Rivista arti marziali cintura nera budo international aprile 2014

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CINEMA MARZIALE

KRAV MAGA RED

COREOGRAFIE DI AZIONE MADE IN HONG KONG & AMERICA. Spettacolarità contro Credibilità. In passato gli americani non credevano nella continuità e nella spettacolarità, preferivano basare le proprie idee coreografiche su qualcosa di più reale e credibile. I cinesi e in special modo Jackie Chan, svilupparono uno stile che non da respiro, poi delle scene in cui l’attore si gioca letteralmente la vita seguita da un’altra lotta frenetica, che al solo pensarci ci si stanca…

Il KMRED è stato costruito anche pensando e mescolando i diversi approcci del Krav Maga concepiti in questi ultimi 10 anni. Ma c’è un punto su cui insistiamo. Trattasi dei concetti basilari di cui deve disporre il praticante di Krav Maga moderno.

ESKRIMA La difesa personale per le donne deve rispettare certi requisiti. Deve essere semplice efficace e realista. L’Eskrima può essere semplice, molto efficace e realistica, ma non molte donne

CINEMA MARZIALE

COMBAT HAPKIDO

Qissi è un attore camaleontico che ha incarnato una serie di personaggi secondari nei primi film di Van Damme (oltre a dare vita a Tong Po in KickBoxer,... Ma chi è questo Chi è personaggio? Mohammed Qissi?

Punti di Pressione tattici del Combat Hapkido – l’attivazione dell’obbiettivo I metodi e i principi per un’adeguata attivazione anatomica dell’obbiettivo, che c o m p re n d o n o l’importanza della volontà.

praticano Eskrima.

SDS-CONCEPT Crea la tua arma improvvisata. L’utilizzo di un oggetto di uso quotidiano per l’autodifesa può incrementare enormemente le proprie chance di successo durante un’aggressione. In questo articolo parlerermo delle armi improvvisate e mostreremo alcuni esempi di come realizzarle.

IL LIBRO DEL TE Tra le letture senza tempo raccomandate per conoscere lo spirito dell’Oriente, specialmente del Giappone, non può mancare il Libro del Tè. Questa meraviglia di testo, scritto in prima istanza in inglese per una minoranza che si avvicinava al profondo significato del Tè in Oriente.

TRADIZIONE SHIZEN Spesso si dice: “Che ne sarebbe del Mondo se a tutti piacesse il giallo!” In altre parole, possiamo dire che è molto importante che ognuno abbia un suo pensiero, un concetto e un raziocinio sulla vita e delle sue manifestazioni. Come se, visto con il modo di vedere dei più studiosi orientali, tutto ciò ci portasse al concetto di Karma come linea divisoria degli avvenimenti.

KAPAP COMBATIVES

HANKIDO

Quando si può far ricorso all’uso della forza. Per illustrarci questo, Avi Nardia ci spiega in questo articolo le differenze di tipologie di procedimento. Ce ne sono essenzialmente di tre tipi – Militare, di Polizia e civile.

Hoonsanim Alberto Gamboa è uno dei pionieri dell’Hankido nel mondo, il suo interesse, amore e vocazione per la cultura coreana attraverso l’Hankido.

UN GIORNALE SENZA FRONTIERE

BUDO INTERNATIONAL NEL MONDO

Budo International è senza alcun dubbio la rivista di Arti Marziali più internazionale del mondo. Siamo convinti di vivere in un mondo aperto. Gli unici confini sono quelli che la nostra mente vuole accettare. Così costruiamo, mese dopo mese, una rivista senza frontiere, dove ci sia spazio per tutte le informazioni che interessano ai praticanti, qualunque sia il loro stile.

Budo International è un gruppo editoriale internazionale che lavora nell’ambito delle Arti Marziali. Raggruppa le migliori aziende che lavorano nel settore ed è l’unica rivista al mondo pubblicata in sette lingue diverse e che viene diffusa in oltre 55 Paesi di tre continenti tra cui: Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Australia, Svizzera, Olanda, Belgio, Croazia, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, Messico, Perù, Bolivia, Marocco, Venezuela, Canada, Senegal, Costa d’Avorio…


DMITRI SKOGOREV SYSTEMA Dmitry Skogorev diffonde da anni questo sistema in tutto il mondo e adesso ha il riconoscimento della comunità marziale. Tuttavia, molti lettori ancora non hanno familiarità con il suo lavoro. Credo che questo nuovo DVD sarà un’eccellente occasione per ammirare e imparare molto più a fondo che nelle precedenti uscite.

ANDREA BONFATTI

LA RESPIRAZIONE Affrontiamo in questo articolo un a r g o m e n t o considerato di base per tutte le scuole interne, le arti marziali e per molte attività sportive in generale, illustrato da uno degli istruttori ufficiali della scuola di Kung Fu del Maestro Paolo Cangelosi (“gran master” riconosciuto a livello internazionale), Mario Meloni, insegnante di Tai Chi Chuan e Qi Gong in una delle scuole di Roma (Italy).

oggi ci ha fatto visita in redazione Sensei Andrea Bonfatti di Bologna, Direttore Tecnico della F.I.G.J.I. per l’Emilia Romagna (Federazione Italiana Go Ju Italia). 6° Dan di Jiu-Jitsu, Karate, OKTAGON 2014 Kobudo e Kenjutsu, è allievo In seno alla WARM UP CREATIVO diretto del GM Gianni Rossato, 10° manifestazione Argomento di Dan, uno dei pionieri delle Arti “Sport Show questo rubrica, che Marziali Giapponesi in Italia e in Revolution” spero si possa Europa, la cui opera è apprezzata e riconosciuta a livello abbiamo scambiato replicare a lungo, è mondiale fin dai primi anni ’60. due parole con la preparazione Armen Petrosyan, fisica dei dilettanti WINGTSUN impegnato con il che si approcciano C’è bisogno di un maestro per fratello Giorgio nella alle Arti Marziali tutta la vita? Alcuni mesi fa nella direzione di due senza avere mia associazione, laTAOWS stage aperti a tutti i particolari mire Academy, ho avviato un progetto praticanti di K-1 e a g o n i s t i c he, che avevo in testa già da molto Muay Thai. Una persone che tempo. L’ho chiamato TAOWS breve intervista in previsione del suo arrivano spesso da Lab. In questo laboratorio match-rivincita contro Alim Nabiev che sarà situazioni di inattività che devono cerchiamo di fare dei passi avanti uno dei main eventi della serata milanese. recuperare un armonioso rapporto con le nello studio di questa capacità del proprio corpo. appassionante Arte da SHAOLIN HUNG GAR KUNG FU Combattimento. MICHELE PANFIETTI Le tecniche del WENG CHUN KUNG FU leopardo allenano la Andreas Hoffmann: Cintura Nera rapidità, la 3°Dan di Brazilian Jiu Jitsu. coordinazione e la Rappresentante ufficiale in perseveranza. Esse si Germania di Rickson Gracie, basano sulla filosofia 1994-2000. Quando il primo dell’elemento metallo. Ultimate Fighting Championship Le tecniche del (UFC) si svolse a Denver il 12 leopardo sono valide Novembre del 1993, quest’evento per il combattimento richiamò l’attenzione di tutto il ravvicinato, nel corpo a corpo. Il mondo delle Arti Marziali verso un nuovo stile allora combattimento a contatto pieno e a corta Tra i molti personaggi sconosciuto, il Brazilian Jiu Jitsu della famiglia Gracie. distanza. Al contrario della tigre che si avvale incontrati e intervistati dell’attacco concentrato sulla potenza, il durante la recentissima leopardo è agile ed esplosivo. manifestazione “Sport Show Revolution” di Chiuduno (Bergamo), ne abbiamo “catturato” uno di grande rilevanza nel panorama nazionale (e non solo) delle arti marziali.

Direttore editoriale: Alfredo Tucci, e-mail: budo@budointernational.com. Facebook: http://www.facebook.com/BudoInternationalItalia. Traduttore: Leandro Bocchicchio. Pubblicità e Redazione: Nicola Pastorino, e-mail: budoitalia@gmail.com Hanno collaborato: Don Wilson, Yoshimitsu Yamada, Cass Magda, Antonio Espinós, Jim Wagner, Coronel Sanchís, Marco de Cesaris, Lilla Distéfano, Maurizio Maltese, Bob Dubljanin, Marc Denny, Salvador Herraiz, Shi de Yang, Sri Dinesh, Carlos Zerpa, Omar Martínez, Manu, Patrick Levet, Mike Anderson, Boulahfa Mimoum, Víctor Gutiérrez, Franco Vacirca, Bill Newman, José Mª Pujadas, Paolo Cangelosi, Emilio Alpanseque, Huang Aguilar, Sueyoshi Akeshi, Marcelo Pires, Angel García, Juan Díaz. Fotografi: Carlos Contreras, Alfredo Tucci.


“Il destino mescola le carte e noi giochiamo". Arthur Schopenhauer

L’

“Quando siamo in grado di conoscere noi stessi, raramente ci sbagliamo sul nostro destino". Germaine De Staël

e-bunto è la scienza e l’Arte di imparare a usare in modo ordinario, le forze invisibili e le abilità straordinarie che tutti noi umani possediamo. Tutti siamo fatti della stessa pasta; siamo vibranti cumuli di energia e coscienza che possiedono un itinerario unico, quello dello spirito che li alimenta e anima. Percorriamo i lassi dello spazio tempo che ci spettano e che chiamiamo vita, mescolandoci, interagendo, riaggiustando e, nel meglio degli scenari, imparando come levigare il diamante grezzo che siamo e che c'è stato affidato. Come uno scultore che scalfisce la pietra, noi allontaniamo le parti che occultano la meraviglia che nasconde all’interno la nostra essenza, finendo ognuno le nostre opere con una peculiare impronta. Noi uomini siamo capaci di meravigliose percezioni oltre i nostri sensi abituali. Possiamo connetterci con dimensioni che abitano il mondo spirituale, con energie misteriose, con forze enormi di ogni tipo e interagire con esse. In realtà lo facciamo continuamente, in modo attivo o passivo, ma il più delle volte senza esserne consapevoli. La cosa straordinaria, però, è che a volte queste risorse vengono alla luce inaspettatamente, facendo brillare la magia dell’invisibile, oltre la normalità che le abbiamo concesso. Perché la realtà non è altro che un consenso culturale in una cornice biologica e sociale. Attraverso di essa condividiamo le ruote del mulino (crediamo a qualsiasi cosa) perché questo è cultura e educazione. Trasgredire i confini di questi lasciti, è la base sine qua non di ogni saggezza, l’inizio della comprensione per ogni persona sveglia. Il mondo è tuttavia popolato di dormienti che mangiano, bevono, defecano e si riproducono senza soluzione di continuità, e senza minimamente mettere in discussione la loro cornice di esistenza e consapevolezza. L'e-bunto insegna a riconoscere le energie e tensioni che interagiscono nell'Universo e come toccarle. Ci permette di riconoscere la natura e le tendenze di queste forze, trattare con ognuna senza giudicarle, con rispetto e lucidità. L'obiettivo dell'e-bunto ha trasceso le sue intenzioni primarie come strumento di una cultura assediata da nemici superiori come numero, per trasformarsi, con gli anni, in un veicolo di perfezionamento, saggezza e crescita personale. Ma, al contrario di altri strumenti di saggezza, l'idea di migliorare che sgorga dall'e-bunto, non è quella di perfezionarsi in accordo a un modello o a una morale, bensì quella di agire con responsabilità e coerenza nelle scelte che ognuno fa. Quest’idea appare chiaramente espressa nel suo peculiare modo di affrontare la filosofia, l’HUZU, (letteralmente "integrazione con lo spirituale". Al contrario dell'idea che traspare dietro la filosofia Occidentale (un campionario continuo di pensieri, più o meno brillanti di molteplici personaggi, su tutte le cose che vi possono accadere), gli Shizen svilupparono un sistema di strumenti affinché ognuno, come pare e piace, possa costruire la sua realtà a partire dai suoi valori personali. Vediamo come esempio uno di questi punti per comprendere ciò cui ci riferiamo:

