la Ciminiera 1
24 ANNI DI PRESENZA!
Editoriale Periodico di cultura, informazione e pensiero del Centro Studi Bruttium (Catanzaro) Registrato al Tribunale di Catanzaro n. 50 del 24/7/1996. Chiunque può contribuire alle spese. Manoscritti, foto ecc.. anche se non pubblicati non si restituiranno. Sono gratuite (salvo accordi diversamente pattuiti esclusivamente in forma scritta) tutte le collaborazioni e le prestazioni direttive e redazionali. Gli articoli possono essere ripresi citandone la fonte. La responsabilità delle affermazioni e delle opinioni contenute negli articoli è esclusivamente degli autori.
Anno XXIV Numero 11 - 2020 Direttore Responsabile Giuseppe Scianò Direttore editoriale Pasquale Natali Presidente C.S.B. Raoul Elia Redazione Angelo Di Lieto Rita Boccalone Bruno Salvatore Lucisano Patrizia Spaccaferro Raoul Elia Interventi di: Daniele Mancini, Gabriele Campagnano Greta Fogliani
Il prossimo mese, per augurarvi un Buon Natale, il Centro Studi Bruttium regalerà a tutti voi non solo la rivista La Ciminiera ma anche un nuovo e interessante Quaderno dedicato sia ai Presepi natalizi che a Enzo Rotella, che fu grande cultore dei presepi "fatti in casa". Sicuri di farvi cosa gradita e ringraziando l'amico Angelo Di Lieto per il suo fattivo attivismo, vi invito a leggere questo numero della rivista che è ricco di spunti per una maggiore ricerca personale. Un abbraccio a tutti e alla prossima. 2 la Ciminiera
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NOVEMBRE ROMANO, LA VITA SI RITIRA di Daniele Mancini
Il mese di Novembre è sacro a DIANA FERONIA. Nono mese del calendario primigenio è mese FERALIS, CVPO. Tutta la vita si arresta e si ritira, il ciclo solare entra nel periodo più oscuro dell’anno, la tenebrosità ha qui il sopravvento: il seme prende contatto con la terra, nell’hvmvs, il Sole scende agli inferi, muore. L’entrata nella notte segna il vincolo, la rottura dell’equilibrio aureo, l’inizio di un nuovo ciclo di esistenza. Novembre segna così l’occultamento dell’Essere nella Manifestazione, il suo latere morto, nell’oblio dei fenomeni. Questa fase, che si avvicina al Solstizio invernale,segnaunperiododiriassorbimento e di non manifestazione collegabile sia ai semi non estinti, sia all’incubazione di un nuovo ciclo che dovrà scaturire da Ianvs e da Mars. Con l’occultamento del Sole anche, la Natura muore, il seme si interra, la linfa ritorna alle radici, la cupezza e il nero prendono a prevalere. Il mese è poverissimo di feste, il più povero, quelle presenti sono dedicate a culti tellurici e ferali: si avrà il lungo periodo dei Ludi Plebei, che esaltano i conseguimenti ottenuti dalla Plebe, al cui interno spicca
l’EPVLVM IOVI, e i riti in onore di FERONIA. Feronia deriva da da Fere, Feralis, concreta rappresentazione di Diana Silvana, materia indifferenziata, non domita: Feronia è la Dea italica delle Acque, delle Fonti, non dedita ad Amore, sperimenta i rimedi salutari e favorisce la rigogliosità delle Selve, lontano dal civilizzato; preposta alla liberazione degli schiavi, alla natura ferale e, alla fine dei tempi, prenderà l’apparente sopravvento.
Foto di Daniele Mancini - Musèe du Louvre la Ciminiera 3
I giorni di novembre più importanti per i Romani: 1 Novembre, Kalendae – LVDI VICTORIAE SVLLANAE 4 N., Pridie Nonas – LVDVS TROIAE – Iniziano i Ludi Plebei 6 Novembre, VIII Idvs – DIES RELIGIOSVS 8 N., VI Idvs – MVNDVS PATET – DIES RELIGIOSVS 13 Novembre, Idvs – IOVI EPVLVM – Si propizia, da parte dei Fratres Arvales, la Dea Feronia, nel LVCVS presso Campo Marzio. Si propizia anche Apollo Soranvs. Si dia l’Epvlvm Iovi secondo le norme rituali 14 N., XVIII Kalendas – DIES RELIGIOSVS EQVORVM PROBATIO 15 Novembre, XVII Kalendas – LVDI IN CIRCO 17 N., XV Kalendas – Natalis VESPASIANI
Bibliografia consultata: R. Del Ponte, La religione dei Romani, Milano 1992 G. Dumézil, La religione romana arcaica, Milano 2001 J. Champeaux, La religione dei Romani, Bologna 2002 J. Carcopino, La vita quotidiana a Roma, Bari 2003 A. Brelich, Calendari festivi, Roma 2011
Sul prossimo numero:
GESU’ E’ NATO IL 25 DICEMBRE? E’ un argomento spinoso, non archeologico, in cui ho deciso di avventurarmi dopo aver ascoltato, in una conferenza sul Natale e sul significato attribuito alla data del 25 dicembre, le parole di una cara amica, Benedetta Di Marzio, che non poche pulci ha messo nelle mie orecchie. Lungi da me essere blasfemo e offensivo, ma il mio ateismo mi induce a cercare di confutare, molto semplicemente e senza alcuna pretesa, delle teorie sulla veridicità di questa data, quella appunto del 25 dicembre! 4 la Ciminiera
Il primo episodio di pazzia di Carlo VI a Le Mans, mentre attacca i suoi cavalieri.
Il Re Carlo VI di Valois (1368-1422), sovrano di Francia dal 1380 al 1422, era convinto, ma proprio convintissimo, di esser fatto di vetro.
Fatti non foste per viver come vetro
più diffuse è che l’illusione/ delirio potrebbe essere un meccanismo di difesa che si innesca in situazioni di forte pressione. Vi è inoltre l’impellente bisogno di dare di Raoul Elia una determinata immagine di sé. I sintomi, pertanto, (Anche) per questo, il sarebbero una risposta sovrano era chiamato il Folle, alla paura di proiettare d’altronde. La sua ossessione, vulnerabilità. in effetti, aveva raggiunto vertici inusitati, Ma cosa ha scatenato il delirio di re Carlo? l’asticella della follia, però, andò sempre più alzandosi, poiché il delirio lo spingeva a Poco prima di partire per la Guerra dei nuove vette di follia e così via, in un corto Cent’Anni, il suo amico e consigliere Olivier circuito potenzialmente infinito. di Cisson era sfuggito di misura ad un Così, si dice almeno, per proteggere il mortale attentato tesogli da Pierre de Craon, proprio corpo era solito indossare abiti poi rifugiarsi in Bretagna. L’episodio aveva rinforzati, con rinforzi e sostegni adatti a fortemente colpito la sensibilità del monarca, che forse stava maturando quella che oggi si proteggere il fragile corpo del sovrano. chiamerebbe una mania di persecuzione. Ma, veramente terrorizzato dal rischio di Partito ugualmente, il 1° luglio 1392, “spezzarsi”, arrivò fino a proibire ai propri per raggiungere il quartier generale delle cortigiani di avvicinarglisi a più di un metro di distanza. Immagino già che razza di situazione truppe, sarebbe caduto vittima di una dovesse esserci in quella gabbia di matti che situazione molto strana: mentre la colonna era già di per sé la reggia francese. Non c’è stava attraversando una cupa foresta, uno sconosciuto avrebbe afferrato le briglie del che dire, un vero delirio. suo cavallo e gli avrebbe to: «Non cavalcare Sulla natura di questa, come di altre forme di oltre, nobile re. Torna indietro! Sei stato delirio si dibatte da tempo. Una delle ipotesi tradito». la Ciminiera 5
Benché gli uomini di scorta lo avessero percosso e avessero provato ad allontanarlo, per circa mezz’ora il tizio avrebbe continuato a correre a fianco del re, seguitando a gridare il suo monito. A mezzogiorno, un paggio, vinto dalla sonnolenza, avrebbe lasciato cadere la lancia del re con un forte rimbombo sull’elmo d’acciaio di un altro scudiero. A quel punto, il re avrebbe sobbalzato sulla sua cavalcatura, sguainato la spada e, gridando qualcosa come: «Avanti contro i traditori! Vogliono consegnami al nemico!», avrebbe attaccato e ucciso o ferito alcuni uomini del suo seguito. Disarmato a il re sarebbe quindi caduto in uno stato di stordimento e di profonda apatia durato a lungo. Molte biografie fanno risalire a questo momento la sua follia. La tradizione riporta però anche una versione più “sinistra”: secondo i teorici del complotto, Carlo VI sarebbe invece caduto vittima di un maleficio ad opera di sua cognata, Valentina Visconti, moglie di suo fratello Luigi. I Visconti pare fossero noti in tutta Europa per le loro pratiche di magia nera: del padre di Valentina, Gian Galeazzo, signore di
Il “Ballo degli Ardenti” in una miniatura del XV secolo 6 la Ciminiera
Milano, si dice che sia stato un esperto mago e negromante, come lo erano stati, del resto, i suoi avi. Di Matteo Visconti, si dice avesse cercato di coinvolgere addirittura Dante Alighieri in un’operazione di stregoneria per uccidere il papa di Avignone, Giovanni XXII. Né il sovrano sembra avesse la prerogativa della follia: il 28 Gennaio 1393, in occasione del 3° matrimonio di Catherine de Fastaverin, dama di compagnia di Isabella di Baviera, moglie di Carlo VI, il re e altri 5 nobili francesi si esibirono in una danza mascherati da “uomini selvaggi”, metà umani e metà bestia, in stracci svolazzanti e pelliccia inzaccherata. Durante la danza Luigi I Duca di Orléans, fratello di Carlo, ebbe la brillante idea di ravvivare la festa (mah) dando fuoco ai danzatori con una torcia, idea malsana, fino ad un certo punto perché la fiamma, propagandosi rapidamente da uno all’altro, raggiunse tutto il gruppo in brevissimo tempo e quattro “uomini selvatici” perirono bruciati vivi (il contrario, sarebbe un po’ improbabile, quanto meno) mentre uno di loro riuscì a gettarsi in una tinozza d’acqua, probabilmente si trattava di Ogier de Nantouillet. Carlo VI pare si sia invece salvato per il provvido (per il re, quanto meno) intervento della Duchessa di Berry, che protesse il re Carlo con la sua gonna. Sta di fatto che, almeno per la maggioranza degli storici, la sua follia iniziò da questo evento. Il re, che governò (spesso sostituito da reggenti) per un periodo di ben 42 anni sulla Francia, soffriva probabilmente di schizofrenia paranoide e alternava periodi di pura follia (alcune volte sembra si aggirasse per le stanze ululando come un lupo; altre volte si diceva rifiutasse di farsi il bagno, per settimane e mesi, forse per paura di essere affogato) ad altri in cui aveva un comportamento
praticamente normale (per quanto possa esserlo quello di un monarca). La malattia di Carlo VI è stata in seguito ereditata dal nipote Enrico VI d’Inghilterra e divenne una delle cause che facilitarono la nascita del conflitto dinastico denominato la “Guerra delle due Rose”. Dunque, la “sindrome del vetro” non è appannaggio del re Carlo, né, pare, solo dei reali. Nel periodo successivo al Medioevo, ad esempio, e soprattutto fra il XV e il XVII secolo, in Europa, si registrarono numerose cronache di persone che credevano di avere ossa, teste, braccia o cuori in vetro. Lo storico Gill Speak, infatti, ha descritto, nel suo trattato del 1990 “An odd kind of melancholy: reflections on the glass delusion in Europe (1440-1680)” (ed. it., “Uno strano tipo di malinconia: riflessi sull’illusione del vetro in Europa (1440-1680)”), moltissimi casi di “sindrome del vetro”. Ecco qualche esempio: un uomo pensava di avere i glutei di vetro e per questo evitava di sedersi in quanto l’azione avrebbe disintegrato il suo fragile fondoschiena. Un altro racconto, raccontato da due medici reali tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, racconta di un nobile anonimo che credeva di essere fatto di vetro e si limitava a un letto di paglia per proteggersi dalle frantumazioni. Questi pare asserisse specificamente di essere un vaso di vetro. L’aneddoto ha un finale decisamente fra il grottesco e il surreale: Un giorno, il suo medico, frustrato dal tentativo senza successo di dissuaderlo dalla sua illusione, incendiò il letto di paglia e chiuse a chiave il nobile nella sua stanza. Quando l’uomo cominciò a bussare alla porta, implorando il suo medico di aprirla, il medico gli chiese perché non si sarebbe frantumato con tutti i colpi se fosse stato fatto di vetro. Si dice che questo evento abbia guarito il malcapitato dalla sua illusione. In un altro caso, In un caso, un medico esasperato dà a un uomo che soffre di questa specifica illusione un battito sulle natiche. Successivamente, il medico gli avrebbe fatto notare che il dolore che prova proviene dai “glutei di carne”.
