La pioggia nel pineto

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Il mio riferimento per un mondo migliore: Gabriele D’Annunzio “La pioggia nel pineto”

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Gabriele D’Annunzio From Wikipedia, the free encyclopedia

« Io ho quel che ho donato » (GdA, testamento del Vittoriale degli Italiani) Gabriele D’Annunzio o d’Annunzio come soleva firmarsi (Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1º marzo 1938) è stato uno scrittore, militare e politico italiano, simbolo del Decadentismo ed eroe di guerra. Occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. Sia in letteratura che in politica lasciò il segno ed ebbe un influsso (più o meno diretto) sugli eventi che gli sarebbero succeduti.



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Alcyone From Wikipedia, the free encyclopedia

Alcyone è il titolo di una raccolta di liriche di Gabriele D’Annunzio, composta tra il 1899 e il 1903. La genesi Il 7 luglio del 1899 D’Annunzio scrive all’editore Treves di un progetto poetico lungo e complesso al quale sta lavorando: “Ho passato questi giorni in una quiete profonda, disteso in una barca al sole. Tu non conosci questi luoghi: sono divini. La foce dell’Arno ha una soavità così pura che non so paragonarle nessuna bocca di donna amata. Avevo bisogno di questo riposo e di questo bagno nel silenzio delle cose naturali. Ora sto molto meglio; [...]. Non so se alla Capponcina mi attenda qualche tua lettera. Non so più nulla di nulla. Nessuno sa che io son qui, fortunatamente, ed ho evitato di avere la corrispondenza cotidiana e i giornali. Ho scambiato qualche parola con un marinaio ingenuo, che è la sola persona umana cui io mi sia accostato. - Come si può vivere dunque nelle città immonde - io mi chiedo - e dimenticare queste consolazio-


ni? Credo che finirò eremita, su un promontorio. Penso all’ora in cui dovrò riprendere il treno, con un rammarico indicibile. Vorrei rimanere qui, e cantare. Ho una volontà di cantare così veemente che i versi nascono spontanei dalla mia anima come le schiume delle onde. In questi giorni, in fondo alla mia barca, ho composto alcune Laudi che sembrano veramente figlie delle acque e dei raggi, tutte penetrate di aria e di salsedine. Sento che in un mese o due potrei d’un fiato, comporre tutto il volume. Ma bisognerà purtroppo che mi rimetta alla mola della prosa, e per un’opera che partorirà tante pene! Libertà, libertà, quando mi coronerai per sempre? Le allodole sulle prata di San Rossore cantano ebbre di gioia [...]. Bada che per le Laudi voglio un’edizione speciale, e degna della poesia. Verrò io stesso a Milano per curarla. Ho pensato una innovazione graziosa. [...] Se tu potessi immaginare le bellezze di questa marina! » I titoli dei sette libri si rifacevano alle stelle della costellazione delle Pleiadi: Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Taigete, Asterope, Celeno. Di essi, uscirono i primi tre nel 1903 e Merope nel 1912. Da questo documento ricaviamo alcune notizie essenziali per la collocazione dell’opera nel contesto biografico dell’autore:



- D’Annunzio riprende a comporre versi dopo un intervallo di alcuni anni (il Poema paradisiaco è del 1893), durante i quali aveva condotto un’esistenza movimentata e piuttosto dispersiva tra viaggi, esperienze politiche e il nuovo legame sentimentale con l’attrice Eleonora Duse; - egli dichiara di vivere questa nuova stagione creativa come alternativa, se non in opposizione, a quella precedente dei grandi romanzi, dal Piacere al Trionfo della morte. La libera ispirazione poetica di cui egli parla (“Ho una volontà di cantare così veemente...”) testimonia di una raggiunta maturazione tecnica del poeta nei confronti della materia letteraria: mentre infatti nei romanzi i modelli, le forme e i personaggi rivelano una certa incoerenza reciproca e tendono a sovrapporsi in modo compilativo gli uni agli altri, i libri delle Laudi - e Alcyone in particolare - riescono a nascondere con grande naturalezza e maestria il complesso lavorio di organizzazione strutturale delle forme e dei temi; - nell’Alcyone in particolare, i temi manifestano un livello di elaborazione personale e di originalità che non ha confronti con la precedente stagione narrativa: D’Annunzio riesce a fondere in quest’opera un momento sentimentale felice con un bagaglio culturale ormai assimilato e fatto proprio con una sicurezza che non è più puro sfoggio superficiale.