Per l’HUZU tutto, assolutamente tutto, può essere incorniciato in uno di questi tre punti base che chiamarono i tre pilastri della vita. Il tempo, il movimento e la stasi. Innanzi a ogni fatto, o intervieni in esso, o ti astieni dall’agire, o lasci che il tempo faccia il suo lavoro. Questi inquadramenti, apparentemente semplici, al contrario delle formulazioni filosofiche Occidentali, un approccio personale e antitetico ad altri, permettono che la persona possa analizzare qualunque aspetto di se stessa o di ciò che la circonda, per collocare con lucidità la "realtà", nel giusto posto che lei stessa decide. Non si tratta di trovare "la chiave" per dopo inevitabilmente occuparsi di imporla o paragonarla ad altre. Detta posizione sarebbe considerata arrogante e stupida per un saggio Shizen, per quanto sicuramente la studierebbe con interesse dopo averla scomposta accuratamente. Para los sabios shizen, comprender significaba ver desde varios ángulos; construir el mundo también desde el otro, produce hombres sabios, humildes y conscientes, todo de un solo plumazo. Per i saggi Shizen, comprendere significava vedere da vari angoli; costruire il mondo anche dall'altro, produce uomini saggi, umili e coscienti, tutto di un solo colpo. L’HUZU possiede trenta analisi primarie come quella presentata qui e successive molte altre. L'idea è offrire a ogni individuo le condizioni e i raziocini per leggere la sua realtà con lucidità e saggezza. Gli araldi di questa conoscenza furono i così chiamati OITA i venerabili anziani, che arricchiti dalla loro esperienza, dedicarono i loro ultimi anni a distillare la stessa in un insieme di attrezzature intellettuali, capaci di permettere a chiunque di spezzettare la realtà per poter poi ricomporla in modo saggio e degno di rispetto. Quello che ognuno avrebbe fatto con essa, era cosa di suo personale governo e aveva a che fare con la propria storia personale, il suo destino e la sua libertà. Ho dedicato questi ultimi anni allo studio dell'e-bunto, per mia necessità e fascinazione; anche il destino ha giocato le sue carte, chi può negarlo. Per più anni che possa vivere (e che magari siano molti), la profondità della sua ricchezza e saggezza li farebbe insufficienti per apprendere tutto quello che l'e-bunto racchiude, ma con piacere e senza fretta guardo il tragitto del mio cammino e soppeso i suoi effetti con soddisfazione. Lo faccio specialmente ora, quando il mio camminare lungo il suo percorso iniziatico mi ha portato a una linea di divisione importante della sua tradizione, il laurearmi come JOHO, (Shidoshi) l’ultimo scalino delle iniziazioni dell'e-bunto. Entrare nel regno di Dono Tengu, il signore dei cammini, non significa che sappia tutto dell'e-bunto, (ci sono shidoshi e shidoshi...), però conoscendo le responsabilità che ciò implica e senza il minimo interesse né convinzione per la bontà di un proselitismo che odio, non aspettatevi da me grandi cose al riguardo. Non credo di essere il migliore del mondo a fare quello che faccio, semplicemente perché lo faccio; al contrario, mi disturbano le folle. Inoltre sinceramente penso che sia e sarà, una strada per pochi, ma per quelli scelti arriverà a essere, come lo è stato per me, una fonte incomparabile di realizzazione personale e spirituale.


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Alfredo Tucci è Managing Director BUDO INTERNATIONAL PUBLISHING CO. e-mail: budo@budointernational.com

Come divulgatore della sua esistenza, ho già scritto due libri. In essi presento il frutto dei miei studi e comprensioni sulla materia, senza entrare nel merito dei loro rituali e pratiche. C’è il “cosa” ma non il “come”. I loro segreti saranno salvi nelle mie mani, perché ho compreso il loro valore e necessità, tuttavia, condividere ciò che di Universale distilla la sua saggezza, è non solo un nobile obiettivo, bensì un'innovativa strategia nella sua storia. Fino ad ora gli Shizen furono perseguiti, quando sarebbero dovuti essere ammirati e, in un tempo dove tutto è accessibile, il miglior modo di nascondere qualcosa, è probabilmente metterla in vista. I tempi cambiano e a volte bisogna , modificare le cose affinché niente cambi e che l’essenziale possa continuare a vivere. Adattamento non significa rinunciare alla propria natura, bensì esplorare le sue risorse nascoste e sconosciute in un nuovo scenario. Non si può snaturare una cultura cambiando il suo abito, perché questo non fa il monaco, ma sì è possibile farlo quando si disprezzano le sue ragioni, principi, valori o insegnamenti. Conoscere qualcosa in profondità, significa amarla definitivamente, perciò e, dato che una cultura si distingue e costruisce dalle forme, queste costituiscono ugualmente un bene irrinunciabile. Chi va a Roma, dovrà sembrare romano, e a chi non piace sa già dove sta la porta. Tutto ciò pone me e i miei fratelli, in una linea molto fine di condotta per approdare a buon porto. Con senso della responsabilità, (e spero con lucidità), continueremo la rotta con due semplici obiettivi: Migliorare come individui, per vivere i nostri destini nei migliori scenari possibili e perpetuare e mantenere la saggezza della spiritualità e cultura Shizen, tanto per chi sia destinato a questo nel presente e nel futuro, come per la gioia e liberazione di chi, avendo vissuto in essa nel passato, trova sollazzo e riposo nel meritato riconoscimento della sua magnifica tradizione. Che i suoi più illustri spiriti, i Hikarushin, ci aiutino! Scrivo queste parole nell'ultimo giorno del mio ritiro come Shidoshi cosciente e sveglio del suo significato e valore. Domani ritornerò al mondo del quotidiano, lì dove tracciai per me stesso questi propositi già alcuni anni fa, o forse molti di più. Chi lo sa? Non ci saranno pertanto sorprese, né sarà questa una dichiarazione basata su un entusiasmo passeggero. Oggi non posso misurare quando grandi saranno le conseguenze di questo passo; non m’importa, perché cammino sereno sulla cresta di qualcosa più grande di me, che mi precede e mi sopravvivrà, e perché ho la certezza che oggi sono più pronto di ieri a portare avanti questo sogno. Il mio obbligo e devozione (giri, in Japponese) vanno verso Shidoshi Jordán e Shiniyuke Sensei, il suo Maestro; senza di loro tutto si sarebbe perso sicuramente tempo fa. Menzionare a questo punto Shidoshi Juliana Galende non è solo giusto, bensì necessario, perché la sua forza ha impregnato ogni passo e incrocio del destino negli anni più difficili. Uno continuerà a imparare facendo nel migliore modo possibile il suo lavoro; il resto sta in mani di forze più importanti e potenti. Superbo è l'uomo che si pensa indispensabile, però altrettanto idiota è quello che sottovaluta se stesso davanti alla sua determinazione e destino. L'orgoglio del giustamente riuscito non deve dissolversi con la maschera della falsa umiltà; il riconoscimento dei segni di questo destino, soprattutto quando si concatena col tuo proposito personale, è una fortuna concessa a molto pochi. Ho fortuna io, Joho Goemon Kawazuki, sono di quelli.


Systema Giusta e meritatissima copertina per questo guerriero russo che ha conquistato l'attenzione della comunità marziale internazionale con i suoi lavori sul Systema. Systema è senza dubbio una delle rivelazioni degli ultimi decenni nelle Arti Marziali e ne abbiamo avute molte! La sua originalità è rinfrescante come la sua efficace struttura, una formula che sfida concetti rigidi più violenti da proporre in scenari di difesa personale. Dmitry Skogorev diffonde da anni questo sistema in tutto il mondo ed ha adesso il riconoscimento della comunità marziale. Tuttavia, molti lettori ancora non hanno familiarità con il suo lavor o. Cr edo che questo nuovo DVD sarà un'eccellente occasione per ammirare e imparare molto più a fondo che nelle precedenti uscite, le tesi e i concetti che rendono così diverso questo sistema e che hanno stupito già praticanti di altri stili. Naturalezza, rilassatezza, efficacia, combinate in un metodo che mira al ripristino di una difesa sensitiva e senza dubbio naturale per la quale, essendo predisposti, dobbiamo soltanto aprire la nostra mente. Non ve lo perdete! Alfredo Tucci


Arti da Combattimento

Intervista: Asa Malyutina Testo e Foto: Dmitry Skogorev


L'Arte Marziale che cambia le vite La Lotta russa non è così conosciuta come il Karate, il Taekwondo o il Wushu. Ma questa antica tradizione slava veniva praticata in Russia già molto tempo fa. Il capo della scuola di lotta russa “Sibirskiy Viun” (RMA sistema SV) Dmitry Skogorev ha parlato con noi di alcuni interessanti aspetti di questo particolare stile di combattimento. Cintura Nera: Che cosa ha di speciale il combattimento Russo senza armi? Dmitry Skogorev: La sua peculiarità è che si basa sulla tradizione dell'arte marziale russa che comprende molti aspetti. E non sono soltanto aspetti militari, ma anche quelli associati alle tradizioni del combattimento con i pugni, alla lotta Stenoshnogo (la lotta “da parete a parete”), e ad elementi di gioco. Siamo abituati a pensare a tutto ciò come a un gioco popolare, ma da moltissimo tempo viene usato per l'addestramento delle milizie per i futuri corpi di difesa della patria. Combattimento col bastone, differenti tipologie di lotta e arte reale della guerra: la capacità di maneggiare la spada, il coltello, le armi da fuoco e tutto questo genere di allenamento, si realizza fin dai primi anni con i praticanti in maniera che possano partecipare ai giochi i bambini, gli adolescenti e poi gli adulti. Non conosciamo la sua storia e per quello raramente sentiamo parlare di combattimento russo. Si sa molto di più delle arti marziali orientali, in gran parte grazie ai film. Ma le tradizioni guerriere c'erano in tutte le nazioni e la Russia non è un'eccezione. Un altro problema è che non esistono sufficienti informazioni documentate. Possiamo solo fare delle supposizioni, basandoci sul folklore, secondo quello che troviamo, difficilmente possiamo parlare di un'identità completa che si può riprodurre. Sebbene il folklore e i giochi rituali forniscano molte informazioni sull'arte marziale tradizionale in Russia. E dal momento che il folklore è interpretabile, lo studio è interpretabile non solo nel modo di intendere la difesa personale, ma anche la sua storia e parte delle sue radici. Pertanto, nei corsi si studia il combattimento, gli aspetti filosofici delle arti marziali e la storia del popolo russo. E risulta molto interessante per i nostri allievi, perchè la gente che inizialmente viene qui per imparare l'arte della difesa personale, dopo si rende conto che la lotta tra i cani in Russia è più una filosofia. Specialmente gli adulti. I bambini arrivano ancora privi di profondi concetti della vita e del desiderio di imparare qualcosa in più, per loro è solo un'interessante pretesto per muoversi. Però gli adulti spesso vengono consapevoli, sapendo che qui non acquisiranno solo delle abilità di combattimento, ma anche la conoscenza della nostra cultura, della storia e della filosofia. Nelle nostre lezioni si studiano un sacco di cose relative ai costumi, alla storia, alla danza, alla filosofia, oltre che a una totale cultura del movimento, ed è assolutamente necessario perchè nel combattimento corpo a corpo Russo ci sono molte movenze simili alle altre arti marziali, ma quando iniziamo ad analizzarle e a spiegarne il loro utilizzo profondo, sono ben differenti. Questo lo si deve a molti aspetti, come il nostro patrimonio genetico, il modo di muoverci, che non possono che essere diversi dagli altri popoli. C.N.: Ci sono limiti di età per l'utilizzo del combattimento russo corpo a corpo? D.S.: i ragazzi più giovani sono tra i 4 e i 5 anni, i più anziani in età pensionabile. Non siamo un'associazione sportiva e non ci poniamo l'obbiettivo di lavorare “per i risultati”. Così molti vengono da noi semplicemente per fare del movimento, per socializzare e per la propria salute. I benefici per la salute di questo genere di attività sono enormi, perchè facciamo del movimento tridimensionale, che non è solo un esercizio per i muscoli, ma svolgiamo anche esercizi in cui il nostro corpo è costantemente in torsione, distensione, contratto, ruotato e rivolto in tutte le direzioni. Per primo si allena l'apparato vestibolare, anche i muscoli che normalmente non vengono coinvolti. C.N.: Ci sono delle restrizioni in base alle condizioni di salute? D.S.: Nel caso di bambini fino ai 12 anni, l'unica cosa che si richiede è un certificato del


Arti da Combattimento

“Le persone arrivano da noi spesso molto tese, lo stress si accumula, non solo nel corpo ma anche nella vita e insegnamo loro a liberare il corpo dallo stress, così iniziano a rispondere in maniera differente alle difficoltà della vita. Di conseguenza ciò che c'è intorno alla persona diventa un problema minore, perchè lo risolve e non si accumula ad altri. Bisogna affrontare il mondo per come è e avere la forza per lottare con lui senza arrendersi” medico che il bimbo può svolgere attività sportiva. Nel caso degli adulti, la responsabilità è loro. In questo caso, devono solo essere consapevoli dei loro problemi fisici ed evitare esercizi che possano essergli nocivi. Per esempio, se la persona ha un problema alla spina dorsale, non deve svolgere esercizi in cui si cade su un terreno duro. Chiunque può comunque partecipare. C.N.: Chi sono più semplici da gestire, i bambini o gli adulti? D.S.: Ogni fascia ha le sue caratteristiche e pertanto i nostri programmi sono concepiti a seconda dell'età. Per esempio, con i bambini non è possibile analizzare alcune delle cose più profonde, come la meccanica del corpo, perchè ancora non la comprendono. Ma i bambini sono propensi al contatto fisico, perciò molti di loro combattono, ne hanno bisogno e il loro corpo lo richiede. Gli adolescenti sono in un particolare momento competitivo perchè vogliono spiccare tra la massa per dimostrare la loro bravura. Le lezioni sono costruite in maniera ben distina. Generalmente abbiamo dei programmi didattici sviluppati negli anni e costantemente aggiornati. E quando a settembre comincia l'anno scolastico e arrivano nuovi praticanti,

essi cominciano imparando i concetti di base. Riconoscere un movimento di un certo tipo, la meccanica del corpo e imparare a cadere correttamente, si studiano i fondamentali della tecnica di impatto, si lavora sull'abilità di colpire e resistere agli impatti. E poco a poco le lezioni si fanno più complesse, comincia la difesa da coltello, da bastone, liberarsi dalle prese. Quindi molti dei settori del programma sono estesi e naturalmente non vengono immediatamente insegnati ai principianti, ma vengono introdotti gradualmente. Perciò anche nelle lezioni pratichiamo il combattimento in forma progressiva, nel quale impariamo ad applicare tutti i concetti. Questo è molto importante se si deve impiegare le conoscenze nella vita di tutti i giorni e quando ci troviamo in questo tipo di situazioni. Anche se questo non conta nulla se quando si inizia a lavorare nell'arte, nel cambio di prospettiva in generale, e in una situazione nella quale si desidera applicare le conoscenze e si entra in contatto con l'aggressore, uno non si rende conto che per superare il momento critico, il proprio corpo risponde e fa ciò che è necessario. Il fatto è che non ci fissiamo sulla memorizzazione delle tecniche ma nel provare l'efficacia dei singoli movimenti, nella comprensione della psicologia del nemico, nella capacità di uscire da una situazione pericolosa. Come risultato che al momento giusto non è necessario analizzare quale metodo applicare, il proprio corpo reagisce alla situazione e seleziona l'azione più adeguata. Ma per ottenere questo, bisogna cambiare internamente, solo anima e corpo uniti agiranno come un tutt'uno.