Alexandra Amalie von Bayern (1826–1875)
E, sempre a proposito di vasi di vetro, un altro caso, registrato in Veneto, riporta di un uomo che si sarebbe recato a Murano e, sperando di tramutarsi in un calice, gettato in una fornace, morendo ovviamente bruciato. Un altro caso è legato ad uno studioso convinto che la superficie del mondo fosse fatta di vetro, al di sotto della quale si nascondeva un groviglio di serpenti. L’allucinazione di essere di vetro scompare dalle relazioni mediche ufficiali verso il 1830. I casi furono molto rari dopo quella data. Uno degli ultimi classici esempi dell’illusione del vetro fu Alexandra Amelie, figlia di Ludovico I di Baviera. Nel 1840, quando era una giovane donna, Alexandra arrivò a credere di aver ingoiato un pianoforte di vetro durante l’infanzia, il che portò la giovane donna, evidentemente con qualche serio problema psichico, a credere di dover camminare con cura per evitare che si frantumasse. Nell’ultimo secolo, in effetti, i casi di sindrome del vetro sono decisamente scomparsi. Perché? Mah. Forse perché sono scomparsi anche molti nobili e i ricchi hanno altri modi la Ciminiera 7
per sfogare la loro isteria. Il vetro, infatti, era molto raro e soprattutto costoso, almeno fino alla Prima Rivoluzione Industriale e quindi l’approccio alla sindrome era in quel periodo gioco forza legato alla ricchezza (chi non era ricco non aveva idea del vetro). Edward Shorter, storico della psichiatria di Toronto, ha una teoria differente (ma non meno improbabile): il vetro, anche se in realtà è una scoperta antica, è un materiale ancora “nuovo” in Europa, in quanto, come si è detto, raro e costoso, almeno fino a tutto il XVII secolo; e sarebbe questa la chiave per spiegare l’epidemia secolare di questa curiosa allucinazione in individui spesso molto intelligenti e sempre di classe elevata, Foto 4: Dettaglio del meccanismo
ma anche sempre con tratti psicotici di tipo malinconico e di inadeguatezza alla vita che dovevano affrontare. Perché la sindrome dell’uomo di vetro scomparve, allora? Forse perché, sostiene sempre Shorter, l’inconscio psicotico ha spesso associato le sue allucinazioni ai nuovi materiali e alle nuove tecnologie della sua epoca: non a caso, secondo Shorter, nel XIX secolo, in parallelo con l’avvento della nuova tecnologia del cemento armato, emersero molti casi di allucinazioni del tipo “io sono di cemento”. Il che, però, ancora non spiega come sia nata, questa sindrome del vetro, né perché.
Un computer per le predizioni? di Raoul Elia
Ilmondodelladivinazioneèmoltocomplesso e e variegato, giacché la divinazione è una disciplina antica che ha avuto (ed ha ancora, almeno in parte) grande successo in tutte le società umane, poiché “consentente” di interpretare il futuro e fornisce quindi comodi strumenti per attenuare l’ansia per il futuro che colpisce sia i singoli individui che le comunità intere. I modi per divinare il futuro sono molteplici e si ricollegano un po’ a tutto lo scibile umano. Fra essi, interessantissima è la cosiddetta geomanzia, o astrologia terrestre, che, già conosciuta (almeno) a partire dai primi secoli del Medioevo (Isidoro di Siviglia, un erudito del VI secolo d. C., la cita come disciplina nelle sue Etymologiae) si diffuse, a partire dal Duecento, sia nel mondo cristiano che in quello islamico. 8 la Ciminiera
L’arte di leggere la t(T)erra o geomanzia La geomanzia era praticata bucherellando a caso un appezzamento di terreno e collegando i fori ottenuti secondo un metodo grazie al quale si ottenevano i “tetragrammi”. Queste figure erano composte da quattro segni, ognuno dei quali poteva essere “singolo” o “doppio”, così da originare 16 differenti combinazioni. I tetragrammi, detti anche “costellazioni”, portavano nomi suggestivi: la serie di quattro segni “singoli” veniva chiamata Via, quella di quattro “doppi” Populus, ma c’erano anche Caput Draconis e Cauda Draconis, Carcer, Laetitia, Fortuna Maior e Fortuna Minor, e così via. Vediamo più da vicino questa singolare tecnica.
Lo scudo della terra La lettura dei tetragrammi era agevolata da uno schema più ampio; essi infatti venivano inseriti in uno schema piramidale, il cosiddetto “scudo geomantico”, seguendo una procedura matematica che, al termine, forniva il responso da interpretare correttamente. Lo scudo geomantico è il grafico con cui otteniamo il giudizio divinatorio ed è tradizionalmente denominato appunto “scudo” ed è formato da quindici o sedici settori. I primi dodici corrispondono alle dodici case astrologiche e sono suddivisi in tre gruppi: quello delle “madri”, dalla I° alla IV° Casa, quello delle “figlie”, dalla V° all’VIII° Casa, e quello delle “nipoti”, dalla IX° alla XII° Casa. I restanti quattro settori, dalla XIII° alla XV° Casa, sono invece propri della divinazione geomantica e sono definiti “figure di corte”. La prima figura di corte (XIII° Casa) è “il testimone del passato”, la seconda figura di corte (XIV° Casa) è “il testimone del futuro“, mentre la terza figura di corte (XV° Casa) è “il giudice”. La quarta figura di corte (XVI° Casa) è facoltativa ed è chiamata “il giudice supremo” o “il riconciliatore”.
Come funziona il vecchio metodo operava, come si diceva, con il terreno, possibilmente con la sabbia. La variabile moderna di questo metodo si ha con una cassetta con bordi piena di sabbia fine in cui si lasciano cadere dei sassi. Si conta poi il risultato (un tempo i sassi erano anche sostituiti da fave, legate al mondo dei morti ed erano due, come i dadi utilizzati fin dall’antichità per divinare); la cassettina deve avere misure compatibili con il numero aureo e il getto (altro elemento che accomuna la geomanzia alla lettura di dadi, astragali et similia) deve avvenire con l’uso alternato della mano sinistra e destra (secondo la teoria più in voga, per mettere in contatto il razionale destro con l’irrazionale sinistro). Si può costruire un modello di scudo anche con carta e penna, se non si ha un terreno da bucherellare. L’operazione inizia con il questuante che pone una domanda. La domanda deve essere formulata in modo
molto preciso, più sarà precisa la domanda e più sarà preciso il responso. Per esempio, se il consultante desidera sapere se un flirt diventerà qualcosa di più, non deve chiede “durerà con tizio?” ma piuttosto “quanto durerà un vero rapporto sentimentale tra me (il suo nome) nato/a il (la sua data di nascita) e (il nome dell’altra persona) nato/a il (la data di nascita dell’altra persona)?” Dopodiché, picchiettando la penna sul foglio di carta il consultante traccerà istintivamente sedici file di punti, una sotto l’altra, pensando intensamente alla sua domanda. Il numero dei punti deve essere assolutamente casuale. Successivamente, il consultante conterà i punti di ogni fila. Se la fila è composta da un totale di numeri pari disegnerà due punti, se dispari un punto solo. Con i punti finali delle prime quattro file di segni genererà il tetragramma della “prima madre” (I° Casa), mentre con quelli delle quattro file dalla quinta all’ottava genererà il tetragramma della “seconda madre” (II° Casa), con quelli delle quattro file dalla nona alla dodicesima genererà il tetragramma della “terza madre” (III° Casa) e con quelli delle quattro file dalla tredicesima alla sedicesima genererà infine il tetragramma della “quarta madre” (IV° Casa).
I 16 simboli geomantici la Ciminiera 9
Una volta generate le quattro “madri” si generano le quattro “figlie”, da queste le quattro “nipoti” e da queste ultime i due testimoni, con un complicato meccanismo che evitiamo di riportare per carità “laica”.
gestite con una selezione semicasuale. Il meccanismo evidenzia le similitudini nell’uso con strumenti classici come gli astragali di tradizione greco-romana.