In sintesi, l’Alcyone, poesia dell’estate, rappresenta anche la piena maturazione della vicenda creativa e umana del poeta: la fama, il successo e l’amore incoronano la poesia di D’annunzio nel suo momento più alto e rappresentativo. La struttura Alcyone comprende 88 liriche, ordinate secondo un criterio strutturale che non ricalca l’ordine cronologico della composizione. Tra la prima (La tregua) e l’ultima (Il commiato) si delinea l’ideale percorso narrativo di un’estate di poesia (nel senso di una raccolta composta d’estate e che ha per tema l’estate, sia dal punto di vista della stagione fisica che della maturità poetica dell’autore). Nello schema qui proposto risulta evidenziata la simmetria ritmica con cui il poeta ha suddiviso la raccolta. Dopo il proemio de La tregua - che ha la funzione di istituire un collegamento fra Alcyone e i precedenti libri delle Laudi, dedicati all’impegno eroico (Maia) e civile (Elettra) - Il fanciullo apre una serie di sette ballate cui fanno seguito cinque sezioni, ciascuna aperta da una lirica con titolo latino cui segue un ditirambo, vero cardine della struttura poetica. Ai ditirambi sono destinati i cambiamenti di stagione e di approccio al mito, vero tema cardine dell’intero poema dannunziano. Attenzione: la posizione e il carattere di ogni titolo ne rappresentano il valore strutturale; la forma di questo elenco va osserva-


ta quindi attentamente, per avere una prima idea sulla concezione strutturale della raccolta. I temi La raccolta si sviluppa attraverso un ampio percorso culturale di citazioni e riferimenti al repertorio letterario classico italiano, greco e latino. La prima sezione sviluppa elementi duecenteschi, da San Francesco (Lungo l’Affrico, La sera fiesolana) a Dante (Beatitudine), passando attraverso il recupero di motivi virgiliani ed esiodei (La spica, Le opere e i giorni, L’aedo senza lira). Essa è ambientata tra Firenze e la campagna circostante, attraverso una struttura cronologica che attraversa, nell’ordine, tramonto, sera, mattina e pomeriggio. La seconda sezione, che comprende i giorni tra l’”estremo giugno” e l’otto luglio, è ambientata nel clima selvaggio del litorale tra le foci dell’Arno e del Serchio (Marina di Pisa, Il Gombo e San Rossore). È la sezione nella quale a un minimo di cultura letteraria corrisponde il massimo di naturalismo panico nietzscheano, attraverso i temi dell’ascolto (La tenzone, Innanzi l’alba) e della visione epifanica (I tributarii, Il Gombo) della natura. La terza sezione - il passaggio tra luglio e agosto - concentra la descrizione spaziale attorno alle pinete alla foce del Serchio. Essa è dedicata al mito ovidiano di Glauco, il pescatore della Beozia