“Le lezioni di combattimento sono rivolte a sviluppare le doti pratiche per lottare contro il nemico, come il coraggio, la determinazione, l'iniziativa e l'ingegno�


Arti da Combattimento

C.N.: Questa è la lezione che il combattimento russo corpo a corpo da sul cambiamento del mondo interiore dell'essere umano? D.S.: Si, lo è. Le prospettive cambiano molto spesso, allo stesso tempo che la vita di un essere umano. Questo non deve sorprendere, perchè se una persona cambia dentro e fuori, cambia lo spazio intorno lei. Molti ricostruiscono radicalmente l'intera esistenza, la persona inizia ad evolversi e come risultato migliora la propria esistenza, la carriera e l'educazione. Inoltre, le persone arrivano da noi spesso molto tese, lo stress si accumula, non solo nel corpo ma anche nello spirito e insegnamo loro a liberarsi dallo stress, perciò iniziano a rispondere in maniera differente alle difficoltà della vita. Di conseguenza ciò che c'è intorno alla persona diventa un problema minore, perchè lo risolve e non si accumula ad altri. Bisogna affrontare il mondo per come è e avere la forza per lottare con lui senza arrendersi.

Sessioni di addestramento di Close Combat Obbiettivi, Principi e Metodi di Studio Le lezioni di combattimento sono rivolte a sviluppare le doti pratiche per lottare contro il nemico, come il coraggio, la determinazione, l'iniziativa e l'ingegno. I contenuti dei corsi comprendono: esercizi preparatori per lo sviluppo della velocità, della forza, della resistenza e della flessibilità, tecniche con la corda (lanciarla e muoverla), pugni, calci e come proteggersi da questi, prese dolorose, atterramenti, modi disarmare, proteggere e scortare, modi di utilizzo di mezzi improvvisati (cintura, corda, ecc.) L'istruzione nel senso più ampio è rivolta alla trasmissione costante delle conoscenze, allo sviluppo delle qualità e al miglioramento delle capacità fisiche e psicologiche dell'allievo.


L'addestramento è di solito di gruppo, a volte a carattere individuale. I compagni per l'apprendimento delle tecniche vengono selezionati più o meno dello stesso peso e altezza. Più avanti, sarà utile che i partner siano anche di diverso peso e altezza. I modi di muoversi in serie tecniche per l'autocontrollo, vengono introdotti già dalla prima lezione e si includono anche nelle sessioni successive. Tutte le tecniche di presentate nell'insegnamento si realizzano senza uso di eccessiva forza e terminano subito al segnale del compagno (vocale, o battendo sul tatami o sul corpo), le proiezioni si realizzano dal centro verso i bordi del tatami. Grazie alla natura del combattimento corpo a corpo, si raccomanda di acquisire delle abilità pratiche in una ristretta sequenza. Abbiamo uno sviluppo comune dei seguenti 13 argomenti: 1. Postura, posizioni di combattimento (esplicito, implicito) 2. Metodi di movimento 3. Metodi di eliminazione dell'equilibrio fisico 4. Incidenti e misure preventive. 5. Metodi per liberarsi dalle prese (la circonferenza) 6. Metodi di protezione contro pugni e calci 7. Modi di attaccare le mani verso il basso. 8. Atterramenti, divincolamenti, scarichi. 9. Cooperazione nell'allenamento (su temi specifici e compiti assegnati) 10. Metodi di attacco con le braccia. 11. Metodi di disarmo 12. Metodi di protezione e scorta. 13. Unità di lavoro (due, tre, cinque)

I primi quattro argomenti sono la base per i seguenti Il processo istruttivo per il combattimento corpo a corpo include la pianificazione, la logistica, la formazione di istruttori e insegnanti per svolgere le lezioni e la realizzazione, così come il monitoraggio p e r i o d i c o dell'evoluzione delle materie nel combattimento corpo a corpo (certificazioni). Gli studi sulla


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metodica per assimiliare tutti i modi d'impiego. Il principio della gradualità e dell'accessibilità sono il passaggio successivo dal semplice al complesso, da facile a difficile, ovvero, l'aumento graduale del livello di difficoltà della materia, così come il ripasso costante di ciò che si è già visto. La forza del principio di assimilazione sta nella ripetizione di elementi e di tutte le azioni in varie combinazioni e in differenti circostanze, con la prova obbligatoria e la valutazione delle conoscenze acquisite. Tutti questi principi sono legati tra loro e si possono applicare anche in una sola lezione. Oltre a questi principi, ci sono tre gruppi di metodi per la trasmissione del sapere: verbale, visuale, pratico.

“Non ci fissiamo sulla memorizzazione delle tecniche ma nel provare l'efficacia dei singoli movimenti” pianificazione di realizzano sulla base di documenti orientativi. Nelle scuole di lotta russa Viun siberiana, esiste un documento che è un manuale per istruttori che fornisce il programma didattico di quattro anni. L'organizzazione delle sessioni del combattimento corpo a corpo deve prevedere: • Familiarizzare con il processo educativo del combattimento corpo a corpo e con la natura del lavoro, gli obbiettivi personali dell'allievo (l'esercito russo, le forze dell'ordine, gli organismi di sicurezza e le imprese, la sicurezza personale, la palestra di autodifesa, l'indirizzo sportivo). • Lezioni sistematiche e regolari nel combattimento senza armi • Uniformità nella distribuzione dell'attività fisica e delle materie di addestramento durante la settimana (mese, trimestre, anno)

• Le condizioni locali e le condizioni di sviluppo fisico degli studenti, così come l'appoggio logistico. L'addestramento al combattimento senza armi si basa sul rispetto di vari principi: Chiarezza sistematica e graduale della comprensione e del mantenimento. Il principio della visibilità si realizza in tre maniere (metodi): • Dimostrazione con spiegazione • Dimostrazione della ripetizione simultanea • L'uso di strumenti visivi, video e altro materiale didattico. Il principio dei sistemi implica una certa consistenza nell'allenamento. Il nuovo materiale può e deve essere una continuazione del vecchio e delle lezioni ordinarie. Il materiale didattico deve essere gestito correttamente e in forma


Inoltre, la formazione e l'uso di tecniche di insegnamento, come le prove reciproche, sicure, ecc, nell'allenamento del combattimento corpo a corpo con sequenze metodiche adatte.

Distribuzione dei carichi di lavoro nelle lezioni Le lezioni di combattimento corpo a corpo sono simili a quelle di altri studi sull'allenamento fisico e comprenderanno una parte preparatoria, primaria e finale. I metodi di organizzazione degli esercizi possono essere molto diversi. Tutto dipende dai traguardi e dagli obbiettivi. Ăˆ importante che il metodo sia strettamente compatibile con le lezioni. Come parte dei preparativi sono inclusi: l'organizzazione (lezioni tematiche che chiariscono obbiettivi e traguardi, dimostrazione della disponibilitĂ per fare fronte alle forme di occupazione); camminare, correre, movimento in posizioni di combattimento (esplicite o implicite), imitazione delle protezioni e dell'impatto nel loro insieme, lo sviluppo generale e specifico degli esercizi. La selezione di esercizi per le sessioni preparatorie deve corrispondere ai temi affrontati nella parte principale dello studio. Gli esercizi secondari si effettuano in gran parte in coppia, per esempio, caricando un

Nel verbale sono comprese materie come: spiegazione del contenuto della storia, oppure una combinazione di azioni affrontate nella conversazione. I metodi visuali sono basati su sensazioni visive e uditive. Questi comprendono: piani di dimostrazione, video, ecc. allenamento visuale-motorio. I pratici si concentrano sull'aspetto cinetico e comprendono la ripetizione di azioni diverse e con differenti livelli di difficoltĂ .

compagno sulla schiena, o sopra le spalle, facendo esercizi di yoga sui gradini, seduti, usando elementi della lotta, distesi, sulle ginocchia, ecc. Gli esercizi specifici comprendono: capriole in avanti, indietro e di lato, capriola volante, cadute nelle differenti direzioni. Nella parte principale della sessione si svolgono i compiti piĂš difficili. Si studiano i principi di squilibrio, i metodi di protezione, si sviluppano le tecniche di colpo, le prese, i lanci, le fughe, cosi come i divincolamenti da prese (circonferenza), i sistemi di primo soccorso, di collegamento e di mantenimento. La maggior parte dell'addestramento deve iniziare con le azioni e i metodi piĂš complessi.


ecc) durante l'esecuzione delle attività motorie. Si possono correlare tra loro diverse attività motorie e pianificare il lavoro realizzato nella lezione. Lo stato del corpo umano permette una valutazione di indicatori esterni, come il colorito della pelle, la frequenza respiratoria, il tipo di sudorazione. Il motodo più comune di calcolo della frequenza cardiaca è l'HR che dimostra abbastanza obbiettivamente lo stato del sistema cardiovascolare durante l'esercizio. Bisogna contare l'HR prima, durante e immediatamente dopo una lezione per 15 secondi, poi si moltiplica per 4. Per tali dati i riferimenti sono: prima della lezione, 60-70 battiti al minuto, durante si oscilla tra 80-140, dopo tra 70-80. La frequenza cardiaca varia a seconda della persona e dipende dall'età, dalla condizione fisica, dalla salute, ecc. Per determinare il vaore ricevuto dal carico nelle lezioni di combattimento marziale, dobbiamo tener conto delle pulsazioni del sistema cardiovascolare. Il carico può essere: basso - frequenza cardiaca a 120-130 battiti/min.; medio 130/150 battiti/min.; alto - 150/180 battiti/min. Qeusti indicatori dovrebbero essere tenuti sotto controllo maggiormente nei gruppi di anziani. In questi gruppi si eseguono meno esercizi che richiedano movimenti bruschi, molto potenti, o con carichi statici, inoltre bisogna dedicare più tempo alla prearazione e alla parte finale della lezione. L'esecuzione della parte principale dipende dal volume e dall'intensità del carico di lavoro, dall'età e dal tempo dedicato all'inizio e alla fine delle lezioni. In genere, la maggior parte durano tra i 45 e i 60 minuti. L'attività funzionale nella parte finale dell'allenamento si riduce gradualmente per realizzare i seguenti esercizi: corsetta leggera, esercizi di respirazione e esercizi di rilassamento camminando. Alla fine di ogni sessione si ricapitola sempre tutto: ognuno deve prepararsi sapendo misurare i propri passi. Un istruttore deve supervisionare ogni sessione o lavorare per valutare le prestazioni nell'arco di un anno e di alcune lezioni. L'insieme dei metodi quantitativi per la valutazione delle prestazioni è l'ergometria. Ergometricheskoe: le valutazioni si effettuano normalmente usando tre indicatori: l'intensità (potenza) con la quale si realizzano gli sforzi, il volume dei compiti svolti (distanza percorsa, realizzazione di un lavoro meccanico,