Un computer geomantico Come si può evincere anche solo dagli accenni sopra riportati, il processo divinatorio, ancorché molto elaborato nella procedura, è anche molto difficile nella fase di lettura/interpretazione, decisamente non “for dummies”. Per questa ragione, fin dalla sua apparizione, la geomanzia si è avvalsa di strumenti elaborati per ridurre la componente euristica e velocizzare/facilitare l’interpretazione del responso, consentendo anche a consultanti con competenze limitate in campo astrologico di “farsi la geomanzia in casa”. Nella sua fase di pieno sviluppo, in pieno Duecento, la geomanzia, come si è detto (lo so, lo so, sono logorroico e ripetitivo) era molto “a la page”; per questa ragione, vi fu un vero e proprio rigoglio di strumenti geomantici, alcuni più semplici, altri più complessi, fino a modelli che sono quasi un vero e proprio calcolatore geomantico.
Foto 2 - strumento “essenziale” per la
geomanzia La foto 2 illustra uno strumento “essenziale” per la geomanzia. Realizzato in ottone, è costituito da otto dadi con le figure geomantiche già vist sopra e venivano 10 la Ciminiera
Foto 3 - il “computer geomantico” La foto 3, invece, mostra un marchingegno molto più raffinato: di fattura egiziana o siriaca, il singolare “computer geomantico”, datato fra il 1241 e il 1242, attribuito a Muhammad ibn Khutlukh al Mawsuli e custodito al British Museum, è strutturato con un sistema di ruote dentate combinatrici e leve che, una volta sistemate sul grafo geometrico selezionato, consente una lettura immediata dello schema, che appare già strutturato nel quadrante centrale, come si vede nelle foto 4 e 5. Sebbene molto antico, lo strumento è ancora funzionante: questo singolare “computer geomantico”, infatti, è tuttora in grado di “meccanizzare” il procedimento grazie alle sue ruote combinatrici, tuttora funzionanti. Foto 5: Dettaglio del meccanismo
Giorno e Notte
Sole e Luna nella mitologia norrena
corvini, come la sua gente. Nótt ebbe tre mariti e da ciascuno generò un figlio: Sull’origine della divisione da Naglfari ebbe Auðr, tra notte e dì ci sono due da Annarr (“secondo”) versioni. La prima, forse quella di Greta Fogliani Jörð (“terra”) e infine, più famosa, si rifà al mito da Dellingr (“luminoso”) cosmogonico in cui Odino, generò Dagr (“giorno”), Vili e Vé creano il mondo a dall’aspetto fulgido come partire dallo smembramento quello del padre. Come in del gigante primordiale molte altre cosmogonie, Ymir. Il mito racconta che le tra cui anche quella greca tre divinità presero alcune di Esiodo, anche in questo scintille dal regno infuocato caso la notte, di cui Nótt è di Muspellsheim e diedero l’evidente ipostasi, precede loro un posto nel firmamento: dunque l’esistenza del stabilirono il corso del Sole, giorno, impersonato da dando nome alle varie parti del Dagr. Fu ancora Odino a giorno (mattina, mezzogiorno, fornire a madre e figlio pomeriggio e sera), decisero due carri con rispettivi ordine e durata delle fasi lunari destrieri: il cavallo di Nótt si e posero in cielo le stelle, chiama Hrímfaxi (“criniera regolandone il movimento. di brina”) e la bava che In questo modo, dall’opera di gli bagna il morso altro Odino, Vili e Vé, ebbe inizio il non è che la rugiada che computo del tempo. cade sulla terra durante La seconda versione, invece, fa capo a uno la notte; il cavallo di Dagr è invece Skinfaxi dei mondi governato dai giganti, Jötunheimr. (“criniera lucente”), che illumina la terra con Qui abitava un gigante di nome Narfi, che ebbe lo splendore dei suoi crini. come figlia Nótt, dalla pelle scura e i capelli la Ciminiera 11
Sole, Luna e i loro carri Nel mito citato in precedenza non si parla di nessuna divinità associata agli astri, si dice solamente che furono Odino, Vili e Vé a dare ordine ai corpi celesti ai primordi. Nell’Edda di Snorri, invece, si fa riferimento a un’altra leggenda, che ha per protagonisti degli esseri umani. Il nome del nostro uomo è Mundilfœri, il quale aveva due figli bellissimi, tanto che pensò di chiamare Máni il ragazzo e Sól la fanciulla, esattamente come gli astri del cielo (ricordiamo che per le popolazioni germaniche il sole è un’entità femminile e la luna maschile). Ovviamente gli dèi non videro di buon occhio l’arroganza dell’uomo, che aveva osato paragonare i suoi figli a degli esseri celesti, così decisero di rapire i due giovani per metterli alla guida di due carri, preposti alla guida degli astri di cui portavano il nome. A Sól fu dunque affidato il carro del Sole, trainato dai cavalli Árvakr (“[colui che] si sveglia presto”) e Alsviðr (“tutto ardente”). Sotto le scapole dei destrieri vi sono dei mantici di ferro, che servono per rinfrescarli. Lo scudo Svalinn è invece posto davanti al Sole per evitare che la stella infiammi e distrugga la Terra con il suo potente calore.
D’altra parte, Máni divenne il cocchiere del carro lunare, con il compito di governare il movimento e le varie fasi del satellite aiutato da due fanciulli, Bil e Hjúki, rispettivamente sorella e fratello, figli di Viðfinnr. Come Máni e Sól, anche Bil e Hjúki furono vittime di un rapimento, stavolta perpetrato presso il pozzo Byrgir dallo stesso Máni, il quale era alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarlo a dirigere le fasi lunari. Da quel momento, 12 la Ciminiera
Hjúki è identificato con il fenomeno benefico della luna crescente, mentre Bil impersonifica la luna nella sua fase calante, ritenuta al contrario di cattivo auspicio. La vicenda di Bil e Hjúki costituirà l’ispirazione per la popolare filastrocca inglese che vede come protagonisti i due fratellini Jack e Jill, che nella traduzione italiana si chiameranno Cecco e Gina: Jack and Jill went up the hill to fetch a pail of water; Jack fell down, and broke his crown, and Jill came tumbling after. Then up Jack got, and home did trot, as fast as he could caper. They put him to bed, and plastered his head, with vinegar and brown paper.
Cecco e Gina vanno al pozzo che sta in cima alla collina. Cade Cecco, cade il secchio, dietro a lor rotola Gina. Quando a casa ritornò, Cecco al letto si ficcò e con un impiastro in testa passò a letto anche la festa!
Il percorso dei due carri, però, non è senza insidie; sia Sól che Máni sono insidiati nella loro corsa da due lupi, figli del temibile Fenrir, colui che mozzò la mano a Tyr (cfr “Tyr - La guerra e la giustizia” in questo blog): Skoll insegue Sól, Hati invece perseguita Máni. Gli inseguimenti cesseranno nel giorno del Ragnarök, quando Skoll e Hati divoreranno infine le loro prede, decretando la fine del mondo che conosciamo. Ma non tutto è perduto, perché Sól ha una figlia che le succederà nel medesimo compito dopo di lei.
uomini, essendo collegato a fenomeni come le maree e le piogge. Essa possiede dunque una forza magica, in grado di influenzare la vita del mondo intero. Questa forza, però, è sempre “misurata” e controllata, centellinata nelle varie fasi che sono cicliche: la magia della Luna è che nasce, cresce, decresce e muore ciclicamente, senza mai scomparire in modo definitivo. All’aspetto misuratore della luna fanno riferimento diversi testi della tradizione norrena, alcuni dei quali alludono anche all’impiego di un calendario lunare e anche alla curiosa invocazione dell’astro contro la rabbia, per dominare l’eccesso imponendogli un ritmo. Il famoso cronista Tacito informa inoltre che i Germani erano soliti convocare l’assemblea in relazione al ciclo della luna e Cesare afferma che il culto della luna era l’unico praticato insieme al culto del sole e del fuoco. Non bisogna infine dimenticare che il nome di “lunedì” deve la propria etimologia alla Luna: il danese, lo svedese e il norvegese måndag derivano dall’antico nordico mánadagr. Tuttavia, la luna che rischiara le tenebre favorisce anche l’azione delle forze malvagie e demoniache, o anche semplicemente soprannaturali. Come non ricordare, infatti, i lupi mannari, che si rivelano nelle notti di luna piena, o le danze degli elfi, che si tengono proprio alla luce pallida della luna? Nella mitologia norrena spesso le azioni depravate sono coperte dal chiarore debole di questo corpo celeste.
Simbolismo della Luna e del Sole nella tradizione norrena Gli astri del cielo sono da sempre legati a una forte simbologia, molte volte condivisa da popolazioni differenti. Non ci sarà da stupirsi quindi se alcune caratteristiche che riporteremo qui relative alla tradizione norrena sono ravvisabili anche in altre aree culturali. Iniziamo con il dire che il nome nordico della Luna, máni appunto, risale alla radice indoeuropea *MĒ, che significa “misurare”. Questo perché è il corpo celeste che, con i suoi ritmi e le sue fasi scandisce la vita degli
Al contrario della Luna, il Sole costituisce con la sua luce potente la più forte difesa contro i demoni dell’oscurità. I nani e le streghe restano pietrificati se esposti ai raggi del Sole e viene fatto notare che le streghe praticano la loro magia seguendo il corso inverso del Sole. Non è un caso, dunque, che i defunti e i demoni risiedano al Nord, punto la Ciminiera 13
opposto al Sud, dove invece il Sole sprigiona la sua massima potenza. Sono ambasciatori della luce solare anche gli eroi e le figure mitologiche incaricate di sconfiggere le forze delle tenebre, tra le quali troviamo le Valchirie. Si può quindi comprendere il motivo per cui il culto del sole era molto diffuso in Scandinavia. Esistono reperti che lo testimoniano risalenti all’Età del Bronzo e, in seguito, anche Cesare riferisce la presenza di tale culto. Esso persistette addirittura in epoca cristiana, poiché la popolazione era profondamente legata all’adorazione del disco solare; Snorri riferisce che il re Olafr il Santo dovette invitare dei contadini pagani a volgersi verso Oriente per parlare della venuta di Dio nel mondo.
Era da tempo che non mi occupavo di mitologia, in particolare di quella nordica e ogni volta resto preda del fascino smisurato che questa sprigiona. Trovo che l’epicità e la solennità dei miti nordici sia unica, insieme a una buona dose di oscurità, dovuta al destino tragico che ci attende nel giorno del Ragnarök. Del resto, ogni mito riesce a compiere la stessa magia: alla fine ti convince e ci credi davvero. Ed ecco che nel cielo vedi i carri di Máni e Sól e che il solstizio non è più solo un cambio di stagione, ma la vittoria, per una volta, della luce sull’oscurità.
