Daniele Cantoni

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Daniele Cantoni



Con il Patrocinio di

Comune di Faenza

Regione Emilia Romagna

Provincia di Ravenna




Progetto grafico e impaginazione Laura Floriani Testo Gian Ruggero Manzoni Riprese fotografiche Laura Floriani Aldo Scardovi Vincenzo Zaccaria Traduzioni Elena Floriani Stampa Filograf - Forlì

Ringraziamenti Ringrazio tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione di questo libro.

In copertina: “Il Viaggio” (particolare) olio su intonaco e legno Retro copertina: “Cristalli” olio su intonaco e legno cm. 62 x 47


Il catalogo è stato realizzato grazie al contributo di:



DANIELE CANTONI

Testo di Gian Ruggero Manzoni


La Lingua del Divino di Gian Ruggero Manzoni Scriveva, molti anni fa, il grande psichiatra e psicoanalista Jung riguardo la perdita costante di spiritualità nel mondo occidentale, e dell’inevitabile avanzamento di uno stato generale di alienazione di ordine sociale, dovuto a questa componente (condizione che, tragicamente, stiamo vivendo nell’oggi): “Clientela di tutte le parti d’Europa mi ha consultato e non c’è stato un solo paziente il cui problema sostanziale non fosse quello derivato dal suo atteggiamento religioso verso la vita, quello dal suo rapporto col sacro, col trascendente. Infatti molti si ammalano perché hanno perduto questo contatto, quello che un tempo garantivano le religioni vive e le varie mistiche o filosofie tendenti a un metafisico, e nessuno guarisce veramente se non riesce a raggiungere, di nuovo, un atteggiamento di tipo sacrale nei confronti dell’esistenza. Un atteggiamento che facilita anche il rapporto fra i vari individui”. Quindi già Jung attribuiva la possibile guarigione dal “male di vita” al riemergere del sacro, all’accesso al mondo del simbolico, dell’universale, così da recuperare il rapporto con la nostra interiorità; una trasformazione (ri-trasformazione) che non aveva o non ha nulla a che fare con una precisa confessione di fede o con l’appartenenza a una chiesa, ma, unicamente, col recupero di un assoluto a cui l’uomo possa fare riferimento, elevandolo, nel contempo (quale origine e anche quale fine), a nostra guida e a nostro sostegno. Neumann, allievo di Jung, puntualizzò che questo inevitabile contatto con il numinosum (cioè: il totalmente altro, l’indeterminabile e libero, l’irrazionale) non deve essere assolutamente ancorato alla venerazione di un dio, infatti la nostra esperienza umana della diffusione e dell’esigenza di questa dimensione ci indica che ci sono forme di mistica teiste, ateiste, panteiste, e tante altre ancora, che attivando funzioni trascendenti


vanno a indicare la capacità umana di spostarsi, a livello immaginativo, da un piano di realtà a un altro. In tale contesto la scrittura è uno strumento da sempre considerato sacro (si veda il mondo ebraico, quello islamico ed estremo orientale) perché tendente a unire gli uomini con l’assoluto, e gli uomini fra loro in nome di quell’assoluto (infine comune), facendoli, appunto, comunicare, facendoli relazionare, facendoli “sentire”, ma è anche un’espressione personale, una sorta di test proiettivo, che diventa l’immagine di un cammino esistenziale riconducibile a una singolarità; perciò è uno specchio sincero (che riporta alle esperienze personali del soggetto, ai suoi ricordi, ai luoghi e alle persone che ha conosciuto e incontrato, alle aspirazioni, ai drammi e alle tragedie che ha vissuto e ai suoi desideri proibiti e irrealizzati) di quella che è una condizione dell’Essere prima individuale poi collettiva. Inoltre nessuna scrittura è uguale a un’altra e il nostro gesto grafico diventa la nostra sigla, la nostra prova d’identità, e muta e cambia secondo la nostra stessa evoluzione, registrando, fedelmente, quei momenti importanti o quei muti dialoghi emozionali di chi scrive, dilatandoli in un tempo virtualmente infinito, per poi consegnarlo all’altro, quale dono partorito dalla dimensione più profonda che ci vive. Importante è dunque la scelta, quasi sempre inconsapevole, del nostro modo di riprodurci attraverso la grafia (il segno) ed è inconcepibile rinunciare a un’espressione di noi così complessa e importante in favore di tecniche standardizzate. A seguito di tale premessa e di tali conoscenze ecco farsi avanti, con forza e penetrazione estetica, la nuova serie di opere che Daniele Cantoni ha realizzato, quale compendio delle precedenti stagioni lavorative… di quei cicli dai titoli-temi oltremodo significavi, già analizzati, con puntualità, dall’amico critico Aldo Savini nell’ultimo catalogo mandato in stampa dal nostro artista: “Chiodi”, “Pareti”, “Collages”, “Reticoli”, “Paesaggi astratti”, “Città” e via così, tappe di una ricerca pittorico-grafica che procede con


passione, continuità e coerenza già da anni, sfruttando la medesima tecnica: colori a olio su intonaco; una ricerca che via via dà sempre più forma a un linguaggio (più o meno immaginario) contenente, in sé, quello che Daniele Cantoni ha assimilato durante i suoi viaggi di studio all’estero (nei tanti paesi che ha visitato); un linguaggio, una sorta di alfabeto creato per mezzo di pittogrammi di sua invenzione, il quale mira a rendere globale questo tipo di espressione e il messaggio che essa contiene. Il Popolo Naxi (un minoranza nell’enorme galassia che è la Cina) rimane, nell’oggi, l’ultimo depositario dell’unica scrittura pittografica ancora viva, il cui nome “dongba” deriva dall’omonima tradizione religioso-sciamanica alle cui cerimonie e rituali è dedicata la maggior parte dei loro testi manoscritti. Il sistema di scrittura pittografico (che rientra nelle scritture ideogrammatiche) è fatto di segni che, oltre a rappresentare un oggetto concreto, possono dare forma a un’idea astratta (appunto l’ideogramma… ad esempio il disegno di un orecchio può essere usato per indicare l’ascoltare)… dicevo, il sistema di scrittura pittografico presenta un congruo numero di pittogrammi “semplici”, ossia significanti che rappresentano un’unica entità, come un oggetto, una pianta, un animale, una realtà della natura, un uomo, i quali possono essere accostati per dare costrutto a una composizione di un’unità pittografica sempre più complessa, detta “pittogramma composto”. Daniele Cantoni ha iniziato questa sua ultima avventura artistico pittorica tenendo conto di tali componenti, dando contesto a un suo codice rivolto a unirci in un immaginifico che, seconda lui (e non senza ragione), diviene potenzialità poetica d’incontro e quindi base sulla quale ergere la possibile unione di tutte le etnie della terra (teoria oltremodo affascinante che mi vede, quale sostenitore della poesia e dell’arte come “collante” fra il tutto, più che convinto e partecipe). La sua scrittura pittografica è, indubbiamente, non comprensibile di primo impatto, è volutamente enigmatica, al fine che ognuno di


noi possa ritrovare in essa il significato che meglio gli aggrada (infatti la cifratura della stessa non passa per le forme di una lingua determinata), ma, comunque, nel procedere della sua visione si possono individuare referenti ben identificabili cui agganciare nodi conoscitivi, e quindi, una volta riconosciuti tali nodi e intuito il contesto in cui Cantoni li ha collocati, entro a quei mosaici segnici oltremodo cromatici e complessi a cui dà vita, la comprensione può divenire concreta e valida per tutti, così che la decifrazione di una parola, nella parità di sfondo culturale, viene a superare le varie diversità che ci contraddistinguono. A conferma di ciò, nella nostra realtà, in luoghi di interesse turistico, aeroporti e stazioni, in occasioni sportive, o per oggetti destinati all’esportazione, si fa ricorso a simboli (loghi iconici) estremamente stilizzati, immediatamente leggibili e interpretabili da chiunque in modo non ambiguo. Necessita dire che finora solo un altro artista ha dato vita a un’operazione del genere, Luigi Serafini, il quale, nel suo famoso volume Codex Seraphinianus, edito da Franco Maria Ricci nel 1981, ha usato un alfabeto interamente inventato e asemico; un’operazione accostabile al manoscritto Voynich (non ancora decifrato dopo sei secoli dalla sua formulazione), oppure al racconto Tlön, Uqbar, Orbis Tertius di Jorge Luis Borges o a Flatlandia di Edwin Abbott Abbott (scrittore, teologo e pedagogo britannico vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo). La diversità tra l’operazione di Serafini e quella di Cantoni risiede innanzitutto nella formulazione del codice espresso (un codice oltremodo colto quello di Serafini, primitivistico e arcaico quello di Cantoni) e al referente a cui i codici si rivolgono e per i quali sono stati inventati (il volume di Serafini è una sorta di enciclopedia di un popolo inventato, invece le tavole di Cantoni sono nate, come ho già ribadito, quale comunicazione diretta con un assoluto, con un divino, e come possibile misura di unione fra tutti i popoli e quindi fra tutte le culture ora presenti sul nostro pianeta). Del resto Daniele Cantoni, ricco di quella sua esperienza


investigativa condotta entro varie realtà tradizionali anche molto lontane dalla nostra matrice identitaria, sa che tutte le forme trascendentali, quindi di incontro col numinosum, hanno in comune l’intensità dell’esperienza e l’impatto dinamico e rivoluzionario dell’evento psicologico che sbalza l’Io fuori dalla sua struttura cosciente. Infatti nell’incontro con il numen avviene sempre una trasformazione del proprio Sé. Non a caso ogni esperienza realmente numinosa sposta, strappa l’Io dal centro del conscio e conduce a un avvicinamento al Sé. Del resto l’elemento mistico, il contatto con il sacro, è già presente nello stadio uroborico (il primo stadio dell’unità originaria in cui coscienza e inconscio sono fusi) il cui simbolo è il serpente che si mangia la coda, e in questa fase sono presenti anche tutte le coppie antinomiche, maschile e femminile, soggetto e oggetto, uno e molteplice etc., che, vivendo tale coniunctio oppositorum, danno armonia all’intero. L’elemento mistico, in detto stadio ancestrale, venne definito da Claude Levy Strauss (il grande antropologo strutturalista scomparso di recente) partecipation mystique. In tale fase, in cui uomo e mondo, uomo e gruppo, conscio e inconscio sono Uno, l’elemento mistico non è altro che la partecipazione al tutto. E’il sentimento cosmico originario. E’ quello che per l’uomo primordiale costituiva la realtà, in cui lo psichico e il fisico coincidevano; dimensione che ahinoi abbiamo in parte perduto emancipandoci/evolvendoci, quando l’emancipazione tristemente coincide con lo snaturamento , male endemico e secolare di questo nostro Occidente. Consapevole di tale allontanamento dall’origine, Daniele Cantoni tenta di reagire artisticamente a questo stato di cose, a questa continua e inesorabile perdita di “grazia” primordiale, affidandosi al Concetto di Selbst (nato dalla mente di Freud), concetto indicante quello spazio interiore, sede virtuale dell’intero, unione del particolare e dell’universale, che è il primo centro regolatore della personalità, il mandala, la vescica germinale: “ciò che vive nell’uomo e la cui forma non ha frontiere