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MU TO YU Vedere aldilà delle Forme Spesso si dice: “Che ne sarebbe del Mondo se a tutti piacesse il giallo!” In altre parole, possiamo dire che è molto importante che ognuno abbia un suo pensiero, un concetto e un raziocinio sulla vita e delle sue manifestazioni. Come se, visto con il modo di vedere dei più studiosi orientali, tutto ciò ci portasse al concetto di Karma come linea divisoria degli avvenimenti. Se è così, possiamo illustrarlo con una semplice analogia: è come se la fiamma di una candela si spegnesse. La fiamma della seconda candela è nata dalla prima, cioè, è collegata ad essa, anche se non è identica alla prima. Quindi, le due fiamme sono connesse, ma non sono identiche. Così sono le maniere di vedere le Arti Marziali…della vita. Una persona è un miscuglio di materia e mente. Il corpo può essere visto come una combinazione di quattro elementi: terra, acqua, calore e aria; la mente è la combinazione di sensazioni, percezioni, idee e coscienza. Il corpo fisico - in verità tutta la materia in natura - è in funzione del ciclo di formazione, durata, deterioramento e cessazione. Un giorno, l'Imperatore Liang andò da Bodhidharma e gli chiese: - ho costruito un gran numero di templi, ho tradotto molti sutra e aiutato molti monaci. Quali meriti ho ottenuto? - Nessun merito!!!, rispose Bodhidharma Abbiamo idee differenti su uno stesso argomento e questo è ciò che ci porta alla giusta misura della comprensione; che, in verità, ci toglie il privilegio di crederci di essere in qualche modo speciali. Sulla via verso la saggezza possiamo dire che non ci sono dubbi: il grande lavoro che le leggi della vita devono fare sul piano evolutivo umano, è quello di elevare l'attuale biotipo

dominante verso modi di vivere più avanzati, affinchè sia possibile capire e praticare l'etica in una forma razionale e cosciente. Se la vita comincia con la respirazione, la coscienza comincia con la riflessione. Ciò che è chiaro, soprattutto riguardo alla marzialità e agli artisti marziali, è che più è primitivo l'individuo nel suo raziocinio e nelle osservazioni, più potente e reale è la seconda forma di riflessione, invece debole e irreale è la prima. Quanto più è avanzato l'essere, più illusoria è la riflessione terrena, limitata a ciò che vediamo, guardiamo… E più potente, reale e viva è la vita astratta, invisibile. Perciò, il primitivo giudica la perdita della vita fisica una grande perdita e lotta disperatamente per conservarla, mentre l'essere evoluto ha la sensazione che la morte non lo riguardi, perché non spegne il suo stato di coscienza risvegliata, con il quale egli resta in vita. È la sensazione provata dai grandi saggi… Tutto ciò aldilà di se stesso! La mitologia giapponese ci rivela che gli antichi fabbricanti di spade forgiavano le loro lame per tagliare gli spiriti e le anime. Di certo possiamo dire che, in senso figurato, l'anima rappresentava uno dei luoghi in cui si originava il Dharma. La parola Dharma, che è davvero riferita a una infinità di interpretazioni, in molti casi, principalmente nei moderni insegnamenti giapponesi Gendai, è associata al dovere. Fin dai nostri tempi come allievi, Dharma rappresenta la conoscenza che abbiamo acquisito nella sua forma di espressione. Tuttavia possiamo vedere che dovere, come molti lo utilizzano, è soltanto ciò che è collegato a una condizione individuale, o a un periodo o paese in particolare. Non possiamo attribuire a questa definizione un concetto che è originariamente stabilito come qualcosa di eterno; lo stesso per tutti, dappertutto. Si esprime il significato dell'essere interno dell'anima. Molti dei grandi maestri


Filosofia


“Se osserviamo la cosa in termini di Arti Marziali contemporanee, per avere qualcosa di tangibile, troveremo grandi nomi che sono stati ammirati, odiati, maltrattati dalla vita, dai colleghi di lavoro…”

delle scuole tradizionali scrivono circa il termine “SenKon” - l'anima della guerra. In altre parole possiamo dire che il Kokoro - cuore, in quanto sentimento (il termine utilizzato in Giapponese per il cuore come organo, è un altro), è il progenitore della virtù del realizzare, soprattutto sul campo di battaglia. Quindi si sostiene anche che il luogo di nascita del Dharma è il cuore. Quello che si propaga dal cuore come idea pura, quando si traduce in azione, si chiama Dharma; o per i più studiosi, il suo significato letterale: “insegnamento”. Il secondo significato è normalmente associato alla definizione “la forma di così come sono le cose”. I maestri attribuiscono il successo in guerra al Dharma della conoscenza… La differenziazione di ciascuna comprensione; tutti abbiamo a che fare con il pieno e il vuoto. Molti maestri con cui abbiamo parlato, principalmente in Europa, sono arrivati alla stessa nostra conclusione: purtroppo, scritti più recenti non aiutano a chiarire i significati perduti della parola Dharma, soprattutto per quanto riguarda le pratiche della guerra. Tendono a non dare un significato uniforme alla parola. Non aiutano nemmeno a trovare maniere pratiche su come realizzare il Dharma. Nelle guerre, sia inter ne che ester ne, gli atteggiamenti che l'individuo assume davanti alle difficoltà variano da persona a persona. Ma la sofferenza di fronte al dolore produce un effetto più o meno comune a tutti, che

mette a nudo e rivela la vera natura dell'individuo. Qual è la dimensione del tuo Dharma? Lo si riconoce per il suo tipo di reazione, perché pare che davanti alle più profonde realtà della vita, come il dolore e la morte, l'essere non sappia più mentire. Tutti ritorniamo alle origini…alla semplicità! Lao Tse dice:” La virtù eterna mai lo abbandona e perciò non sarà mai abbandonato dalle forze radicate nel proprio IO; ritorna all'ingenuità di bambino. Chi conosce la sua luce, ma mantiene la sua oscurità, è modello di sovranità. Essendo modello di sovranità, la virtù eterna ora non vacilla più e diventa illimitata. L'uomo permeato dalla luce preferisce manternersi nell'oscurità perché possiede una luce propria. Colui che conosce la gloria e la vergogna è un difensore del mondo. Essendo un difensore del mondo, la virtù eterna germoglia in lui, raggiungendo la semplicità originale”. La storia ha dimostrato che l'uomo ha grande difficoltà ad ammirare i suoi simili. Forse per paura, diffidenza, invidia; se osserviamo la cosa in termini di Arti Marziali contemporanee, per avere qualcosa di tangibile, troveremo grandi nomi che sono stati ammirati, odiati, maltrattati dalla vita, dai colleghi di lavoro… La cosa interessante è che tutti loro, in fondo, erano ammirati dai propri detrattori e aggressori. Abbiamo visto accadere tutto questo con


Filosofia


“Gli antichi fabbricanti di spade forgiavano le loro lame per tagliare gli spiriti e le anime. Di certo possiamo dire che, in senso figurato, l'anima rappresentava uno dei luoghi in cui si originava il Dharma”

Funakoshi, Takeda, Kano, Ueshiba, Bruce Lee, Steven Seagal… Che bisogno abbiamo di ammirare inter namente e odiare esternamente? Possiamo incontrare questo stesso comportamento negli amori giovanili di scuola, dove il ragazzino o la ragazzina, quando sono attratti da qualcuno e non vogliono ammettere il proprio segreto, trattano male colui/lei che desiderano. I più saggi credono che anche dopo, da adulti, ci portiamo dietro una grande quantità di sfrontatezza, per non dire di cattiveria infantile. L'adolescenza è un periodo di profondi cambiamenti interiori ed esteriori dell'organismo globale, fisici e mentali. Per l'artista marziale è la fase del suo sviluppo fisico: forza, resistenza, velocità… E' anche l'età prediletta per il palesarsi delle turbe emozionali. C'è chi la definisce l'età della “noia”. Il vero percorso marziale, quello praticato per davvero, in generale è un percorso di grande impegno e rinuncia; è naturale che nascano sogni, inquietudini, desideri… Tuttavia, una volta adulti vengono pervasi dalla frustrazione, che anch'essa deve essere vista come qualcosa di normale. Eppure, non tutti si liberano di questa frustrazione e quindi diventano persone squallide e immature.

Giustificare il comportamento umano come conseguenza di questa o di quella causa, è stato un esercizio instancabile nel corso del tempo e attraverso molti aspetti della conoscenza. Per i maestri, tutto è parte di ognuno: offriamo solo ciò che possediamo. Insomma, pare che l'unico incolpevole e assolutamente privo di responsabilità delle azioni umane, sia l'essere umano stesso. Pare che il volere umano sia del tutto sconosciuto, la volontà, quella caratteristica totalmente sovrana della nostra personalità. Appare strano vedere dei professionisti parlar male di altri colleghi, istigando altre persone a diffondere false informazioni, accuse… E in fin dei conti, per il comportamento umano, anche questo è normale. L'ammirazione è il lato nascosto dell'aggressore. A questo punto, preferiamo la massima di Jean Paul Sartre: “Non sono responsabile di ciò che altri hanno fatto di me, ma sono responsabile di quello che faccio con ciò che altri hanno fatto di me”. E' naturale che col passare degli anni, si capisce che il nostro modo di pensare non è lo stesso e che le nostre verità si sono via via modificate. E non c'è motivo di vergognarsene! Qualche giorno fa, un amico non faceva che vergognarsi del fatto ora che prova ammirazione per un artista musicista: il suo passato da “metallaro pesante” si è evoluto e adesso è arrivato ad apprezzare altri aspetti


Filosofia “Il primitivo giudica la perdita della vita fisica una grande perdita e lotta disperatamente per conservarla, mentre l'essere evoluto ha la sensazione che la morte non lo riguardi, perchĂŠ non spegne il suo stato di coscienza risvegliata, con il quale egli resta in vitaâ€?


della chitarra alla quale si è dedicato per tutta la sua vita. Si è innamorato del Jazz e dei suoi protagonisti; il tempo passa e noi, in un modo o nell'altro, persino involontariamente, cerchiamo di accompagnarlo: è il processo naturale della maturità! Oggi detestiamo, domani ammiriamo! Succede la stessa cosa in altri ambiti; scopriamo che esistono molte altre cose, svariati universi aldilà della nostra comprensione. Questo grande amico adesso capisce che quando accade questo fenomeno di liberazione dal passato, avviene una profonda alterazione nelle parole e nel senso che diamo alla vita; l'epoca che precede questa scoperta è un'età di rivoluzione e tormento; dopo, vi è in tutti un desiderio di conoscere le cose per quello che sono; e siccome prima non avevamo questo desiderio, rimanevamo in un mondo di limitazioni. Credevamo che esistesse soltanto una verità, che solo una via fosse quella giusta! Così, quando mi chiedono del processo della coscienza, della liberazione, dico che: dobbiamo, in primo luogo, liberarci dalle incrostazioni dei secoli, disfarci di tutti gli ideali e delle ideologie… guardarci dentro e di conseguenza, fuori. Dividere ogni cosa in ciò che dovrebbe essere e ciò che è, è il modo più illusorio di affrontare la vita.

La ciotola di Legno (autore anonimo) Un signore anziano andò a vivere con suo figlio, la nuora e il nipotino di quattro anni. Le mani del nonno erano tremolanti, la sua vista stanca e i suoi passi incerti. La famiglia si riuniva intorno alla tavola per mangiare. Ma le mani tremolanti e la vista del nonno erano un problema

quando doveva mangiare. I piselli rotolavano tutti a terra. Quando prendeva il bicchiere, il latte si rovesciava sulla tovaglia. Il figlio e la nuora s'innervosivano… - “ Dobbiamo trovare una soluzione a tutto questo”, disse il figlio - Ne abbiamo già avuto abbastanza di latte rovesciato, rumore di gente che mangia a bocca aperta e cibo per terra”. Decisero allora di mettere un tavolino in un angolo della cucina. Lì il nonno mangiava da solo, mentre il resto della famiglia mangiava tranquillamente sul tavolo. Da quando il nonno ruppe un paio di piatti, gli servivano il suo cibo in una ciotola di legno. Lì, seduto da solo, ogni tanto qualche lacrima scendeva dai suoi occhi. Così, le uniche parole che gli rivolgevano erano aspri rimproveri quando gli cadeva una posata, o qualcosa da mangiare per terra. Il bimbo di quattro anni lo osservava in silenzio. Una sera, prima di cena, il padre notò che il piccolo era a terra che armeggiava con dei pezzi di legno. Egli chiese al bimbo: - “Che stai facendo?” Il bimbo rispose dolcemente: - “ Nulla, faccio una ciotola di legno perché tu e mamma possiate mangiare quando io sarò grande” - e il tornò al suo lavoro. Quelle parole ebbero un tale effetto sui genitori che non riuscirono a proferire una parola. Poi, cominciarono a scendere delle lacrime sulle loro guance… Anche se nessuno disse nulla, entrambi sapevano ciò che dovevano fare. Quella sera, il padre portò il nonno alla tavola di famiglia e da lì in avanti e fino alla fine dei suoi giorni, il nonno mangiò sempre con la famiglia. Non importava più se cadeva una forchetta, se rovesciava il latte o se sporcava la tovaglia…


Filosofia

“Se osserviamo la cosa in termini di Arti Marziali contemporanee, per avere qualcosa di tangibile, troveremo grandi nomi che sono stati ammirati, odiati, maltrattati dalla vita, dai colleghi di lavoro‌â€?




Crea la tua arma improvvisata


Testo: Peter Weckauf, Irmi Hanzal & Thomas Schimmerl Foto: Mike Lehner

L’utilizzo di un oggetto di uso quotidiano per l’autodifesa può incrementare enormemente le proprie chance di successo durante un’aggressione. In questo articolo parlerermo delle armi improvvisate e mostreremo alcuni esempi di come realizzarle.


