Abbigliamento

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Centro di Antropologia Territoriale degli Abruzzi per il Turismo C.A.T.A - U.D.A. Ist. 03.10.2007 DR 873

ABBIGLIAMENTO Note a cura di Francesco Stoppa

C . A . T. A

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ABBIGLIAMENTO Note a cura di Francesco Stoppa

remettiamo che non esiste un abito tradizionale abruzzese, cosi come non esiste un canto o una danza abruzzese. Esistono tante espressioni diverse legate a un area che ha avuto una storia complessa e tanti usi e costumi stratificati con tante varianti influenzate dalle condizioni locali. Vedi le pagine di approfondimento sull'abito di Scanno, di Pietracamela e di Pettorano. Inoltre quello popolare usato nel chietino dalla fine dell'ottocento in poi.

I n Abruzzo, gli abiti con bustino steccato, agganciato o meno alla gonna, avevano sempre le maniche staccabili e allacciate con nastri e fiocchi. Il bustino aveva dei salsicciotti che oltre a migliorare l'effetto delle pieghe tenevano su la gonna scaricandone il peso sul busto. Il copricapo varia moltissimo, la forma più semplice è un fasciaturo o fazzolo con le

cocche risvoltate, ma spesso si complica e aumenta di dimensioni e sfoggia nappe e frange e una struttura complessa (vedi Pettorano sul Gizio) oppure viene reso simile a un turbante cucito e tenuto assieme da spilli per non doverlo rifare tutti i giorni. Le mantere sono in genere ampie a fine ottocento, delle vere e proprie sopraggonne, ma in alcuni siti sono piccoli capolavori a telaio tipo paliotti più piccoli e rigidi. Un capo che non si conserva mai e il paliotto o fasciaturo per le reni (Pietracamela). In inverno veniva aggiunto e insieme al fasciaturo per la testa e le spalle (praticamente una copertina)

fungeva da cappotto come si vede nelle foto sotto. I cappotti infatti non esistevano. Moti abiti avevano a fine ottocento una blusa a maniche cucite, discostandosi in questo da quelli rinascimentali che tuttavia pure potevano sfoggiare bolerini ridotti e ornate di nappole. Abbiamo già detto quanto sia odiosa e superficiale la degenerazione degli abiti tradizionali in costumi folkloristici, vero sacrilegio rispetto a una storia vecchia di secoli. Tutto viene confuso e la prospettiva storica ignorata. Certo lo studio dell'iconografia aiuta poco, più interessanti le note dotali che riportano descrizioni di stoffe, abiti e accessori fino dal 1400. Il museo delle tradizioni Popolari di Roma conserva numerosi esemplari, parzialmente autentici e completi di abiti abruzzesi riuniti, non senza manipolazioni, per l'esposizione di Torino del 1911. Altri abiti li potete osservare al Museo delle Genti d'Abruzzo.


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Ricostruzione di abiti abruzzesi; potevano apparire così colorati, fatti per essere indossati una vita

Note sull’abito tradizionale diffuso in Abruzzo (tranne alcune eccezioni) tra il 1860 e il 1915. A - l'abito è un forte simbolo identitario e qualificante e quindi è importante che sia ben fatto e corretto filologicamente (foggia, tessuti, colori e numero di capi).

B - esprime non solo la personalità di chi lo indossa ma soprattutto riassume nella fattura e ornamentazione la storia e la cultura di un popolo

C - per essere realizzato richiede lungo studio e numerose prove fino ad ottenere un effetto di grande vestibilità e funzionalità (ricerca sul campo e d’archivio, cartamodello, teletto, ricerca tessuti specifici e altri materiali spesso difficilmente reperibili) D - E’ un oggetto unico e di grande valore

E - l’abito tradizionale va indossato in tutte le occasioni importanti, con orgoglio.

Analizziamo i capi femminili:

1. camicia, deve essere in lino o lino e cotone bianco, con i pezzotti triangolari sotto le ascelle e sui fianchi, lo scollo guarnito o meno di sfilato e pizzo fitomorfo, lunga almeno fino al ginocchio. La manica lunga o 3/4 con o senza polsino. 2. Bustino, deve essere con i lacci dietro e l'abbottonatura davanti, steccato e con i cugni a "tulipano sui seni" in seta o cotone pregiato, può avere o no il pizzo come guarnitura sul bordo superiore e/o i ricami in filio di seta. Le asole sono a stella. I colori tipici sono quelli pastello, l'acquamarina, il celeste il rosa, il cacao chiaro ma anche il blu notte. 3. Il guarnello, fatto di 6 panni (in totale 12 palmi borbonici cioè circa 320 cm di circonferenza) ha una balza rusciata in fondo e le pieghe baciate dietro, niente strascichetto e si chiudeva con un laccio (si indossa SOPRA il busto). La stoffa è mezzalana in tela o saja a righe vivaci (verde, giallo, blu, marrone)