divenuto dio del mare; nel suo sviluppo il poeta si fa personaggio mitico dialogante con la natura - marittima (L’oleandro), equestre (Bocca di Serchio) e venatoria (Il cervo). La quarta sezione - la fine di agosto - prosegue la rappresentazione mitica della precedente e inaugura, nella sua seconda parte, un ciclo scultoreo e allegorico che ha il suo culmine ne L’arca romana. Notevole, in questa sezione, la serie naturalistica costituita dai Madrigali dell’estate. Nell’ultima sezione, ambientata nella prima metà di settembre, si sviluppa il tema del trapasso e delle rievocazione, giocato sul registro stilistico del sogno e della memoria (i sette componimenti dei Sogni di terre lontane ne costituiscono quindi il culmine centrale. Con l’Alcyone D’Annunzio introduce nel panorama letterario nazionale una tematica paniconaturalistica che nella cultura europea risaliva già al romanticismo - limitatamente al contesto germanico - ma che per l’Italia rappresentava una novità assoluta. Il classicismo italiano aveva sempre privilegiato il versante retorico delle Humanae litterae, intese come modello apollineo e razionalistico di stile e di contenuto. In questo contesto - da Petrarca all’Ottocento - ciò che contava era il rispetto di una tradizione di regole e di autori, di auctoritates (Virgilio, Cicerone, Orazio soprattutto), appartenenti esclusivamente



all’ambito letterario latino così come l’avevano delimitato Dante, Petrarca e i classicisti del Cinquecento. I poeti e filosofi romantici tedeschi, scavalcando polemicamente il primato umanistico dei Latini, alla ricerca di una propria originalità storica avevano invece privilegiato il classicismo greco, con particolare riferimento ai filosofi presocratici e alle filosofie neoplatoniche. Seguiti su questa strada dai filosofi irrazionalisti del tardo Ottocento - Schopenhauer e Nietzsche - e dalla scuola ermeneutica del Novecento, essi istituirono un modello di interpretazione del classicismo centrato principalmente sui concetti di vitalismo e panismo, cioè su una rappresentazione animistica della natura, intesa come luogo di manifestazione del divino più che come cornice esteriore e indifferente delle vicende spirituali dell’uomo, come invece era intesa dall’Umanesimo latino. Attraverso Nietzsche D’annunzio fa propria una tematica inconsueta per la storia della letteratura italiana: la metamorfosi e il deismo panico, con i loro correlati dell’epifania e della metafisica della luce. La struttura ritmica Non ci si può accostare alle poesie di Alcyone senza tenere nella dovuta considerazione la loro dimensione classicista: la scelta di ripetere la tradizione poetica del passato non è casuale, perché ciò avviene in un momento in cui l’antico


si presentava alla percezione del pubblico come elemento di rottura e di discontinuità rispetto ai modelli divenuti correnti. D’Annunzio annuncia il suo rinnovamento poetico appoggiandosi a modelli carichi di grande autorità, quasi che, sottinteso, si dovesse leggere un messaggio non detto che comunica tuttavia l’intenzione più profonda del poeta: riscrivendo nella lingua di Dante e Petrarca mi propongo come il nuovo Vate di una nazione in cerca della propria voce poetica. Soprattutto i componimenti della “prima sezione” si propongono, anche a colpo d’occhio, come un’operazione di reinvenzione di modelli desunti da un classicismo arcaico: la struttura a strofe di endecasillabo richiama in modo neanche troppo vago l’antica canzone duecentesca, con l’unica variante della sostituzione delle rime con un sistema di assonanze. Il modello classico non è dunque destinato, per D’Annunzio, a stimolare l’identità culturale del pubblico, ma a istituire un rapporto di dipendenza verso la figura carismatica del poeta; non insegna a parlare la stessa lingua della storia ma invita ad abbandonarsi nell’alveo protettivo di un nuovo Vate Incoronato. Altri elementi della struttura ritmica di Alcyone sono: - la musicalità del verso, che può esprimersi in una infinità di modi assai diversi, individuabili di volta in volta attraverso: a) una certa fissità dei metri poetici scelti componimento per