Fonti: - Bifröst, “Il tempo e gli elementi - Lupi che corrono in cielo”; - Chiesa Isnardi, Gianna, I miti nordici, Longanesi, Milano, IX edizione luglio 2014, pp. 55-56, 68-71.
Sul prossimo numero:
Selene, Artemide ed Ecate - Le tre facce della Luna nella Grecia antica
Calante, crescente, nuova, piena...la luna è un astro che cambia in continuazione. Le sue famose fasi, cicliche e regolari, sono state di notevole aiuto per l'uomo che aveva necessità di misurare il tempo. Per questo molti dei primi calendari erano lunari. 14 la Ciminiera
IL MITREO DEI MARMI COLORATI DI OSTIA ANTICA
un’invocazione al dio Mitra e Nel corso della campagna di al dio Crono da parte di un tal scavo 2014 del Progetto Ostia Concordius. Marina è stato individuato un nuovo edificio, un mitreo, Lungo il fianco settentrionale situato nel quartiere suburbano della caupona si disponeva fuori porta Marina, lungo via inizialmente un ambiente della Marciana, a nord del seminterrato (m 7,20 x 3), Caseggiato delle due scale. Si che è stato completamente tratta della Caupona (un’osteria/ ristrutturato rialzando il taverna) del dio Pan, in cui, nel pavimento di cm 70, realizzando corso della seconda metà del un pozzo rituale con vera IV sec. d.C., sono intervenuti in marmo e uno speciale radicali rimaneggiamenti che di Daniele Mancini spazio angolare (destinato corrispondevano a un cambio probabilmente ad aiuola). di destinazione d’uso dell’intero L’interno venne dotato di edificio, un mitreo! un basso banco, sopraelevato Una piccola comunità mitraica ha utilizzato rispetto al pavimento di circa cm 20, per la struttura come propria sede per breve sostenere una lunga kline per banchetti. tempo dopo averla riadattata alle proprie Sul fondo dell’abside è posta una nicchia esigenze. In gran parte sono stati mantenuti che doveva ospitare un elemento d’arredo in uso i pavimenti musivi del III sec. d.C., ma si (forse una cathedra o un trono per il pater); è anche attuato un programma di rifacimento sul muro di fondo è presente una cornice integrale dei rivestimenti parietali con modanata in marmo bianco che doveva zoccolature e pannellature sul tema della fungere da mensola di sostegno di una lastra marmorizzazione, cioè dell’imitazione di scolpita (purtroppo perduta) riproducente la lastre marmoree. tradizionale icona mitraica con il sacrificio del La sala principale della caupona è divenuta toro. probabilmente l’aula delle iniziazioni. Sulle L’ambiente, stretto e allungato come pareti sono presenti graffiti di precisa prescriveva la tradizione, presenta caratteri impronta mitraica e tra questi si segnala peculiari che lo differenziano nettamente la Ciminiera 15
dagli altri mitrei ostiensi. Come già osservato per il resto della decorazione pittorica di IV sec. d.C., anche qui si ritrova l’intonaco ad imitazione del marmo. L’ambiente cultuale, molto piccolo, è caratterizzato da una particolarissima pavimentazione multicolore e per tale motivo è stato definito “Mitreo dei marmi colorati”. Si tratta di un pavimento marmoreo realizzato componendo in una trama geometrica un migliaio circa di crustae di reimpiego in giallo antico, africano, greco scritto, cipollino, pavonazzetto, rosso antico, breccia di Sciro, porfido rosso, serpentino, portasanta, breccia corallina, proconnesio, bardiglio e marmi bianchi. Le ricerche e le pubblicazioni dei risultati sono state condotte da Massimiliano David, docente di storia e culture all’Università di Bologna, sulla rivista Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae. I Persiani sono stati i primi adoratori del dio Mitra, associato alla luce e al Sole. Il suo culto si è diffuso nell’Impero romano, grazie
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soprattutto alle truppe militari, e divenne molto popolare. Secondo la leggenda, Mitra era un eccellente arciere che spesso viaggiava con i suoi portatori di torce, Cautes e Cautopates. Decorazioni rinvenute in uno degli ambienti del mitreo alludono alla vita di Mitra, con rappresentazioni di tridenti e frecce: secondo gli studiosi, il tridente potrebbe essere un riferimento a Mitra e ai suoi due portatori di torce, mentre le frecce possono rappresentare l’abilità di Mitra con il tiro con l’arco. Anche la divinità egizia Iside potrebbe essere stata venerata in questo mitreo, poiché i ricercatori hanno trovato un manufatto in
avorio di provenienza egizia, probabilmente usato come strumento rituale. L’utilizzo dell’edificio come mitreo sembra sia stato breve. All’inizio del V secolo, con l’ampio diffondersi del Cristianesimo, le autorità romane sono diventate meno tolleranti nei confronti del culto di Mitra e di altre divinità: in quel periodo, il pozzo rituale del mitreo è stato ricoperto e il mitreo chiuse le sue porte per sempre.
EMIGRAZIONE di Angelo Di Lieto
L’emigrante calabrese, quando Quando decideva di partire Parti e non torna l’emigranti partiva, sopiva i suoi sentimenti per l’America, per comprarsi calabresi, ed abbandonava con amarezza un posto sulla nave, era la sua Terra. costretto a vendersi tutto, e tristi e suli restanu li casi, Nella sua miseria più nera ed una volta imbarcato, aveva il miraggio di farsi con il portava con sé solo le sue chini i miseria restanu i paisi lavoro una vita migliore e di braccia e qualche strumento picchì u lavuru ccà è senza basi”. ritornare un giorno, con la sua di lavoro che riteneva che gli famiglia, nei luoghi che aveva potesse essere utile. (Ciccio Errigo) * dovuto abbandonare. Nel porto di Napoli, al La regola che il capitale fine di dare un valido aiuto “disoccupato” chiamasse il agli emigranti, vi era un lavoratore disoccupato valeva sempre anche apposito “Segretariato di Assistenza” e se vi per il lavoro più umile. Perciò, in qualsiasi era una donna sola o vi erano dei bambini, posto arrivasse, pur di sopravvivere ed in attesa che la nave partisse per l’America, incominciare ad inserirsi lentamente nel venivano ospitati gratuitamente negli Ospizi, nuovo sistema, doveva adattarsi e cambiare come pure, se il periodo di attesa era più l’originario mestiere. L’emigrazione toccò lungo, gli ospiti dovevano pagare al giorno gli sfruttati, i poveri, gli artigiani ed i piccoli 1 lira e 25, mentre per i bambini di età al proprietari. di sotto dei 10 anni, per i quali vi era anche L’emigrante, poi, dove si fermava, un consultorio medico, si doveva pagare la conservava sempre le sue tradizioni ed il suo metà. Alcune volte vi era un subdolo accordo dialetto, che trasmetteva ai figli interamente dei commercianti e degli albergatori con i o in parte, dando così origine ad uno slang marittimi per ritardare in qualche modo la o linguaggio parlato misto del suo originario partenza della nave, al fine di consentire che dialetto e della lingua straniera del posto che quei poveri emigranti spendessero gli ultimi lo aveva accolto. L’inserimento avveniva con loro spiccioli. grandi traumi personali e collettivi, sia per le Anche i Curati facevano lettere di persone care che lasciava in patria sia per la presentazione alle Suore di Napoli, solitudine e la tristezza che incontrava nella raccomandando e chiedendo ospitalità e nuova destinazione. riposo negli Istituti per le donne che dovevano la Ciminiera 17
restare in porto con i loro figli in attesa della partenza della nave per l’America. Il viaggio da Napoli durava più di un mese, e spesso, con la tristezza nell’animo, l’emigrante vedeva che i compagni di viaggio morti di stenti, di malattie o di freddo venivano gettati in mare. Chi moriva dormendo, non dava fastidio a nessuno. Così per questi poveri infelici il sogno americano finiva in fondo all’oceano o in bocca ai pesci. Chi sopravviveva era l’orgoglio ed il coraggio che lo aiutava a superare ogni ostacolo o difficoltà. Purtroppo ancora oggi la storia dell’emigrazione non è diversa, perché si continua a morire di fame, di sete, di stenti, per finire, infine, in fondo al mare, o seppellito anonimamente in un cimitero, nel quale la tomba viene contraddistinta solo da un
poveri infelici venivano poi contattati come se fossero stati schiavi o bestie ad una fiera di paese, per essere impiegati in lavori, in cui le condizioni di vita erano dure e disumane. Se invece risultavano ammalati o non graditi, allora con tristezza venivano rispediti in patria con la stessa nave. Ed il loro sogno finiva là, in un viaggio di ritorno… All’epoca delle restrizioni, anche chi era analfabeta temeva di essere rimandato indietro. L’unico luogo di aggregazione erano le Chiese, specie se vi erano preti o suore italiani. L’emigrante, per non divenire ribelle o brigante, spesso partiva, non solo per motivi di sopravvivenza e di disoccupazione, ma anche dopo aver subìto un’ingiustizia per motivi politici o per amore.
semplice numero insieme ad altri anonimi, mentre, probabilmente, la famiglia, ignara della triste fine, è fiduciosa e spera sempre che un giorno il proprio congiunto potrà ritornare in patria con la fortuna in mano. Un tempo, quando una famiglia intera o un gruppo di paesani arrivava a New York, le donne ed i bambini venivano separati dai vecchi e dai giovani. Dopo una serie di controlli, tutti venivano segregati in un lager per cinque o sei settimane e lì attendevano, pregando e sperando, il responso di poter divenire un giorno cittadini americani. Questi
Antonio Garcea di Brooklin dovette scappare da Locri, reo di essersi innamorato della figlia del suo padrone. Per non essere ucciso, salutò in fretta la madre ed il padre, che non vide più, pur avendo loro promesso che sarebbe presto tornato. La sua ragazza, Teresa, fu chiusa in un Convento, finché un giorno anche lei scappò, e, su segnalazioni di alcuni compaesani, si scoprì che era arrivata in America dall’incredulo ed ignaro Antonio. Questi lavorava giorno e notte in un garage,
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dove non vedeva mai la luce del sole e del tramonto. In precedenza, invece, aveva fatto una serie di umili mestieri. Quando Teresa ed Antonio si sposarono, vissero felici e contenti tutta la vita in una modesta casa, finché, un giorno, lei prematuramente morì senza avere avuto figli. Il sogno di ritornare un giorno in Calabria non si avverò mai. Antonio, ultra ottantenne, ancora conservava gelosamente una foto di lei giovane, invero molto bella, ed un mazzo di lettere d’amore. E lì viveva solo, incapace di autogestirsi ed in attesa solo della morte, che attendeva per restare per l’eternità vicino alla sua Teresa in terra straniera. Molti hanno fatto fortuna e sono divenuti un Mito, ma a che prezzo…e quanti, delusi, vinti, soli, infermi, non sono più tornati nel loro agognato paese… Quanti hanno ricordato per tutta la vita l’ultima notte vissuta in Calabria con i loro
Genitori, i quali, nella piena disperazione del distacco, sentivano che il loro caro figlio non sarebbe più tornato e che non lo avrebbero più abbracciato… A quei tempi emigrare era una scelta dura e coraggiosa. Oggi, tornare per l’emigrante resta sempre l’ultima speranza…, ma anche l’emigrazione di ritorno si presenta ancora più dura, perché dopo l’euforia paesana dei primi giorni, il povero emigrante resta lì solo, senza un’occupazione, senza i figli, ormai cittadini della loro nuova realtà, senza la famiglia che ha lasciato, senza gli amici del suo tempo, straniero quasi nel suo stesso paese. E’ solo la Morte che scioglierà i nodi della vita e dell’infelicità umana…e chi ha sofferto, per amore o per la malvagità degli uomini, sarà sempre una “coscienza umiliata” che troverà, un giorno, in un angolo del mondo, finalmente, indisturbato, sotto terra, la sua pace ed il riposo eterno.