Oggetti quotidiani per la difesa personale il vantaggio degli oggetti improvvisati Negli ultimi anni mi è stato più volte riferito che ho ispirato molta gente a utilizzare gli oggetti quotidiani con fini di autodifesa. Nel SDS-Concept impieghiamo ogni cosa per difenderci. Tutto ciò comprende le armi reali, gli strumenti propri dell’autodifesa e le cose di tutti i giorni, come oggetti adattati e armi improvvisate. Le armi improvvisate sono strumenti che sono stati adattati o costruiti e vengono utilizzate insieme ad altri oggetti. Armi improvvisate Ci sono degli oggetti che in nessun modo possono essere delle armi efficaci. Tuttavia, ci possono essere situazioni in cui è una buona idea combinare questi oggetti in un’arma, come componenti di questa, che sarà più funzionale ed efficiente. Questo richiede molto tempo di preparazione, ma questo approccio ha i suoi ventaggi, gli stessi vantaggi che esistono per gli oggetti di uso quotidiano. In molti paesi, la legge non permette di portare con se un’arma o uno strumento proprio per l’autodifesa e dunque le armi improvvisate possono non essere riconosciute immediatamente come tali. L’impiego di armi improvvisate per la difesa personale è un’idea particolarmente valida contro aggressioni che possono causare gravi ferite o persino mettere in pericolo la nostra vita, soprattutto quando sono a mano armata. Il mio consiglio è di equipaggiarvi allo scopo di aumentare l’efficacia della vostra difesa. Così come gli oggetti quotidiani, le armi improvvisate si possono usare per amplificare i colpi,

fare delle pressioni, realizzare delle prese e si possono utilizzare per infilzare, tagliare, comprimere, a mò di frusta, o addirittura per poterle lanciare contro un aggressore. Come ho detto prima, il grande vantaggio delle armi improvvisate è che – parlando da un punto di vista legale – non sarete realmente armati, ma è meglio che essere disarmati. Non dobbiamo trascurare il fatto che un’arma improvvisata può essere facilmente smontata e dunque non si può considerare veramente lesiva. Comunque, ci sono alcune regole fondamentali da rispettare. Pensate alle caratteristiche dell’oggetto! Quando si decide di costruire la propria arma, bisogna tener conto di quanto segue: resistenza del materiale, lunghezza e dimensioni, forma (a punta, rotondo, aguzzo), peso, flessibilità, il pericolo per se


stessi e per ultimo, ma non meno importante, della disponibilità. Si deve sempre prendere in considerazione il pericolo di farsi del male e l’efficenza dell’arma. E’ anche necessario essere in grado di usare l’arma più di una volta. Non deve rompersi o andare in pezzi nel caso non si ottenga immediatamente l’effetto desiderato. Tattiche – Utilizzate tutto quello che avete per la vostra difesa! Ciò comprende pugni, calci, colpi di gomito, e colpi di ginocchio da combinare con la vostra arma improvvisata. Un’altra opzione è ingannare il vostro avversario fino a farlo sentire sicuro e attaccarlo quando meno se lo aspetta. Bisogna terminare l’azione di difesa solo quando l’aggressore (o gli aggressori) non rappresenta più una minaccia o quando si può mettere in atto una fuga in tutta sicurezza. La sportività non conta qui. La vostra vita è ciò che conta!

Chi deve usare questo tipo di difesa? Grazie alla sua semplice idea di base, l’uso delle armi improvvisate è

un’opzione per tutti. Questi strumenti sono particolarmente utili per le persone che in generale si sentono inferiori in una rissa o durante un’aggressione.

Come ottenere un’arma improvvisata Se vogliamo essere pronti e preparati in ogni momento, spcialmente quando conta, dobbiamo applicare una tecnica preventiva chiamata il “radar del pericolo”. Questo lo si attiva mediante il riconoscimento delle situazioni di pericolo, delle persone e delle circostanze il più velocemente possibile. Solo allora sarà possile valutare una determinata situazione e reagire adeguatamente. D’altra parte però, abbiamo bisogno di tempo sufficiente per procurarci un’arma, se si tratta di un oggetto quotidiano o di un’arma improvvisata. “Il radar del pericolo” comprende anche il riconoscimento di oggetti che possono essere usati come un’arma o trasformati in una di queste. Questo richiede pratica e conoscenza dell’utilizzo di determinati strumenti, così come anche una buona dose di creatività.”Usate ciò che funziona!” è il motto. Utilizzate quella che ritenete sia un’arma utile in una situazione ben definita.


Oggetti quotidiani o armi improvvisate? Qualsiasi oggetto quotidiano si può utilizzare per l’autodifesa se è facile da ottenere e lo si può usare per quello che è. Ma è anche necessario: Comtemplare oggetti atipici che non sono chiaramente destinati per fini di autodifesa (tessuti, calzini, giornali...) Aumentare l’efficacia di un oggetto Trasformare o adattare un oggetto perchè diventi uno strumento difensivo appropriato in una situazione definita. Aumentare la portata dell’oggetto, la forza e la flessibilità Migliorare la durata di un oggetto allo scopo di consentire un uso prolungato. Garantire la propria incolumità assicurandosi di non provocare danni a noi stessi. Migliorare la maneggevolezza dell’oggetto (presa). Adesso valuteremo (brevemente) come la costruzione di un’arma come questa ci aiuterà anche a capire come usarla, il che a sua volta, darà luogo a una difesa sicura, accurata e attenta.

Quali sono le armi improvvisate? Problema: situazione potenzialmente dannosa, quantità limitata di tempo per la preparazione Soluzione: sviluppare la creatività per adattare, costruire, montare un oggetto perchè possa essere utilizzato in modo efficace come: Un’arma da taglio, pungente o contundente Una frusta Un oggetto da lancio Uno strumento da taglio Una catena Eccetera Per esempio 1. Proiettili o “proiettili da lancio” (calzino pieno di sassi, sciarpa annodata, borsa piena, tessuto con monete, ecc.) 2. Arma bianca o arma da colpo (giornale arrotolato, pezzo di carta o cartone arrotolato, piegato e attaccato per creare un oggetto tipo bastone, penna con supporti per prese) 3. Oggetti taglienti (carta di credito, o un righello) Arma improvvisata 1 – tessuto con monete

Per costruire questa “arma” c’è bisogno di un tessuto e una manciata di monete. Mettete le monete al centro del tessuto da arrotolare. Fate un nodo intorno alle monete in modo che non si sciolga quando l’arma verrà utilizzata. Poi, legate insieme le estremità del tessuto per avere una buona presa.

Arma improvvisata – rivista Questa “arma”, naturalmente, non è niente di nuovo. Allo stesso modo di un giornale, un pezzo di cartone o alcuni fogli di carta che potrebbero essere le uniche cose a vostra disposizione. Il cartone può essere pressato e piegato, una rivista, o un mucchio di carta si p u ò a r ro t o l a re . U s a t e d e l n a s t ro adesivo per aumentare la robustezza e la resistenza del vostro espediente. Potete anche aggiungere un oggetto appuntito nella parte superiore della vostra arma. Per maggiori informazioni su corsi o seminari, consultate HYPERLINK " h t t p : / / w w w. s d s - c o n c e p t . c o m " www.sds-concept.com



L’uso della forza e la mentalità difensiva Come istruttore di armi da fuoco civile, spesso mi imbatto nell’idea totalmente distorta in merito all’applicazione della forza nella difesa di se stessi o di altri. Sebbene le leggi tra i diversi stati siano variabili, molte persone hanno frainteso che grazie alla legge, come si diceva, gli sia permesso l’utilizzo di una forza letale nel caso, ad esempio, di un’intrusione in casa propria. Nella maggioranza dei casi, queste persone non hanno pensato alle conseguenze dell’essere coinvolti in un conflitto a fuoco. Anche se suddetti spari venissero ritenuti giustificati e pertanto non vi fossero conseguenze legali, ci sono molti effetti psicologici e sociali che possono cambiare la vita. Non approfondirò questo tema all’interno dell’articolo, ma piuttosto spiegherò quando si può avallare l’uso della forza. Io non sono un avvocato,

così se voi avete un’arma da fuoco per autodifesa, vi raccomando di consultare un legale nella vostra giurisdizione per ottenere assistenza a riguardo. Sto parlando da una prospettiva strettamente di difesa strategica. Uno dei più grandi malintesi è che se uno si sente minacciato (perchè gli ordinamenti giuridici di solito utilizzano questa terminologia per stabilire i criteri sull’uso della forza), si deve compromettere. Questo è un errore clamoroso. Per illustrare tutto questo, spiegherò i differenti tipi di procedimento. Ce ne sono essenzialmente tre – militari, di polizia e civili. Nel primo tipo di procedimento (militare), se una minaccia è identificata e il nostro obbiettivo è chiaro come il cristallo – agire e neutralizzare la minaccia. Non abbiamo la competenza per decidere se agire oppure no, quando si riceve un ordine, non abbiamo l’opzione di ritirarci (a meno che, come risultato dell’azione non si

abbia quell’opzione tattica), e dobbiamo utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione al fine di neutralizzare la minaccia. Il nostro obbietivo qui è mettere il nostro avversario fuori combattimento – meglio ferendolo gravemente (e saranno le truppe a portarlo via per prestargli soccorso) o uccidendolo. Il nostro secondo tipo di procedimento è quello delle forze dell’ordine. A differenza dei militari, dovendo far rispettare la legge, quando si percepisce una minaccia non bisogna neutralizzare o uccidere l’obbiettivo, ma arrestarlo e garantirlo alla giustizia. Così come nel primo procedimento, la polizia non ha altra scelta – il suo lavoro è arrestare la minaccia. I metodi possono variare, lasciando un margine discrezionale in quanto a dove e come svolgere tutto ciò. Anche se normalmente non è raccomandabile rompere il contatto con la minaccia, in alcuni casi, una decisione tattica

Testo e foto: Avi Nardia & Benjamin Krajmalnik - KAPAP Combatives -


Autodifesa potrebbe essere evitare il contatto mentre si mantiene la vigilanza e procedere all’arresto, quando le condizioni si evidenziano più favorevoli per gli agenti, o quando si è in presenza di un minor livello di rischio per i civili. Se nel corso dell’arresto del soggetto questo viene abbattuto, sarà un caso che verrà investigato dal dipartimento, considerando i livelli di tolleranza sull’uso della forza. Il tipo di procedimento che ci riguarda è quello civile e qui darò più dettagli. Indipendentemente dal linguaggio giuridico di qualsiasi istituzione che regola l’uso della forza nella difesa personale (e questo è più critico secondo le “leggi di Palazzo” di stati in cui le persone sentono che la legge sta “dalla loro parte”), dobbiamo essere in grado di articolare una difesa che giustifichi il nostro uso della forza. Per quello, ci sono tre componenti che si devono approcciare – il triangolo dell’Abilità, Opportunità e Proposito. Se possiamo dimostrare che l’aggressore o il criminale avevano la capacità, l’opportunità e l’intenzione di infliggere dei danni corporali gravi o la morte, allora si giustifica il nostro ricorso alla forza letale. Questi tre fattori non sono riferiti unicamente all’aggressore, ma anche alla persona che esercita la forza per la propria difesa. A differenza degli scontri militari o della polizia, come civili abbiamo un obbiettivo – la sopravvivenza. Ogni volta che utilizzate la forza nella difesa, avrete un livello di responsabilità legale, per cui la miglior maniera di agire è sempre fuggire. Non si deve portare con se un’arma da fuoco per alimentare l’ego e non si deve agire così per fare. Non importa quanto abile uno pensi di essere – in qualsiasi momento dello scontro può succedere qualcosa di inaspettato e ci possiamo trovare nel lato perdente del confronto. Il modo migliore di agire è sempre la fuga – e questo indipendentemente se l’uso della forza venisse esercitato con un’arma da fuoco o a mani nude. Presenterò uno scenario ipotetico. Vi svegliate nel bel mezzo della notte con il rumore di qualcosa che si rompe in cucina. Ci sono varie azioni che si potrebbero realizzare.


Grandi Maestri Opzione 1. Prendete la pistola e scendete nella zona in cui avete sentito il rumore per fronteggiare la minaccia percepita. Arrivando in cucina, vedete una silhouette sconosciuta e “temendo per la vostra vita”, sparate contro la minaccia e la abbattete. Il sospetto ha la capacità di infliggere dei danni corporali? Dipende. Vediamo uno scenario nel quale vi trovate davanti un uomo grande. Dopo essere caduto a terra, si vede che è molto più forte di voi e accanto al suo corpo si nota una sbarra di ferro che ha usato per entrare in casa vostra. In questo caso, avrebbe avuto la capacità, poichè egli aveva il potenziale fisico così come i mezzi per farlo. Ha avuto l’opportunità? A questo punto, in assoluto – a meno che non vi foste avvicinati per parlare con lui, era fuori dalla distanza che gli avrebbe dato tale opportunità. Aveva l’intenzione? Bene, in base ai dati che abbiamo in questo momento, la sua unica intenzione era rubare – non ci sono state minacce. A meno che il sospetto non arrivi a comportarsi in modo davvero minaccioso, se sparate potrebbe essere considerato un atto ingiustificato e potreste esser ne penalmente responsabili. Ma adesso, mettiamo che

il tutto sia ancora più intricato. Dopo aver sparato, vi avvicinate al soggetto e realizzate che è un amico di vostro figlio, che senza che voi lo sapeste, è rientrato da una festa un pò ubriaco e ha inciampato mentre cercava un pò d’acqua. Ora, entriamo negli aspetti sociali e psicologici alla radice degli spari. Avete appena tolto la vita a una persona innocente e ancora peggio, a qualcuno vicino a voi. Credete che sareste capaci di vivere con questo rimorso? Cosa cambierà nella sfera dei vostri rapporti sociali? La vita sarà davvero molto complicata per voi dopo tutto questo.