componimento; b) l’analogia tra la forma dei versi e il contenuto che essi intendono esprimere (nell’esempio sopra citato, il volo delle rondini è evocato dall’uso concitato dell’enjambement); c) il ricorso alle invocazioni e alle proposizioni esclamative, che esaltano la sfera emotiva della comunicazione; d) il ricorso a simmetrie e parallelismi di tipo sintattico tra le diverse strofe, quasi a disegnare una partitura dei versi (vedi: La sera fiesolana); alla musicalità del verso concorre anche la grande abilità con cui il poeta riesce a nascondere, sotto la superficie dei versi liberi, una trama metrica sotterranea, alla cui ricomposizione il lettore è chiamato come a una prova (vedi: La pioggia nel pineto). - l’oratoria retorica, segnata dal ricorso a strutture metriche fisse ed enfatiche, i cui segni di riconoscimento sono le ripetizioni sintattiche all’interno dello stesso verso, le frasi interrogative retoriche, le enumerazioni ridondanti (vedi: Meriggio). La lingua Una delle funzioni più comuni della lingua - quella referenziale - la possibilità cioè di indicare un elemento della realtà come oggetto del discorso, di ciò di cui si parla, è quasi del tutto assente nella poesia di Alcyone. I temi scelti - particolarmente legati alle sensazioni e alla sfera emotiva ed irrazionale - sono rappresentati da visioni di cui il poeta è l’unico testimone e che possono essere



comunicate efficacemente - in qualche modo rese “visibili” all’immaginazione del lettore - solo attraverso l’uso di un lessico straordinario e sovrabbondante, fenomeno che d’altronde non è nuovo nella poesia simbolista. La parola, in Alcyone, è evocativa e analogica e non indicativa, neppure di concetti astratti appartenenti alla sfera intellettuale e sovrasensibile. Essa è il referente di se stessa, lo scopo forse principale dell’elaborazione poetica dell’autore. La parola assume valore di “suono” ed è l’espressione di una bellezza “musicale”. Una lingua poetica che vuole esprimere sensazioni, e soprattutto sensazioni di tipo fisico, deve privilegiare alcune precise aree semantiche: quella del suono - o della voce - e quella della luce - o dei colori. Vedi nel primo caso “Le stirpi canore”; nel secondo “La pioggia nel pineto”. Anche “Meriggio” appartiene alla poetica del suono, pur se attraverso l’uso della figura contraria, quella del silenzio. Un’altra conseguenza legata alla scelta di queste particolari tematiche è il necessario ricorso all’ambito lessicale del mito.



http://www.la-poesia.it/italiani/fine-1900/dannunzio/alcyone_16_la-pioggia-nel-pineto.htm Gabriele D’Annunzio Alcyone LA PIOGGIA NEL PINETO Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole piÚ nuove che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri



che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione. Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura con un crepitío che dura e varia nell’aria secondo le fronde più rade, men rade. Ascolta. Risponde al pianto il canto delle cicale che il pianto australe non impaura, nè il ciel cinerino. E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancóra, stromenti diversi sotto innumerevoli dita. E immersi noi siam nello spirto silvestre, d’arborea vita viventi; e il tuo volto ebro è molle di pioggia come una foglia,


e le tue chiome auliscono come le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Ermione. Ascolta, ascolta. L’accordo delle aeree cicale a poco a poco più sordo si fa sotto il pianto che cresce; ma un canto vi si mesce più roco che di laggiù sale, dall’umida ombra remota. Più sordo e più fioco s’allenta, si spegne. Sola una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne. Non s’ode voce del mare. Or s’ode su tutta la fronda crosciare l’argentea pioggia che monda, il croscio che varia secondo la fronda più folta, men folta. Ascolta. La figlia dell’aria è muta; ma la figlia


del limo lontana, la rana, canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove! E piove su le tue ciglia, Ermione. Piove su le tue ciglia nere sìche par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pesca intatta, tra le pàlpebre gli occhi son come polle tra l’erbe, i denti negli alvèoli con come mandorle acerbe. E andiam di fratta in fratta, or congiunti or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i mallèoli c’intrica i ginocchi) chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, su i freschi pensieri


che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione. (Data di composizione ignota. Probabile fra la metà di luglio 1902 e la metà dell’agosto dell’anno successivo)


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