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4. La gonna a pieghe baciate e sovrapposte (cutule) con lo strascichetto deve essere almeno di 8 panni (16 palmi borbonici cioè circa 440 cm di circonferenza), questo perché la gonna in caso di pioggia deve poter essere usata per coprire il capo e se la stoffa sennò non ci arriva. E’ in lana a quadrije o a righe (colori vari). Le gonne borboniche sono invece a tinta unita, glissate colore indaco o robbia o marrone o verdone. 5. La mantera festiva deve essere di 4 panni cioè almeno 215 cm, quella festiva è in seta damascata oppure in cotone lucido stampato. 6. La polacca è un giacchino in panno di lana o seta o cotone damascato, corto in vita o con una baschina. E’ leggermente steccato, aderente e decorato con macramè, raso o pelliccia. Ha un tipico taglio a fiore sulle spalle e spesso ha una fodera anterirmente semi staccata che funge da allacciatura interna insieme a una coulisse interna con fibbia per farlo aderire alla vita. Il taglio è sempre lo stesso la forma dell’allaccitura e della “pettina” variano molto. La manica è fissa e arricciata o plissata con o senza bottoncini sul polso (tre). 7. Il fasciaturo è un telo in lana rettangolare con strisce colorate ai lati, misura circa 160 x 80 cm e serve sia per coprire i fianchi posteriormente che le spalle e la testa. 8. Il fazzolo è in lanetta (lana e cotone/lino) stampata, oppure cotone damascato o seta. Misura circa 55 x 55 cm si porta in testa o sulle spalle infilato nel busto oppure fermato sul seno con una spilla. 9. Il velo in pizzo si usa per la messa e le processioni 10. Le calze sono in lana di solito di colori vivaci es a righe fucsia/blu. 11. Le calzature da strada sono in genere zoccoli alti in legno con tomaia in cuoio, mocassini con lacci o senza e tacco non più alto di 4 cm. Le chioche si usavano per andare a fare la legna nel bosco. 12. saccoccia, cioè una tasca o borsetta profonda a forma di sacco legata in vita da tenere sotto la gonna o la mantera (contiene

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un coltellino, forbicette, un ampollina con i Sali, aghi e cotone, amuleti vari) 13. I gioielli irrinunciabili sono orecchini (sciaquaije, pendente con sfera, cerceije), cannatora con grani d’oro sfaccettati o a forma di seme, lacci d’oro (chiacchere, siniscole etc), grani di corallo sfaccettati, brillocche (presentose, medaglioni smaltati), spille (forbicine, nodo d’amore etc).

Il costo medio di un abito femminile ben fatto, con tessuti industriali di qualità e di circa 1250 euro senza accessori (se tessuto e tinto a mano almeno 5000 euro).

L’abito maschile ha una foggia meno variabile di quello femminile almeno in epoca borbonica e non cambia molto sia nel tempo che nello spazio.

1. Camicia. Simile a quella femminile ma corta e con allacciatura da uomo, in genere con pochi o nessun pizzo ma con applicazioni, con o senza colletto. 2. Mutandoni, in saja di cotone spesso di colore vivace (rosso etc) lunghi fini alla caviglia con foggia alla carrettiera stretti in vita con un cordino. 3. Braghe. Fino al 1880 i pantaloni sono in genere corti sotto il ginocchio e relativamente ampi, poi si restringono e si allungano alla caviglia, la patta anteriore è spesso “alla marinara”, sono stretti in vita da una coulisse posteriore regolabile sulla vita. Sono in velluto o raso di lana. I colori borbonici tipici erano il rosso mattone (robbia), carminio (cocciniglia) e il blu-celeste (indaco) il verdone e il marrone. Verso la fine dell’ottocento i colori si scuriscono. 4. Panciotto, in broccato di vari filati, oppure cotone operato, o tela o saja a righe. Ha una parte anteriore più rigida e pesante con taschini e doppia abbottonatura di bottoni metallici spesso in argento, sempre in numero dispari. Il retro è in tela di cotone o lino con coulisse per stringere. 5. Grippetto, è una giacchetta con bavero risvoltato corta in vita e doppia abbottonatura con bottoni metallici vistosi spesso in argento, si