Opzione 2. Prendete la pistola e con attenzione scendete con l’intenzione di fuggire. Nel farlo, il sospetto vi vede e vi minaccia. Il sospetto è totalmente ubriaco e incapace di camminare dritto. Ha in mano uno dei vostri coltelli da cucina. È a 2 metri dalla porta ed è a 10 metri da voi. Sparereste? In primo luogo, cercando di scappare, avete appena dimostrato che non avevate intenzione di usare la forza. Adesso analizziamo la cosa sulla base dei tre criteri. Ne aveva la capacità? Beh, questo sarebbe discutibile. Lui aveva un’arma, e poteva

essere sufficientemente rapido da accorciare la distanza, ma fino a che non iniziava a farlo, sarebbe stato molto difficile. Aveva l’intenzione? Assolutamente – poichè vi ha minacciato apertamente brandendo un’arma. Ne aveva l’opportunità? In questo caso, è valido lo stesso discorso fatto sulla sua capacità – se inizia a chiudere la il gap prima che voi possiate scappare, allora si. L’uso della forza letale in questo caso dipenderà dalla postura che il sospetto ha assunto quando ha visto che stavate scappando. Qualsiasi tentativo di avvicinarsi a voi indica che il furto non era la sua unica intenzione.

Opzione 3: La pianta dell’appartamento è tale che non si può scappare in maniera sicura evitando di essere fermati. Prendete il telefono e chiamate la polizia. Informatela sulla vostra ubicazione esatta all’inter no della casa, della minaccia che avete di fronte e anche che voi siete armati. Mantenete la comunicazione aperta e gridate a chi sta di sotto che siete armati e qualsiasi tentativo di andare su sarebbe interpretato come una minaccia tale che provocherebbe l’uso della forza letale.


Autodifesa Restate in una situazione strategica nella quale se la minaccia sale al secondo piano, voi avrete un vantaggio. Avete fatto i passi necessari per avere la miglior copertura legale. Avete chiamato la polizia perchè loro si occupino dell’aggressore, avete dato un avvertimento, che è stato registrato, sul fatto che il ricorso alla forza letale avverrebbe solo nel peggiore dei casi, per cui siete in una posizione vantaggiosa. Il sospetto inizia a salire le scale, nella totale oscurità. Vedete che tiene in mano qualcosa, è stato avvisato di non salire. Ora avete un’atteggiamento difensivo. Lui sta accorciando la distanza ed è stato avvisato, pertanto egli ha la capacità e l’opportunità e dal momento che ha l’oggetto in mano, ha intenzione di fare del male. Sparate? Regola 1 – non sparate fino a che non avete identificato l’obbiettivo. Il “sospetto” che stava salendo era vostro figlio, che arriva dall’università per il fine settimana, senza preavviso. L’oggetto in mano è il suo Ipod, con cui sta ascoltando musica e non ha potuto sentire gli avvertimenti. La percezione e la realtà, soprattutto in situazioni di stress, sono molti differenti. Tuttavia, avere un piano prima del tempo, seguirlo e rispettare alcune regole basilari di sicurezza strategica, diminuirà la possibilità di dover utilizzare la forza letale. È sempre preferibile che la minaccia venga verso di voi, piuttosto che il contrario. Non sapete quello che la minaccia può fare – mediante l’assunzione di una posizione strategica si riduce al minimo la possibilità di essere dalla parte perdente in un confronto. Non verrete sorpresi. Ma anche se avete preso tutte le precauzioni corrette come nella nostra opzione 3, non bisogna sparare fino a che non si è identificato il proprio obbiettivo. Qualche mese fa, un famoso atleta sudafricano (Oscar Pistorius, noto atleta paralimpico - ndt) ha sparato alla sua fidanzata. Lei era in bagno, secondo lui, e svegliato dai rumori provenienti da lì pensò che qualcuno fosse entrato in casa sua. Ha sparato attraverso la porta chiusa e l’ha uccisa. Non vorrei essere il suo avvocato. Non posso sapere se sia stato un vero assassinio o meno – è il tribunale che dovrà stabilirlo - ma è assolutamente un omicidio colposo, dal momento che ha sparato senza aver prima identificato l’obbiettivo


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Nuovi libri! Questo libro è il primo che parla apertamente di una tradizione Sciamanica giapponese che dal Secolo XII rimase segreta. Si tratta della cultura spirituale degli Shizen ("i naturali"), un popolo che raggiunse la sua massima espressione intorno al Secolo XIV sull'Isola di Hokkaido, al Nord del Giappone. La cultura apparteneva alla popolazione Aino, culla di guerrieri e sacerdoti, gli abitanti originari delle Isole, di razza caucasica e in perenne lotta con gli invasori Yamato. Oggigior no solo un tre percento dei giapponesi possiede geni Aino, tuttavia la sua saggezza sul mondo spirituale fu tale che, nonostante l'essenza fu mantenuta segreta, "contaminò" intensamente la cultura giapponese e la sua influenza si può percepire in aspetti dello Shinto, nello Shugendo, nelle Arti Marziali e nelle tradizioni e abitudini di tutto il Giappone. I saggi Miryoku, gli Sciamani del popolo Shizen, erano temuti e ricercati persino dallo stesso Shogun per via del loro potere e delle loro conoscenze. L'e-bunto è rimasto talmente segreto che anche digitando il suo nome su Google, non ne esce niente. La ricchezza della sua eredità è enor me e le sue conoscenze del mondo spirituale e delle interazioni con esso sono sorprendenti e poderose. Filosofia, psicologia, strategia, alimentazione, medicina spirituale ... le materie che compongono l'ebunto sono molto vaste e ricche mentre la sua Cosmogonia possiede la finezza, la profondità e la raffinatezza della Grecia classica. Questo lavoro è dunque una primizia storica, ma anche una fonte d'ispirazione per comprendere come i popoli antichi esplorarono l'ignoto, interagendo in modo sorprendente con le forze dell'Universo, a partire dall'analogia e dal linguaggio dei fatti, giungendo a conclusioni che solamente ora la scienza moder na incomincia ad intravvedere. Una conoscenza che lontano dal rimanere un qualcosa d'infor mativo o sterile, fu utilizzata come medicina spirituale, trasmettendoci un bagaglio immensamente ricco che solo ora, finalmente, incomincia ad aprirsi al resto dell'umanità, trovando in questo modo il suo giusto riconoscimento.

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Reportage

Punti di Pressione tattici del Combat Hapkido – l’attivazione dell’obbiettivo Nell’ultimo articolo sui punti di pressione tattici del Combat Hapkido parlerò dei metodi e dei principi per un adeguata attivazione anatomica dell’obbiettivo, oltre che dell’importanza della volontà. Una grande attenzione e una costante revisione di questa materia, migliorerà notevolmente le vostre tecniche e le applicazioni in combattimento. Ciascun obbiettivo possiede un metodo specifico di attivazione e anche se molti (ma non tutti) si possono stimolare in varie maniere, ognuno ha un sistema più efficace. Questo lo dimostriamo nel dettaglio attraverso i cinque livelli sella serie didattica TPP DVD. Questo concetto dell’attivazione specifica adeguata inizialmente può apparire complesso, ma una volta che lo si comprende e lo si pratica, diventa una cosa naturale. Tenendo presente che stiamo attivando diversi tipi di nervi, a volte si deve utilizzare un altro genere di stimolazione (metodo di attivazione). Per esempio, quando si attacca una struttura nervosa come l’apparato del Golgi, l’anatomia di queste fibre si può paragonare a un insieme di germogli di erba medica. L’attivazione di queste fibre richiede un particolare metodo di stimolazione. Queste fibre si possono stimolare più profondamente e facilmente tramite un movimento di frizione, mentre colpirli è assolutamente inefficace. Il contrario si applica con le fibre nervose fusiformi: lo sfregamento non da alcun effetto,

“Vi raccomando caldamente di investire un pò di tempo per indagare sul potere della volontà per migliorare ogni fase dello sviluppo” mentre colpirle è il sistema ottimale e più efficace. Qui di seguito vi sono le chiavi generali per l’attivazione dell’obbiettivo, che in alcuni casi venivano considerate i “segreti” del combattimento con i punti di pressione: Colpire Premere o toccare Sfregare o pressione variabile Angolazione (quasi sempre a 45°) Direzione (sguire il flusso del meridiano per un effetto massimale) La volontà adeguata alla quantità e al tipo di energia corretta. Attaccare un obbiettivo debole con un’arma dura e viceversa (a volte si definisce come lo Yin e lo Yang) Includere suoni, visualizzazione ed emozioni La rilassarezza è fondamentale per il trasferimento di energia all’obbiettivo (non mettete in tensione il vostro corpo) Fluidità e contatto. Si deve eseguire il colpo in modo che l’obbiettivo venga raggiunto e l’arma utilizzata per per farlo rimanga a contatto almeno per una frazione di secondo. Tutto questo distribuisce tutta l’energia cinetica del colpo. Inoltre, qui ci sono alcuni suggerimenti ulteriori condivisi dal Gran Maestro George Dillman per selezionare, localizzare e attivare gli obbiettivi anatomici.

“Su svariati mezzi mediatici è possibile sentire o leggere una sorta di mantra sulla mente, il corpo e lo spirito, ma raramente lo si comprende davvero e ancora meno si è in grado di applicarlo nella pratica”



Quanto più grande è il nervo, più grande è il dolore Attaccare le articolazioni più piccole con la stessa forza usata per quelle più grandi aumenta il dolore (e il pericolo di lesioni). La forza si dipana intorno ai tendini e ai legamenti, il che si traduce in maggiore torsione su detta area. Attaccare i tendini all’origine e sui punti di inserzione, stimola i recettori della distensione e sono generalmente bersaglio da “sfregare”. Attaccare i legamenti nei recettori di distensione si deve realizzare mediante colpi per stirare e torcere l’obbiettivo. Attaccare l’apparato del Golgi (recettori nervosi speciali) evita il passaggio dal cervello e invia segnali direttamente al midollo spinale per creare una risposta involontaria Queste chiavi generali, suggerimenti e metodi fisici aiuteranno a incrementare l’efficienza e l’efficacia del vostro lavoro. Tuttavia (sfortunatamente spesso viene trascurata) la VOLONTA’ è probabilmente il metodo più efficace in tutte le attività quando è compatibile con l’introduzione e l’applicazione di azioni consistenti. Su svariati mezzi mediatici è possibile sentire o leggere una sorta di mantra sulla mente, il corpo e lo spirito, ma



Reportage “La volontà catalizza tutto il potere o l’energia necessaria per il corpo, lo spirito e la mente al fine di ottenere e manifestare qualsiasi risultato” raramente lo si comprende davvero e ancora meno si è in grado di applicarlo nella pratica. Nel programma TPP l’allineamento dei pensieri (mente), dei sentimenti (spirito) e delle azioni (corpo), è fondamentale per la corretta attivazione di qualsiasi obbiettivo o tecnica. Pensate a ciò come a un effetto sinergico in cui il risultato della somma è maggiore del totale di tutte le sue parti. La volontà catalizza tutto il potere o l’energia necessaria per il corpo, lo spirito e la mente al fine di ottenere e manifestare qualsiasi risultato. La prova di tutto ciò si può trovare nel semplice placebo (sostanza chimica inerte, spesso è solo normale zucchero). Quando un soggetto crede che il placebo è qualcosa di più, pensa che il prodotto farmaceutico che assume sia più efficace. Un placebo (la credenza o più esattamente la “volontà” del soggetto), ha curato più malattie di qualsiasi altra sostanza chimica nella storia dell’umanità. Una volta che il placebo crea una risposta fisica o fisiologica è ovvio che adesso non è inerte. Le nostre credenze e le nostre menti hanno effetti profondi sulle reazioni neuro-ormonali e chimiche del nostro corpo. Per esempio, come è possibile che una madre (o nonna) di costituzione debole sia capace di sollevare una macchina pesante o un oggetto sotto il quale un bimbo è rimasto

intrappolato? Quante volte abbiamo sentito storie di questo genere? Cos’è questo se non l’allineamento dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni che permette tali atti miracolosi? Ora, immaginate di poter sfruttare questo tipo di potere per le vostre capacità di difesa personale. “Un regalo non consiste in ciò che si fa o si da, ma nella volontà di chi dona o di chi fa” – Seneca (I secolo D.C.) Per coloro che sono scettici, è utile comprendere che, biologicamente, il corpo è composto fondamentalmente da molte proteine e che queste rispondono a certi segnali. Questi segnali generici sono fisici, chimici ed energetici, un colpo può essere allo stesso tempo fisico ed energetico (volontà) così come una aspirina può essere sia chimica che energetica (ricordiamo l’effetto placebo). In entrambi questi esempi è la risposta sinergica che crea il maggior risultato. Tuttavia, spesso mettiamo in discussione l’aspetto energetico definendolo come “new age”, per contro, continuiamo a riconoscere le reazioni fisiche e chimiche senza pensarci due volte. Sapevate che se non ci fosse alcun segnale energetico nel corpo (ovvero, conducibilità elettrica attraverso i nervi) i nostri cuori non batterebbero? Tutto

ciò va aldilà della portata di questo programma per poter esplorare a fondo tale concetto, pertanto vi raccomando caldamente di investire un pò di tempo per indagare sul potere della volontà per migliorare ogni fase dello sviluppo. Demistificare questo ambito è essenziale per riconoscere che è la nostra volontà colei che guida l’energia (conosciuta come Chai, forza vitale, KI, Qi, Prana o Chi nelle diverse culture) che garantisce il benessere. Naturalmente, questo articolo non può trattare questo tema nella sua totalità e vi incito ad approfondire per comprendere più a fondo questa importante area della difesa personale. Nei prossimi articoli continuerò ad ampliare questo importante argomento. Ovviamente non dovete aspettare; tutte queste informazioni sono disponibili nel libro “Punti di Pressione Tattici del Combat Hapkido” e nella serie di DVD didattici che può essere richiesta direttamente a Defensive Services International su HYPERLINK "http://www.dsiqh.com" www.dsiqh.com e a Budo International attraverso il sito HYPERLINK "http://www.budointernational.net" www.budointernational.net. Mi raccomando, allenatevi duramente, vivete con onore e state bene. Per certificazioni, libri, DVD, seminari o domande, per favore contattateci a: HYPERLINK "mailto:info@dsiqh.com" info@dsiqh.com

“Sapevate che se non ci fosse alcun segnale energetico nel corpo (ovvero, conducibilità elettrica attraverso i nervi) i nostri cuori non batterebbero?”