riconoscibili, profondo come le fondamenta della terra e spazioso come l’immensità del cielo” (così lo definiva Jung), essendo il Selbst luogo e tempo (utero primigenio) in cui si concretizza il dialogo tra coscienza collettiva e inconscio personale, indicante la totalità storica della personalità umana in relazione al momento epocale vissuto. A questo punto non può non venire citato il Well-being, quello stato di benessere, di estasi, di prosperità, di rapporto con la natura e con gli altri esseri viventi che sia in filosofia, antropologia, psicoanalisi, sia in mistica contraddistingue la figura dello sciamano, quella figura amata dal Popolo Naxi, e che tanto amo, quel medium, quel visionario, quel portavoce degli “spiriti” nel cui mondo entra al momento dell'iniziazione, durante il quale egli affronta numerose prove che dovrebbero indurre sogni al fine di dare previsioni per il futuro, i cui compiti principali sono la guarigione e la divinazione, ottenute mediante il trasferimento della sua anima nelle profondità del cosmo oppure “nel regno delle ombre”. E Cantoni sciamano lo è. L’ho visto danzare mentre dà vita alla sua pittoscrittura. Ho sentito la musica tuonare a volume altissimo entro il suo studio, e lui abbandonarsi a essa quando traccia segni e riempie campiture, nel desiderio di raggiungere quel livello di conoscenza a cui pochi arrivano, perché pochi hanno una grande capacità di amare ciò che fanno e, soprattutto, ciò che sono. E dallo sciamano al cantastorie il passo è breve. Così come è detto, in principio era la tradizione orale. In principio fu la parola narrata, cantata, raccontata (canti, evocazioni e invocazioni) e danzata (il ballo e la danza). In principio ci fu la parola e solo la parola. Via via la parola si fece memoria tramandata, prima dai griots, i profeti erranti della memoria storica, e, in seguito, dai viaggiatori ambulanti. Fu allora che la parola divenne l’elemento primo, anzi l’archè, il principio dei principi come lo erano la terra, il fuoco, l’aria e l’acqua per i greci presocratici. Dalla parola nacquero gli stessi narratori. Da essa impararono a usare gesti e simboli per arricchire ogni loro racconto nei minimi particolari. La madre parola insegnò loro a non dare niente per


scontato e nulla per definitivo, infatti di definitivo esisteva solo la storia ricca di eventi, di avvenimenti, di personaggi, di retroscena, di un ieri (ieri vicino) già carico di futuro. Infatti la maestra di saggezza non è un nome, un volto, una qualità, una competenza, una qualifica professionale, ma la parola, e con essa le immagini che dal suo suono scaturiscono. Essa permette di ricollegarci in ogni momento alla nostra radice la quale è necessaria al fine poi di conoscere le altre tradizioni. Ma, come ho detto, non possiamo, ora, scindere l’oralità dalla scrittura. L’oralità dal segno e dalla superficie dipinta, e Daniele Cantoni lo sa, e procede in questa direzione. Pioniere della riscoperta dello sciamanesimo nel mondo contemporaneo è stato l'antropologo americano Michael Harner. Nel suo libro La Via Dello Sciamano egli racconta come sia stato iniziato a queste pratiche, studiando e vivendo in stretto contatto con gli sciamani tribali di varie parti del mondo. Harner ha anche scoperto che la caratteristica comune a tutti gli sciamani è il viaggio spirituale nella realtà oltre al mondo quotidiano, il viaggio dell'anima nella realtà non-ordinaria. E in quella realtà, per noi invisibile, gli sciamani entrano in contatto con entità energetiche che chiamano alleati e che incontrano per lo più sotto forma di animali (i cosiddetti: Animali Guida) e di Maestri Spirituali (antenati, figure mitologiche, saggi). Gli alleati conferiscono allo sciamano il potere e la conoscenza per aiutare se stessi, gli altri e il mondo. Comunque ogni persona può compiere il viaggio nella realtà nonordinaria, e questa è stata la seconda grande scoperta dell’antropologo americano. Infatti non abbiamo bisogno di intermediari per avvalerci della saggezza e dei poteri di guarigione dell’universo. La spiritualità è una capacità innata dell’essere umano. Per questo non sono necessari rituali complessi, ma solo superfici, predisposizione al tracciare segni, pigmenti e volontà di straniamento, tutti elementi che Daniele Cantoni possiede.



The Language of the Divine Gian Ruggero Manzoni

Many years ago the great psychiatrist and psychoanalyst Jung wrote about the loss of spirituality in the Western world and the consequential tragic condition of social alienation: “All the clients who came to me from all over Europe suffered in their religious approach to life, their relation to the holy and the transcendent. In fact, many became ill for the loss of the communion which religion and metaphysical philosophies used to provide. No one really recovered without a new spiritual view of life, which also facilitated personal relationships”. Jung believed that the rediscovery of the sacred, the world of symbols and the universal could heal the “mal de vivre” and regain the relationship with our interiority. The transformation had nothing to do with religious denominations but only with the absolute as a guide and support. Also Neumann, a student of Jung, pointed out that the numinous, (i.e. the contact with the irrational, the wholly other), must not be related to the belief in deities, but to the human imaginative capacity to elevate to a transcendent reality, as different forms of mysticism can prove. With regard to this, writing has always been considered as a sacred means because it joins men to the absolute and to one another. Writing is also the personal expression of an existential journey. Therefore, it is the sincere mirror of man’s condition as an individual as well as a member of a group, of his memories and aspirations, his tragedies and dreams. Besides, no writing is like another and our graphic sign becomes our signature and identity, which changes according to our evolution, faithfully recording the important moments and any subtle shades of the writer’s silent emotional dialogues. How we express ourselves through a graphic sign is an important unintentional choice that cannot be renounced in favour of standardized techniques.


These preliminary remarks introduce and help to analyse the new works by Daniele Cantoni which enrich his previous production with a powerful aesthetic insight. His previous cycles, already analysed by critic Aldo Savini, have extremely meaningful titles: “Nails”, “Walls”, ”Collages”, ”Nets”, ”Abstract Landscapes”, “Cities” and so on. They represent the stages of a passionate and coherent pictorial research with the technique of oils on plaster. They give shape to the arstist’s several journeys abroad with a language of personal pictogrammes which aims at a global message and expression. The pictographic script, which belongs to ideographic writings, consists of characters which can represent an object as well as an abstract idea ( i.e. the ideogram, for instance the drawing of an ear can be used to refer to hearing). Pictographic writing uses simple pictograms such as a plant, an animal, a natural object, a man, and combines them in order to form a more complex pictograph, namely a compound pictograph. The Nakhi people, a Chinese minority group, are repository of the only living pictographic writing, whose name “dongba” comes from a shamanic religious tradition. Most of their manuscripts are devoted to ritual cerimonies. Aware of these implications, Daniele Cantoni took up this artistic adventure by contextualizing his personal code and making it the poetic meeting place for different cultures. Undoubtedly, his pictographic writing is not comprehensible at first sight. Initially, its enigmatic meaning allows everybody to interpret it freely. However, as we recognize objects and settings, our comprehension of his complex chromatic mosaics overcomes individual differences and becomes more universal. The universal meaning of pictographs is testified by their being widely used today in places such as airports, stations, touristic resorts and sports events because they are unambiguously understood. So far, only another artist has used this technique, Luigi Serafini. In his well-known Codex Seraphinianus, published by Franco Maria Ricci in 1981, he used a totally invented alphabet, something like the


Voynich manuscript (not yet decoded after six centuries) or to the short story Tlön, Uqbar, Orbis Tertius by Jorge Luis Borges or to Flatlandia by Edwin Abbott Abbott (a British writer, theologian and pedagogue who lived between the 19th and the 20th centuries). The difference between Serafini and Cantoni lies mainly in their codes (extremely learned in Serafini, archaic and primitive in Cantoni) and in their referents (Serafini’s is a sort of encyclopedia about an imaginary people, whereas Cantoni’s panels, as already suggested, are created to communicate with the absolute and the divine and as a means of union with all peoples and cultures). Moreover, Daniele Cantoni has explored traditions very distant from our cultural identity and he knows that all transcendent forms share the intensity of the psychological event, the dynamic and revolutionary experience which throws the Ego out of consciousness, since in any numinous experience the Ego and the Self come closer. The mystical contact with the sacred is present in the Uroboric stage (the early stage of original unity of consciousness and unconsciousness) with the symbol of the serpent eating its own tail. This phase contains all the opposites (male and female, subject and object, one and many, etc.) which give harmony to the whole. In this ancestral stage, the mystic element was defined by Claude Levy Strauss (the great structural anthropologist who died recently) as partecipation mystique. In this phase, where man and the world, man and the group, conscious and unconscious are One, the mystic element is the participation in Wholeness. It is the original cosmic feeling, reality for primeval man, where the soul and the body coincide. Unfortunately, we have nearly lost this dimension, since evolving sadly implies perverting, an endemic evil in Western societies. Daniele Cantoni artistically reacts to the inexorable loss of primeval grace by relying on the concept of the Selbst (introduced by Freud), which refers to the inner place of Wholeness, the union of the particular and the universal. It is the regulative principle of personality, the mandala: “what lives in man without recognizable


boundaries, as deep as the foundations of the earth and as spacious as the immensity of the sky� as Jung defined it. The Selbst is the place and the time where the dialogue between collective consciousness and individual unconsciousness becomes real. Now, one cannot ignore the concept of Well-being, the state of ecstasy, prosperity, relationship to nature and the other living beings that in philosophy, anthropology, psychoanalysis and mystique characterizes the shaman, that is a medium, a visionary, a spokesman of the spirits whose world he enters at the moment of initiation. In his dreams he can tell the future, perform healings and divination by transferring his soul into the depth of the cosmos or into the “realm of the shadows�. And Daniele Cantoni is a shaman. I saw him dance while giving life to his pictographic works. I heard the music thundering loud in his study while he, abandoning himself to it, drew signs and filled in the surfaces, wishing to reach the level of knowledge that only a few can reach, because only a few can love what they do and above all, what they are. And from the shaman to the storyteller is just a short step. In the beginning was the oral tradition, the word narrated, sung and danced. In the beginning was the word and only the word. Next, the word became memory handed down first by griots, the wandering prophets of historic memory, and then by wandering travellers. The storytellers learned to use gestures and signs to enrich their stories with details, they learned to take nothing for granted or permanent and to use a word for the images its sound can evoke. Yet, we cannot separate oral tradition from writing, the oral sign prom the painted surface. And Daniele Cantoni knows it, and he proceeds in this direction. A pioneer of the rediscovery of sciamanisn in the contemporary world was the American anthropologist Michael Harner. In his book The Way of the Sciaman he tells how he was initiated to these practices, studying and living in close contact with tribe sciamans in various parts of the world. Harner found out that the common


characteristic of all sciamans is a spiritual journey into a reality beyond the everyday world, a journey of the soul into a nonordinary reality. In this reality, which is invisible to us, the sciamans come in contact with energetic entities called allies, mostly in the form of animals (the so called Animal Guides) and Spiritual Teachers (ancestors, mythological figures, wise people). The Allies give the shaman power and knowledge to help themselves, the others and the world. However, anybody can make a journey into the nonordinary reality, and this is the other important discovery of the American anthropologist, since we do not need any intermediaries to exploit the wisdom and the healing powers of the universe. Spirituality is an inborn ability in the human being. Therefore we do not need complex rituals, but only surfaces, pigments, predisposition to draw signs and will of estrangement, all elements that Daniele Cantoni possesses.