* (“L’emigrante calabrese parte e non ritorna, ed intanto le case restano vuote e tristi, ed, anche i paesi restano pieni di miseria, perché il lavoro non ha alcuna certezza”). Ciccio Errigo era un emigrante di Reggio Calabria, entrato nella leggenda per essere stato il sublime cantore dell’emigrazione. In America si sentirà: ”Ignoto fra gli ignoti”. Bibliografia - Pino Nano “da CalabriaAmerica” il racconto di Antonio e Teresa - Edizione Amministrazione Provinciale di Catanzaro, periodico trimestrale - Anno X - n°1 - 1991.
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MORIRE… D’AMORE
barone Felice De Nobili fu La romantica Catanzaro, saccheggiata ad opera dei invero non spavaldamente realisti catanzaresi, guidati da pettegola, ancora oggi don Ignazio Marincola, padre misteriosa e silente nei suoi di Angelo Di Lieto di Saverio. movimenti quotidiani, dove ogni avvenimento, sibilando, I De Nobili sognavano si insinua come il vento tra i un’Italia libera con a capo un tavolini del salotto cittadino, principe murattiano. nei vicoli e nelle piazze, a Durante il periodo colorare di immagini nuove napoleonico, invece, Don Emanuele De i segni del giorno precedente, tessè e visse, Nobili, padre di Rachele, aveva denunciato nel 1822, una tragica storia d’amore. il Marincola come borbonico. Quest’ultimo, Testimonianze del tragico idillio restano pertanto, inquisito come reo di Stato, aveva alcune lettere d’amore del ventenne barone corso il pericolo di essere fucilato. I due Saverio Marincola all’ “amabile Signorina baroni, perciò, erano personalmente nemici Rachele de Nobili”, la quale, altrettanto giurati. sconvolta dalla “nascente passione“ del Il Palazzo della Famiglia De’ Nobili fu suo innamorato, per iscritto replica ”Sì, io vi acquistato nel 1871 dal Comune di Catanzaro, adoro, vi amo all’eccesso, il mio cuore è tutto per utilizzarlo come sede Municipale. Il a voi consacrato”. fabbricato, dalla superba linea architettonica Purtroppo, tra i Marincola ed i De Nobili, e dai grandi saloni, era sfarzosamente famiglie patrizie autorevoli e ricche che addobbato con damaschi alle pareti, con si contendevano il primato sulla città di mobili antichi di fattura locale, quadri ed Catanzaro, vi era un’antica ruggine che argenti. faceva da sfondo ai loro rapporti, sicché era Veniva frequentato dal fior fiore sufficiente anche una scintilla per provocare dell’aristocrazia calabrese ed un giorno, nel una catastrofe. 1806, ospitò anche Giuseppe Bonaparte, I motivi del grave contrasto vanno individuati all’epoca Re di Napoli a seguito della nomina in alcuni seri episodi. da parte del fratello Napoleone. Infatti il 7 marzo 1799 la casa del giacobino Dal balcone che si affacciava sull’ex via 20 la Ciminiera
Tripoli, in precedenza via del Gelso Bianco, iniziarono i primi sguardi tra i due giovani ragazzi, ma forse i primi ammiccamenti sorsero proprio nel soppresso Teatro Comunale di Catanzaro, dove le due Famiglie tenevano nel secondo ordine, l’uno vicino all’altro, il palchetto personale. I genitori ed i fratelli di Rachelina De Nobili s’erano accorti dal suo modo di fare, dalla sua tensione, da suo comportamento sognante che vi doveva essere, sotto sotto, qualche infatuazione o incipiente storia d’amore, per cui decisero di sorvegliarla ed attendere una risposta alle loro preoccupazioni. Infatti una sera, di martedì, alle ore 22 del 5 novembre 1822, la scintilla scoccò, allorché i fratelli Cesare, Domenico ed Antonio De Nobili sorpresero il giovane Saverio sotto il balcone del loro palazzo mentre parlava con la sorella Rachele, che se ne stava affacciata a colloquiare dolcemente con lui nonostante il freddo di quella notte. Un colpo di fucile sparatogli contro andò a vuoto e, benché inseguito, il giovane riuscì per quella sera a fuggire e a nascondersi. Proprio quando aveva deciso di allontanarsi definitivamente da Catanzaro, il 7 novembre, come si apprende dalle deposizioni dei testimoni, si sentirono tre colpi di fucile seguiti dopo qualche attimo da un quarto. La tragedia si era compiuta in un canneto di Catanzaro Sala. Infatti, dopo poco, nella proprietà di tale Laudari, fu trovato il cadavere del giovane Marincola, colpito a morte con pallettoni di un’oncia, mentre tornava a cavallo dal suo podere in contrada Chiattini. La lettera con la quale la giovinetta Rachele aveva cercato di avvertire il suo innamorato dei propositi di morte dei suoi tre fratelli fu rinvenuta in una tasca dell’ucciso. La gendarmeria reale iniziò le indagini, e stimolata anche dal clamore popolare, si recò immediatamente a casa De Nobili, per la verifica dei sospettati e delle armi. Il barone Don Emanuele De Nobili, quella notte era a letto ammalato, perciò, all’invito del Capitano di esibire le armi e di conoscere dove fossero i tre figli, spiegò che questi erano partiti quella sera stessa per una partita di caccia nella loro proprietà di “La Petrizia”. Quel giorno stesso i fratelli De Nobili
raggiunsero con i cavalli la Marina di Catanzaro, sita sul versante ionico, e noleggiata una barca si recarono prima a Smirne e successivamente a Corfù. La Gran Corte Criminale di Calabria Ultra IIª di Catanzaro, il 20 novembre 1832, condannò Cesare e Domenico, per il reato di omicidio premeditato, alla pena di morte, mentre Antonio, ancora minorenne, perché aveva soltanto 18 anni, fu condannato a 19 anni di carcere. Il giudizio d’appello che si tenne a Napoli, sebbene il noto avvocato Giuseppe Poerio avesse rappresentato con grande eloquenza ed abilità gli antefatti e gli avvenimenti, non ebbe esito favorevole. Solo Antonio ebbe ridotta la pena a nove anni. Era il 19 luglio 1835. L’epilogo di questa storia fu triste e tragico. La povera Rachele, tagliatesi le trecce, si ritirò in un convento di Napoli, dove morì nel 1861. Antonio De Nobili morì a Catanzaro il 1854. Cesare, sposatosi con una ragazza greca, Elena Kenokoi, morì a Corfù. Da questa unione nacquero Federico, “il prode”, che morì all’Angitola, ed Alberto, uno dei Mille di Garibaldi, chiamato il “Baiardo Calabrese”. Pierre Terrail de Bayard (1473-1524) era stato un condottiere ed un guerriero francese che per il suo coraggio e la sua fama di combattente, ma anche per il suo grandissimo senso della cavalleria, era stato chiamato il “cavaliere senza macchia e senza paura”. Domenico De Nobili, sposatosi con una Coronaki, legò tristemente il suo nome anche alla storia della spedizione dei Fratelli Bandiera. I baroni Attilio ed Emilio Bandiera, nati a Venezia rispettivamente il 24 maggio 1810 e 29 giugno 1819, figli del contrammiraglio della Marina austriaca ed anch’essi ufficiali dell’Imperiale Regia Marina in Venezia, spinti dall’ideale dell’Unità nazionale italiana, avevano iniziato nel 1840, contro il governo austriaco, un’attività cospiratoria. Fondatori nel 1841 della società segreta “Esperia”, dall’antico nome dell’Italia, quando conobbero per via epistolare Giuseppe Mazzini, aderirono alla “Giovane Italia”. Nel 1843 tentarono un primo moto la Ciminiera 21
insurrezionale, ma furono traditi da un affiliato, tale Vespasiano Ricciarelli, che riferì i piani all’ambasciatore austriaco in Costantinopoli, per cui riuscirono a salvarsi rifugiandosi a Corfù. I vari tentativi di dissuasione della Madre, tra lacrime e rimproveri, e dello stesso Radetzki e Metternich, che avevano assicurato loro il perdono imperiale ed il reintegro nel Corpo della Marina, oltre a quelli epistolari di Giuseppe Mazzini, furono inutili, perché ostinati a “non tradire la Patria e l’Umanità”. Partiti da Corfù la notte tra il 13 ed il 14 giugno del 1844 sul peschereccio “San Spiridione” con circa venti compagni, dopo tre giorni di viaggio, al tramonto del 16 giugno sbarcarono in Calabria alle foci del fiume Neto, fra Punta Alice e Capo Colonna, nei pressi di Crotone, tentando di dirigersi verso Cosenza convinti di trovare ancora lì grandi forze insurrezionali. Ma, appena sbarcati seppero che la rivolta, che era stata segnalata al governo borbonico, era stata già domata. Decisi a raggiungere lo stesso Cosenza e a ritentare con la sommossa armata, furono nuovamente traditi perché, durante quella notte, scomparve il corso Pietro Boccheciampe, di anni 20, di Oletta, allontanatosi per informare la gendarmeria
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delle ultime decisioni e del cammino dei suoi compagni. Mazzini, sdegnato, lo aveva già in precedenza allontanato dopo una breve conoscenza, ritenendolo “incostante ed infido”, mentre, con i Fratelli Bandiera, era riuscito ad entrare nella loro fiducia e nei loro piani insurrezionali sin dalla partenza da Corfù. Ormai inseguiti e soverchiamente attaccati, dopo un modesto tentativo di resistenza, furono arrestati a S. Giovanni in Fiore. Il processo si svolse in modo sommario, anche perché il tribunale giudicante aveva in anticipo ricevuto da Napoli l’ordine della condanna a morte. E così fu nella sentenza emessa il 24 luglio. Ricusarono il prete con la motivazione che si reputavano “raccomandati a Dio più dalle proprie opere che dalle sue parole”. Così, all’alba del 25 luglio 1844, ancora addormentati, i Fratelli Attilio ed Emilio Bandiera furono condotti in nove nel Vallone di Rovito, a Cosenza e lì fucilati insieme al carbonaro della Loggia Filantropica Partenopea e tenente Nicola Ricciotti di Frosinone, Domenico Moro di Venezia, anch’egli ufficiale della Marina austriaca, l’avvocato liberale Anacarsi Nardi di Massa Carrara, Giovanni Venerucci di Rimini, suddito pontificio, Francesco Berti di BagnoCavallo di
Ravenna, Giacomo Rocca di Lugo, rifugiatosi in Grecia dopo un delitto politico, il liberale Domenico Lupatelli di Perugia. Benché feriti, Rocca, Lupatelli ed Attilio Bandiera ricevettero il colpo di grazia. Le loro ossa, per la pietà di un sacerdote, dopo varie vicende, furono salvate e tumulate nel 1867 a Venezia nella Chiesa dei S.S. Giovanni e Paolo. A memoria dell’impresa dei Fratelli Bandiera fu eretto un monumento, in contrada Stragula di Castelsilano e sulla stele fu incisa la frase pronunciata da Emilio Bandiera e rivolta ai patrioti italiani “Proseguite, ma non vendicate”. Ma a tradirli non era stato solo Pietro Boccheciampe, ma anche il rifugiato Domenico De Nobili, il quale, appena aveva avuto notizia da parte del suo domestico, Giuseppe Melluso, il quale si apprestava a partire da Corfù per sbarcare sulla costa calabrese con i Fratelli Bandiera, pur di avere il riconoscimento che la condanna era stata originata da una persecuzione politica e non da un fatto criminoso personale, informò segretamente il console austriaco, quello sardo e quello pontificio dell’imminente sbarco sul territorio calabrese dei Fratelli Bandiera.