La Zen Nihon Toyama-Ryu Iai-Do Renmei (ZNTIR) è l'organismo che attualmente, una volta rivisti e adattati i concetti e la metodologia di una scuola proveniente da un sistema di combattimento reale, vuole preservare questa tradizione e le forme originali tramite un metodo che unisce corpo, mente e spirito in maniera realistica ed efficace. Questo DVD è stato creato a cura dei praticanti della Filiale Spagnola della Zen Nihon Toyama-Ryu Iai-Do Renmei (ZNTIR - Spain Branch) per far conoscere a tutti uno stile di combattimento, con una vera spada, creato nello scorso XX secolo e con radici nelle antiche tecniche di guerra del Giappone feudale. Qui potrete trovare la struttura basilare della metodologia che viene applicata nello stile, dagli esercizi codificati per il riscaldamento e la preparazione, passando per gli esercizi di taglio, le guardie, i kata della scuola, il lavoro in coppia e l'introduzione alla pietra miliare su cui si basa il Toyama-Ryu: il Tameshigiri, o esercizio al taglio su un bersaglio reale. Ci auguriamo che la conoscenza dell'esistenza di uno stile come il Toyama-Ryu Batto Jutsu sia una riscoperta di un modo tradizionale e allo stesso tempo differente dalle attuali discipline da combattimento, che attragga coloro che desiderano andare più lontano nella pratica delle arti marziali. Gli appassionati della spada giapponese e i neofiti, troveranno questo DVD utile come punto di riferimento e supporto al proprio apprendimento.

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Tutti i DVD prodotti da Budo International vengono identificati mediante un’etichetta olografica distintiva e realizzati in supporto DVD-5, formato MPEG-2 (mai VCD, DivX o simili). Allo stesso modo, sia le copertine che le serigrafie rispettano i più rigidi standard di qualità. Se questo DVD non soddisfa questi requisiti e/o la copertina non coincide con quella che vi mostriamo qui, si tratta di una copia pirata.

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Il DVD "Krav Maga Ricerca e Sviluppo" sorgè dalla voglia di quattro esperti di Krav Maga e sport da combattimento: Christian Wilmouth, Faustino Hernandez, Dan Zahdour e Jerome Lidoyne. Ad oggi, loro dirigono molti club e conducono un gruppo di una ventina di professori e istruttori di molteplici discipline, dalla Krav Maga alle MMA, Mixed Martial Arts. Questo lavoro non è destinato a mettere in evidenza un nuovo metodo nè una corrente specifica di Krav Maga. Il suo scopo è semplicemente quello di presentare un programma di Krav Maga messo a fuoco sull'importanza del " c o n t e n u t o " , condividendo in questo modo le nostre esperienze.

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Alberto Gamboa, il precursore dell’Hankido per i paesi di lingua spagnola Hoonsanim Alberto Gamboa è uno dei pionieri dell’Hankido nel mondo, il suo interesse, amore e vocazione per la cultura coreana attraverso l’Hankido, gli è valso la nomina di Hoonsa, che significa “Insegnante tradizionale di Hankido che domina le otto vie” (Hosindobop, Muyedobop, Sujokdobop, Kiokkidobop,

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Kihadobop, Byongsooldobop, Soochimdobop, Hwansangdobop). Il suo Dojang centrale, uno dei più grandi del Cile e perché no del mondo, si trova a Santiago del Cile, dove insegna personalmente a più di 100 allievi tra bambini, donne, adulti e anziani. A lui non interessa essere una sorta



di “mucca sacra”, perciò non ha paura del “tatami”, ne di infilarsi il suo Dobok e passare l’intera giornata ad allenarsi. Nato nel 1952 e ancora molto giovane, dopo la separazione dei suoi genitori, vinse una borsa di studio per andare a studiare in Europa. Sua madre emigrò con lui e dopo aver studiato un anno in un collegio in Inghilterra, terminò il suo periodo scolastico in Spagna.

Sebbene loro due si separarono, la lealtà marziale non era in discussione. Alla fine degli anni ’80 il maestro Moon decise di emigrare negli Stati Uniti e mi autorizzò ad andare in Corea per prendere le redini della IHF in Cile. Parallelamente, il maestro Choi, che insegnava Hapkido in Cile, sparì in circostanze misteriose. Fu così che vendetti la mia auto e partii per incontrare Kuksanim Myong Jae Nam.

Come ha iniziato con le arti marziali? È una domanda scontata, ma indubbiamente tutti abbiamo avuto un inizio e il mio fu per sopravvivenza. Ero un ragazzino straniero in un collegio popolare di un grande quartiere di Madrid e anche se adesso è diventato di moda, a quell’epoca era pieno di bulli. Spinto da mia madre iniziai a imparare la Boxe e altre forme di difesa personale stradale, fino a che finii in una scuola di Judo. Più tardi, in Cile, nella Scuola Navale (ARMATA DEL CILE) venni selezionato nella squadra di Judo e anche di scherma, nella specialità della sciabola.

Lei ha avuto la fortuna di essere allievo diretto del Gran Maestro Myong Jae nam Kuksanim e il privilegio di conviverci per molto tempo assieme. Ci dica, come era lui? Credo che il mio rapporto con Kuksanim abbia segnato la mia vita, mi ha intrappolato in modo magistrale. La prima volta che andai in Corea, non tor nai con nessun certificato o pergamena che dicesse che avrei preso in consegna la federazione. Ma a partire dalla seconda volta che tornai là, egli fu come un padre per me, non mi sono mai sentito più protetto dalla Federazione, al punto che quando lui era vivo mi chiamava al telefono, mi parlava a lungo e intensamente in coreano e anche se nessuno dei due parlava la lingua dell’altro, entrambi eravamo felici di sentirci. Quando lo accompagnai nel suo giro in Olanda e in Spagna nel 1995, si preoccupava persino di mia madre, cosa che creava imbarazzi agli altri coreani perché era davvero poco usuale nella loro cultura agire diversamente con le donne (anche al giorno d’oggi non lo è tanto). Kuksanim era una persona che suscitava amore e odio in tante persone e quando succede questo, vuol dire che il suo passaggio nel mondo non è stato indifferente. Kuksanim è l’Hankido.

E com’è arrivato all’Hankido? Dopo essermi congedato dall’Armata praticai per molti anni Karate, due stili molto duri, Kyokushin con Sensei Victor Valdivia, a cui devo la base della mia formazione marziale e più avanti Shorin Ryu con Sensei Brickman, che mi fece persino un’offerta per prendermi in carico la sua scuola in Cile. Ma mi stufai della durezza di quegli stili e cominciai a cercare qualcosa di più spirituale, fluido e duttile. Fu così che giunsi al dojang del primo maestro coreano che portò l’Hapkido in Cile, il maestro Choi e che più avanti porterà nel paese il maestro Byong Chung Moon che venne inviato da Kuksanim Myong Jae Nam per “evangelizzarlo”con ciò che conosco adesso, che sarà il passaggio verso l’Hankido. Questi due maestri si separarono alla metà degli anni ’80 e io continuai la linea della IHF con il maestro Moon, nonostante ci sia voluto un anno intero prima di riuscire a farmi accettare, perché ero già un alto grado con il maestro Choi.

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Come accolse l’invito che le fece Kuksanim per accompagnarlo nel suo giro in Europa nel ’95? Kuksanim vedeva che io ero ansioso di passare più tempo con lui, ansioso di imparare. In quel momento non mi interessava primeggiare, ne tantomeno volevo insegnare, volevo solo imparare. Ogni anno mi adoperavo a risparmiare denaro per non perdere le


Intervista


possibilità che mi si presentavano. Quell’anno andai in Corea e mi allenai per alcuni mesi con Kuksanim e lui mi disse semplicemente: Perché non mi accompagni in Europa? E anche se non avevo la condizione economica per farlo, le passioni sono le passioni e così partii per seguirlo in Europa. Fu difficile per me in Olanda, perché nessuno mi conosceva, mi costò molto guadagnarmi il rispetto dei coreani che gestivano l’Hapkido in Europa. Ma quando arrivai in Spagna fu un’altra cosa, mi sentii come a casa. Per me la cosa più importante è che scaturì un legame ancora più grande tra Kuksanim e la mia fedeltà verso la sua persona. Passando ad argomenti tecnici Hoonsanim…Che cosa c’è di tradizionale e di moderno nell’Hankido? Questo è un tema abbastanza discusso e dal mio punto di vista, tale discussione non ha senso. Tutti conoscono il percorso delle arti marziali della Corea e anche il periodo in cui sparirono le arti guerriere di quella zona a seguito dell’occupazione giapponese. E fu precisamente in quel periodo che apparvero quei personaggi che dovettero ricomporre di nuovo il rompicapo delle arti marziali coreane. Dire che lo fecero bene o criticare perché lo fecero male è già storia, a me ciò che interressa è essere un fedele difensore di quello che significa l’entrata dell’ Hankido nel mondo moderno come un’arte innovatrice, moderna e ricca di tradizione. Ciò non significa che non sia tradizionale, infatti, sono stati rinvenuti dei documenti di un principe della dinastia Shilla che praticava tecniche di Hankido. risalenti a 5000 anni fa. La tradizione dell’Hankido si trova giustamente nella CULTURA DELLA COREA, nella conservazione delle sue radici ancestrali. Ma dobbiamo tor nare al momento storico attuale, Kuksanim era un uomo contemporaneo, scomparso nel 1999, aveva 60 anni e fece tante cose, ma senza ombra di dubbio la più importante fu trasformare un Hapkido tradizionale in un Hankido rinnovato come la cultura Coreana. Ci sono molte persone che vanno a cercare il pelo nell’uovo fomentando polemiche tra le arti marziali coreane e giapponesi. I movimenti di TUTTE le arti marziali sono affini, non esiste arte marziale che abbia movimenti unici, la differenza sta nello sfondo filosofico, e nel caso dell’Hankido si tratta di: taoismo, confucianesimo e buddismo. Gli eredi di questo Hankido devono concentrarsi sugli stessi principi che mossero Kuksanim: Tradizione e Innovazione. Hankido, un’arte marziale di sostanza, affidabile e soprattutto con un’identità… Dal punto di vista pratico, Kuksanim inviò alcuni emissari in giro per il mondo con un’idea di transizione dell’Hapkido…verso ciò che sarebbe stato l’Hankido. Queste persone formarono altri insegnanti, ma ancora non si poteva parlare di Hankido. La prima visione o presentazione dell’Hankido avvenne nei primi

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campionati internazionali che si svolsero a Seul nel 1990. Kuksanim preparò un’esibizione con un team di dimostrazione composto da gente anziana, e in questo modo dimostrò al mondo che l’Hankido era un’arte solida, affidabile e soprattutto con una sua IDENTITA’. Quel team di esibizione era lontano da ciò che oggi viene mostrato nelle