Daniele Cantoni Opere


Campo di Papaveri



Zebre



La Magia



Iris



La Noia



Dopo la Carestia



La Porta per l’Ombra



Geo


Nella pagina successiva: Nebbia




Passatempi


Ascesa


Cadenze



Leggerezze



Il Ciclo Universale



Il Canyon


Il Porto


Essenza


Graffiti


La Foresta all’Alba


Linguaggio Universale


Il Viaggio


Nella pagina successiva: Parete




Ricordi



La Quiete


Favola


Studio di una Favola


L’Ordine


Lo Specchio


La Ruota


L’Inizio


L’Arrivo delle Piogge



Nella pagina a fianco: L’Incognita del Percorso

Particolare


Evoluzione


Shanghai


SommitĂ


Incrocio


Penetrazione


La CittĂ che Cresce


Frammenti


Caotica Urbanistica


Espansione


La Città all’Alba


Dubai


Atlantide



Apparati - Biografia - Traduzioni in Lingua Inglese - Itinerario Critico



Biografia

Daniele Cantoni nasce a Castel Bolognese (Ravenna) nel 1959. Il suo interesse per la pittura emerge da bambino, fin dai primi anni di scuola. Nel 1973 si iscrive all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza, dove frequenta il Corso Speciale di Formatura per oltre un anno. In questo contesto conosce lo scultore Angelo Biancini per il quale, all’interno dell’Istituto, realizza degli stampi. Nel medesimo periodo lavora presso la bottega “Gemi d’Arte” dove si occupa della preparazione degli oggetti in argilla. Interrotta la collaborazione con la bottega faentina si dedica per circa due anni alla scultura impiegando il gesso. Nel 1978, con alcuni amici fonda il Circolo Artistico Castellano del quale diventa presidente. Il gruppo ottiene ospitalità nei grandi solai di Palazzo Ginnasi. Tra gli ospiti che visitano lo studio c’è anche lo scultore Alberto Mingotti con il quale stringe un’amicizia che tuttora perdura. Il Circolo Artistico debutta nel medesimo anno nell’Auditorium comunale di Castel Bolognese con una ampia collettiva; è questa un’epoca di particolare fermento che durerà fino al 1984. Nel 1978 conosce Alberto Gollini, giovane gallerista imolese, che accoglie nel suo spazio, in maniera permanente, le opere di Cantoni. Sempre nel medesimo anno a Sirmione conosce il pittore Felix dè Cavero che lo presenta al gallerista Gianfranco Majorana il quale successivamente lo invita ad esporre alla galleria San Michele di Brescia. Nel 1979 partecipa ad una collettiva alla galleria d’Arte Moderna Alba a Ferrara, dove è premiato con il premio “Originalità e Validità 1979”. Nel 1980 partecipa ad una significativa mostra a Salsomaggiore Terme (Parma) dal titolo “Artisti Europei Contemporanei”. Nello stesso anno partecipa ad una collettiva per la Serenissima Accademia della Signoria di Firenze dove è premiato con il “Leone d’Oro”. Nel 1980 conosce e frequenta lo scultore imolese Germano Sartelli al quale riconosce un ruolo di maestro. Nel 1981 tiene la prima personale in Imola nella Bottega d’Arte Gollini; nel dicembre dello stesso anno presenta gli esiti del suo lavoro in una personale a Castel Bolognese. Per alcuni anni si concentra sull’attività in studio e riprende ad esporre a partire dal 1987. Dopo la mostra di Castel Bolognese del 1987 interrompe l’attività espositiva per dedicarsi, all’interno del proprio studio, alla ricerca pittorica. In questo periodo realizza opere su tela e su tavola nelle quali continua ad affrontare i temi già incontrati negli anni precedenti sviluppandone i presupposti. Negli ultimi tempi recupera anche le originarie conoscenze scultoree che aggiunge alla sua esperienza di pittore; su di una struttura volumetrica in legno, preventivamente progettata, dipinge con intonaci e colori ad olio. Queste opere sono per la prima volta messe in mostra nel 2006 nella Galleria Comunale di Castel Bolognese.


Esposizioni

1978 Bottega d’Arte Gollini – Imola – (Personale) 1978 Galleria San Michele – Brescia – (Collettiva) 1979 Galleria d’Arte Alba – Ferrara – (Collettiva) 1980 Palazzo delle Manifestazioni – Salsomaggiore Terme – (Collettiva) 1980 Galleria d’Arte Alba – Ferrara – (Collettiva) 1987 Centro Culturale Polivalente – Castel Bolognese – (Personale) 1988 Galleria “Cidac” – Cervia – (Collettiva) 1988 Padiglione delle Terme di Riolo Terme (RA) – (Personale) 1989 Galleria Centro Storico – Firenze – (Collettiva) 1989 Centro Culturale Polivalente – Castel Bolognese – (Personale) 1989 Centro Culturale Polivalente – Castel Bolognese – (Collettiva) 1990 Galleria “Cidac” – Cervia – (Collettiva) 1990 Galleria Comunale di Castel Bolognese (RA) – (Personale) 1992 Galleria “Cidac” – Cervia – (Collettiva) 1992 Artexpo Convention Center – Los Angeles 1993 Artexpo Jacob Javits Convention Center – New York 1995 Galleria Malatestiana – Rimini – (Personale) 1995 Galleria Malatestiana – Rimini – (Collettiva) 1995 Chiesa San Giovanni di Riolo Terme (RA) – (Personale) 1996 Galleria Risorgimento – Imola – (Personale) 1996 Galleria Comunale di Castel Bolognese (RA) – (Personale) 2006 Galleria Comunale di Castel Bolognese (RA) – (Personale) 2008 Chiesa della Commenda – Faenza (RA) – (Collettiva) 2008 Pescherie della Rocca – Lugo (RA) – (Collettiva) 2008 Chiesa dell’Annunziata – Imola (BO) – (Collettiva) 2009 Palazzo Albertini – Forlì – (Personale) 2009 Fiera Contemporanea – Forlì – (Collettiva) 2010 Magazzini del Sale - Sala Rubicone – Cervia (RA) – (Personale) 2011 Palazzo Abbondanza - Sala delle Colonne - Bagnacavallo (RA)-(Personale) 2012 Palazzo delle Esposizioni - Faenza (RA) - (Personale)



Biography Daniele Cantoni was born in Castel Bolognese (Ravenna) in 1959. He has been interested in painting since childhood and his first school years. In 1973 he joined the Ceramics Art Institute in Faenza, where he followed the Special Course in Moulding for over a year. Here he met the sculptor Angelo Biancini, for whom he worked out some moulds in the Institute. During the same period Cantoni worked for the “Gemi d’Arte” Workshop where he was responsible for the clay objects. After his collaboration with the Workshop in Faenza he devoted himself to sculpture with plaster. In 1978 with some friends he founded the “Circolo Artistico Castellano”, of which he became the President. The group displayed in the large rooms of Palazzo Ginnasi. Among the visitors who came to the studio there was also the sculptor Alberto Mingotti, who is still Cantoni’s friend. In the same year the “Circolo Artistico” gave their first group exhibition in the Town Auditorium of Castel Bolognese. This was a period of intense commitment which was to last until 1984. In 1978 Cantoni met Alberto Gollini, a young art gallery manager in Imola, who displayed his exhibits permanently. In the same year in Sirmione he met the painter Felix dè Cavero who introduced him to the art gallery manager Gianfranco Majorana, who in turn invited him to exhibit his works in the San Michele Gallery in Brescia. In 1979 he took part in a group exhibition in the Alba Modern Art Gallery in Ferrara, where he received the prize “Originality and Validity 1979”. In 1980 he took part in an important exhibition in Salsomaggiore Terme (Parma) called “Contemporary European Artists”. In the same year he joined another group exhibition for the “Serenissima Accademia della Signoria” in Firenze where he was awarded the “Golden Lion”. In 1980 Cantoni met the sculptor Germano Sartelli from Imola, whom he recognises as a master. In 1981 he held his first individual exhibition in Imola in the “Gollini Art Workshop”. In the same year in December he displayed his works in another individual exhibition in Castel Bolognese. Then, for a few years, he concentrated on his work in his studio and started exhibiting again in 1987. After the exhibition in Castel Bolognese he devoted his activities to pictorial research in his studio. In this period he carried out works on canvas and on wooden board, in which he developed the themes of his previous works. Lately, he has combined his original experience in sculpture with painting. He oil painted on a wooden frame, specifically designed for this purpose. These works were first exhibited in 2006 in the Town Art Gallery in Castel Bolognese.


Exhibition 1978 Bottega d’Arte Gollini – Imola – ( Solo Exhibition ) 1978 Galleria San Michele – Brescia – ( Group Exhibition ) 1979 Galleria d’Arte Alba – Ferrara – ( Group Exhibition ) 1980 Palazzo delle Manifestazioni a Salsomaggiore Terme ( Group Exhibition ) 1980 Galleria d’Arte Alba – Ferrara – ( Group Exhibition ) 1987 Centro Culturale Polivalente – Castel Bolognese - ( Solo Exhibition ) 1988 Galleria “Cidac” – Cervia – ( Group Exhibition ) 1988 Padiglione delle Terme di Riolo Terme (Ra) - ( Solo Exhibition ) 1989 Galleria Centro Storico – Firenze – ( Group Exhibition ) 1989 Centro Culturale Polivalente – Castel Bolognese – ( Solo Exhibition ) 1989 Centro Culturale Polivalente – Castel Bolognese – ( Group Exhibition ) 1990 Galleria “Cidac” – Cervia – ( Group Exhibition ) 1990 Galleria Comunale di Castel Bolognese (Ra) - ( Solo Exhibition ) 1992 Galleria “Cidac” – Cervia – ( Group Exhibition ) 1992 Artexpo Convention Center – Los Angeles 1993 Artexpo Jacob Javits Convention Center – New York 1995 Galleria Malatestiana – Rimini - ( Solo Exhibition ) 1995 Galleria Malatestiana – Rimini – ( Group Exhibition ) 1995 Chiesa San Giovanni di Riolo Terme (Ra) - ( Solo Exhibition ) 1996 Galleria Risorgimento – Imola - ( Solo Exhibition ) 1996 Galleria Comunale di Castel Bolognese (Ra) - ( Solo Exhibition ) 2006 Galleria Comunale di Castel Bolognese (Ra) - ( Solo Exhibition ) 2008 Chiesa della Commenda – Faenza (RA) – (Group Exhibition) 2008 Pescherie della Rocca – Lugo (RA) - (Group Exhibition) 2008 Chiesa dell’Annunziata – Imola (BO) - (Group Exhibition) 2009 Palazzo Albertini – Forlì - ( Solo Exhibition ) 2009 Fiera Contemporanea – Forlì- ( Solo Exhibition ) 2010 Magazzini del Sale Sala Rubicone – Cervia (RA) - ( Solo Exhibition ) 2011 Palazzo Abbondanza - Sala delle Colonne - Bagnacavallo (RA)-(Solo Exhibition ) 2012 Palazzo delle Esposizioni - Faenza (RA) - (Solo Exhibition )



Gli inganni dello sguardo di Aldo Savini Tra le varie tendenze artistiche che attraversano la modernità nel suo andamento evolutivo, quella alla quale è approdato Daniele Cantoni e in cui si riconosce ha inizio alla fine dell’Ottocento con la dissoluzione del realismo veristico per risolversi nell’astrattismo. Astrattismo è un termine carico di equivoci, deriva da “ab-s-trahere”, togliere-da ed indica un atto di sottrazione, di eliminazione delle apparenze esteriori per andare oltre e addentrarsi nelle profondità della dimensione spirituale umana. Ma poi ha assunto una connotazione più semplice e comune, associandosi all’idea del nonfigurativo, dell’abbandono di ogni tipo di rappresentazione, indicando il senso della mancanza di qualsiasi rapporto con il reale e, di conseguenza, del suo totale annullamento. Molto spesso però queste due concezioni contrastanti si sono compenetrate in modo tale che la lucidità mentale non annullasse l’emozione e che la componente irrazionale si integrasse con la struttura formale delle composizioni. E’ proprio Cézanne ad affermare che dipingere significa cogliere tra molteplici rapporti un’armonia e trasferirla su una scala cromatica, sviluppandola secondo una logica nuova e originale e che la pittura è l’arte di combinare effetti, cioè di creare rapporti tra colori, contorni e superfici. Abbandonato l’impianto figurativo del periodo giovanile nel quale il dato realistico prescindeva comunque da intenti strettamente imitativi, Cantoni ha intrapreso un percorso tale per cui l’operazione artistica viene concepita come laboratorio di ricerca, dove l’attività intuitiva della mente si compenetra con quella percettiva dei sensi e quella produttiva del gesto per dar vita ad immagini pure ed essenziali in continua metamorfosi. Dall’indagine sulle relazioni tra immaginazione, occhio e gestualità si origina un intreccio che orienta e guida lo svolgimento della sua pratica artistica per tradursi in opere decisamente innovative che, pur progettate razionalmente, conservano la freschezza dell’improvvisazione. Queste, pertanto, si presentano come un dispiegarsi, un disperdersi, un intensificarsi di forme e di colori, in corrispondenza con gli stati mentali e della memoria, cosicché le soluzioni visive ottenute, caratterizzate da ripetizione, aggregazione e, da ultimo, anche sovrapposizioni, sono ora il suo tratto distintivo di riconoscimento, una cifra stilistica, una firma. Lo spazio bidimensionale della superficie pittorica mentre assume un movimento instabile, a volte vorticoso altre modulare, generato dalla stesura del colore, in cui concretezza e invenzione sembrano fondersi, è spesso interrotto da fessure regolari secondo uno schema geometrico che coinvolge e condiziona lo sguardo, facendo emergere visivamente la profondità del piano sottostante. Inoltre, la ricerca analitica, coerente e rigorosa, intorno agli elementi che disorientano la visione, fa sì che lo


