza, molti di quei problemi che ogni giovane si pone febbrilmente, senza supporre che la risposta esiste, luminosa e limpida, lì, a due passi!». Più tardi, in una lettera al cognato, domanderà con insistenza che i suoi nipoti siano educati da maestri cristiani: «Io non ebbi alcun cattivo maestro, - anzi, erano tutti rispettosissimi dei principii cristiani - ma anche questi nuocciono, in quanto sono neutri, e la giovinezza ha bisogno di essere istruita non da neutri, ma da anime credenti e sante; da uomini dotti nelle cose religiose, i quali sappiano rendere ragione della loro credenze e ispirare ai giovani una salda fiducia nella verità della loro fede. Che l’esperienza mia basti per tutta la famiglia, ve ne supplico!». Uscirà dal liceo curioso di tutto, deciso a godersela, e triste. Il signor de Morlet avrebbe desiderato che il nipote entrasse al Politecnico. Ma Charles aveva optato per la vita facile. Dichiarò, con quella franchezza che fu un carattere immutabile della sua vita morale, che egli preferiva entrare nella Scuola di Saint-Cyr, perché il corso richiedeva meno impegno. E partì per Parigi. Egli stesso s’è dipinto, qual era all’epoca in cui seguiva i corsi preparatori: «A 17 anni dentro di me c’erano soltanto egoismo, vanità, cattiveria, desiderio di male, ero come impazzito… Mi trovavo nel buio della notte. Non vedevo più né Dio, né gli uomini: vedevo solo me stesso». 4


Il grado di pigrizia poi, nella rue des Postes, fu tale che non mi ci vollero più... Ero così libero, così giovane!... Ho tanto fatto soffrire il povero nonno...». Charles descrive anche il divino “tarlo” che operava in lui per ricondurlo alla pace del cuore: «Mi allontanavo, mi allontanavo sempre di più da te, mio Signore e mia vita… e così la mia vita cominciava ad essere una morte… e anche in questo stato di morte tu mi conservavi ancora… Mi facevi sentire un vuoto doloroso, una tristezza che ho provato solo allora; essa ritornava ogni sera, quando mi ritrovavo solo nel mio appartamento… mi faceva rimanere muto e oppresso durante quelle che chiamano feste… Mi davi quell’inquietudine vaga che viene da una cattiva coscienza, addormentata ma non del tutto morta».

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Un ufficiale poco convinto

Dopo due anni di studi presso la Scuola Militare, Charles nel 1878 diventa ufficiale di cavalleria. Suo nonno muore in quel periodo e Charles riceve un’ingente eredità, da cui attinge per banchettare lautamente con i suoi amici. Ha 20 anni. Ricerca il piacere nel cibo e nelle feste. Viene soprannominato il “Gros Foucauld”: «Dormo a lungo. Mangio molto. Penso poco». Ma nell’ottobre del 1880 viene inviato in Algeria, e quei paesaggi e quegli abitanti suscitano il suo interesse: «La vegetazione è superba: palme, aranceti. È davvero un bel paese! Ne sono rimasto incantato: in mezzo a tutto questo gli arabi in burnus bianchi o vestiti con colori vivaci, con tanti cammelli, piccoli asini e capre, che danno l’aspetto più pittoresco». Ma si porta dietro una delle sue amanti, spacciandola come legittima consorte. Viene congedato a forza per aver disonorato il grado, per indisciplina e cattiva condotta.

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Rientrato in Francia continuerà a darsi alla bella vita, fino a quando lo raggiunge la notizia che il suo reggimento era stato coinvolto in una dura battaglia e già si contavano tra i suoi amici le prime vittime. Si presentò subito al Ministero della Guerra, chiedendo di essere reintegrato nell’esercito, anche come soldato semplice. Lo riaccolsero e raggiunse le coste dell’Africa e la sua compagnia. Bastarono pochi giorni perché tutti lo guardassero allibiti: si rivelava un uomo concreto, atto al comando, incurante del rischio e della fatica, capace di prendersi cura dei suoi uomini. Quando cessarono i combattimenti, l’Africa con la sua immensità e quegli arabi devoti prostrati in preghiera avevano ormai conquistato il suo cuore per sempre. Non ama la vita di caserma e sceglie di nuovo l’avventura: «Detesto la vita in guarnigione… preferisco di gran lunga approfittare della mia giovinezza viaggiando».

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Misterioso esploratore

Charles decide di stabilirsi ad Algeri per preparare i suoi itinerari: «Sarebbe un peccato fare dei viaggi così belli semplicemente come un turista: voglio farli seriamente, portare dei libri e imparare nel modo più completo possibile la storia antica e moderna di tutti i paesi che attraverserò». Il Marocco è molto vicino, ma è un luogo proibito per gli europei. Charles è attratto da questo paese così poco conosciuto. Dopo una lunga preparazione durata 15 mesi, parte per il Marocco in compagnia dell’ebreo Mardocheo che gli farà da guida: «Nelle terre del sultano l’europeo può muoversi liberamente, ma nel resto del Marocco non può entrare se non travestito e mettendo in pericolo la sua vita: è visto come una spia e, se venisse riconosciuto, sarebbe massacrato. Quasi tutto il mio viaggio si è svolto nella parte indipendente del paese. Mi sono travestito a partire da Tangeri al fine di

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evitare dei riconoscimenti imbarazzanti. Durante il viaggio il mio abbigliamento era quello degli ebrei marocchini, la mia religione era la loro, il mio nome era rabbino Giuseppe. Pregavo e cantavo nella sinagoga… Durante il cammino, avevo sempre con me un quadernetto e una piccola matita; vi scrivevo tutto ciò che la strada presentava di notevole, ciò che vedevo a destra e a manca; vi annotavo i cambiamenti di direzione, accompagnati dalle indicazioni della bussola, le asperità del terreno con l’altitudine barometrica... Nessuno si è mai accorto di niente, anche nelle carovane più numerose; prendevo la precauzione di camminare davanti o dietro a tutti i miei compagni così che, con l’aiuto dell’ampiezza dei miei vestiti, non percepissero per nulla il leggero movimento delle mani. Appena arrivavo in un villaggio in cui era possibile avere una camera appartata, completavo i miei appunti e li ricopiavo su dei taccuini, che formavano il mio diario di viaggio. Dedicavo le notti a questa occupazione. Per il semplice fatto che venivo da Algeri, tutti si sono rivolti a me nel modo migliore; parecchi, ma questo l’ho saputo solo dopo, avevano il dubbio che fossi cristiano, ma non dissero una sola parola, comprendendo, forse meglio di me, i pericoli nei quali potevo incorrere. Attraversando rischi d’ogni genere il giovane visconte de Foucauld riuscì a documentare cartograficamente 2250 kmq di un Marocco mai esplorato, determinando 45 nuove longitudini, 40 latitudini e circa 3000 altitudini. Il 24 aprile 1885, presentava il suo rapporto in una seduta straordinaria della Società di Geografia di Parigi e riceveva la medaglia d’oro. Il libro che scrisse riassumendo il suo lavoro, Reconnaissance au Maroc («Ricognizione in Marocco»), ottenne un grande successo. 9