La delazione servì al Governo borbonico per neutralizzare l’attività di cospirazione di Attilio ed Emilio Bandiera, ma non piacque sul piano delle informative al Governo borbonico, perché la confidenza era stata passata anche ad altri “colleghi”. Domenico De Nobili morirà a Corfù il 1848, mentre il resto dei patrioti condannati a pene detentive verranno graziati nel 1846. Giuseppe Melluso, il calabrese nativo di S. Giovanni in Fiore, era scappato a Corfù per essere stato lunghi anni un brigante della Sila. Sicuramente era entrato nel gruppo dei Fratelli Bandiera offrendosi come guida, perché conoscitore di quei luoghi ed anche perché, molto probabilmente, dovette essere proprio lui a suggerire il luogo dello sbarco ed il nuovo itinerario per raggiungere Cosenza. Quando tutti furono fatti prigionieri, egli riuscì a scappare, rifugiandosi sui monti silani, continuando ramingo la sua vita di braccato. Allorché per sua volontà fu fatto prigioniero, venne condannato a 25 anni di lavori forzati, ma nel 1848 potè godere dell’amnistia. Morirà nel 1848 a S. Giovanni in Fiore durante i moti ucciso dalla forza pubblica.
Bibliografia - Dizionario Enciclopedico Moderno - Volume I° - Edizione Labor - Milano - 1963. - Giuseppe Mazzini = “ I Fratelli Bandiera” - Ediz. Brenner - Cosenza - 1983. - Mazzocca e Panzarella = ”Cara Catanzaro” di B. Mazzocca ed A. Panzanella Ed. Rubbettino - Soveria Mannelli - 1987. - Mantelli Trovato L. = “Una Storia d’amore e di morte” - Rubbettino Soveria Mennelli 1987 - Vaccaro A. “Kroton” - Frama Sud - Chiaravalle Centrale - 1978.
Con il prossimo numero: I Quaderni - Speciale n.ro 2 - Dicembre 2020
Il Presepe, tradizione e simbologia Il fascino dell'antico presepe napoletano vive ancora e molti sono i cultori che oggi preferiscono realizzare con passione questi simboli religiosi, utilizzando la loro esperienza e il loro tempo di creazione. la Ciminiera 23
Gli Indios sono Uomini: la Sublimis Deus di Paolo III (1537)
La Sublimis Deus è una laico, che era interessato a deumanizzarli per poterli bolla papale del 1537 relativa schiavizzare, e il potere alla questione degli Indios. ecclesiastico, che li riteneva Di solito, nel novero delle uomini a tutti gli effetti (non che fosse un amore malefatte cristiane si inserisce disinteressato, visto che si (tanto per non farsi mancare trattava di un nuovo bacino nulla) la questione degli di papabili fedeli). Senza Indios. indugiare oltre, riporto il Da una certa storiografia di Gabriele Campagnano testo della Sublimis Deus. Vi consiglio di leggerlo in politicizzata, disinteressata modo oggettivo, lasciando alla vera ricerca storica, da parte i pregiudizi sono usciti libri ed articoli su menzionati: conversioni forzate, omicidi e altre nefandezze operate dai missionari sui nativi americani. Si tratta, per la maggior A tutti i fedeli cristiani che parte, di pattume storiografico. Lungi da me sostenere una visione idilliaca della Chiesa Rinascimentale, ma forse andrebbero diffuse in misura maggiore alcune delle fonti relative al pensiero cristiano di quel periodo. Nel giugno 1537, Papa Paolo III, ovvero Alessandro Farnese, emanò la Bolla “Veritas Ipsa” (o “Sublimis Deus"). In questa era contenuta un’affermazione dirompente: "Indios veros homines esse". La disputa sull’umanità degli Indios andava avanti da qualche decennio, divisa fra il potere 24 la Ciminiera
leggeranno questa lettera salute e benedizione apostolica. Il Dio sublime tanto amò la razza umana che creò l’uomo in maniera tale che non solamente potesse partecipare del bene di cui godono le altre creature, ma fosse anche dotato della capacità di arrivare a raggiungere il bene supremo invisibile ed inaccessibile e di contemplarlo faccia a faccia; e per quanto l’uomo, in accordo con
la testimonianza delle Sacre Scritture, sia stato creato per godere della felicità della vita eterna che nessuno può conseguire se non attraverso la fede in Nostro Signore Gesù Cristo, è necessario che possieda le doti naturali e la capacità per ricevere questa fede; e chiunque di tali doti sia provvisto deve essere capace di ricevere la stessa fede. Né è credibile che esista alcuno con così poco intendimento da desiderare la fede e tuttavia essere privo delle facoltà necessarie per ottenerla. Dunque Gesù Cristo, che è la verità stessa che non ha mai errato né può errare, disse ai predicatori della fede da lui prescelti per quel compito :”Andate ed insegnate a tutte le genti”. A tutti, disse, senza eccezione, posto che tutti sono capaci di essere istruiti nella fede; la qual cosa vedendo il nemico del genere umano, che si oppone sempre alle buone opere per portare gli uomini alla distruzione, provando invidia verso il genere umano, inventò un metodo fino ad allora inaudito per impedire che la parola divina di salvezza fosse predicata alle genti per la loro salvezza e incitò alcuni dei suoi accoliti, che per compiacerlo si trovarono ad affermare che gli indios occidentali e meridionali ed altre genti di cui abbiamo recente conoscenza, con il pretesto che ignorano la fede cattolica, debbono essere sottoposti alla nostra obbedienza come se fossero animali e li ridussero in servitù, obbligandoli con tante sofferenze come quelle che si usano con le bestie. Noi che, sebbene indegni, esercitiamo sulla terra le veci di Nostro Signore e che con tutte le forse cerchiamo di portare all’ovile del suo gregge quanti ci sono stati affidati e che sono fuori dal riparo affidato alla nostra cura, consideriamo tuttavia che gli stessi indios, in quanto uomini veri quali sono, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa; e, desiderando di rimediare a questi mali con metodi opportuni, facendo ricorso all’autorità apostolica determiniamo e dichiariamo con la presente lettera che detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore; [allo stesso modo dichiariamo] che i detti indios ed altre genti debbono essere invitati ad abbracciare la fede in Cristo a mezzo della predicazione della parola di Dio e con l’esempio di una vita edificante, senza che alcunché possa essere di ostacolo. Data in Roma, l’anno 1537, anno III del nostro pontificato la Ciminiera 25
Ovviamente ci sono inviti all’evangelizzazione e tutti i necessari richiami a Cristo, ma avessi estratto solo la parte in neretto e l’avessi attribuita
a un abolizionista americano del XIX secolo, magari al presidente Lincoln, molti l’avrebbero reputata innovativa. Ecco, l’ha scritta un Papa. Quasi cinquecento anni fa.
Uno dei principali fautori di un intervento papale sulla condizione degli indigeni americani fu Julian Garcés, vescovo di
Tlaxcàla. Nel 1536 spedì una missiva a Paolo III che, raccontando le affermazioni dei coloni spagnoli, diceva:
“… provenienti dalla gola di avarissimi cristiani, la cui cupidigia è tanto grande che, volendo appagare le loro brame, giungono ad dire che delle creature fatte ad immagine del sapiente Iddio sono dei bruti animali.“ Alcuni sacerdoti cristiani appoggiavano purtroppo questa concezione, prendendosi il monito di Garcés. Ma la Sublimis Deus rompe definitivamente, almeno dal punto di vista formale, questa concezione. Per avere un quadro più chiaro sulle posizioni politico - religiose degli Europei nei confronti degli Indios, consiglio di proseguire con la 26 la Ciminiera
lettura di Indios: Uomini o Animali? Per avere un quadro più chiaro sulle posizione politico-religiose degli europei nei confronti degli Indios, consiglio di proseguire con la lettura di Indios: Uomini o Animali? pubblicato ne: La Ciminiera - Ottobre n.ro 10-2020
Viaggio nella Sessualità Medievale
Pier Damiani e Burchard di Gabriele Campagnano
La sessualità medievale era vivace e ricca. È con questo spirito che voglio proporvi l’altra faccia della medaglia, quella della critica dei costumi sessuali portata avanti da alcuni religiosi. A parte le difficoltà connesse ad una datazione folle, che mette insieme un periodo che va dalla fine di Roma alla scoperta dell’America, quando parliamo di Medioevo dovremmo lasciare da parte i nostri pregiudizi e affidarci alle fonti.