spazio non appaia definito in termini assoluti, ma sia esposto alle variazioni della percezione soggettiva e individuale, stimolando in tal modo gli inganni dello sguardo. Le opere di Cantoni si generano contemporaneamente da un vissuto interiorizzato e consapevole e da una perdita dell’orientamento, e l’effetto caleidoscopico della giustapposizione dei colori, trasmette il senso di uno spazio sconfinato e spaesante, dove le forme sono continuamente frammentate, rimodellate e ricomposte. Per alimentare la sua creatività instancabile, sottoposta sempre a disciplina e auto-controllo, insegue visioni, quasi allucinatorie, che rievocano sia esperienze passate, forse addirittura riconducibili all'infanzia, sia impressioni istantanee del vivere quotidiano che, inavvertitamente, si depositano nella memoria. Di conseguenza, nei suoi lavori si prospetta un altro mondo, non immobilizzato ma dinamico, o piuttosto una specie di viaggio al di là dei confini razionali all’interno di forme organiche e vitali, dove raramente si intravedono profili di figure quasi a voler escludere la dimensione umana dall’infinito cosmico. Intenzionalmente con un montaggio sincopato come se si trattasse di uno spartito musicale, o piuttosto simile a un battito cardiaco o paragonabile alle vibrazioni del cosmo, l’artista prospetta un'esperienza visiva mobile, derivata da una sensazione di smarrimento riguardo al rapporto tra fondali e piani che emergono, che sembrano fondersi in un solo livello, creando l’illusione di infinito. Nella costruzione dell’opera che appare come una distesa di colori pulsanti e un costante vibrare di animazioni astratte, i frammenti delle immagini si collegano gli uni agli altri spesso secondo un andamento seriale per creare onde di pieno e di vuoto in un universo apparentemente sconfinato, al fine di permettere al tempo stesso di spalancare inaccessibili regioni dell’immaginazione e di vivere sensazioni sconosciute. Questo vulcanico modo di dipingere sovraccarica i sensi di emozioni, tanto che spazio e tempo si fondono e divergono in un rapporto di instabile precarietà. La dimensione temporale è determinata, infatti, dal mutamento di ogni singola parte, che imprime il ritmo lento o frenetico delle impressioni provocate senza dubbio dalla tensione interiore dell’artista nello scorrere dalla quieta serenità alla tumultuosa inquietudine, che inevitabilmente viene colta da chi guarda ed entra in una sorta di risonanza armonica con le opere stesse.

Sono lavori che prescindendo da presenze antropomorfiche ricordano vagamente incursioni nella storia dell’arte o paesaggi, semplicemente evocati, tanto che si possono intravedere colline dall’andamento morbido e sinuoso o mobili distese marine che si dispiegano e si allungano per dare il senso di rinnovamento e rigenerazione, di crescita e transizione proprio del ciclo vitale. Pertanto, il desiderio di andare oltre il dato realistico prospetta un orizzonte senza fine, sospeso tra sogno e realtà, tra mistero e inganno in cui la luminosità gioca un ruolo determinante, creando l’illusione di perdersi nelle infinite serie possibili delle forme, in luoghi immaginari che si sorreggono sull’equilibrio di forze positive e


negative e dove è possibile addentrarsi per riviverli, come sembra suggerire l’artista, con le armi del gioco e dell’ironia. Una luce astratta, che non ha nulla di quella naturale atmosferica, sembra sospendere il movimento della superficie dipinta attraverso sensibilissime combinazioni di materia-colore, è una luce che può essere trattenuta fisicamente dalla materia alla quale non conferisce brillantezza bensì l’aspetto opacizzante dell’intonaco fino ad arrivare a incrinare il confine tra vista e tatto. Anzi, si viene a produrre una suggestiva coincidenza tra di loro, come se lo sguardo potesse toccare le superfici dipinte, e insieme il potenziale tocco delle mani permettesse di percepirne l’immagine in un originale e suggestivo intrigo tra il vedere e il toccare che si uniscono per rafforzare tra l’ artista e lo spettatore un rapporto che veicola una forte tensione conoscitiva ed emozionale.



The deceits of the eye Aldo Savini Among the artistic tendencies which characterise modern times in their evolution, Daniele Cantoni identifies himself with the movement which began at the end of the 19th century with the passage from realism to abstract art. Abstract art is an expression full of misunderstandings. It comes from the Latin word “ab-s-trahereâ€?, i.e. to take from, and it indicates an act of subtraction, the elimination of external appearances in order to go beyond them into the depth of the human and spiritual dimension. Later the expression took on a more common and simple connotation, becoming associated with non-figurative art. It expressed the departure from any representation, the lack of any relationship with reality and consequently its annihilation. However, the two contrasting conceptions have frequently been used together, so that emotional and irrational components could integrate into the mental lucidity and formal structure of the work. It was CĂŠzanne who stated that painting means seizing the harmony of multiple relationships and expressing it through a chromatic language developed according to a new original logic. To him painting was the art of combining effects, creating relationships between colours, contours and surfaces. Moving away from the figurative outlook of his early years, where realism had never been a synonym of imitation, Daniele Cantoni started to consider artistic creation as a workshop where the intuitive activity of the mind merges with sense perceptions and gestures to bring essential and pure shifting images to life. The study of the close relationship between imagination, the eye and gestures is the distinguishing feature of his remarkably innovative artistic practice which keeps the freshness of improvisation despite its rational planning. So his work spreads, dissolves and intensifies shapes and colours according to the disposition of his mind and memory. The result is a style marked by repetition, aggregation and overlap, the characteristics of his signature. The twodimensional space of the pictorial surface, where substance and imagination merge together, is often interrupted by regular splits in a geometrical pattern which catches and guides the eye, showing the depth of the background underneath. The space is not defined in absolute terms but subjectively and variously perceived by the viewer who is stimulated by the deceits of the eye. The work of Daniele Cantoni grows out of his personal experience and at the same time from a loss of orientation. His kaleidoscopic juxtaposition of colours produces an unlimited and disorientating space where shapes are fragmented, re-modelled and re-positioned over and over again. His tireless creativity, submitted to discipline and self-control, follows nearly hallucinatory visions which evoke both past experiences, maybe from his childhood, and instantaneous impressions of everyday life, unconsciously


recorded by memory. Consequently, his work represents a dynamic journey into a world beyond rational borders inhabited by vital living shapes, though rarely human beings, as if to exclude man from this universe. With a discontinuous montage similar to a syncopated music score, the artist intentionally gives an ever-moving visual experience where images emerge, change and dematerialize creating a sense of bewilderment. Fragments of images are regularly arranged together in series as the rhythmical waves of full and empty spaces in the neverending universe of imagination and unknown sensations. This fervid way of painting overloads the senses with emotions so that space and time fuse together and move apart in a relationship of precarious instability. Shifting images are in fact responsible for the slow or at times hectic rhythm of the impressions produced in the viewer, who can catch a glimpse of the inner dimension of the artist, from peaceful quietness to restless anxiety. This is evoked in his manifold landscapes, from undulating hills which slope up and down smoothly in the absence of man to the immense expanse of the sea recalling the growth and regeneration of the cycle of life. Moreover, whereas light creates the illusion of getting lost among the infinite shapes of imaginary places explored with the help of irony and imagination, the desire to go beyond appearance casts a spell between dream and reality, mystery and deceit. Interestingly, the brightness of an abstract light seems to go into the depth of the paintings and be withheld by the matt effect of the plaster in a blur of sight and touch. Actually, the two senses merge into each other completely and become one only feeling, as if the eye could touch the painted surfaces and the hands could perceive the images in an original and suggestive mixture of touch and sight which combine and strengthen powerful emotions suspended in space between the artist and the viewer.




Le strutture di luce di Daniele Cantoni di Antonella Imolesi Pozzi

Sono trascorsi molti anni da quel lontano 1978 in cui un gruppo di ragazzi, con fervore innamorato, si ritrovava per confrontarsi sui temi della pittura e per “fare” arte negli stanzoni dell’ultimo piano di Palazzo Ginnasi a Castel Bolognese. Fra quei giovani c’era Daniele Cantoni che, per la determinazione con cui inseguiva la sua vocazione artistica, divenne il più attivo animatore, fino al 1984, di quella conventicola di artisti, per la maggior parte autodidatti. Allora come oggi c’era in Daniele un trasporto e una tensione entusiasta che lo spingevano a percorrere i sentieri della pittura e che, come scrive l’amico scultore Alberto Mingotti, erano “l’espressione di quell’onnipotenza dei desideri che è presente negli ambiti dell’arte”1 e che hanno accompagnato e sostenuto in questi anni la sua appassionata ricerca e la realizzazione delle sue opere. Accanto al talento e alla passione dell’artista è immediatamente percepibile nel suo lavoro la sapienza artigianale acquisita negli anni della formazione all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza e l’importanza dell’incontro e del confronto, in tempi diversi, con gli artisti che riconosce come maestri e che lo hanno maggiormente ispirato: Angelo Biancini, Felix de Cavero e Germano Sartelli. Dagli anni Settanta ad oggi, il percorso di Cantoni non può essere inteso come mera successione di risultati nel tempo, ma piuttosto come individuazione di opere che preludono a sviluppi successivi o concludono fasi di ricerca, secondo un’idea di ciclicità più che di progressione. Così, dopo un avvio all’insegna dell’astrazione, una parte del suo lavoro negli anni Novanta si è risolta in favore della figurazione e la pittura fortemente emotiva di quel periodo ci appare come “una esplicita dichiarazione di stati d’animo”2, ottenuta con colori e forme espressive ed essenziali che irrompono con violenza sulla superficie del quadro, raggiungendo esiti di una ricchezza cromatica davvero sorprendente. E questa forza cromatica ha caratterizzato le opere dell’artista anche quando, in tempi più recenti, ha abbandonato la figurazione emancipandosi nel contempo dalle influenze di tanta pittura astratta. Oggi il suo segno grafico, frenetico e coinvolgente, che si è a lungo espresso in sciabolate di colore, convoglia l’energia creativa in tessere colorate simili a frammenti di caleidoscopio, che perdono le linee nette dei contorni per espandersi sull’intera superficie del quadro oppure si organizzano nella ripetizione modulare delle bande di legno dipinto, in un ordine rigoroso imposto dall’artista al suo mondo poetico ed espressivo. I suoi lavori scandagliano le possibilità non solo del segno, ma anche delle infinite tonalità date dalla sovrapposizione dello stesso colore o da colori diversi in una fitta texture che possiede una materialità visiva fatta di addensamenti e rarefazioni. La sua pittura si realizza attraverso la perizia artigianale nell’uso di materiali diversi come i cubetti di legno assemblati e dipinti, la carta di giornale, e ancora il legno su cui interviene con la tecnica dell’intonaco creando affascinanti strati di trama percettiva.