Cercatore di Dio

Ma Charles non si cura della gloria. Qualcos’altro inizia ad affascinarlo: «All’inizio di ottobre dell’anno 1886 sentivo dentro di me una forte grazia interiore che mi spingeva: ho iniziato ad andare in chiesa, senza essere credente. Non mi trovavo bene se non in quel luogo e vi trascorrevo lunghe ore continuando a ripetere una strana preghiera: “Mio Dio, se esisti, fa che io ti conosca!”... Oh! Mio Dio, avevi posato la tua mano sopra di me, ma io la sentivo così poco! Quanto sei buono! Quanto mi hai protetto sotto le tue ali, quando non credevo nemmeno alla tua esistenza!... Per forza di cose, mi hai obbligato ad essere casto. Era necessario per preparare la mia anima a ricevere la verità: il demonio è maestro di un’anima che non è casta. Nello stesso tempo torna a frequentare Marie de Bondy, una cugina per la quale aveva sempre provato affetto e venerazione, l’unica che in quegli anni non lo aveva mai condannato, sebbene fosse molto religiosa: «Mi avevi ricondotto verso la mia famiglia che mi ha accolto come il figliol prodigo. Tutto questo era opera tua, Dio mio… Un’anima bella ti assisteva, con il suo silenzio, la sua dolcezza, la sua bontà… Mi hai attirato verso di te per mezzo della bellezza di quest’anima. Mi hai quindi ispirato questo pensiero: “Se quest’anima è così intelligente, la religione nella quale crede non sarà una follia. Studiamo dunque questa religione: prendiamo un prete istruito e vediamo che cos’è, se è meglio credere a ciò che essa dice”. Mi sono quindi rivolto all’abate Huvelin. Gli ho chiesto delle lezioni di religione: mi ha ordinato di mettermi in ginocchio e di confessarmi, di andare 10


a ricevere la Comunione seduta stante... Se c’è gioia in Cielo per un peccatore che si converte, ce ne è sicuramente stata quando sono entrato nel confessionale! Quanto sei buono, Signore! Quanto sono contento! Io che sono stato così tanto dubbioso, non ho creduto tutto in un solo giorno; a volte i miracoli del Vangelo mi sembravano incredibili; a volte volevo intercalare dei passaggi del Corano nelle mie preghiere. Ma la grazia divina e i consigli del mio confessore hanno dissipato queste nubi... Signore Gesù, hai posto dentro di me questo tenero e crescente amore per te, il gusto della preghiera, la fede nella tua Parola, un sentimento profondo nel dovere dell’elemosina, il desiderio di imitarti, la sete di fare per te il sacrificio più grande che mi è possibile fare». Il gaudente di una volta aveva ora una insaziabile fame di umiltà.

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Vivere per Lui solo

«Appena ho creduto che c’era un Dio, ho capito che non potevo far altro che vivere per Lui solo»: ecco in breve la molla che spinse Charles a scegliere ben presto la vita consacrata. «Desideravo diventare religioso, vivere solo per Dio. Il mio confessore mi ha fatto attendere tre anni... Il pellegrinaggio in Terra Santa, quale influenza benedetta ha avuto sulla mia vita, nonostante io lo abbia fatto per pura obbedienza all’abate Huvelin… Dopo aver trascorso il Natale del 1888 a Betlemme, aver ascoltato la Messa di mezzanotte e ricevuto la Comunione nella Santa Grotta, la dolcezza che ho provato a pregare in quel luogo dove erano risuonate le voci di Gesù, Maria e Giuseppe è stata indicibile. Ho voglia di condurre la vita che ho intravisto, percepito camminando per le vie di Nazareth, dove Nostro Signore, povero artigiano perso nell’umiltà e nell’oscurità, ha appoggiato i piedi…»

Monaco trappista

Anche se molto legato alla famiglia e agli amici, Charles si sente chiamato a lasciare tutto per seguire Gesù. Il 15 gennaio 1890 entra nell’abbazia trappista di “Notre Dame des neiges”: «Il Vangelo mi mostrò che il primo comandamento è amare Dio con tutto il cuore e che tutto va racchiuso nell’amore. Mi sembrava che niente rappresentasse meglio questa vita che l’abbazia trappista... Tutti gli uomini sono figli di Dio, che li ama infinitamente: è dunque impossibile voler amare Dio senza amare gli uomini: più si ama Dio più si amano gli uomini. L’amore per Dio, l’amore per gli uomini, è tutta la mia vita, sarà 12


tutta la mia vita, lo spero». Charles è felice nell’abbazia. Impara e riceve molto. Ma gli manca ancora qualcosa: «Noi siamo poveri agli occhi dei ricchi, ma non poveri come lo era Nostro Signore, non poveri come lo ero io in Marocco, non poveri come lo era San Francesco... Amo Nostro Signore Gesù Cristo e non posso sopportare di condurre una vita diversa dalla sua… Non voglio attraversare la vita in prima classe, quando Colui che amo l’ha attraversata in ultima classe... ». Chiede e ottiene di essere inviato nella trappa di Akbès, in Siria, dove rimane quasi 7 anni. Ma un nuovo desiderio invade il suo cuore, e le lettere di quel periodo lo testimoniano: «Come desidero Nazareth!».

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Eremita nella terra di Gesù

Il 23 gennaio 1897, il Superiore Generale dei Monaci Trappisti annuncia a Charles che può lasciare l’abbazia per seguire le orme di Gesù in Terra Santa. Parte subito per Israele e arriva a Nazareth, dove le suore Clarisse lo prendono come domestico: «Il buon Dio mi ha fatto trovare ciò che cercavo: l’imitazione di ciò che fu la vita di Nostro Signore Gesù nella stessa Nazareth... In questa capanna di legno, ai piedi del tabernacolo delle Clarisse, nelle mie giornate di lavoro e nelle mie nottate di preghiera ho così tanto quello che cercavo che è chiaro che il buon Dio mi aveva preparato questo posto... L’avvenire è così misterioso!... In questi anni avrà come nutrimento spirituale le opere di santa Teresa d’Avila e come regola assoluta una semplice domanda: «Chiediti in ogni cosa: “Che cosa avrebbe fatto Gesù?”, e fallo». Ecco le intenzioni che lo guidano: «Silenziosamente, nascostamente come Gesù a Nazareth, oscuramente, come lui, “passare

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sconosciuto sulla terra, come un viaggiatore nella notte”, poveramente, laboriosamente, umilmente, dolcemente, facendo il bene come lui disarmato e muto dinanzi all’ingiustizia come lui; lasciandomi, come l’agnello divino, tosare ed immolare senza far resistenza né parlare; imitando in tutto Gesù a Nazareth e Gesù sulla Croce, conformiamo sempre alla condotta di Gesù a Nazareth e di Gesù sulla Croce, imitare Gesù nella sua vita a Nazareth e, giunta l’ora, imitarlo nella sua Via Crucis e nella sua morte. Non cercare di essere eccentrico, originale - Gesù non lo era - ma nemmeno aver paura di sembrarlo, se le persone del mondo giudicano tale quel che facciamo perché è il più perfetto, perché Gesù l’avrebbe fatto... Se il mondo ci giudica male e ci trova pazzi, tanto meglio, saremo più simili a Gesù!». Si fa chiamare “fratel Charles di Gesù”. La badessa del monastero scopre presto di avere a che fare con il visconte de Foucauld. Questa suora riuscirà lì dove tutti hanno fallito: convincerlo a diventare sacerdote. Chiese ai Superiori di essere ordinato, a condizione di poter continuare la sua ricerca dell’ultimo posto, consapevole che questa volta avrebbe potuto occuparlo in compagnia del Signore nell’Eucaristia.

Il servizio sacerdotale

Nell’agosto del 1900, Charles rientra in Francia: «Ho trascorso un anno in un convento a studiare e lì sono stato ordinato sacerdote. Subito dopo mi sono sentito chiamato ad andare verso le “pecore perdute”, le anime più abbandonate per compiere verso di loro il comandamento dell’amore: “Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati, da questo riconosceranno che siete miei discepoli”. Charles scriverà una bellissima pagina sul mistero del servizio sacerdotale: «Il sacerdote 15


imita più perfettamente Nostro Signore, Sommo Sacerdote, che ogni giorno offriva se stesso. Io debbo collocare l’umiltà dove l’ha collocata nostro Signore, praticarla come l’ha praticata lui e perciò praticarla nel sacerdozio, secondo il suo esempio. I fratelli sacerdoti, al pari di Maria e Giuseppe, hanno ogni giorno Gesù tra le loro mani... Siano sale della terra, facciano risplendere dinanzi agli uomini le loro buone opere affinché questi glorifichino Dio, muoiano a tutto ciò che non è Gesù, poiché “se il chicco di grano non muore resta solo; se viceversa muore produce molto frutto”. Ricordino i fratelli sacerdoti che si fa bene agli altri nella misura di ciò che si ha dentro di sé, quanto a spirito interiore ed a virtù. Il prete è un ostensorio, suo compito è di mostrare Gesù. Egli deve sparire e lasciare che si veda solo Gesù... Mai un uomo può imitare più compiutamente Nostro Signore come quando offre il Sacrificio o amministra i Sacramenti. Una ricerca d’umiltà che si staccasse dal sacerdozio non sarebbe buona perché si staccherebbe da nostro Signore il quale è “la sola via”. Predicare il Vangelo, salvare i figli di Dio, distribuire loro con le proprie mani il Corpo di Cristo, quale vocazione!».