Immaginarlo come un’epoca di roghi, cinture di castità e buio intellettuale è assolutamente errato. Dallo zelo religioso nacque l’opera di Pier Damiani, venerato oggi come santo dalla Chiesa Cattolica, il quale nutriva una vera e propria ossessione per i sodomiti. Li vedeva ovunque e li riteneva il peggior cancro della Chiesa.
1. Inizia il libro gomorriano dell’umile monaco Pier Damiani Invece, nelle nostre regioni, cresce un vizio assai scellerato e obbrobrioso. Se la mano della severa punizione non lo affronterà al più presto, certamente la spada del furore divino infierirà terribilmente minacciando la sventura di molti. Ah! Mi vergogno a dirlo! Mi vergogno ad annunciare una cosa tanto vergognosa alle sante orecchie, ma se il medico inorridisce per il fetore delle piaghe, chi userà il cauterio? Se colui che sta medicando, si nausea, chi guarirà le anime malate? La sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico […] la Ciminiera 27
Inutile ripeterlo, la storia è divertente. La sua conoscenza è la forma più pura della cultura umanistica, ma è anche una fonte inestinguibile da cui tirare fuori malintesi, doppisensi e volgarità. Ai nostri occhi Damiani sembra ridicolo, ma le sue considerazioni sono tremendamente serie.
E proprio nel momento in cui vede la sozzura sodomitica penetrare ogni orifizio ecclesiastico, fa una considerazione sul “giogo della milizia secolare” che è di grande rilevanza storiografica, visto che rende alla perfezione il contrasto fra potere secolare e potere spirituale, sempre più forte a metà dell’XI secolo:
la sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico, anzi, come una bestia assetata di sangue infierisce nell’ovile di Cristo con libera audacia, tanto che sarebbe molto meglio essere stati schiacciati sotto il giogo della milizia secolare piuttosto che essere assoggettati, tanto liberamente, alla ferrea legge della tirannide diabolica sotto la copertura della religione Un Personaggio Influente Fu proprio Pier Damiani a combattere la simonia e a sostenere con forza l’eliminazione delle ingerenze temporali dalla Chiesa, tanto che la sua dottrina contribuì all’emanazione della In Nomine Domini di Niccolò II nel 1059. Pier Damiani si fece monaco in “tarda” età, quando aveva già compiuto 28 anni, ma fu molto severo nell’applicare i precetti della vita monastica. Pregò in ginocchio per ore fin quasi al giorno della sua morte, tanto che una recente autopsia effettuata sul suo cadavere, ha evidenziato delle abnormi calcificazioni nella zona del ginocchio.
2. Dei diversi comportamenti sodomitici Alcuni si macchiano da soli, altri si contaminano a vicenda toccandosi con le mani i membri virili, altri fornicano fra le cosce e altri, infine, da dietro [sodomia]. Fra questi c’è una progressione graduale tale che l’ultimo è ritenuto più grave rispetto ai precedenti. Perciò viene imposta, a quelli che peccano con altri, una penitenza maggiore rispetto a quella prevista per chi
si macchia da solo con il contatto del seme emesso, e quelli che si contaminano da dietro sono giudicati più severamente di quelli che si uniscono fra le cosce.
Quindi, l’abile macchinazione del diavolo ha escogitato questi gradi di dissolutezza in modo che, quanto più in alto l’anima infelice prosegue fra questi, tanto più in basso è gettata nella profonda fossa dell’inferno In sostanza: più profonda è la sodomia, più profondo sarà l’abisso infernale. Trovo molto creativa la riconduzione della sodomia 28 la Ciminiera
o, meglio, degli atti omosessuali, a un preciso disegno demoniaco di progressione dannatoria.
3. Del perché l’eccessiva pietà dei superiori non allontana i peccatori dall’ordine Senza dubbio, i colpevoli di questa rovina spesso rinsaviscono grazie alla generosità della misericordia divina, si pentono completamente, sopportano devotamente il peso della penitenza, per quanto gravoso, e davvero rabbrividiscono al pensiero di perdere il grado ecclesiastico. In verità, certi rettori delle Chiese sono, riguardo a questo vizio, più comprensivi forse di quanto giovi. In modo assoluto decretano che nessuno, a causa di quei tre gradi che prima sono stati enumerati, debba essere bandito dal suo ordine. Invece, ammettono la degradazione solamente per quelli che, senza dubbio, abbiano peccato di dietro. Vale a dire che sia chi emette il seme mediante il proprio sforzo genitale, sia chi macchia l’altro a causa dello sfregamento delle mani e sia chi si sdraia secondo l’uso del sesso diverso fra le cosce, purché non abbia peccato di dietro, farà una certa penitenza, dopo che sia stata valutata la gravità del peccato, e senza dubbio non recederà dal suo ordine. Ma come, un prete si fa masturbare/ masturba un altro prete o si penetra le cosce e niente degradazione? Le parole di Damiani potrebbero sembrare strane a quanti riconducono il Medioevo all’epoca buia cui ho accennato all’inizio dell’articolo,
ma non allo storico che abbia familiarità con le fonti dell’epoca. Nel Medioevo – e forse questo deluderà qualcuno – nessuno passava le giornate a torturare e uccidere gli omosessuali, né a preparare pire per le presunte streghe.
sesso con draghetto guardone la Ciminiera 29
Ci sono centinaia di testimonianze che, prima della Riforma e Controriforma, la tolleranza verso simili pratiche era molto alta (con le dovute eccezioni relative al periodo temporale e/o geografico). Il pentimento era uno strumento importante e il ruolo della misericordia divina nel
rinsavimento delle persone sarebbe stato del tutto marginale in caso di pratiche violente nei confronti dei peccatori. Tuttavia, Pier Damiani diventa feroce (e molto attuale), quando parla di monaci e preti trovati a molestare bambini e ragazzi (trad. di Giampaolo Scquizzato):
Un chierico o un monaco che molesta gli adolescenti o i giovani, o chi è stato sorpreso a baciare o in un altro turpe atteggiamento, venga sferzato pubblicamente e perda la sua tonsura. Dopo essere stato rasato, venga ricoperto di sputi e stretto con catene di ferro, venga lasciato marcire nell’angustia del carcere per sei mesi. Al vespro, per tre giorni la settimana mangi pane d’orzo. Dopo, per altri sei mesi, sotto la custodia di un padre spirituale, vivendo segregato in un piccolo cortile, venga occupato con lavori manuali e con la preghiera. Sia sottoposto a digiuni e a preghiere, e cammini sempre sotto la custodia di due fratelli spirituali, senza alcuna frase perversa, o venga unito in un concilio con i più giovani.
4. Il Penitenziario di Burhcard Non si pensi che la tolleranza fosse limitata all’Italia, perché abbiamo un penitenziario, quello del Beato Burchard di Worms (1012), che consta di migliaia di peccati e penitenze, molti dei quali a sfondo sessuale. Ora, le penitenze vi sembreranno molto simili fra loro (Burchard aveva una sorta di disturbo ossessivo legato al “in pane et acqua
poenitas“) ma, visto che hanno una certa carica umoristica, cercherò di inserirne il più possibile, lasciandovi anche lo splendore della lingua latina. Nel primo estratto, Burchard parla di masturbazione reciproca, cui assegna una pena di trenta giorni a pane e acqua:
Fecisti fornicationem, ut quidam facere solent, ita dico ut tu in manum tuam veretrum alterius acciperes, et alter tuum in suam, et sic alternatim veretra manibus vestris commoveritis, ut sic per illam delectationem semen a te projiceres? Si fecisti, triginta dies in pane et acqua poenitas. [ITA]Fornicasti, così come fanno alcuni, e hai preso in mano il membro di
un altro uomo, e lui il tuo, e in questo modo avete mosso alternativamente i membri nelle vostre mani, e così per tale diletto hai eiaculato? Se lo hai fatto, trenta giorni a pane e acqua come penitenza. Passa poi a trattare la pratica del sesso fra uomini fra le cosce (intra coxas), che porta 30 la Ciminiera
all’eiaculazione (semen effunderes) tramite il movimento (agitando):
Si cum masculo intra coxas, ut quidam solent, fornicationem fecisti, ita dico, ut tuum virile membrum intra coxas alterius mitteres, et sic agitando semen effunderes? Si fecisti, XL dies in pane et aqua poenitas. Assurda, ma praticatissima, sembra fosse la perforazione di un pezzo di legno per scopi
sessuali:
Fecisti fornicationem, ut quidam facere solent, ut tu tuum virile membrum in lignum perforatum, aut in aliquod hujusmodi mitteres ut sic per illam commotionem et delectationem a te semen projiceres? Si fecisti, XX dies in pane et aqua poenitas. Erano uomini, rudi, questo è fuor di dubbio. Invece di vagine di gomma e bambole gonfiabili, i nostri avi onanisti avevano trovato una soluzione molto più “naturale”: lignum foratum. Penso di poter immaginare che la pratica non fosse esente dai pericoli derivanti da schegge e infezioni, ma questo non era
sufficiente a farli desistere. Burchard parla anche di rapporti con l’altro sesso. Hai baciato una donna preso da un osceno desiderio e perciò hai eiaculato? Fai penitenza stando 3 giorni a pane e acqua, 20 se è successo in Chiesa.
Dedisti osculum alicui feminae per immundum desiderium, et sic te polluisti? Si fecisti, tres dies in pane et aqua poenitere debes. Si intra ecclesiam hoc contigerat, XX dies in pane et aqua poenitas. [ITA] Hai baciato una donna a causa di un immondo desiderio, e così
hai eiaculato? Se lo hai fatto, la penitenza sono 3 giorni a pane e acqua. Se il fatto è avvenuto in chiesa, 20 giorni. Oltre a una notevole predisposizione all’eiaculazione precoce dell’uomo dell’XI secolo, il passo specifica proprio la Chiesa come condizione per una penitenza ulteriore. Da questo possiamo supporre che fosse proprio la Chiesa, luogo di ritrovo d’elezione per la comunità, ad essere anche il luogo dove si incontravano gli innamorati (magari dicendo alle rispettive famiglie che andavano a pregare) o si sperava di conoscere quella
fanciulla che nessuno aveva il coraggio di avvicinare in altre circostanze. Questa diversificazione della pena è ancora più evidente quando si parla si zoofilia. A montare cavalle, vacche, asine e altre bestie del creato, la pena differisce a seconda che non si abbia una moglie capace di “adimpiere tuam libidinem” (7 anni), ci sia una moglie (10 anni), ci siano stati più rapporti (15 anni).