“Pittura concreta e non astratta, perché non c’è nulla di più concreto, di più reale di una linea, di un colore, di un piano. Lo spirito ha raggiunto l’età della maturità. Ha bisogno di mezzi chiari, intellettuali, per manifestarsi in forma concreta” affermava Theo van Doesburg nel 1930, introducendo per la prima volta il termine “concreto” a proposito dell’astrattismo. Questo termine, poi ripreso nel 1936 da Max Bill, divenne, nel clima infuocato del dopoguerra, convulso di schieramenti e dichiarazioni programmatiche, il vessillo di quanti leggevano ancora nella parola “astratto” un qualche compromesso con il dato naturale. Di fronte ai lavori di Daniele tornano alla mente queste formulazioni teoriche e si percepisce l’originalità di un operare artistico vicino alle esperienze dei pittori riuniti da Lionello Venturi nel “Gruppo degli otto” alla XXVI Biennale di Venezia del 1952 e la rivendicazione della continuità artistica di una tradizione moderna in cui si intrecciano il percorso delle avanguardie costruttiviste, Cézanne e il postcubismo, l’espressionismo, le ricerche post-futuriste e quelle degli artisti firmatari del manifesto “Forma 1” del 1947, fino a quelle di Piero Dorazio e di Franco Gentilini, a cui l’artista si rifà per la scelta dei materiali nei suoi “intonaci”. Negli ultimi lavori di Cantoni, realizzati con l’assemblaggio di bande orizzontali o verticali, dipinte con colori succosi e brillanti, si assiste all’accumulo lento e progressivo della sostanza fisica della pittura, della materia magmatica che esplode, si frantuma, si dissolve, si trasforma e si ricompone, allontanandosi dalla realtà delle cose, per restituirci il ricordo di esse in puro colore, traghettandoci al di là delle apparenze per mezzo della forza creatrice che ci introduce nello spazio quieto dell’ordito modulare della sua arte che si situa al di là della soglia della rappresentazione, nella libertà del suo spazio articolato secondo una grammatica fatta di modulazioni cromatiche e viaggi segnici, di pure metafore fenomeniche lontane da qualsiasi riferimento reale, frutto di remote fantasie infantili, inseguite e recuperate nel corso di una lunga ricerca artistica e da questa trasformate in esperienze cromatiche e formali che si sostanziano nella sequenza spontanea delle tessere e dei frammenti di un “romance sans paroles”, per dirla con Proust. L’arte si fa teknè, immergendosi nella scala policroma e operando una profonda erosione della pittura, utilizzando materie e tecniche diverse e inusuali (il legno, l’intonaco). Cantoni sottrae immagini all’esperienza oggettiva e ad ogni analogia naturalistica fino a giungere ad un’impressione sintetica e fuggevole della realtà ridotta all’essenzialità dei suoi elementi strutturali, la linea e il colore, dissolti e confusi in pure vibrazioni ritmiche e luminose. Si assiste allora all’addensarsi della materia in forme evocative piuttosto che in simulacri della realtà, per giungere a creare un universo poetico scritto con il colore. In un’operazione di sintesi e di riduzione estrema delle forme nello spazio della coscienza, l’artista giunge alla pura illuminazione, all’eliminazione di ogni orpello visivo, alla decantazione dell’emozione e arriva al cuore delle cose, all’origine unica del visibile e dell’invisibile. L’arte diviene pura esperienza spirituale che abbandonando l’esperienza visiva, oltrepassando l’apparenza delle cose, rifiutando la rappresentazione, conduce alla visione e a forme rivelatrici della verità ultima ed essenziale.


Resta il ricordo, l’eco lontana, i riferimenti alla realtà fenomenica ormai sconvolta dal potere metamorfico del colore e della luce che divengono elementi linguistici dotati di referenzialità propria e autonoma rispetto ai valori esterni del reale. L’oggetto si dissolve totalmente nello spazio e l’elemento cromatico si frantuma nelle tessere di una vetrata. Cantoni adegua progressivamente i propri mezzi espressivi all’ampliarsi della visione e ci introduce alla verità ritrovata, al di là delle concrete manifestazioni dei fenomeni, nella fusione di luce-colore-spazio-tempo, per mezzo di una mutazione linguistica che rinuncia ai termini narrativi e alla logica interna al linguaggio figurativo. La rappresentazione dello spazio è resa mediante la vibrazione della luce e del colore di un inedito cromatismo ad alta temperatura emozionale. L’artista opera una sorprendente trasfigurazione immergendosi nell’abisso materico per giungere all’astrazione lirica, passando attraverso la distruzione e rigenerazione del reale. La peculiarità delle opere più recenti di Cantoni sta proprio in questa capacità di trasformare il “colore” in “struttura”, nell’esaltare gli elementi percettivi e l’esperienza ottica come fonte di sensazione e di conoscenza, affidando al colore il compito di costruire le forme con l’ausilio di materiali “impropri” come il legno e l’intonaco, sui quali la luce esterna, direzionata sulle bande orizzontali e verticali in rilievo, esalta la fisicità dell’opera, creando mutevoli e inedite articolazioni spaziali.

—————————————————————1 - A. Mingotti, Pittura e primitivismo in Daniele Cantoni, in: Cantoni, catalogo con testi di A. Mingotti e L. Valdré, Faenza, Stampa Offset Ragazzini & C., 1996. 2 - A. Mingotti, Pittura e primitivismo in Daniele Cantoni, op. cit. 3 - T. van Doesburg, Scritti di arte e di architettura, Roma, Officina Edizioni, 1979.



Daniele Cantoni’s structures of light Antonella Imolesi Pozzi

It is a long time since 1978, when a group of youngsters, mostly self-taught, met on the top floor of Palazzo Ginnasi in Castel Bolognese, to discuss about painting and “making” art in a different way. Daniele Cantoni was among them and for his determination and artistic vocation he became the most active member until 1984.Daniele was driven onto the paths of painting by an urge and passion which “are the expression of powerful artistic wishes”1, as his friend sculptor Alberto Mingotti said. This vocation has supported his enthusiastic research and the realization of his works. Besides this artist’s talent and dedication, in his works you can immediately notice the craft acquired during his studies at the Ceramics Art Institute in Faenza, and the importance of meeting the artists who he recognizes as teachers and who inspired him most: Angelo Biancini, Felix dè Cavero and Germano Sartelli. Since the 70s Cantoni’s development can be seen in terms of cycles rather than linear progression, because his works clearly suggest future developments and further stages of research. After starting from abstractionism, part of his works in the 90s tended toward figurative painting. The deeply emotional paintings of that period look like “an artistic declaration of states of mind”2, obtained with colors and essential expressive forms, which violently break into the surface of the painting, reaching surprising chromatic effects. Even when he left figurative and abstract painting, his works were characterized by a special chromatic strength. Today his graphic sign conveys his creative energy in colorful pieces similar to kaleidoscopic fragments deprived of their precise contours and expanding on the whole surface of the painting, or arranging themselves in the repetition of painted wooden bars, which strictly order the artist’s poetic expressive world. His works explore the opportunities of endless shades overlapping in a material texture made up of visual densities and rarefactions. His painting comes out of a skillful use of different materials such as assembled wooden cubes, newspaper sheets and plaster. “Concrete” and not abstract painting, because there is nothing more concrete than a line, a color, a surface. The spirit has reached the age of maturity. It needs clear intellectual means to manifest itself concretely”, claimed Theo van Doesburg in 19303, introducing the term “concrete” for the first time in relation to abstractism. In the turbulent afterwar years, this term, later used again by Max Bill in 1936, became the landmark for those who considered the word “abstract” as a compromise with the natural world. This concept comes back to your mind when you look at Daniele’s works and perceive the originality of the materials he uses in his “plasters”. In his latest works, made by assembling brightly colored bars horizontally and vertically, the reality of experience is dissolved and transformed until its memory can be brought back by the sheer color and physical substance of painting itself. His language of colors and signs is far from reality, the legacy of childhood fantasies slowly recreated through artistic research into a peaceful sequence of fragments, into a “romance sans paroles”, to put it in Proust’s terms. Art becomes tekné by exploiting all hues of color and unusual materials and techniques (wood, plaster).


It gives back a concise fleeting impression of reality reduced to its essential structural elements, namely lines and colors, melted and merged into bright colorful rhythms. His evocative poetic world is a condensation of emotions free from all unnecessary visual details and reveals a spiritual experience which gets into the truths of things. The experience is contemplated and purified and finally broken into the colorful pieces of a stained glass window. Cantoni’s painting gives up the logical rules of figurative language in favor of an unconstrained representation of distilled light, color, space and time. The originality of Cantoni’s latest works lies in his ability to transform “colors” into “structures”, in heightening perceptive elements into a source of knowledge. His use of colors and new materials such as wood and plaster, as well as horizontal and vertical bars in relief, poetically recreate the concreteness of his original past experience, and rearrange it into new imaginative artistic shapes.

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1 - A. Mingotti, Pittura e primitivismo in Daniele Cantoni, in: Cantoni, catalogo con testi di A. Mingotti e L. Valdré, Faenza, Stampa Offset Ragazzini & C., 1996. 2 - A. Mingotti, Pittura e primitivismo in Daniele Cantoni, op. cit. 3 - T. van Doesburg, Scritti di arte e di architettura, Roma, Officina Edizioni, 1979.




Il percorso di un artista davvero autentico di Antonello Rubini

Nel suo recente volume su Gino Marotta, Maurizio Calvesi afferma nella Premessa, motivando l’impostazione del suo saggio: «Il mio venerato maestro Lionello Venturi ci raccomandava, ovviamente a proposito degli studi che commissionava sul Cinque e Seicento, di sempre corredare le proprie considerazioni con un preciso resoconto di quanto precedentemente scritto da altri». Mi pare, oltre che una metodologia più che valida, un criterio adottabile anche nei riguardi di un artista che non possiede una vasta antologia criticogiornalistica come Daniele Cantoni. E l’adotto cercando di pari passo, anche attraverso cenni biografici e/o lucide dichiarazioni dell’artista stesso al sottoscritto, pure di colmare o di ricostruire, ove mi è possibile, le fasi del suo operato. «Ho sempre amato i colori, sin da quando ero un bambino, quando con disappunto degli adulti mi divertivo a colorare tutto ciò che mi capitava, mi bastava avere un pastello fra le dita… era affascinante vedere come tante forme potessero prendere vita in una giostra di colori». Così Cantoni inizia ad esporre per iscritto la sua storia di artista. Un’attitudine, la sua, che successivamente trova il giusto sbocco nella frequentazione dell’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza, città nota in tutto il mondo per le sue maioliche. Qui entra in contatto, in qualità di allievo del Corso Speciale di Formatura, con un maestro della scultura non soltanto in ceramica: Angelo Biancini; per il quale, all’interno della Scuola, realizza degli stampi. Pratica che privatamente lo porta a realizzare sculture in gesso, ma dopo un paio d’anni abbandona la scultura e si dedica, sono sue parole, «ad una tecnica sperimentale di quadri lavorati con terre naturali, preparando personalmente le terre con i colori e gli impasti». A diciannove anni accade un sorta di svolta nella sua vita artistica; dice: «durante una mia visita alla cittadina di Sirmione fui incuriosito da una mostra di pittura de “I Decalage”, e proprio qui ebbi la fortuna di conoscere e frequentare Felix dé Cavero, artista che nelle sue opere apportava un plus-tensionale ed emozionale di suggestioni compenetranti fino ad arrivare ad un autentico “bagno di luce” di colori primari. La sua conoscenza fu per me stimolo di approfondimento nel mondo dell’arte». “I Decalage”, per chi non lo sapesse, è la denominazione di un gruppo fondato nei primi anni Cinquanta, di cui fanno parte i torinesi Attilio Aloisi, Nando Girardi e appunto Felix dé Cavero. Questi artisti, sulle tracce dell’Arts and Crafts, lavorano, per dirla con Raffaele De Grada, ad «“opere” il più possibile distaccate dai loro problemi soggettivi, riprendendo i problemi dell’artigianato artistico medioevale, il senso della “bottega”». A Cantoni, come si può evincere dalla sua dichiarazione in merito, più che l’aspetto dell’arte applicata (che è comunque importante per la sua formazione, anche perché, come vedremo, la sua ricerca di lì a poco comincia a non disdegnare affondi nella, seppur alta, decorazione, oserei dire a volte con intenzioni alquanto arredative), interessa il linguaggio di matrice divisionista utilizzato da tale gruppo.