Fratello di tutti a Béni Abbès

Sapendo per esperienza che nessun popolo è più abbandonato dei musulmani del Marocco, del Sahara algerino, ho chiesto e ottenuto il permesso di venire a Béni Abbès, piccola oasi del Sahara algerino ai confini con il Marocco». Il 28 ottobre 1901, Charles arriva nella nuova missione vestito di una tunica bianca, con al petto un grosso cuore di stoffa sormontato da una croce. Per questo la gente lo chiama “il Marabutto” 16


(uomo di Dio): «Gli indigeni mi hanno accolto benissimo; entro in relazione con loro cercando di far loro un po’ di bene... I militari hanno iniziato a costruire per me una cappella, tre stanzette e una camera per gli ospiti utilizzando dei mattoni e tronchi di palma... Voglio abituare tutti, cristiani, musulmani, ebrei e idolatri, a considerarmi come loro fratello, il fratello universale… Iniziano a chiamare la mia casa la “Fraternità”, e questo è dolce… Ecco come si divide la mia giornata: levata alle tre, Messa al levar del sole, preghiera fino alle otto; dalle otto alle dieci lavoro manuale; dalle dieci a mezzogiorno preghiera, lettura, pranzo. Da mezzogiorno alle sedici lavoro manuale; dalle sedici alle venti preghiera; dalle venti alle ventitre riposo; dalle ventitre all’una preghiera; dall’una alle tre riposo... Bisogna passare attraverso il deserto e dimorarvi, per ricevere la grazia di Dio; è là che ci si svuota, che si scaccia da noi tutto ciò che non è Dio e che si svuota la piccola casa della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo... Gli ebrei passarono per il deserto; Mosé ci visse prima di ricevere la sua missione; san Paolo, uscito da Damasco, andò a passare tre anni in Arabia; anche san Girolamo e san Giovanni Crisostomo si prepararono nel deserto... E’ indispensabile. E’ un tempo di grazia. E’ un periodo attraverso il quale ogni anima che vuol portare frutti deve necessariamente passare. Le sono necessari questo silenzio, quest’oblìo di tutto il creato in mezzo ai quali Dio pone in essa il suo regno e forma in essa lo spirito interiore... La vita intima con Dio... La conversazione dell’anima con Dio nella fede, nella speranza e nella carità... Più tardi, l’anima produrrà frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in essa l’uomo interiore». 17


La pace del ritiro

La Sacra Scrittura insegna che i frutti dello Spirito Santo, ottenuti dalla preghiera fiduciosa, sono la gioia e la pace. L’esperienza del beato Charles de Foucauld ci testimonia questa verità: «Il mio piccolo ritiro è finito... esso si conclude in una pace profonda, più grande, più dolce di quanto mai abbia provato... è come un’inondazione di pace... quanto è buono il buon Dio!... Sono più che mai deciso a restare qui nella vita di “operaio figlio di Maria”, cercando di imitare la vita nascosta del nostro amato Gesù, in un umile lavoro, nell’oscurità, nella preghiera, nell’umiltà interiore ed esteriore, “nascosto in Dio con Gesù”... O mio Dio, voi ci rendete felici fin da questo mondo dal momento in cui dimentichiamo noi stessi per voi... O mio Dio, vi amo: la cosa che desidero di più al mondo è la vostra felicità: ecco

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che voi siete infinitamente felice per l’eternità, ed io godo pienamente per questa che è la cosa che desidero di più al mondo: qualunque cosa accada agli altri o a me, io ho nella vostra risurrezione, nella vostra beatitudine infinita ed eterna, una sorgente di felicità inesauribile, un fondo di felicità che nulla può togliermi: qualunque cosa possa accadermi, il mio desiderio più ardente, il bisogno della mia anima, il più profondo di tutti, è pienamente appagato; qualunque cosa mi accada o accada agli altri, io possiedo per l’eternità l’essenziale di ciò che possa desiderare, il bene che è di gran lunga il più caro, il più dolce al mio cuore. La mia vita scorre in una calma incomparabile. È così dolce sentirsi nelle mani di Dio, sorretti da questo Creatore che è bontà suprema, amore, l’amante, lo Sposo delle nostre anime, nel tempo e nell’eternità di luce e d’amore per la quale ci ha creati».

Vicino al Tabernacolo

Ogni giorno Charles trascorre lunghe ore ai piedi del Tabernacolo. Egli stesso spiega il motivo di questo fascino che lo tiene legato: «L’Eucarestia, è Gesù, è tutto Gesù. Quando si ama, si vorrebbe parlare ininterrottamente con la persona amata, o almeno guardarla senza sosta: la preghiera non è nient’altro che questo: intrattenersi familiarmente con il Beneamato: lo si guarda, gli si dice quanto lo si ama, si gode nel restare ai suoi piedi... È utile la mia presenza in questo luogo? Se non lo è, certamente la presenza del Santissimo fa molto bene. Gesù non può essere in un luogo senza risplendere. E inoltre, le relazioni con gli indigeni li familiarizzano, li tranquillizzano, fanno dissipare gradatamente i loro pregiudizi e le loro 19


prevenzioni. È una cosa assai lenta, esigua... Si fa fatica a non demoralizzarsi vedendo il male che regna dovunque in questi luoghi, la scarsità del bene, i nemici di Dio così audaci, i suoi amici così fiacchi, e anche noi stessi così miserabili, dopo tante grazie. Tuttavia io non devo rattristarmi, ma guardare ben più in alto, verso l’Amato; poiché è lui, e non noi stessi, che dobbiamo amare, ed è il suo bene che ci sta a cuore. Se egli è felice, lo siamo anche noi; se è tranquillo, lo siamo anche noi. Siamo felici della sua felicità... Dio ci permette di stare ai suoi piedi mormorando senza fine parole di ammirazione e di amore. Quale grazia! Quale bontà! Quale felicità! Ma, anche, quale ingratitudine se disprezzassimo simile favori! Quale grossolanità! Mio Signore e mio Dio, insegnami a trovare tutta la mia gioia nel lodarti, cioè nel ripeterti senza fine che sei infinitamente perfetto e che infinitamente ti amo. Ad ogni istante qualcuno bussa alla porta. Egli la apre sempre, per accogliere Cristo nel fratello, poiché “Tutto ciò che fate ad uno di questi piccoli, è a me che lo fate”: «Dalle quattro del mattino fino a sera, non smetto di parlare, di vedere gente: schiavi, poveri, ammalati, soldati, viaggiatori». In questa regione Charles scopre la schiavitù e ne è scandalizzato: «Quando il governo commette una grave ingiustizia contro coloro che ci sono stati, in qualche modo, affidati, bisogna dirlo, perché noi non abbiamo il diritto di essere delle “sentinelle addormentate”, dei “cani muti”, dei “pastori indifferenti”». Riuscirà con i soldi che gli arrivano in dono ad affrancarne sette, tra i quali il piccolo Abd-Jesu, un bambino di soli tre anni. Anche grazie alle sue parole le autorità coloniali francesi cominceranno a stroncare questo triste commercio. 20