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portava slacciata. 6. Calzettoni in lana che per il lavoro e i viaggi si coprivano con ghette in tessuto duro di fibra vegetale (accia). 7. Scarponcini allacciati in cuoio chiodati. 8. Fascia di lana a righe verticali (blu-rosso, giallo-verde, etc) per la vita lunga 4 metri e alta 40 cm, da indossare sempre. 9. Cappa a doppia ruota in lana gualcata blu notte, marrone, non foderata e senza orlo. E’ chiusa alla gola con una spilla zoomorfa allungabile con catena, in argento. 10. Cappello in feltro alto o basso, con nastri, piume, fiori (anche secchi). 11. Orecchini a “tre palle”, cerchietti, o pendenti a goccia (in genere a tutte e due le orecchie), proteggono la vista o segnalano l’appartenenza a una corporazione o la devozione a un santo. 12. Coltello a serramanico o da tenere nella fascia. 13. Tascapane, in tessuto grezzo di tela o saja a righe o spinato (accia). 14. Amuleti (brehe, cimaruta, 13, figa, corni, etc).

Tre orribili falsi folkloristici dalla collezione di cartoline "Costumi d'Abruzo": Chieti, "Juvanum" e Torricella Peligna. Notare i tessuti scadenti, assurdi e il proliferare di leziosittàcome le conche abbinati a bustini informi fasce e fiocchi e ponpon, privi di senso. Putroppo ricostruire e confezionare un abito tradizionale costa e richiede ricerca.

Tuttavia, la mancanza di ricerca filologica ha generato una serie di fogge e materiali assurdi utilizzati dalla maggiornaza dai gruppi folkloristici abruzzesi.


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Nella foto di gruppo sotto si vedono un gruppo di borghesi Chietini che indossano per l'occasione abiti tradizionali abruzzesi, ovviamente percorrendo il sentiero scontato di alcuni luoghi comuni. La foto è interessante perchÊ al centro e a sinistra si vedono due esemplari femminili dell'abito albanese di Villabadessa, seguono tre esemplari di abito festivo ottocentesco di Scanno e tre abiti della zona di San Valentino-Caramanico. Belli anche i maschili. insomma qui non c'è niente che non va salvo il fatto che queste persone hanno indossato l'abito come se si trattasse di un costume di carnevale... e siamo nel 1880! Come vedete il maschile è estremamente omogeneo.


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Abito "frentano". In questa cartolina di maniera lei indossa le schiaquaije e la cannatora secondo la moda delle "pacchianelle" orsognesi, si noti il corpetto morbido in seta, però la lunghezza della gonna e la foggia della mantera indicano già un'elaborazione folkloristica. L'abito maschile manca della giacchetta e inoltre sono presenti le chioche che in questo caso sono inadatte e non coincidono con l'abbigliamento festivo dell'abito femminile.

IN BASSO Altre cartoline dell'abito di Pescocostanzo, qui c'è una scuola di Tombolo, ed è evidente lo sforzo di pubblicizzarlo, il tombolo e l'arte orafa a Pescocostanzo hanno avuto impulso solo con il turismo sciatorio del dopoguerra. Tuttavia è altrettanto vero che il paesino è stato conservato grazie alle scelte coraggiose degli anni 60-70 a differenza di Roccaraso e Rivisondoli. L'abito anche è ben conservato, bustino rigido rosso scuro a maniche staccate con fiocchi, gonna plissata a freddo tinta con la robbia, qui la pedana è molto semplice e standardizzata a vantaggio dell'abbondanza di inserti in tombolo nella tovaglia da testa e nella mantera che sono invece inserimenti recenti. Ovviamente il clima di Pescocostanzo richiedeva fasciatori e fasciatrelle in lana ora sostituiti da dubbi vellutini. Naturalmente compaiono molti dettagli folkloristici: rifiniture in oro, nastri di velluto cremisi, colore nero etc.

Questo a sinistra non è un abito abruzzese ma di Moliterno in Lucania. La bambina è mia suocera Margherita Laurenza e affianco a lei la madre Anna. A differenza di quelli abruzzesi che hanno sempre un bustino imponete e spesso rigidissimo, l'abito lucano ha un bustino fusciacca molto piccolo e preziosamente ricamato a cannottiglia mentre le maniche si riducono a polsini anche essi ricamati.


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