Grazie a questa esperienza inizia a maturare la sua identità di artista, tuttavia prima di approdare con piena consapevolezza e decisione alla “prepotente” icastica figurazione con accenti visionari ora più ora meno forti che lo caratterizza lungo gli anni Ottanta e i Novanta, egli sperimenta anche su altri versanti, come dimostra Ritratto del 1979, che ha a che fare col secondo futurismo, sperimentando anche dal punto di vista tecnico; scrive: «Nei primi anni Ottanta mi interessai alla materia (malta, intonaco, affresco); queste tecniche antiche sono tuttora parte integrante del mio lavoro ma con proiezioni moderne, forse affascinato dalle opere ad effetto intonaco di Franco Gentilini». Anche su altri versanti, dicevo, intendendo compreso l’ambito dell’astrazione, come rivela il comune amico artista Alberto Mingotti: «Di Cantoni ho già scritto una volta nel 1981 in occasione di una sua esposizione in una galleria di Imola. Allora Daniele si trovava, come spesso succede a molti artisti, ad un bivio: una parte del suo lavoro si esprimeva nell’astrazione, l’altra nella figurazione. Da allora questa ambivalenza si è risolta a favore della figurazione: una maniera di rappresentare che, pur precisandosi, porta con sé il suo debutto di artista con una pittura contrassegnata da forme di espressionismo». A questo periodo risale la prima testimonianza, per quanto mi risulta, sul suo lavoro, a firma del gallerista Gianfranco Majorana, apparsa sul Dizionario degli artisti europei contemporanei del 1980, che vale la pena qui riportare integralmente: «Pittore e scultore. Carica di elementi simbolici e metaforici, la sua pittura si offre sempre come discorso teso alla comunicazione di significati inerenti i problemi esistenziali dell’uomo e le giustificazioni delle sue scelte di vita. La metamorfosi o il simbolo non sfiorano mai però i confini dell’esplicità allegorica. Gli elementi della composizione, i personaggi, sono già infatti entità che assumono in sé un significato di testimonianza di una condizione o di una problematica. In questo senso la rappresentazione, mantenendo elementi reali o metafisici insieme a specchio della commistione di esplicito ed enigmatico della realtà, vede ancor più rafforzato il suo contenuto di lucida verità». Da questa sintetica ma attenta lettura si evince come già allora il lavoro del Nostro sia profondamente impegnato, lavoro che trova pochi anni dopo un solido terreno ove, felicemente, assestarsi, come l’artista stesso conferma: «Nel 1983 ha inizio per me il percorso propriamente figurativo e paesaggistico, motivato dalla ricerca e conoscenza tecnica (anatomia, luci, ombre e sfumature); era un’esperienza che mi sarebbe servita per passare alle fasi contemporanee di interpretazioni (sintesi dei colori attuali)». E siamo alla fase più ricca di documentazione dal punto di vista criticogiornalistico. Cantoni va realizzando quindi opere in cui confluiscono il reale e l’onirico, lo storico e il mitico, la sfera sociale e quella individuale. Lo fa condividendo certi caratteri soprattutto estetici del postmoderno, attraverso una fluttuante pittura che via via giunge a far compenetrare non di rado la figurazione e l’astrazione, che indubbiamente per vari motivi attinge al passato ma, si badi bene, non per questo non s’innerva nella contemporaneità, anzi in alcuni dipinti più recenti è proprio lampante contenutisticamente il riferimento al presente (penso ad esempio ad Amore informatico del 2000, dove attraverso il ricorso a singole lettere, a codici geometrici sparsi e al turbinio di fondo si evince il rimando alla nostra era tecnologica). D’altronde Ivo Gigli parla di «Un simbolismo


diffuso che trae i suoi soggetti umani da un lascito ricco di passato e tradizione classica, ma insieme intelaiato in una modernità che traspare insopprimibile». Mario Domenico Storari in merito dichiara che «La tematica di Daniele Cantoni scava nel vivere della nostra vita attuale ed è incentrata sulla condizione dell’uomo moderno con un contenuto sostanzialmente realistico situato in una posizione dialettica che gli permette di adottare le opposte esigenze in una visione unitaria, ricca di tensione». D’altro canto Cantoni, essendo un contemporaneo, avverte e forse vive anch’egli la complessa inquietudine del nostro tempo; e cosa più dell’arte può permettergli di manifestare o meglio sviscerare tale complessa inquietudine? Insomma, il suo da sempre non è un esercizio stilistico, è sostanzialmente la concretizzazione di un immaginario esistenziale. Certo, senza vera e propria denuncia e senza ragionare in termini cupamente pessimistici, in un modo squisitamente formale e cromatico, ricorrendo appunto spesso alla dimensione fantastica. Giacché, dice Gigli, il suo è sì «un interesse per la contemporaneità, per i problemi esistenziali della nostra storia, ma anche per ciò che di speranza v’è in essa, come i motivi ritmici di corporeità e della natura che balenano, lasciano intuire, rinsanguato esteticamente da un gusto classico e dal talento». Melania Medri sostiene che «Attraverso un segno indagatore la figura umana viene scrutata, messa a nudo fino a rivelare il tormento dell’anima, scossa da un’angoscia esistenziale che non lascia un attimo di tregua». Licinio Boarini aggiunge e precisa su Arteoggi, parlando dei nuovi dipinti: «La vissuta, sentita e meditata sintonia di Daniele Cantoni con la figura si va vieppiù affinando, colma com’è di un intimismo sentimentale, intensamente inseguito pur in un’ambienza estesa che dilata così l’inserimento del pittore tra i palpiti ontologici e nello sconfinato ambito di quell’alveo dove convergono le ansie e le passioni, i desideri e le sofferenze, e ad ogni tornata con quella convergenza tiepida e attenta che allarga così a dismisura le risultanze comportamentali che affiorano ad ogni tornata con singolare ed immediata disponibilità». Ed Elio Succi afferma: «Con Daniele Cantoni la figura è pienamente rivalutata, diviene protagonista che esprime con efficacia inusitata i suoi moti interiori, la sua visione-valutazione dell’esistere, la sua struggente voglia di luce». Egli opera alternando un fare propriamente pittorico, conscio della migliore tradizione, ad un fare invece in parte più grafico. Muovendosi comunque entro un’operatività basata sostanzialmente sulla valorizzazione del binomio lucecolore, di tanto in tanto sfociando localmente, come in Mio padre del 1996 e in La famiglia del 1997, nella nobile decorazione. Sul colore e sulla luce Succi dichiara: «Il linguaggio cromatico, pur essendo del tutto nuovo, sa subito e completamente coinvolgere. I colori spaziano in uno spartito dai significati alti, le membra umane si affermano nella pienezza della luce, la muscolatura è tesa, ha la decisone della forza. Quella della bellezza e del pensiero. Ci sono brividi cromatici nei suoi quadri, bagliori diffusi, energie magnetiche intorno ai corpi. Rimbalzi e percorsi di luce nutrono la perfezione della purezza, come se l’aria non costituisse alcun limite alla visione». Mingotti coglie anche del sintetismo: «La pittura di Cantoni, che ha i segni di questo tendere verso una espressione immediata, si caratterizza essenzialmente per il sintetismo e l’intensità del colore». Storari dal canto suo parla di agganciamento «ad una sorta di divisionismo


surreale», concludendo poco dopo: «È pertanto indubbio riconoscere che Cantoni ha ben assimilato la lezione dei maestri divisionisti, evolvendosi poi verso zone più colte, convogliando echi diversi di tipo più moderno per tentare il momento poetico attraverso una certa disciplina dove le sensazioni si amplificano con tutti i mezzi della pittura». La Medri aggiunge: «Soggetto privilegiato della pittura di Daniele Cantoni è la condizione umana, indagata con un impeto che diventa furore attraverso l’esasperazione di un cromatismo surreale dovuto all’accostamento di colori puri, con una tecnica che si ispira al puntinismo: questa esplosione di colore esalta la figura umana, unica protagonista e valore assoluto della realtà, al punto da annullare ogni altra dimensione». Lido Valdrè, parlando di alcuni dipinti, dice che «il pittore riveste i corpi di stoffa arlecchinata e immerge questa energia originaria dentro una massa di punti e di apostrofi che s’impossessano del quadro fino ad invaderne i margini e la stessa cornice». Sulla stessa linea Boarini: «La disponibilità delle mistioni, impegnate con il cesello di raffinate, delicate e sensuali diluizioni estensive, con l’assiemarsi quasi divisionistico di cellule fluorescenti, con una meteorica pioggia di scintille corpose e radenti, giunte da infiniti lontani, coopera, in questo turbinare vitale, a far emergere le voci che sottendono gli arcani messaggi e i dialoghi avvolti sovente da un mistero e da inconsce ed enigmatiche risposte e ogni volta con il preciso e trattenuto espandersi di un misurato e vissuto racconto». Dopo questa corposa carrellata di brani sul suo lavoro di quel periodo, continuiamo il nostro “racconto” pervenendo al discorso degli anni Duemila, su cui è incentrata la presente pubblicazione. Cantoni ad un certo punto abbandona la figura umana e si dedica, mediante un graduale affondo astrattivo, ad una pittura esplicante anzitutto le atmosfere della natura, di porzioni di paesaggio, con piglio sempre esuberante, se si vuole a metà strada tra impressionismo ed espressionismo (esemplare in tal senso è Notte estiva del 2002), giungendo poco dopo alla totale aniconicità. Ma il suo astrattismo maturo è più vicino a quello di un Klee che a quello di un Kandinskij, in quanto spesso e volentieri comunque evoca, seppure in maniera sottile, la realtà, condividendo l’affermazione del maestro svizzero «io sono astratto con qualche ricordo», e la maggior parte dei titoli che dà ai quadri ne sono la riprova: Africa, Savana, Autunno, Aratura, ecc. Con questa nuova esperienza in fondo egli è passato ad una forma di manifestazione più immediata, tesa ad escludere il filtro dell’oggetto. Del resto l’astrattismo, per dirla con Argan, è in genere «una comunicazione intersoggettiva, che va direttamente dall’uomo all’uomo». Così l’artista spiega il senso di tali lavori: «vogliono essere una sintesi cromatica di ciò che rimane dei miei ricordi di luoghi, del susseguirsi di stagioni, dei mutamenti umani. Suoni, emotività, sensazioni... tutto in colore». Sono opere perlopiù composite, articolate per porzioni volumetriche a parete della stessa misura, di solito distanziate regolarmente in senso verticale o orizzontale. Osservandole, questa è la prima cosa che balza agli occhi, almeno ai miei. Mi sembra evidente che ciò sia il frutto di un forte desiderio di operare in termini tridimensionali; non a caso Mingotti mi scrive: «Negli ultimi tempi recupera anche le originarie conoscenze scultoree che aggiunge alla sua esperienza di pittore». Scelta adottata con fini anche ludici, come enunciatomi da Cantoni stesso: «modifico le mie composizioni, come pezzi


di puzzle che metti e togli come in un gioco (il gioco della vita). Ed ecco che nascono le mie “scomposizioni”, con profondità distanziate, creando illusioni ritmiche quasi obbligando l’occhio a non percepire il particolare ma a vagare nel tutto». Sì, a vagare nel tutto, facendosi prendere e trascinare da quei moti vitali che sembrano continuare oltre i margini, come se tutto fosse esibito solo in piccola parte, solo attraverso pochi frammenti dialoganti. Abbandonarsi a quei sinuosi e sovrapposti itinerari di linee e colori, di forme morbidissime, ridotte quasi allo stato embrionale, a volte vagamente “arlecchinate”, che agiscono nell’animo del fruitore con estremo lirismo; ma la sua è quella poesia che non necessita di essere spiegata, per essere gustata basta semplicemente ascoltarla e aprire il cuore ai piacevoli profumi che emana. Dunque un approdo più che felice, questo di Cantoni, un terreno che si rivela assai fertile per la sua autentica immaginazione, per la sua folta, bella, sapiente pittura, mai superficiale, mai approssimativa, ma sempre acuta, penetrante, intensa. D’altronde questi quadri astratti se non fossero permeati di vera energia lo si avvertirebbe subito, e quindi non avrebbero proprio senso di esistere, giacché non potrebbero cercare di camuffare la loro inconsistenza nemmeno dietro ad una figura ben dipinta (in arte, sia essa figurativa sia essa astratta, non si può barare, ma sono convinto che con l’astrazione si possa barare ancora meno in quanto dimensione più scoperta). Bella, dicevo, aggettivo che potrebbe lasciare molti fastidiosamente perplessi, perché la sua pittura ha appunto uno spessore qualitativo anche dal punto di vista puramente esteriore (come s’è accennato spesso ha valenze anche decorative). È piacevole, raffinata, ben fatta, ma ciò, e credo sia qui la grande forza di Cantoni, non va a discapito di quel mordente che mio avviso deve avere ogni opera d’arte che si rispetti. Anzi, operare così di questi tempi, epoca in cui è di moda l’inestetico, addirittura il volgare, è persino una scelta di coraggio. E questo probabilmente Cantoni lo sa.