Amico dei Tuareg

Nel giugno del 1903, il vescovo del Sahara trascorre qualche giorno a Béni Abbés. Arriva da sud, dove ha fatto visita ai Tuareg. Charles si sente attratto da questo popolo che vive nel cuore del deserto. Non ci sono preti disposti a recarsi laggiù ed egli, su invito del generale Laperrine, si rende disponibile: «Per diffondere il Vangelo io sono pronto ad andare in capo al mondo e a vivere fino al giudizio finale... Mio Dio, fa’ che tutti gli esseri umani vadano in Cielo! » Il 13 gennaio 1904, Charles parte da Akabli con il comandante Laperrine, che l’accompagna per tutto il viaggio. La sua intenzione è quella di visitare le popolazioni sottomesse e di spingersi fino a Timbuctu. In dieci mesi percorrono cinquemila chilometri: «La mia vocazione ordinaria è la solitudine, la stabilità, il silenzio... Ma se credo, eccezionalmente, di essere chiamato

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ad altro, non posso che rispondere come Maria: “Io sono la serva del Signore”. In questo momento sono nomade, vado da un accampamento all’altro, cercando di creare delle relazioni di familiarità, di amicizia… Questa vita nomade ha il vantaggio di farmi conoscere molte persone, di farmi visitare la regione... Dato che la regione nella quale vivono è povera di acque e di pascoli, i Tuareg sono obbligati a separarsi, a sparpagliarsi per poter nutrire ed abbeverare il bestiame. Vivono in piccolissimi gruppi, una tenda qui, qualche tenda là… Oggi provo la gioia di riporre - per la prima volta nella terra dei Tuareg - la Santa Eucarestia nel Tabernacolo... Sacro Cuore di Gesù, grazie per questo primo Tabernacolo in terra Tuareg! Che sia il preludio di molti altri e l’annuncio della salvezza di molte anime! Sacro Cuore di Gesù, risplendi dal fondo di questo Tabernacolo verso i popoli che ti circondano senza conoscerti! Rischiara, dirigi, salva queste anime che tu stesso ami!.. Invia santi e numerosi operai ed operaie evangelici nella terra dei Tuareg, nel Sahara, in Marocco, ovunque sia necessario; invia santi piccoli fratelli e piccole sorelle del Sacro Cuore, se questa è la tua volontà! Il tempo che non trascorro a camminare o a pregare, lo dedico a studiare la loro lingua... Ho appena terminato la traduzione dei Vangeli in lingua Tuareg. E’ per me una grande consolazione che il loro primo libro siano i Vangeli». Lo stesso capo della più nobile tribù Tuareg gli offrì di stabilirsi nel villaggio di Tamanrasset, una ventina di capanne: «Risiedo qui, solo europeo… Felice di essere solo con Gesù, solo per Gesù… Risiedere solo in questa terra è cosa buona; si fanno delle attività, ma senza fare grandi cose, perchè si diventa “del luogo”... Pregate perchè si 22


possa fare del bene fra queste anime, per le quali Nostro Signore è morto». I primi mesi nel nuovo insediamento non furono facili: alcuni Tuareg si mostrarono molto diffidenti nei suoi confronti; poi lentamente le tensioni si sciolsero: «I Tuareg vicini mi danno grandi consolazioni; fra loro ho amici eccellenti. I miei lavori con la lingua proseguono bene. Il Dizionario abbreviato è terminato e la stampa inizierà fra qualche giorno. Penso di terminare nel 1916 la raccolta di Poesie e Proverbi. La grammatica sarà per il 1918, se Dio mi concederà vita e salute... Questa terra d’Africa, questi milioni di infedeli richiamano talmente la santità, che sola otterrà la loro conversione; pregate perchè la Buona Novella arrivi e gli ultimi arrivati si presentino alla capanna di Gesù per adorarlo... Bisognerebbe che molti religiosi, religiose e buoni cristiani vivessero qui per prendere contatto con tutti questi poveri musulmani e per istruirli. Bisognerebbe 23


trovare delle infermiere laiche, devote a Gesù, che acconsentissero a vivere qui senza nome o abito religioso… Se nei paesi cristiani c’è tanto bene e tanto male, pensate a ciò che possono essere questi paesi, dove, per così dire, non c’è che male, da cui il bene è quasi del tutto assente, tutto è menzogna, doppiezza, astuzia, cupidigia d’ogni specie, violenza; e quanta ignoranza, quante barbarie! La grazia di Dio può tutto, ma di fronte a tante miserie morali..., si vede che i mezzi umani sono impotenti e che Dio solo può operare una così grande trasformazione. Preghiera e penitenza! Più vado innanzi, più vedo in ciò il mezzo principale d’azione su queste povere anime. Che faccio in mezzo a loro? Il gran bene che faccio è che la mia presenza procura quella del SS. Sacramento. Sì: c’è almeno un’anima tra Timbuctu e El Goléa che onora e prega Gesù. Infine la mia presenza fra questi indigeni li familiarizza con i cristiani e specialmente con i sacerdoti. Quelli che mi succederanno troveranno spiriti meno diffidenti e meglio disposti. È ben poco: è tutto quello che si può per ora; voler fare di più comprometterebbe tutto per l’avvenire. 24


L’apostolato della testimonianza

Consiglia a chi vuole abbracciare la sua stessa missione evangelizzatrice: «Atteggiatevi con semplicità, in modo gradevole e con bontà. È meglio amarli per essere riamati. Siate umani, caritatevoli e sempre lieti. Con loro bisogna sempre ridere. Io rido sempre, mostrando i miei brutti denti. Fatevi conoscere. Si racconta che noi mangiamo i bambini e che di notte ci trasformiamo in bestie. Fate loro capire che la vita dei Francesi è fatta di pacifica onestà, di laboriosità. Fate loro vedere che i nostri contadini conducono una vita simile alla loro, che noi gli assomigliamo... Prima di parlar loro del dogma cristiano, bisogna parlare di religione naturale, condurli all’amore di Dio, all’atto d’amore perfetto. Quando saranno arrivati a compiere atti d’amore perfetto e a chiedere con tutto il cuore la luce a Dio, saranno vicini alla conversione. Allorché vedranno uomini più virtuosi di loro, più sapienti di loro, che parlano di Dio meglio di loro, e che sono cristiani, allora essi saranno disposti ad ammettere che forse quegli uomini non sono nell’errore, e saranno pronti a 25


chiedere a Dio la luce... Tento di mostrare che l’emblema della nostra religione è un Cuore... Non è una vera e propria evangelizzazione; io non ne sono capace. Il mio è un lavoro che prepara l’evangelizzazione, che cura la fiducia, l’amicizia... io semino, altri raccoglieranno... Il mio apostolato deve essere l’apostolato della bontà. Se qualcuno mi chiede perché sono dolce e buono, devo rispondere: “Perché sono il servitore di un Bene migliore di me”. Quando si ama, si imita, quando si ama, si guarda il Beneamato e si fa come fa lui; quando si ama, si trova tanta bellezza in tutti gli atti del Beneamato, in tutti i suoi gesti, in tutti i suoi modi di essere, che si imita, si segue tutto, ci si conforma a tutto. È una cosa istintiva, quasi necessaria. I mezzi di cui egli si è servito nel Presepio, a Nazareth, sulla Croce sono: Povertà, Abiezione, Umiliazione, Abbandono, Persecuzione, Sofferenza, Croce. Eccole, le nostre armi, quelle del nostro Sposo divino, il quale ci chiede di lasciargli continuare in noi la sua vita... Seguiamo questo Modello unico; saremo allora sicuri di trovarci nel giusto perché non siamo più noi che viviamo, ma lui che vive in noi, e i nostri atti non sono più i nostri umani e miserabili atti, ma i suoi, divinamente efficaci. Se dobbiamo imitare amorosamente la vita esterna di Nostro Signore, quanto più ancora dobbiamo conformare le nostre anime alla sua, pensare tutti i suoi pensieri, condividere tutti i suoi desideri, avere tutti i suoi sentimenti, formare insomma un sol cuore ed un’anima sola con lui... Assomigliare, imitare è un bisogno violento dell’amore; è uno dei gradi di quell’unione cui mira di natura sua l’amore. La somiglianza è la misura dell’amore. 26


