Le nuove del Pais 2013_4

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«Le nuove del Pais»

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“Sora fora le crode” Piccola Civetta per la Val dei Cantoni … La Val Corpassa scintilla svogliatamente al sole ormai alto, dominata sullo sfondo dall’ inconfondibile profilo dell’ Agner, mentre la salita si snoda noiosissima lungo l’“autostrada” a quattro corsie che mi porta fino al casello del rifugio Vazzoler. Da qui devio a destra inseguendo un’ esigua traccia che sembra lasciare per sempre questa realtà per indirizzarsi verso lande ignote e inospitali; il sentiero si fa strada a stento tra i mughi e la boscaglia, tant’ è che esco dal bosco appiccicoso come una caramella dalla resina che ho addosso. E ora, là, ben evidente davanti ai miei occhi la misteriosa Val dei Cantoni: quell’ angusto catino delimitato e sorvegliato dalle due possenti muraglie di roccia che si dipartono a nord dalla Piccola Civetta e che si propagano verso sud con una serie innumerevole di cime e pinnacoli che scemano di quota dalla più alta alla più bassa fino alle due vertigini terminali delle torri Trieste e Venezia. Man mano che mi alzo di quota nel vallone tra nevai, ghiaie e balze rocciose, l’ ambiente si fa sempre più suggestivo e severo; il Vazzoler, per quanto non così distante, sembra già un lontano ricordo, e l’ unico segno di civiltà rimasta da queste parti è testimoniato dagli “omini”di sassi che mi indicano la linea di salita e che inaspettatamente continuo a trovare lungo il cammino. Inoltre le guglie dei Cantoni, da un lato e dall’ altro, paiono innalzarsi parallelamente a me, sempre più alte, divenendo così idealmente inarrivabili, e quasi sbeffeggianti. La parte alta della valle finalmente può mettere in mostra l’ imponente bastionata della Piccola Civetta, altissima, lassù, come una vedetta sull’ intero canalone che dal ghiacciaio del Giazzer sprofonda giù fino all’ accomodante piana verde del Vazzoler. Coi piedi nella neve del Giazzer riesco ormai a scorgere la macchia classicamente rossa del bivacco

Tomè, impiccato lì, in bilico, a quasi 2900 metri di quota, alla base della cima De Gasperi; in pochi minuti lo raggiungo. Mi guardo attorno insistentemente, quasi intimorito, assediato da quelle mura rocciose indifferenti e distaccate. “La fine del mondo, l’ inizio di tutto”: mi sovviene questo detto che fa da slogan ad una cittadina della Terra del Fuoco all’ estremo Sud America. Qui è lo stesso. Pare di smarrire la propria identità, tutto quello che sei, tutto ciò che fai, sembra annullato, cancellato dalla percezione di quella grandiosità così selvaggia, di una realtà o forza talmente grande, inafferrabile e trascendente da divenire annichilente, e tale da far apparire la stessa natura umana irrilevante. Me ne rimango lì, nei pressi del bivacco, sonnecchiando simili fatui pensieri che il caldissimo sole settembrino sembra farmi fumare in testa. Nel primo pomeriggio infilo la frontale in tasca (sperando vivamente di non doverla usare), e mi avvio alla volta della soprastante cima De Gasperi, che raggiungo salendo un infame canalino marcio e arrampicchiando le ultime roccette cosparse di una graniglia davvero poco invitante, che portano sulle espostissime scaglie di vetta. Non appena metto il naso sul vuoto della parete quasi mi fa arretrare di un passo la vista del (tetto del) rifugio Tissi, un chilometro sot-

to di me, mentre duemila metri più giù, la macchia più o meno azzurra del lago di Alleghe; con un pelino di rincorsa sembra di potercisi tuffare! … Ma è volgendo lo sguardo a nordest che il fiato mi si toglie ed i brividi corrono davvero lungo la schiena: quando mi si staglia finalmente davanti l’ immenso baratro della “parete delle pareti”! E proprio lì, proprio lei, davanti a me, come e forse più di quanto l’ avessi sempre immaginata; che dalla croce e gli Agazign in vetta precipita per milleduecento verticalissimi metri tra placche gialle strapiombanti, diedri invisibili, camini e colatoi neri, sassi e bestemmie che volano, leggende dell’ alpinismo e cunei di legno, giù giù, senza fiato, fino ai docili ghiaioni dirimpetto il rassicurante rifugio Tissi. Me la gironzolo via e qua per la cresta di vetta per più di tre ore, in balìa degli infiniti orizzonti e dei miei pensieri, studiando la (probabile ma niente affatto certa, infatti …) via di salita alla Piccola Civetta che ho in programma per l’ indomani, ben visibile proprio di fronte a me, aspettando quel tramonto che non arriva mai, ma quando sopraggiunge è da fibrillazione ventricolare! La grandiosa “nord-ovest” pare infiammarsi di rosso, inondata dagli ultimi tenui raggi solari,quasi finta da quanto è bella, così come le vette circostanti ricevono l’ultimo bacio dalla nostra stella e

i colori del crepuscolo trasformano quelle forme rendendole irreali. Le tiepide valli abitate sono ormai avvolte dal buio, mentre a occidente il sole viene inghiottito da un orizzonte lontanissimo. E un attimo: la paretona sembra raffreddarsi in un istante, ed io ho al massimo una mezzoretta per scendere prima che l’ oscurità mi colga. Faccio gli ultimi scatti e mi fiondo a rotta di collo giù per gli sfasciumi della De Gasperi. Mentre rosicchio la “cena” fuori dal bivacco, ormai al buio, noto un lumicino rosso a mezz’ aria, appena al di qua dell’Agner: probabilmente c’ è festa grande stasera al bivacco Bedin… Invidia!... Per quanto mi riguarda la bottiglia di prosecco del mio bivacco è vuota e ad esclusivo uso di … Candelabro! Mi infilo nel sacco a pelo con le più sincere intenzioni per l’ indomani di rinunciare, fare dietro-front e tornarmene a casa, perché su di là … In quell’ ambiente … Con quella neve … Con quel marciume … Da solo … Boh … Meglio di no. Nel momento stesso in cui lo penso so benissimo che non lo farò! Poi le schitarrate rock ‘n’ roll che mi fervono nelle orecchie riescono quasi a dissipare i boati delle scariche che precipitano un po’ ovunque nell’ addormentata conca del Giazzer, facendomi scivolare quasi dolcemente nel sonno. Dormo troppo bene per avere un presagio di ciò che mi aspetta domani … Simone


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Le nuove del Pais 2013_4 by Istitut Cultural Ladin Cesa de Jan - Issuu