The progress of a really authentic artist Antonello Rubini

In his recent book on Gino Marotta, Maurizio Calvesi states in the Forward, giving reasons for the lines of his essay: “My teacher Lionello Venturi urged us, obviously about the studies he commissioned on the 16th and the 17th centuries, to provide detailed references to other people’s writings when expressing our opinions on any subject”. I think this is an appropriate method we can adopt also for an artist like Daniele Cantoni, who does not have a long list of critical reviews. And I will adopt it trying to work out the phases of his career, through biographical references and the artist’s words. “I have always loved colours, since I was a child, when I enjoyed painting anything in my hands, sometimes with the adults’ disapproval. A pastel was enough for me….it was enchanting to see how many shapes could come alive in a whirl of colours”. This is how Cantoni begins the story of his life as an artist. Later his gift was to find the right way into the Ceramics Art Institute in Faenza, a town which is well-known all over the world for its majolica. Here he met a master of sculpture, Angelo Biancini, for whom he made some moulds. This experience led him to carry out some plaster sculptures, and after a few years he devoted himself to “an experimental technique in painting with natural colours, earths and impastos prepared by myself”. At the age of 19 something special occurred in his artistic life. “During a visit to the small town of Sirmione, the paintinf exhibition “I Decalage” caught my curiosity and here I had the opportunity to meet Felix dé Cavero, an artist whose paintings have a tension and emotional suggestions which lead to an authentic “light bath” of primary colours. Getting to know him drove me to deepen my artistic experience”. “I Decalage”, for those who do not know, it the name of a group founded in the early 50s, among whose members are Attilio Aloisi, Nando Girardi and Felix dé Cavero. These artists, following the “Arts and Crafts”, produced works that, to say that like Raffaele De Grada did, are detatched from their subjective problems, resuming the experience of the medieval artistic craftsmanship. the purpose of the “workshop”.” Cantoni was interested not only in applied arts but especially in the pointillist language of the group. Thanks to this experience he started to develop his identity as an artist, reaching a second Futurism, as his painting Ritratto (1979) witnesses: “ In the early 80s I was interested in the materials (mortar, plaster, fresco); these old techniques are still part of my work, but with modern applications, as I was deeply influenced by the works with plaster effects of Franco Gentilini”. “In 1983 I took up figurative and landscape painting (anatomy, lights, shadows and shades); it was an experience which would be useful for my interpretative synthesis of colours.” This phase is rich in criticism. In Cantoni’s works one can find the real and the dream, history and myth, the social world and the individual, past and present,


such as in Amore Informatico, 2000, with its technology made up of letters and geometrical codes. Moreover, Cantoni gives life to the complex anxiety of our times through his existential imagery, without any accusations or gloomy pessimism, but in a purely formal chromatic vision. He alternates pictorial to photographic works, pointing out the importance of light and colour, every now and then reaching decoration, like in Mio Padre, 1996 and La Famiglia, 1997. At a certain point Cantoni left the human figure and started painting the atmospheres of nature, portions of landscapes, midway between impressionism and espressionism, such as Notte Estiva, 2002. Yet, his mature abstractionism in more reminiscent of Klee than Kandinskij, because it subtly evokes reality, and most of his titles prove that: Africa, Savana, Autunno, Aratura, etc. The artist explains the meaning of such works: “They are a chromatic synthesis of what is left of my memories of places, seasons and human changes, sounds, emotions, feelings...everything colourful”. These works are often split up into vertical and horizontal volumetric portions, equally spaced out. His purpose is to work tridimensionally. Mingotti wrote: “Recently he has taken back his experience in sculpture and used it in painting”. His choice is sometimes playful, as he said: “I change my works like puzzle pieces, which you can put in or take out as in a game, the game of life. And here are my “decompositions”, which create rhythmic illusions, making the viewer’s eyes wander about the whole without perceiving the details”. Yes, wandering about the whole, letting oneself go through meandering itineraries of lines, colours and soft shades, which move the soul lirically. But his poetry does not need explaining. In order to enjoy it one simply has to listen to it and open their souls to the pleasant fragrance it exhales. His authentic imagination fulfils itself in this beautiful, skillful kind of painting, which is never imprecise or superficial, but always intense, perceptive and incisive. Fine, I said, because his works are aesthetically refined, pleasant and at the same time there is a drive which is a quality that all works of art should have. These days when the non-aesthetic, even the vulgar is fashionable Cantoni’s works look unusual and, I would say, bold. But he knows.



Daniele Cantoni Aldo Savini da “Appartenere”- Mostra itinerante d’Arte 2008 Alla prima impressione i lavori recenti di Daniele Cantoni fanno esplicito richiamo alle ricerche ottico-percettive dell’Op-art, perché presentano l’aspetto di virtuosismi ad effetto che esplorano e coinvolgono attivamente i meccanismi della percezioni visiva. In altri termini, presuppongono un particolare rapporto tra l’immagine e lo sguardo dello spettatore, tra l’oggetto e il soggetto ricevente, tendente a produrre effetti sia di carattere psicologico che estetico. Protagoniste sono le texture, che concorrono a creare una dimensione tridimensionale o addirittura suggeriscono l’impressione della mobilità. Cantoni si serve di tecniche artigianali di sua invenzione per ricreare attraverso trame strutturali di listelli dipinti su una base intonacata le soluzioni visive, con accostamenti marcati da interstizi o composti secondo un ordito geometrico, che riescono a destare nell’osservatore risposte preordinate e prevedibili. Il semplice spostamento davanti a queste composizioni provoca reazioni diverse, proprio perché il principio di ambiguità su cui sono impostate offre la possibilità di una doppia lettura di conformità ai principi teorici della psicologia della Gestalt, tanto più che gli effetti luministici pur smorzati accentuano una sorta di equivoco o simulazione ottica che scorre dalla percezione bidimensionale a quella tridimensionale. Proprio le linee geometriche, verticali o orizzontali e in profondità rispetto alla superficie piana dipinta giocate nei loro valori dimensionali, si prestano a molteplici combinazioni. Gli accostamenti seriali, combinati secondo un ordine percettivo variabile, talvolta rimandano per associazione alle vetrate delle chiese gotiche che in lontananza non consentono sempre di vedere la scena rappresentata ma semplicemente i colori combinati nella luce. A Cantoni però non interessa soltanto l’aspetto formale, pari importanza l’artista attribuisce alla componente più propriamente pittorica che, pur attenendosi a un certo astrattismo comunque non di matrice informale, intende esprimere un universo di emozioni connesse sia al paesaggio naturale che alle variazioni della luce atmosferica nei diversi momenti della giornata.


Daniele Cantoni

At first glance, the recent works by Daniele Cantoni explicitly recall the opticalperceptive strivings of Op-art, since they have the appearance of effective virtuosity that explores and actively involves the mechanisms of visual perception. In other words, these pieces presuppose a special relationship between the image and the eye of the viewer, between the object and the receiving subject, tending to produce effects that are both psychological and aesthetic. Texture are prominent, come together create a three-dimensional aspect that can even give the impression of mobility. Cantoni use artisanal techniques of his own creation to recreate visual solution of structural frames from painted strips on a plastered base, with combination marked by gaps or combination according to a geometric web, which solicit preordained and predictable responses from the observer. A simple shift in front of these composition provokes different reactions, precisely because the principle of ambiguity at their core offers the possibility for a dual interpretation according to the theoretical principles of Gestalt psychology, so that even the lighting effects, although subdued, highlight a sort of ambiguity or optical simulation that flows from two-dimensional to three-dimensional perception. The geometric lines – arranged vertically or horizontally and set deep back from the painted surface – bring their dimensional value to bear in creating many different combinations. A series of combinations, arranged according to a variable perceptual order, at times recall through association the windows of Gothic churches, which out of context don’t always make it possible to see the scene depicted, but simply the colours combined in the light. But Cantoni is not interested solely in the formal aspect. The artist attributes equal value to the purely painterly component that – while sticking to a certain abstractionism that is not, however, informal in structure – aims to express a universe of emotions connected both to the natural landscape and to the ambient light at different times of day.


Stralci dell’itinerario critico

Gianfranco Majorana in Dizionario degli Artisti Europei Contemporanei,1980 Pittore e scultore. Carica di elementi simbolici e metaforici, la sua pittura si offre sempre come discorso teso alla comunicazione di significati inerenti i problemi esistenziali dell’uomo e le giustificazioni delle sue scelte di vita. La metafora o il simbolo non sfiorano mai però i confini dell’esplicita allegoria. Gli elementi della composizione, i personaggi, sono già infatti entità che assumono in sé un significato di testimonianza di una condizione o di una problematica. In questo senso la rappresentazione, mantenendo elementi reali e metafisici insieme a specchio della commistione di esplicito ed enigmatico della realtà, vede ancor più rafforzato il suo contenuto di lucida verità.

Alberto Mingotti, Daniele Cantoni originalità e passione,in La Torre, novembre 1987 [ … ]La Romagna è un territorio in qui sussistono culture in forte contraddizione tra loro: civiltà contadina e quella industriale, sapere popolare ed esperienze legate ad esigenze di ordine diverso. Cantoni, con la sua pittura, mi sembra che rifletta un colloquio con i linguaggi che abitano questa realtà, di conseguenza nella sua opera sono avvertibili quelle contraddizioni primarie che esistono tra le lingue. Per questo nella sua pittura qualcosa parla per interferenze. In una sorta di ambivalenza stilistica nei dipinti di Cantoni sono riconoscibili primitivismo e decorativismo intrecciati ed aggrovigliati in molteplici segni. In lui disegno e pittura si incontrano per fondersi in una unica forma espressiva. E il quadro diviene il luogo dove si svolge l’azione e in cui, in modo indisciplinato, viene messa a fuoco un’immagine fatta di tratti e sbavature dai vivaci timbri cromatici. Con un’arte intrisa nel colore e nel gesto Cantoni si propone con immagini bizzarre il cui dato che maggiormente mi colpisce è la disinvoltura e la velocità con cui sono costruite.

Mario Domenico Storari in Arte Oggi, Cidac Editore – Cervia, 1988 La tematica di Daniele Cantoni scava nel vivere della nostra vita attuale ed è incentrata sulla condizione dell’uomo moderno con un contenuto sostanzialmente realistico situato in una posizione dialettica che gli permette di adottare le opposte esigenze in una visione unitaria, ricca di tensione. Daniele Cantoni, pittore che prosegue con coerenza stilistica le sue idee, interviene nei suoi elaborati con la fantasia per creare delle compenetrazioni iridescenti, per dare spazio ad un’ombra, per variare una composizione portando il rapporto spazio-luce alle più sottili e nascoste vibrazioni in rapporti cromatici e superfici tese che proiettano una conclusione lirico-simbolica.