La tentazione dell’aridità

Solitario eremita, Charles deve continuamente combattere contro le tentazioni dell’accidia e dell’aridità che lo assalgono: «Non tengo conto a sufficienza della presenza di Dio. Mi lascio assorbire da ciò che faccio o dalle distrazioni, dalle fantasie. Non ho sufficientemente lo sguardo rivolto a Gesù, che è qui. Non lo vedo a sufficienza in ogni uomo. Non sono sufficientemente sovrannaturale con loro. Né sufficientemente dolce né sufficientemente umile, e neppure accurato come si dovrebbe nel fare loro del bene ogni volta che lo potrei. Gli esercizi di pietà lasciano a desiderare. Li faccio tiepidamente, pieno di distrazioni. Mi capita in certi casi di essere vinto dal sonno o di rinviare di ora in ora le cose da fare. Una così grande tiepidezza che mi fa soffrire fino ad umiliarmi... Non meravigliamoci delle tentazioni, delle aridità, delle miserie; è la parte migliore. Quanto più la tentazione è forte, profonda l’aridità, umiliante la miseria, tanto più lo sposo divino chiede alla nostra anima di combattere, di resistere, di sperare nel suo amore. Sottoporre a questa prova i nostri poveri cuori... non è forse una grazia? Che cosa può fare per noi di più che unirci sempre più a sé, rendendoci spiritualmente simili a lui! E tra i mezzi per elevare la nostra anima, non potremmo immaginarne uno più dolce e più delicato di ogni nostra ora una dichiarazione d’amore... Una prova di puro amore, un atto d’amore nell’oscurità, le apparenze dell’abbandono, le amarezze dell’Amore e nessuna delle sue dolcezze...». Sempre alla ricerca di maggiore perfezione nell’amore, confida per lettera al suo padre spirituale: «Gesù è buono e 27


mi colma di grazie nonostante la mia miseria. Mi abbandono a Lui per questo e per tutto. L’unica cosa che mi manca, lo sento, è la mia conversione. Preghi per me, padre amatissimo, affinché io sia finalmente ciò che devo essere, affinché mi decida a corrispondere a tante grazie ed incominci ad amare Gesù. Alla fine di ottobre saranno vent’anni che lei mi ha ricondotto a Gesù, vent’anni che è mio padre. Quante grazie ottenute da Dio in questo tempo e quanti benedici ricevuti da lei! Ed io rimango miserabile, insignificante, indolente e freddo!»

Tornare al Vangelo

Nutrimento e regola fondamentale di ogni cristianoèilVangelo,efratelCharlesneèpienamente consapevole. E’ per lui pane quotidiano, meditato e gustato con amore: «Torniamo al Vangelo: se non viviamo il Vangelo, Gesù non vive in noi. Torniamo alla povertà, alla semplicità cristiana. Un progresso spaventoso ha provocato in tutte le classi della società, e soprattutto nella classe meno ricca, anche nelle famiglie molto cristiane, il gusto e l’abitudine alle cose inutili e costose, insieme ad una grande leggerezza ed al vezzo per

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le distrazioni mondane e frivole, tanto fuori posto in tempi così gravi, in tempi di persecuzione, e nient’affatto in accordo con una vita cristiana. Il pericolo sta in noi, e non nei nostri nemici. I nostri nemici possono soltanto farci riportare vittorie. Il male, noi non possiamo riceverlo che da noi stessi. Tornare al Vangelo è il rimedio: è ciò di cui abbiamo tutti bisogno... Leggiamo sempre il Vangelo amorosamente, come se fossimo seduti ai piedi dell’Amato, ascoltando mentre ci parla di sé stesso. Dobbiamo cercare di capirla, questa Parola amata: colui che ama non s’accontenta d’ascoltare le parole dell’essere amato come una gradevole melodia, ma cerca di afferrare, di capire le minime sfumature; lo desidera tanto più quanto più ama, perché tutto ciò che viene dall’essere amato ha tanto valore, soprattutto le sue parole che sono come qualche cosa della sua anima. Quale dolcezza ineffabile in questo colloquio del nostro Dio! Quale incomparabile grazia, dal canto suo, di aprirsi, di mostrarsi così a noi, di darci di sé quanto mai avremmo potuto intuire, e rivelandocene con le sue stesse labbra tanti particolari! Quale bontà si riserva abbondante su di noi! Come, o Dio, ci troviamo sommersi nelle onde del tuo amore! Ogni parola della sacra Scrittura è una grazia delicatissima e amorosissima del nostro Beneamato che ci parla e ci parla di sé... Cercate di trovare il tempo per leggere qualche riga dei Santi Vangeli, continuando giorno per giorno, di modo che, in un certo periodo, passino interamente sotto i vostri occhi. E dopo la lettura (che non deve essere lunga, venti righe al massimo) meditate per qualche minuto, mentalmente o per iscritto, sugli insegnamenti contenuti in ciò che avete 29


letto. Bisogna cercare di impregnarci dello spirito di Gesù leggendo e rileggendo, meditando e rimeditando incessantemente le sue parole e i suoi esempi: devono passare nelle nostre anime come la goccia d’acqua che cade e ricade su una pietra, sempre nello stesso punto.

La regola dei Piccoli Fratelli

Nel 1908 Charles partì per la Francia alla ricerca di qualcuno con cui condividere i suoi ideali. Nei suoi lunghi eremitaggi aveva iniziato a pensare ad una nuova forma di vita religiosa: «Mi sono chiesto se non ci fosse un modo di cercare qualcuno con cui formare un inizio di piccola congregazione.. Lo scopo sarebbe quello di condurre il più fedelmente possibile la vita di Nostro Signore, vivendo soltanto del lavoro manuale e seguendo alla lettera tutti i suoi consigli... Formare solo dei piccoli gruppi, espandersi soprattutto nei paesi infedeli, così abbandonati, e dove sarebbe tanto dolce aumentare l’amore e i servitori di Nostro Signore Gesù... Ho scritto una regola molto semplice proprio per dare a qualche persona pia il desiderio di una vita di famiglia attorno all’Ostia Consacrata... La mia regola è così strettamente legata al culto della Santa Eucarestia che è impossibile che molti la osservino senza che ci siano un prete e un tabernacolo... Seppellirmi nella vita di Nazareth, come vi si seppellì Gesù stesso per trent’anni, come vorrei che vi si seppellissero i miei fratelli, realizzandovi per quanto possibile il bene che Egli vi realizzava, senza voler fare il bene che Egli non faceva... e considerare tutto il resto, per quanto seducente, come una tentazione di 30


colui che si trasforma in angelo di luce. Questa, mi pare, è la regola che devo seguire per il resto della mia vita, che non durerà più dei trent’anni passati da Gesù a Nazareth». Nelle lettere agli amici chiede aiuti spirituali: «Pregate Dio perchè io faccia qui l’opera che mi ha chiesto di fare: che io vi stabilisca un piccolo convento di monaci ferventi e caritatevoli, che amano Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi; una Zaouïa di preghiera e di ospitalità dalla quale risplenda una pietà tale da rischiarare e riscaldare l’intera regione; una piccola famiglia che imita in modo così perfetto le virtù di Gesù, che tutti intorno si mettano ad amare Gesù!». Ma i fratelli non arrivano: «Sono sempre solo, parecchi mi mandano a dire che vorrebbero raggiungermi, ma ci sono

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delle difficoltà, fra cui la principale è il divieto, posto dalle autorità civili e militari, per tutti gli europei di muoversi in queste regioni, a causa dell’insicurezza... Mi auguro e spero sempre di avere un compagno; ho in vista un ottimo sacerdote. Ma il suo direttore non gli permette ancora dì raggiungermi, esigendo dei segni più chiari della volontà di Dio a suo riguardo. Non rimane che attendere, confidando nel divin Maestro. Raccomando tutto questo a Gesù. Personalmente, trovandomi solo ai piedi del santo Tabernacolo, avendo Gesù così vicino notte e giorno, e potendo ormai celebrare la Messa ogni mattina, non mi manca nulla. Non provo alcun bisogno di compagnia, ne ho anzi paura, gustando infinitamente la solitudine con Gesù e temendo la responsabilità. Ma dovrei amare Gesù ben poco per badare ai miei gusti: e considerando unicamente la sua gloria, che è il solo fine da tener presente, sarebbe molto meglio se avessi con me un santo e buon sacerdote; ciò significherebbe adorare e recitare l’ufficio divino in due; ma significherebbe soprattutto avere alla mia morte un sostituto, cosicché il paese conserverebbe il suo Tabernacolo, il suo sacerdote di Gesù... Vedo tutto il bene che c’è da fare, tante anime senza pastore per le quali vorrei soprattutto fare del bene... Domani, dieci anni da quando celebro la Messa nell’eremitaggio di Tamanrasset! E non un solo convertito!... Bisogna pregare, lavorare e avere pazienza... Sono persuaso che ciò che dobbiamo cercare per gli indigeni delle nostre colonie non sono né una rapida assimilazione, né una semplice associazione, ma un progresso intellettuale, morale e materiale». 32