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Fecisti fornicationem contra naturam, id est ut cum masculis vel cum animalibus, id est cum equa, cum vacca, vel cum asina, vel cum alio aliquo animali? [ITA] Fornicasti contro natura, ossia con uomini o con animali, siano
queste cavalle, vacche, asine o altri animali?
Anche le donne avevano una sessualità tutt’altro che repressa. Nel passo qui sotto si parla di falli posticci:
Fecisti quod quaedam mulieres facere solent, ut faceres quoddam molimen aut machinamentum in modus virilis membri, ad mensuram tuae voluntatis, et illum locum verendorum tuorum, aut al aliquibus ligaturis colligares, et fornicationem faceres cum aliis mulierculis, vel aliae eodem strumento, sive alio, tecum? Si fecisti, quinquennos per legitimas feras poenitas. Un bizzarro scalino in legno per sodomizzare cammelli nella Persiaislamica
[ITA] Hai fatto quello che
alcune donne sono solite fare, ovvero hai fabbricato uno strumento a forma di membro virile, delle dimensioni che preferivi, e lo hai assicurato con cinghie alle parti intime tue o di un’altra per fornicare con altre donne o farti penetrare da altre donne? Se lo hai fatto, cinque anni di penitenza nei giorni festivi. Le Suore di Beda
Anche in Beda c’è un riferimento alle relazioni lesbiche fra suore che usano un certo “strumento”, forse un fallo artificiale: «se una suora [ha peccato] con un’altra suora usando uno strumento, sette anni» 32 la Ciminiera
Interessante il poco rispetto della parità sessuale (con tutte le enormi riserve relative all’applicazione di concetti moderni a epoche passate). Se un uomo fa sesso con un albero, 20 giorni a pane e acqua, mentre se una
donna usa un fallo posticcio, cinque anni di fine settimana all’insegna della sobrietà alimentare. Ma le cose possono andare anche peggio in caso di fellatio (con tutto ciò che ne consegue):
Hai provato il seme di tuo marito nella speranza che, a causa di questo tuo atto diabolico, lui avrebbe provato più amore per te? Fai penitenza tutti i giorni festivi per sette anni. Ad ogni modo anche Burchard, come Odone, sembra avere una conoscenza molto, molto dettagliata di tali pratiche. È quindi evidente che avevano una certa diffusione e
che, forse, la nostra effettiva conoscenza della sessualità medievale non è ancora completa come pensavamo.
Sul prossimo numero:
La Famiglia nel Medioevo Parlare della famiglia nel Medioevo è particolarmente complesso per tre ragioni fondamentali: 1) l’estensione cronologica di un periodo che, secondo la datazione ufficiale, copre mille anni; 2) le enormi differenze geografiche e istituzionali che è necessario analizzare per dare una visione complessiva dell’argomento; 3) il numero di istituti giuridici e consuetudini, dal matrimonio alla patria potestas, dall’educazione dei figli alla definizione della dote, che vanno a comporre ilconcetto stesso di famiglia. Insomma, con “famiglia medievale” possiamo intendere una varietà pressoché infinita di entità differenti. Da una famiglia gallo-romana dell’485 a una della Pisa del 1250, da un nucleo familiare cristiano nella Spagna islamica del 920 a uno inglese del 1420, l’assetto complessivo può cambiare parecchio.
la Ciminiera 33
STUDI SUL MOSAICO DELLA CASA DI AION A PAPHOS, CIPRO Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
giudizio degli dei decide chi sia la più bella e la regina ha vinto; Una processione dionisiaca, con il dio circondato da menadi e satiri; Il giudizio di Marsia che perde la gara di musica ad Apollo. Il programma del mosaico è stato interpretato in modo diverso dagli studiosi, trascurandone, a volte, la narrazione complessiva e il significato dei cinque pannelli, il suo scopo e per chi è stato creato. I mosaici sono datati con precisione a dopo il 318 d.C., sulla base di una moneta trovata in mortaio nell’ambiente. E’ il periodo in cui il governo centrale romano inizia ad abiurare la Apollo e Marsia, religione pagana, è anche un periodo di numerosi casa di Aion, Paphos, Cipro (mosaico) confronti e polemiche tra i conservatori aderenti Dopo anni di ricerche condotte da Marek T. alle religioni romane e i nuovi fedeli monoteisti. Olszewski, docente della Facoltà di Archeologia Secondo Olszewski, si distinguono quattro fasi: dell’Università di Varsavia, è stato completamente decriptato il programma iconografico del famoso mosaico del salone di rappresentanza della Casa 1. una narrazione allegorica, in cui Olszewski romana di Aion, a Paphos, Cipro. L’interpretazione ha identificato quale storia potrebbe narrare del ricercatore polacco è stata ampiamente la rappresentazione musiva, in quale ordine accettata dagli studiosi dell’iconografia romana dovrebbe essere interpretata, quale pannello come adeguata e precisa! di mosaico inizia questa storia e quali immagini Una missione archeologica polacca condotta continuano in sequenza la logica narrazione; da Wiktor Andrzej Daszewski, nel 1983, ha 2. individuazione dell’ordine logico in cui portato alla luce un ambiente di circa 70 metri sono stati disposti i pannelli; questo indica quadrati con uno splendido mosaico di circa 16 una storia allegorica e universale di un essere metri quadrati. La decorazione complessiva della umano di religione pagana in cinque episodi: decorazione musiva indicherebbe che l’ambiente (a) il concepimento di un bambino costituito potrebbe essere considerato come la sala da da un corpo e un’anima (Zeus e Leda); (b) pranzo della domus, il triclinium, dove il pasto lo sviluppo dello spirito di una fede pagana poteva essere un pretesto per la discussione di (Dioniso tra gli educatori); (c) vivere secondo molteplici argomenti tra i padroni di casa e i loro la fede pagana (processione dionisiaca); (d) ospiti. Se un individuo non rispetta gli dei e mostra Il triclinium della domus di Paphos, che si una mancanza di pietà nei loro confronti, sarà trova in una parte indipendente della casa, di conseguenza punito (episodio di Apollo sembrerebbe stata destinata come una sorta di e Marsia), (e) se un individuo è religioso e ritrovo in cui gli ospiti accedevano attraverso un pio, lui e la sua anima raggiungeranno la vita ingresso indipendente, posto direttamente sulla eterna attraverso l’apoteosi (episodio della strada cittadina. vittoria di Cassiopea sulle Nereidi); I mosaici della Casa di Aion sono composti da 3. la terza fase è la comprensione e la 3 telai orizzontali con 5 pannelli, in ordine 2-1-2. collocazione della narrazione in un contesto Tutti i pannelli sono decorati con rappresentazione storico, religioso e filosofico. Olszewski ritiene di scene mitologiche: che il mosaico pagano illustri una polemica Leda con Zeus nelle sembianze di cigno; anticristiana attraverso le immagini, come era Il neonato Dioniso in grembo a Hermes viene frequente, in particolare nei testi degli autori affidato alle Ninfe dei boschi sul monte Nysa; pagani del periodo avversi al predominio Il pannello centrale raffigura la competizione crescente del Cristianesimo; tra Cassiopea, regina d’Etiopia e madre di 4. l’ultima fase è quell’atmosfera intellettuale Andromeda, e le Nereidi, ninfe del mare: il 34 la Ciminiera
in cui è stato creato il mosaico obbedendo così alle regole della retorica: allegoria, analogia, personificazione e, quale conclusione fondamentale, antitesi. Tutti questi argomenti sono stati utilizzati nelle arti retoriche, tuttavia hanno avuto un ampio impatto anche su altri domini, comprese le arti visive. Il mosaico segue i principi di un’antitesi retorica che prende di mira il Cristianesimo e, in particolare, la passione di Cristo che i seguaci del movimento filosofico e religioso nel III-IV sec. d.C. (i neoplatonici) hanno preso di mira intensificando le polemiche anticristiane. Il mosaico della Casa di Aion a Paphos non La presentazione del piccolo Dioniso di Hermes a è l’unico caso che mostra un atteggiamento Sileno. Casa di Aion, Paphos, Cipro (mosaico) polemico nei confronti dei seguaci della nuova religione. Esistono altri due di questi mosaici “polemici” e si identificano nella vicina Siria, a Philipopolis, un mosaico a tema cosmologico, un altro ad Apamea, con Socrate tra i saggi
Il senso della disfatta
Guardateli anche voi. Non sembrano "gemelli diversi"? Certo, il galata è perfetto nella sua fisicità, modello ideale del bello che neanche la morte scalfisce e può scalfire, mentre sul calciatore stendiamo un velo pietoso. Ma la postura, il gesto, la disposizione d'animo che trapelano da queste immagini, separate spazialmente e temporalmente (dalla Grecia del Galata alla contemporanea sconfitta di una squadra calcistica intercorrono più di 2000 anni e tati ambiamente geopolitici) sono identiche: il dolore della sconfitta, del fallimento, della morte. L'arte greca classica, nella sua ricerca della purezza formale, del bello e dell'eterno, non dimenticava di guardare la realtà, di studiarne le forme, il movimento, i misteri del non detto e dell'intuitivo, trasfigurandola poi nel bello ideale e senza tempo di winckelmanniana memoria. Ma l'uno non esiste senza l'altro. Anzi, antiplatonicamente, si procede dall'oggetto materiale all'idea, dal particolare all'assoluto. Alla morte all'eterno. la Ciminiera 35
Quando Plinio il Vecchio, nella sua enciclopedica "Storia Naturale", descrisse geograficamente la Calabria parlò dei “Bruttii” che porteranno, poi, alla creazione, verso la fine del III secolo d.C., di una provincia governata dal "corrector Lucania et Bruttiorum". Eduard Walfflin, nel suo “Expositio totius mundi et gentium“, ricorderà il toponimo “Bruttium” con:”Post name (sci1.C alabriam) Bruttium (sic) post Bruttium (sic)”. Per Roma “Brutti” significò indifferentemente tanto le genti locali italiche prima, romanizzate poi quanto la Calabria intera. Dal chè "BRUTTIUM".