Licinio Boarini, Daniele Cantoni in Arte Oggi, Cidac Editore – Cervia, 1990 La vicenda pittorica di Daniele Cantoni, dopo essere passata attraverso vivide ricerche tra gli slarghi di un colore trafitto da incandescenti luminescenze e sempre sul filo di una appassionata indagine tra le problematiche esistenziali, e tuttora impegnata in simile indirizzo estensivo con l’aggiunta tuttavia di una tensione quasi spasmodica provocata dall’assidua e perenne analisi nello spazio dei sentimenti, delle ansie e delle attese. La nota di fondo si è tuttavia affinata ancor più in virtù di una cesellata e preziosa linea anatomica, accurata nei particolari, plastica nei dettagli e nei riverberi formali, elegante nelle espressioni di movimento, vibratile nei rimandi chiaroscurali, partecipata e presente nei ruoli espressivi, sempre con quella trepida ed appassionata misura nell’esplodere del turbinio delle ansie e delle proposte. Indubbiamente simile impostazione si estrinseca sempre in uno specifico evidenziarsi dei ruoli e in un prorompere di un’evidenza etica di notevole spinta allusiva sia che le proposte del Cantoni si inseriscono nella dialettica degli affetti e delle passioni, sia che si proiettino tra le spire del fabulistico e del mito, sia infine che recepiscono le loro scaturigini compositive tra le lacerazioni di un trasmigrare vitale e la rigida fissità di una conclusione fatale. Ed è appunto a tale indirizzo che la linea tematica si esprime con una fluidità descrittiva e con una doviziosa e cesellata estensione gergale che raggiunge la possanza di un’inchiesta vissuta, condivisa, sentita, e mirata nell’ininterrotto affollarsi del magma vitale con le sue più svariate vicissitudini ed esplode in virtù dell’impegno tonale stirato fino alle più estreme tensioni del colore, trafitte nei suoi ruoli più segreti e lucenti. La disponibilità delle mistioni impegnate con il cesello di raffinate, delicate sensuali diluizioni estensive, con l’assiemarsi quasi divisionistico di cellule fosforescenti, con una meteorica pioggia di scintilli corposi e radenti, giunti da infiniti lontani, coopera, in questo turbinale vitale, a fare emergere le voci che sottendono gli arcani messaggi che si infiltrano tra le immagini ognora accurate e quasi indomate tra i segni e le posture di un continuo avvicendarsi di fremiti , di palpiti, di brame e di confronti e pure di dialoghi avvolti sovente da un mistero e da inconsce ed enigmatiche risposte e ogni volta con il preciso e trattenuto espandersi di un misurato e vissuto racconto. La simbiosi così diligente ed accurata tra forma e colore in costante e sinuosa armonia, conduce quelle intenzioni di lettura che gravitano tra le figurazioni del pittore e facilitano con scorrevole dinamica quella comprensione delle voci che risuonano tra le svariate posizioni compositive offrendo agevolmente una risposta comprensibile, precisa, esaltante, coinvolgente ad ogni spinta dialogica, ad ogni riflesso comportamentale a tutte le considerazioni in causa. Ivo Gigli, Daniele Cantoni in Praxis, 1997 Un simbolismo diffuso che trae i suoi soggetti umani da un lascito ricco di passato e tradizione classica, ma insieme intelaiato in una modernità che traspare insopprimibile, il lavoro estetico di Daniele Cantoni, artista romagnolo, che ora ne


corso del corrente 1996. La conoscenza del corpo umano, che si evince dalle sue opere, ci dice quanto Cantoni abbia fatto tesoro dei suoi studi e delle sue ricerche personali e le membrature dei personaggi emblematici in quadri di grandi dimensioni testimoniano dell’accurato lavoro mimetico che è stato alla base delle successive creazioni fantastiche o etiche: in folti gruppi di umanità dolente ( come l’impegnativo L’indifferenza ) vi si legge in trasparenza la conoscenza che l’autore ha ( ed ha amato ) dei grandi rinascimentali, un michelangiolismo contemporaneo calato nelle nervature delle figure e nelle sintassi drammatiche dei gruppi, icone sofferenti del nostro tempo. Dunque, un interesse per la contemporaneità, per i problemi esistenziali della nostra storia, ma anche per ciò che di speranza v’è in essa, come i motivi ritmici di corporeità e della natura che balenano lasciano intuire, rinsanguato esteticamente de un gusto classico e dal talento. Ma la lettura di Cantoni ci dice pure quanto sia stato impressionato da drammatici maestri della modernità, come il Kokoschka de La sposa del vento o dal Dalì nelle figure ignude e simmetricamente volanti come anime appassionate ( L’attrazione) o da un de Chavannes nel gotico longilineo dei suoi personaggi evocatori di parabole o di miti. In lui notiamo il gusto per il ritmo tout-court, un ritmo decorativo molto gradevole che sa allineare sagome leggiadre, una accanto all’altra, in contesti floreali naturalistici; il ritmo delle carte da gioco fortemente ingrandite, divenute quadri; il ritmo dei covoni del grano nei campi assolati apparentemente causali, ma con una loro ragnatela descrittiva armonica. [… ] Elio Succi Con Daniele Cantoni la figura è pienamente rivalutata, diviene protagonista che esprime con efficacia inusitata i suoi moti interiori, la sua visione – valutazione dell’esistere, la sua struggente voglia di luce. Il linguaggio cromatico, pur essendo del tutto nuovo, sa subito e completamente coinvolgere. I colori spaziano in uno spartito dai significati alti, le membra umane si affermano nella pienezza della luce, la muscolatura è tesa, ha la decisione della forza. Quella della bellezza e del pensiero. Ci sono brividi cromatici nei suoi quadri, bagliori diffusi, energie magnetiche intorno ai corpi. Rimbalzi e percorsi di luce nutrono la perfezione della purezza, come se l’aria non costituisse nessun limite alla visione. E l’aria non può esistere negli orizzonti dell’anima, dove vivono e sono concretamente presenti fantasmi quasi scultorei. La pittura ha il vigore infinito del silenzio. In esso la sofferenza ha le sillabe dell’assoluto. Oppure la luce è bellezza, anche speranza, anche mistero. Ora la bilancia pende verso il baleno di una crocefissione potentemente intesa, che galleggia sul nero della notte e culmina in uno squarcio di azzurro, in un fremito di bianco, ora pende verso la carnalità beffarda e demoniaca, che ci conquista e danna. Il colore sempre così filtrato nella concentrazione, il segno sempre così incisivo, costituiscono un linguaggio in arte che non si può confondere, che si riconosce con estrema felicità anche se la produzione è varia. In essa la figura umana prevale, ma ricorrono altresì le nature morte, gli interni, i paesaggi alberati.


Lido Valdrè Il quadro di Cantoni è dominato dalla dimensione dei corpi. Corpi di adulti e di bambini un po’ appiattiti verso la terra quasi a raccoglierne il vigore. E’ una dimensione forte, gridata, urlata, da cui sprigiona una sorta di turbamento che precede ogni tentativo di giudizio critico – secondo quel che è giusto accada nelle arti figurative: prima la visione, e poi la lettura. Quei tre personaggi, per esempio, del suo quadro più bello, trasmettono una forza che si risolve in pura emozione sensibile. E’ così che si realizza la categoria della visione, il tentativo del pittore di mostrare la sua immagine di un pezzo di mondo. A questo punto il promeneur ha a disposizione solo le prime due parole magiche della visione artistica: “bello”, oppure “brutto”, che escludono l’indifferenza. E questo è già un successo. Ma poi il pittore riveste i corpi di stoffa arlecchinata e immerge questa energia originaria dentro una massa di punti e di apostrofi che si impossessano del quadro fino ad invaderne i margini e la stessa cornice – lui stesso squadra la tela con un segno deciso prefissarne i limiti e poi violarli in modo frenetico, invaso da quel turbinio di atomi e molecole. E la visione non basta più. Il visitatore è condotto alla lettura, vuol capire “che cosa significa”. Il pittore ha forse paura della violenza di quei corpi che altrimenti emergerebbero dalla tela solidi come rocce? Vuole smembrarli ricordandoci, in una specie di metafisica delle particelle elementari, che l’autentica realtà della materia è fatta di corpuscoli, che l’energia è nascosta dentro quei punti e che basta un nulla per farla esplodere e distruggere tutto? Oppure vuole predisporre davanti allo sguardo di chi guarda il quadro il materiale informe per completare l’immagine, nella convinzione che non esista un quadro finito e che spetti al fruitore assumerne la responsabilità, organizzando a proprio piacere “proposte” di segni piuttosto che segni ordinati secondo in senso comune? Il quadro di Cantoni si muove lungo i due assi di visione e lettura, fra ingenuità e finezze, aggressività e pentimenti, ritrosie e concessioni. Vi appaiono un solido possesso delle abilità strumentali e la costante ricerca di un equilibrio non banale.



Indice delle opere


Campo di Papaveri

Olio-intonaco su legno

cm. 207 x 123 2011

Zebre

Olio-intonaco su legno

cm. 207 x 123 2011

La Magia

Olio-intonaco su legno

cm. 156 x 88

2011

Iris

Olio-intonaco su legno

cm. 156 x 88

2011

La Noia

Olio-intonaco su legno

cm. 156 x 89

2011

Dopo la Carestia

Olio-intonaco su legno

cm. 213 x 108 2011

La Porta per l’Ombra

Olio-intonaco su legno

cm. 140 x 88

2011

Geo

Olio-intonaco su legno

cm. 156 x 89

2011

Nebbia

Olio-intonaco su legno

cm. 156 x 89

2011

Passatempi

Olio-intonaco su legno

cm. 207 x 123 2011

Ascesa

Olio-intonaco su legno

cm. 207 x 88

2011

Cadenze

Olio-intonaco su legno

cm. 94 x 59

2010

Leggerezze

Olio-intonaco su legno

cm. 100 x 47

2010

Il Ciclo Universale

Olio-intonaco su legno

cm. 547 x 81

2011

Il Canyon

Olio-intonaco su legno

cm. 81 x 76

2011

Il Porto

Olio-intonaco su legno

cm. 81 x 69

2011

Essenza

Olio-intonaco su legno

cm. 37 x 31

2011

Graffiti

Olio-intonaco su legno

cm. 105 x 101 2011

La Foresta all’Alba

Olio-intonaco su legno

cm. 105 x 101 2011

Linguaggio Universale

Olio-intonaco su legno

cm. 105 x 101 2011

Il Viaggio

Olio-intonaco su legno

cm. 156 x 89

Parete

Olio-intonaco su legno

cm. 225 x 156 2011

2011


Ricordi

Olio-intonaco su legno

cm. 157 x 79

2011

La Quiete

Olio-intonaco su legno

cm. 72 x 76

2011

Favola

Olio-intonaco su legno

cm. 79 x 86

2011

Studio di una Favola

Olio-intonaco su legno

cm. 83 x 87

2011

L’Ordine

Olio-intonaco su legno

cm. 73 x 79

2011

Lo Specchio

Olio-intonaco su legno

cm. 105 x 107 2011

La Ruota

Olio-intonaco su legno

cm. 105 x 107 2011

L’Inizio

Olio-intonaco su legno

cm. 105 x 107 2011

L’Arrivo delle Piogge

Olio-intonaco su legno

cm. 105 x 107 2011

L’incognita del Percorso

Olio-intonaco su legno

cm. 537 x 90

2011

Evoluzione

Olio-intonaco su legno

cm. 40 x 50

2011

Shanghai

Olio-intonaco su legno

cm. 60 x 49

2010

Sommità

Olio-intonaco su legno

cm. 52 x 42

2010

Incrocio

Olio-intonaco su legno

cm. 58 x 47

2010

Penetrazione

Olio-intonaco su legno

cm. 50 x 40

2010

La Città che Cresce

Olio-intonaco su legno

cm. 68 x 90

2011

Frammenti

Olio-intonaco su legno

cm. 54 x 85

2011

Caotica Urbanistica

Olio-intonaco su legno

cm. 81 x 65

2011

Espansione

Olio-intonaco su legno

cm. 65 x 90

2011

La Città all’Alba

Olio-intonaco su legno

cm. 123 x 65

2011

Dubai

Olio-intonaco su legno

cm. 65 x 89

2011

Atlantide

Olio-intonaco su legno

cm. 102 x 105 2011



Sito Web www.danielecantoni.com E-mail info@danielecantoni.com





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