Il progetto di vita

A chi dalla Francia è tentato di raggiungerlo e chiede informazioni sulla sua vocazione di monaco missionario risponde così: «Mi chiederete qual è la mia vita. È fondata su tre principi: Imitazione della vita nascosta di Gesù a Nazareth. Adorazione del Santissimo Sacramento. Residenza tra i popoli infedeli più trascurati da tutti, facendo tutto il possibile in vista della loro conversione. Vita d’austerità perché il clima è duro e snervante e l’alimentazione ben diversa da quella europea, né si può pensare di averla perché ciò sarebbe un lusso costoso. Si deve vivere di ciò che la regione offre: grano, datteri e latticini. Come vesti ed abitazione non troverete che quanto v’è di più povero e di più rustico, qualcosa di molto simile probabilmente a ciò che dovettero essere il vestito e l’umile casa di Gesù di Nazareth. Benché tutto vi si faccia secondo un orario e nella più stretta ubbidienza, non vi esistono le prescrizioni esteriori caratteristiche della Trappa; si tratta di una semplicissima vita di famiglia. Diversa, anche perché non avrete alcun ufficio cantato, ma molta orazione e adorazione, molta preghiera o lettura silenziosa ai piedi dell’altare. Sono e sono sempre stato solo da dieci anni. Se Dio mi concederà ora dei fratelli da convertire, dividersi per la salvezza delle anime in piccoli gruppi, moltiplicando tali gruppi al massimo; ciò riuscirà più efficace per la salvezza delle anime che la fondazione di monasteri con maggior numero di frati... Vedo questi distaccamenti, questi romitaggi di tre o quattro monaci missionari, come delle avanguardie, votate a preparare la via per cedere il posto agli altri religiosi organizzati e al clero secolare, quando il terreno sarà stato dissodato». 33


Le ultime lettere

Negli ultimi scritti, dopo tanti anni di vita ascetica durissima, traspare la stanchezza fisica, ma anche la serenità interiore che lo ha invaso: «Sto bene in salute, ma vado declinando; sento che il corpo a poco a poco si va dissolvendo, e confesso che, nonostante tutto, nonostante i miei pochi meriti ed i miei tanti peccati, nonostante il lungo purgatorio che mi attende, provo una gioia grande ed immensa. Non merito certo che castighi, ma Gesù ci comanda di sperare; dunque, spero e mi abbandono alla speranza nella sua misericordia... Chiedere, desiderare e, se Dio lo vuole, soffrire il martirio per amare Gesù di grande amore... Amore ardente per la salvezza delle anime che tutte sono state riscattate per un prezzo inusitato. Non disprezzare nessuno ma desiderare il maggior bene per tutti gli uomini, perché tutti sono ricoperti dal sangue di Gesù come da un ampio mantello... Fare tutto ciò che posso per la salvezza di tutte le anime, perché tutte sono costate così care a Gesù e sono state e sono ancora tanto amate da lui! Essere perfetti, essere santi, anch’io, perché Gesù ha voluto tanta stima per me da dare, per me, tutto il suo sangue...Si compia completamente la sua volontà benedetta, che io resti qui ancora per poco o per molto, ma ch’egli tragga dalle nostre vite, lunghe o brevi, il maggior conforto possibile per il suo Cuore... Non ci abbandoniamo e non vogliamo vivere altro che per lui... Questo non impedisce, al contrario, che il giorno in cui egli ci chiamerà sia benedetto; noi l’ameremmo assai poco se non desiderassimo con gran desiderio di vederlo. Egli stesso, la sera di Pasqua, desiderava con gran desiderio di vedere il Padre... 34


L’ora della morte

Da due anni la guerra che lacera l’Europa inizia ad arrivare anche nel Sahara: «A 450 km da qui, il forte francese di Djanet è stato assalito da più di mille Senussiti armati di cannone e mitragliatrici. Dopo questo successo, i Senussiti hanno la strada libera per arrivare fino a qui; nulla può impedirlo, se non il buon Dio». La carestia fa partire i nomadi per pascoli lontani. A Tamanrasset rimangono i più poveri, piccoli coltivatori di terre assetate, che non possiedono neppure un cammello. Per difenderli da razzie e attacchi fratel Charles costruisce un “fortino - magazzino” comunitario, come quelli visti in Marocco. Vi si trasferisce per primo nell’estate 1916. La sera del 1° dicembre 1916 bussano alla porta e Charles riconosce la voce di un harratino che ha beneficato molte volte. Ma quando apre, una trentina di Senussiti invadono e saccheggiano la dimora. Le duemila pagine del dizionario francese-tuareg sono sparse

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a terra e calpestate. Fratel Charles è legato con redini di cammello ed affidato alla guardia di un ragazzo, armato di fucile. Pensano di condurlo via come ostaggio. Ma in un momento di panico, il ragazzo spaventato spara e la pallottola attraversa il cervello del povero prigioniero. Era una fine inattesa, ma non sconosciuta. Ai tempi di Nazareth, nel tempo in cui meditava vicino alla casa di Gesù, fratel Charles aveva scritto per sé stesso queste parole profetiche: «Pensa che tu devi morire martire, spoglio di tutto, gettato a terra, nudo, irriconoscibile, coperto di sangue e di ferite, ucciso violentemente e dolorosamente.., e desiderare che sia oggi»... Era il primo venerdì del mese, giorno dedicato al Sacro Cuore, giorno di preghiera anche per i musulmani: «Se il chicco di grano che cade in terra non muore, resta solo; se muore porta molto frutto». Lo stesso giorno aveva scritto a sua cugina Maria de Bondy: «Cancellarci, annullarci, ecco il mezzo più potente che possediamo per unirci a Gesù e far del bene alle anime; san Giovanni della Croce lo ripete ad ogni riga. Quando si vuol soffrire e amare, si può molto, si può il massimo che si possa al mondo. Si sente che si soffre; non sempre si sente che si ama ed è una grande sofferenza in più; ma si sa che si vorrebbe amare e voler amare significa amare. Si trova che non si ama abbastanza ed è verissimo: mai si amerà abbastanza; ma il Signore, che sa con che fango ci ha impastati e che ci ama più di quanto una madre possa amare il suo figliuolo, ci ha detto, Lui che non mente, che non avrebbe respinto chi a Lui venisse». Scriveva in quelle ultime ore anche all’amico Luigi Massignon, combattente al fronte: «Non bisogna mai esitare a domandare i posti dove 36


maggiori siano pericolo, sacrificio, possibilità di dedizione: lasciamo l’onore a chi lo vuole, ma rischio e pena reclamiamoli sempre. Come cristiani siamo tenuti a dare l’esempio del sacrificio e della dedizione. È un principio al quale bisogna essere fedeli sempre, con semplicità, senza domandarci se in una simile condotta s’insinui l’orgoglio. È il nostro dovere; quindi compiamolo e preghiamo il nostro Diletto, lo Sposo della nostra anima, che ci conceda di compierlo in totale umiltà e con pienezza d’amore per Dio e per il prossimo». Meditava: «Solo guardando al di là di questo mondo in cui tutto passa e muore, si trova la vera gioia nella speranza di un’altra vita di cui questa è solo il preludio; vita in cui il bene fatto, l’amore di cui sono assetati i nostri spiriti e i nostri cuori, saranno pienamente ed eternamente soddisfatti... L’ora della morte è ignota, fa’ che la tua anima sia continuamente come tu la vorrai in quell’ora».

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Dagli scritti di Charles de Foucauld Tutti di Dio Stiamo attenti a non attaccare il nostro cuore ad una cosa creata, qualunque essa sia, bene materiale, bene spirituale, corpo, anima. Vuotiamo il nostro cuore di tutto ciò che non è la cosa unica. Nient’altro sia il nostro tesoro che Dio. Né il prossimo, né noi stessi: non attacchiamoci a nulla. A nulla diamo il nostro amore, di nulla facciamo il nostro tesoro. Il nostro unico tesoro sia Dio, il nostro cuore sia tutto di Dio, tutto in Dio, tutto per Iddio. Lui solo; siamo vuoti di tutto, per poter essere completamente pieni di Dio... Noi non vogliamo, non accettiamo altro tesoro che Lui, perché non sopportiamo che ci sia nel nostro cuore altra cosa che Lui. Egli ha diritto a tutto il nostro cuore; noi lo conserviamo tutto intero per Lui solo. Svuotiamoci dunque di tutto e stiamo bene attenti perché nulla vi rientri e perché questo cuore dato a Dio e svuotato per Lui resti sempre perfettamente vuoto e puro, e appartenga veramente a Lui solo. 38


Uno sposo divino Dio è così grande, c’è una tale differenza tra Dio e tutto ciò che non è lui... Quando si è intravisto come è buono il Signore, come si può fare diversamente dal desiderare appassionatamente di passare la propria vita a contemplarlo, ad onorarlo, nel fare ogni sua volontà, lontano dalla vanità del mondo? No, ogni nostro tempo è preso, abbiamo intravisto il Re dei re che ha sedotto per sempre i nostri cuori. Noi l’amiamo, non vogliamo più alcun amore terrestre perché abbiamo un Bene da amare e non c’è in noi posto per due... Abbiamo intravisto il Cielo, siamo morti al mondo... Vogliamo essere di Dio solo; è sufficiente ai nostri cuori; non sono i nostri cuori sufficienti per rendergli tutto l’amore e l’adorazione che lui merita... Non vogliamo essere divisi; vogliamo essere tutti di Lui, ai suoi piedi, come dei fratelli, ma saremo di Lui solo, tutti a Lui... Come è umile e dolce Lui, il Re del Cielo, ad accettare così per sue spose tutte queste povere piccole anime che si offrono a Lui... Qualche volta è difficile trovare un fidanzato sulla terra, e, tuttavia, è così poca cosa, così cenere e polvere, un fidanzato terrestre; è così un niente!... Ma Lui, il Re del Cielo, lo si può avere per fidanzato quando si vuole... Accetta ogni anima... la più povera, la più indegna, la più colpevole, la più infangata, che si offre a Lui con un cuore sincero... Lui le accetta tutte... Mio Dio, come sei buono!... È la fede che fa la vita della sposa del Cristo... essa è nella luce; essa sa, essa vede... Vede che è la sposa di Gesù, che la sua sorte è divina; vede che è felice, che la sua vita deve essere un perpetuo “Magnificat” e che la sua felicità è incomprensibile... 39


L’amore ai fratelli Mio Dio, quale divina tenerezza per tutti gli uomini nelle parole che pronunciate: “Va’ a dire ai miei fratelli”. Voi ci chiamate tutti “vostri fratelli”! Quanto è dolce ciò, quanto siete buono! Siamo teneri come Gesù, amanti come lui... Consoliamo gli afflitti come lui, e dapprima coloro ch’egli stesso ci ha messo più vicino nella vita, una madre, un’anima cara; e coloro che hanno più bisogno di consolazione, coloro che, più deboli, stanno per piegare sotto un dolore pungente... Consoliamo le sue membra, le parti del suo corpo, delle quali egli dice: “Ciò che farete a uno di questi piccoli, lo farete a me”. Siamo, come lui, dei teneri consolatori, dei fratelli amanti di tutti gli uomini afflitti, di tutti gli uomini, perché di tutti ha detto: “Ciò che voi farete a uno di questi piccoli, lo farete a me”. Se una parte di me è nel cielo purissimo che sovrasta le nubi, se io resto in una terra sempre illuminata dal sole e al di sopra delle nubi, però con l’altra parte io amo, io devo amare, ho l’imperioso dovere di amare appassionatamente gli uomini... Dio ha voluto che così fosse per conferire alla carità verso il prossimo, di cui ha fatto il secondo comandamento simile al primo, una vera somiglianza col primo, quello dell’amore di Dio. Credo non ci sia parola del Vangelo che abbia fatto su di me più profonda impressione di questa, un’impressione tale da trasformare la mia vita: “Tutto ciò che farete ad uno di questi piccoli sarà fatto a me”. Se si riflette che queste sono parole della Verità increata, quella della stessa bocca che ha detto: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”, con che forza si è sospinti a cercare ed amare Gesù nei piccoli, nei peccatori, nei poveri, concentrando ogni nostra aspirazione nella conversione delle anime e offrendo tutto quanto sta in noi di materiale per il sollievo delle miserie temporali. 40


Ci ha amati per primo La Passione, il Calvario, è una suprema dichiarazione d’amore. Non è per redimerci che tu hai sofferto tanto, Gesù! Il più piccolo dei tuoi atti ha un valore infinito, poiché è l’atto d’un Dio, e sarebbe stato sovrabbondante per redimere mille mondi, tutti i mondi possibili. È per santificarci, per spingerci ad amarti liberamente, poiché l’amore è il mezzo potente per attirare l’amore, poiché amare è il mezzo più potente per farsi amare... e poiché soffrire per chi si ama è il mezzo più invincibile per dimostrare che si ama... e più le sofferenze sono grandi, più la prova è convincente, più l’amore di cui si dà dimostrazione è profondo... Mio Dio, quanto ci ami, tu che per noi hai voluto essere sprofondato in quest’abisso di sofferenze e di disprezzo, tu che in tal modo hai voluto darci tante lezioni, ma soprattutto, hai voluto dimostrarci il tuo amore, quest’amore inaudito grazie al quale il Padre ha dato il suo unico Figlio, e l’ha dato in mezzo a tali sofferenze e tali umiliazioni allo scopo di indurci, con la vista, con la certezza di un così immenso amore, dimostrato e dichiarato in maniera così toccante e commovente, allo scopo d’indurci con ciò ad amare Dio a nostra volta, ad amare l’Essere così amabile che ci ama tanto. Amiamo Dio, poiché egli ci ha amati per primo. Per amore di Gesù Il santo Vangelo ci dice: “Gli diede nome Gesù”. Gesù vuol dire Salvatore: il salvatore è colui che dona la salute, il Cielo, il possesso di Dio attraverso la conoscenza e l’amore. Nostro Signore ha voluto che il suo stesso nome gridasse, cantasse il suo immenso amore per noi: perché amare vuol dire volere il bene; volere un bene immenso è amare 41


immensamente; il nome di Salvatore grida che Dio ci vuole un bene immenso, infinito; l’eterno possesso di lui stesso ci ripete ad ogni momento che Dio ci ama infinitamente, immensamente. Attraverso il suo nome, Gesù ci lascia intravedere che egli, divin Salvatore, verserà tutto il suo sangue per dare il paradiso agli uomini; ci chiede zelo per le anime e sacrificio fino al martirio; ci dice che lui, il nostro Amato, è venuto sulla terra “per servire le anime lavorando per la loro salute e dare la sua vita per la salvezza di molti”, e ci invita a imitarlo consacrando la nostra vita alla stessa opera ed offrendo per essa il nostro sangue. Egli ci ha dato l’esempio: vita nascosta (Nazareth), vita solitaria (i quaranta giorni di deserto), vita pubblica (i tre anni di predicazione). Queste tre vite sono ugualmente perfette, poiché Gesù, sempre ugualmente perfetto in ogni periodo della sua vita, sempre Dio, le ha condotte tutte e tre. Esse sono ugualmente perfette in sé stesse, ma per noi non è ugualmente perfetto l’abbracciare l’una o l’altra; è indispensabile abbracciare quella in cui Dio ci vuole. Gesù si offre per essere il compagno di tutte le ore. E questo non ci basta? Lasceremo il Creatore per andare alle creature? Si, Gesù basta: là dove Egli è, niente manca. Adoriamo, baciamo, amiamo, lodiamo ogni parola del nostro Diletto. Sarebbe troppo dolce sentire che amiamo Gesù, che siamo amati da lui e che siamo contenti della sua felicità: se sentissimo ciò, la terra sarebbe un paradiso. Contentiamoci di volere e di sapere con più merito e meno dolcezza. La volontà dell’Amato, qualunque essa sia, 42


deve essere non solo preferita, ma adorata, amata e benedetta senza limiti: bisogna adorarla come il Diletto stesso, ed amarla come lui smisuratamente. Teniamo, senza tregua, lo sguardo rivolto all’immenso amore di Dio per noi, questo amore che egli ha fatto sopportare per ognuno di noi tante sofferenze, e che gli rende così dolce, piacevole e naturale farci le grazie più grandi. Si può compiangere colui che fa la volontà di Nostro Signore? Vi è forse qualcosa di più dolce al mondo che fare la volontà di colui che si ama? E se, nell’eseguirla, si trova qualche sofferenza, allora la dolcezza è raddoppiata!... Missionario ovunque Si può sempre far molto con l’esempio, la bontà, la preghiera, stringendo più strette relazioni con anime tiepide o lontane dalla fede, per ricondurle, a poco a poco, a forza di pazienza, di dolcezza, di bontà, per effetto della virtù più che dei consigli ad una vita cristiana oppure, ancora, entrando in relazioni d’amicizia con persone del tutto contrarie alla religione, per far cadere, con bontà e virtù, le prevenzioni che nutrono e per ricondurle a Dio... Bisogna estendere le nostre relazioni con i buoni cristiani per sostenerci nell’ardente amore di Dio e con i non praticanti, cercando di avere con loro, non solo rapporti mondani, ma legami di affetto cordiale, conducendoli ad aver per noi stima e confidenza e, per questo tramite, a riconciliarsi con la nostra fede. Bisogna essere missionari in Francia come nei paesi infedeli, e questo è compito di tutti i cristiani: sacerdoti e laici, uomini e donne. 43


Niente è migliore dell’Amore L’amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama. Se accade che si soccomba a una tentazione, è perché l’amore è troppo debole, non perché esso non c’è: bisogna piangere, come san Pietro, pentirsi, come san Pietro, umiliarsi, come lui, ma sempre come lui dire tre volte: “Io ti amo, tu sai che malgrado le mie debolezze e i miei peccati io ti amo”. L’amore che Gesù ha per noi, egli ce l’ha dimostrato abbastanza perché noi possiamo crederci senza sentirlo; sentire che noi l’amiamo e ch’egli ci ama, sarebbe il paradiso; il paradiso, salvo rari momenti e rare eccezioni, non è per quaggiù. Narriamoci spesso la duplice storia delle grazie che Dio ci ha fatto personalmente dopo la nostra nascita, e delle nostre infedeltà; vi troveremo - soprattutto noi che abbiamo vissuto per molto tempo lontani da Dio - le prove più sicure e più commoventi del suo amore per noi, come anche, purtroppo, le prove così numerose della nostra miseria. C’è motivo per immergerci in una fiducia senza limiti del suo amore (egli ci ama perché è buono, non perché noi siamo buoni: le madri non amano forse i loro figli traviati?) e motivo per sprofondarci nell’umiltà e nella diffidenza verso di noi... Com’è divinamente buono a permettere che delle formiche come noi lo amino. Di che parleremmo noi, se non di colui che è la nostra vita, per il quale respiriamo, per il quale solo noi vogliamo vivere, al quale apparteniamo senza limiti e senza riserve, corpo, anima, mente, cuore... Tutto è di lui, tutto è per lui! Dobbiamo avere la purezza e l’innocenza di un bambino per essere degni del Regno dei Cieli e di Gesù. Non dobbiamo temere che una cosa al mondo: non amare abbastanza Gesù. 44


Preghiera di abbandono di san Charles de Foucauld

Padre mio, io mi abbandono a te, fa di me ciò che ti piace! Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature. Non desidero niente altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. Ed è per me una esigenza d’amore il donarmi, il rimetteremi nelle tue mani senza misura, con una fiducia infinita, poiché tu sei il Padre mio.

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L’eredità spirituale

«L’opera a cui da lungo tempo mi sento portato a dedicarmi è la formazione di piccole comunità... La vita nascosta di Nazareth non è imitata. Nell’interno del Marocco, grande come la Francia, non c’è nemmeno un sacerdote, non c’è un solo Tabernacolo». Quel chicco solitario, caduto in terra e ucciso, ha portato frutti abbondanti in più di 80 paesi del mondo. I membri delle fraternità esercitano l’apostolato tra i diseredati e negli ambienti meno penetrabili dalla normale azione pastorale. 46


Nell’albero genealogico dei gruppi nati sulla scia di Charles de Foucauld, l’Unione ha come data di nascita il lontano 1909, nell’ultima tappa della vita del santo a Tamanrasset. L’Unione di Fratelli e Sorelle del Sacro Cuore di Gesù fu approvata dal vescovo di Viviers, Mons. Bonnet e dal superiore dei Padri Bianchi, Mons. Livinhac. Alla morte di fr. Charles, nel 1916, l’Unione contava una cinquantina di membri. Dopo il 1916 sono nati altri gruppi che, ispirandosi alla vita e agli scritti di de Foucauld, si sono messi al suo seguito. Per quanto riguarda la diffusione della spiritualità di Charles de Foucauld ha avuto un ruolo particolare l’opera di René Voillaume, fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù nel 1933, e la Piccola Sorella Magdeleine, fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù nel 1939. Da queste due famiglie religiose sono sorti altri rami dell’albero. Attualmente i gruppi approvati ufficialmente dalla Chiesa sono 21 e formano l’Associazione Famiglia Spirituale di Charles de Foucauld. I vari gruppi, nati in tempi e contesti diversi, sono autonomi, ma allo stesso tempo si riconoscono reciprocamente nella comune spiritualità. Charles de Foucauld è stato beatificato da papa Benedetto XVI il 13 novembre 2005. Papa Francesco lo ha canonizzato nella basilica di San Pietro il Per approfondire:

www.charlesdefoucauld.it www.charlesdefoucauld.org Vice-postulazione P. Andrea Mandonico via della Nocetta 111 - 00164 Roma 47


BENEDIZIONE DELLA FAMIGLIA Pace a questa casa e ai suoi abitanti. R. Ora e sempre. Amen. Gesù disse a Zaccheo: «Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Preghiamo insieme Dio nostro Padre, perché ravvivi in questa famiglia la grazia della vocazione cristiana. R. Resta con noi, Signore. - Raccogli la nostra famiglia nel vincolo del tuo amore - Suscita in noi un amore forte e personale per Cristo - Donaci fame e sete della tua parola - Custodisci nei giovani il dono della fede Ora preghiamo come il Signore Gesù ci ha insegnato: Padre nostro... Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, manda dal cielo il tuo angelo che visiti, conforti, difenda, illumini e protegga questa casa e i suoi abitanti; dà salute, pace, prosperità e custodisci tutti nel tuo amore. A te onore e gloria nei secoli. Per Cristo nostro Signore. R. Amen. Ravviva in noi, Signore, nel segno di quest’acqua benedetta, il ricordo del Battesimo e l’adesione a Cristo Signore, crocifisso e risorto per la nostra salvezza. R. Amen. Dio vi riempia di ogni gioia e speranza nella fede. La pace di Cristo regni nei vostri cuori. Lo Spirito Santo vi dia l’abbondanza dei suoi doni. R. Amen.


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