Intervista competizioni, dove le dimostrazioni sono contrassegnate da salti e acrobazie. Negli anni ’90 vennero fuori la maggior parte degli insegnanti pionieri che decisero di accettare questa sfida, tra i quali ci sono anch’io. La cosa fondamentale allora era l’unificazione, ma molti insegnanti faticarono a comprendere il significato che trascendeva l’unificazione tra l’Hapkido e l’Hankido… A quel tempo non si parlava nemmeno

dell’Hankumdo. Da li in avanti cominciò la missione di cambiare o trasformare la IHF in HKD, un concetto che integra Hapkido, Hankido e Hankumdo. Quello che ho compreso del desiderio di Kuksanim è racchiuso in una sola parola: INTEGRAZIONE. Lui voleva che tutto venisse incluso in un unico concetto: HANKIDO. Le è costato molto introdurre questo nuovo concetto nella

comunità di artisti marziali nel mondo, in qualità di responsabile per i paesi di lingua spagnola? Quando diedi il mio esame di KwanJang per diventare rappresentante di Hankido per l’America Latina di fronte a Kuksanim, diversi anni dopo il mio inizio, mi consegnarono tutti i documenti in una cartella che recitava in Hanja (caratteri cinesi), HAN KI DO, sotto questo c’era l’insegna della IHF che era in uso in


quel momento, che voleva dire International HANKIDO Federation. Allora tornai in Cile e presentai tutti questi documenti davanti a una commissione di artisti marziali di fama convocati dal Ministero della Difesa, per concedermi o revocarmi il permesso di essere un rappresentante di uno stile in Cile. Tra quelli c’era anche un maestro di Hapkido coreano che era arrivato da alcuni anni in Cile. La prima cosa che dissero fu: “Si sono sbagliati!!! C’è un errore di stampa!!! La cartella e il suo diploma hanno lo stesso errore!!! Hanno messo una “n” al posto della “p”. le reazioni in generale erano indice di una mancanza di conoscenza e di cultura che c’era nell’ambiente. Questo aneddoto dimostra che la gente critica e scredita senza neanche conoscere ciò di cui si sta parlando. Un’arte marziale non è soltanto forma, è un modo di vivere. Significa che devo coltivarmi, che devo imparare dalla sua cultura, che devo sapere almeno come mettere insieme una vocale con una consonante. Kuksanim diceva sempre: Primo, l’Hankido deve essere SEMPLICE. Secondo deve avere RITMO. E per ultimo, deve essere per GENTE CAPACE DI PENSARE. Nel 2010, l’Hankido è stato riconosciuto ufficialmente dal governo della Corea come arte marziale TRADIZIONALE… Il grande contributo che ha dato il figlio ed erede di Kuksanim, il Doju Myong Sung Kwan, è che nel 2010 ha ottenuto finalmente che il governo della Corea del Sud ne riconoscesse ufficialmente il patrimonio culturale che K uks anim ha las ciat o at trav ers o il s uo lav o ro di salvaguardia delle radici del suo popolo. Ed è così che al gior no d’oggi l’Hankido è la seconda arte marziale tradizionale in Corea e in questa maniera si colloca cult uralmente allo s tes s o liv ello del Taekwo ndo tradizionale. Ciò ha provocato che a livello mondiale siano diventate di “moda” le alleanze e le cooperazioni tra queste due arti marziali. In Corea ci sono più di 600 insegnanti di Taekwondo che si sono preoccupati di imparare parallelamente le tecniche di Hankido e Hankumdo. Anche negli Stati Uniti e in Europa è arrivata questa “moda” e Hoonsanim Alberto Gamboa si è fatto una sua opinione in merito. Cosa pensa delle alleanze strategiche che si stanno attuando tra scuole e organizzazioni di Hapkido, Hankido, Hankumdo e Taekwondo? Vede un futuro per questo genere di unioni? Dal punto di vista teorico, Hankido e Taekwondo non hanno alcun punto di contatto, ognuno funziona in modo indipendente e non condividono nessun aspetto, ma quello che vedo è che non esiste un problema nel completarsi e stringere alleanze strategiche. Però in tutti questi generi di alleanze, non soltanto ci sono le idee e gli entusiasmi, ma ci sono gli uomini e negli uomini c’è sempre ambizione per il potere oltre alle rivalità, per cui cosa viene prima: l’uovo o la gallina? In sintesi, se lo guardiamo da un punto di vista positivo, non solo è buono, ma anche necessario. Tutto dipende da noi, dal nostro atteggiamento e dal rielaborare future alleanze strategiche che raggiungano propositi di

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Intervista scambio di conoscenze, lasciando da parte i propositi emozionali. E per ultimo Hoonsanim…sappiamo che quest’anno, ai primi di Maggio, sarà in Spagna per dirigere un seminario aperto e anche per verificare i progressi dell’Hankido. Che

cosa si aspetta di vedere in Spagna e quali sono i suoi progetti o proiezioni future? Ho le idee ben chiare per quanto riguarda la Spagna, in termini pratici e in termini emozionali. Senza dubbio, il lavoro di tutti noi che siamo coinvolti nel reinserimento dell’Hankido in Spagna dev’essere pratico, metodico e a sua volta tenere i piedi per terra. C’è molta gente che apprezza i cambiamenti però non risultano semplici per ragioni egoistiche di ambizione e forse anche di orgoglio. Ci sono volte che il cambiamento giustifica anche il sacrificio e ciò significa ORE DI ALLENAMENTO e inoltre a volte significa abbassare il proprio rango. Ci sono persone che non accettano questo. Indubbiamente preferirebbero che tale cambiamento fosse più light o morbido e con un supporto amministrativo più rapido. Nel caso della Spagna, il cammino è stato buono. Non ho possibilità di andarci più assiduamente…solo una volta all’anno. Però sin dalla prima volta che ci sono stato, ero disposto a dare il massimo per le persone che fossero disponibili ai cambiamenti, quelle più coraggiose. Gente che fosse innovatrice e immersa nell’evidente magia dell’Hankido, ma con onestà, senza cercare medaglie ne riconoscimenti, ma lottando per qualcosa che in un modo o nell’altro fosse l’entrata in un mondo differente. Quel mondo differente è stato raggiunto attraverso 10 insegnanti che in questo momento stanno lavorando con tanta fede e sacrifici. Sacrifici di tutti i tipi, perché devo ricordare anche che l’andamento economico della Spagna non è esattamente molto positivo e senza dubbio condiziona la vita di qualsiasi spagnolo. Ma nonostante tutto, loro stanno lavorando secondo le proprie possibilità, io da parte mia sto mettendo il massimo impegno per conseguire un miglior livello di interscambio, for nendo delle conoscenze basilari perché possiedano dei buoni fondamentali e soprattutto acquisiscano esperienza, quella che abbiamo tutti coloro che già da anni ci troviamo coinvolti in questo ambito e naturalmente creando quell’incentivo per sviluppare il tutto in maniera reale e con i precetti di base che aveva Myong Jae Nam Kuksanim. Io sono un difensore della linea tradizionale che seguiva il mio maestro. Non prediligo l’aspetto sportivo, anche se accetto lo sviluppo dei campionati come un modo di proporre l’Hankido in maniera più massiva, perché la gente ci possa conoscere, ma non sono propenso a creare linee parallele tra concetti marziali e sportivi, li accetto perché devo farlo e perché sono un buon soldato e questo significa anche che il mio atteggiamento in merito al mio metodo di insegnamento è MARZIALE al cento per cento. Ho fiducia che la gente di Spagna sia capace di comprenderlo e sia in grado di crederci, perché le vicissitudini nella pratica sono come quelle della vita, uno non sa cosa succederà domani, ma deve continuare a lottare per ciò in cui crede anche se il futuro è incerto








Kung Fu

Le tecniche del Leopardo nello Shaolin Hung Gar Kung Fu Leopardo (

)

Le tecniche del leopardo allenano la rapidità, la coordinazione e la perseveranza. Esse si basano sulla filosofia dell’elemento metallo. Le tecniche del leopardo sono valide per il combattimento ravvicinato, nel corpo a corpo. Il combattimento a contatto pieno e a corta distanza. Al contrario della tigre che si avvale dell’attacco concentrato sulla potenza, il leopardo è agile ed esplosivo. La rapidità delle sue reazioni e la sua abilità rendono il leopardo in natura un cacciatore estremamente pericoloso. Può attaccare alla velocità della luce e in maniera imprevedibile e inoltre può contrattaccare velocemente con manovre di deviazione. Il leopardo è più piccolo della tigre e pertanto anche meno potente. E’ uno dei predatori più veloci del mondo. Una volta presa di mira la preda, la caccia con una rapidità incredibile. Uccide la sua vittima in modo inesorabile e all’istante con un unico morso alla nuca. Nelle tecniche di combattimento la velocità è qualcosa di cui tener conto e viene considerata un fattore importantissimo. Molti attacchi repentini ed aggressivi si susseguono sull’avversario. Un eventuale contrattacco è quasi impossibile. Nelle seguenti immagini il Gran Maestro Martin Sewer mostra alcuni interessanti movimenti basilari del leopardo nel Kung Fu.


“Le tecniche del leopardo sono valide per il combattimento ravvicinato, nel corpo a corpo�


Kung Fu I movimenti sono come due pietre che si sfregano. Per comprendere l’idea di base del movimento, la mano qui è aperta. Il movimento circolare è in avanti.

Qui osserviamo la posizione della mano tipica del leopardo nel Kung Fu. Questo è un mezzo pugno. Ovvero, si chiude soltanto la metà del pugno. Fare attenzione a mettere tensione nel pugno. Dunque, il punto di contatto è chiaramente più piccolo e perciò più doloroso per chi lo subisce.



Kung Fu


Questo è solo il movimento basilare. Naturalmente è possibile un movimento di cambio rapido. Guardate la seguente immagine: E dunque, cambiare di nuovo la direzione. Consiglio di praticare prima i movimenti con la massima attenzione e solo dopo, in una fase successiva, provare il cambio di direzione. E così si prosegue dalla direzione iniziale. Quando questi movimenti sono stati compresi nella loro applicazione, li possiamo vedere, per esempio, in questo modo:

Di seguito i combattimento:

cambi

di

direzione

nel

…e i cambi nell’altra direzione Come può notare il lettore interessato, queste tecniche sono molto rapide, molto efficaci e facili da imparare. Le forme tradizionali sono pericolose ed è consigliabile non sottovalutarle.





La difesa personale per le donne deve rispettare certi requisiti. Deve essere semplice efficace e realista. L’Eskrima può essere semplice, molto efficace e realistica, ma non molte donne praticano Eskrima. Una delle ragioni sta nel fatto che pare che molte donne pensino di non poter portare il loro bastone per la strada. L’Eskrima è spesso praticata da persone che possiedono già esperienza in sport da combattimento. Tuttavia, i miei seminari sono molto frequentati da donne. Queste in primis pensavano che l’Eskrima fosse un pò strana, perchè si comincia con l’allenamento delle armi. Quando inizio a spiegare i principi dell’Eskrima esse capiscono la bellezza e l’efficacia della stessa. Per esempio, imparando che possono usare di fatto qualsiasi arma, come una gomma da cancellare o una borsa. Quando cominciano a capire, vedo i sorrisi sui loro volti. Credo che qualsiasi donna possa praticare e imparare l’Eskrima.


Eskrima per donne Leonora, combattente di Arti Marziali Filippine Quando penso alle donne dell’Eskrima, penso alla mia prima visita alla scuola di Eskrima Doce Pares a Cebu. Vidi due eskrimadores in un combattimento full contact colpirsi l’un l’altro con combinazioni dure e rapide. Quello che mi sorprese era la forza e la forma aggressiva di lotta dei due combattenti. L’eskrimador più piccolo portò una serie di colpi potenti alla testa e anche dei colpi al corpo del lottatore più grosso. Quello fu il momento di fermare il combattimento perchè il tipo più grande cadde sulle ginocchia. E quello fu anche il momento in cui rimasi molto sorpreso! Il combattente più piccolo si tolse il caschetto e con mio grande stupore, vidi dei capelli neri e lunghi e il volto di una giovane donna, con un grande sorriso. Lei mi vide e si presentò come Leonora Rentuma. Più tardi feci alcune verifiche e

scoprii che era stata varie volte campionessa delle Filippine, campionessa del mondo di combattimento a contatto pieno, e molte volte campionessa del mondo Sayaw (kata). Ha fatto parte della squadra militare a Manila di cui è stata campionessa imbattuta. In quel momento non avrei mai pensato che Leonora sarebbe poi diventata mia moglie, ma questa è un’altra storia.

piuttosto anomala. Lui mi rispose che portava sempre con se un bastone da Eskrima. Gli dissi che non aveva capito il concetto di Eskrima. Il bastone somiglia ad altre armi, come la spada corta. Ma l’incidente mi fece pensare. Quindi tengo a sottolineare ciò che è e non è realmente l’Eskrima. È importante comprendere i principi e perchè allenarsi con i bastoni, a cosa somigliano e assimilare il tutto.

L’idea sbagliata dell’Eskrima

Benefici dell’Eskrima

Alcuni anni fa, un allievo mi disse che durante un viaggio in treno era riuscito a sconfiggere due ragazzi in uno scontro. Aveva usato i suoi bastoni da Eskrima. Io avevo già letto la notizia sul giornale, ma non pensavo che fosse uno degli allievi che si era allenato con me per alcuni anni. Naturalmente non ero contento di questa situazione e domandai all’allievo perchè era in viaggio con i suoi bastoni da Eskrima. Pensavo fosse una cosa

L’Eskrima è adeguata per l’autodifesa, per il combattimento armato e disarmato. Ma il modo di imparare l’Eskrima è differente da altre Arti Marziali. Nell’Eskrima si inizia con le armi, la ragione è molto semplice: quando siete coinvolti in una rissa e dovete lottare per la vostra vita, avete un vantaggio se sapete come maneggiare un’arma, senza che questa sia necessariamente un bastone. Potete usare una varietà di armi che sono legali


da portare ovunque. Come un ombrello, una penna, una borsa, degli occhiali, una sciarpa (Pareo), ecc. Ovviamente non si possono parare i colpi in maniera molto efficace con una sciarpa. Ma potete usarla come elemento di distrazione e colpire l’avversario in faccia e fuggire da lui. Anche un giubbotto è un’eccellente arma di autodifesa, pensate a questa situazione: gettate la giacca sulla testa dell’aggressore e dategli un calcio al ginocchio o all’inguine.

Armi per la strada Per la strada si trovano tutti i tipi di armi a mano. Sassi, bastoni, sabbia, tutto molto efficace. Si può fare buon uso di una bicicletta per l’autodifesa, come scudo tra voi e l’avversario. La pompa della bicicletta è un’arma che si può utilizzare come un bastone da Eskrima. Pensateci, le armi sono intorno a voi. Forse non lo avevate mai fatto. Guardate

in giro quante armi vedete in quel momento. L’unico ostacolo è avere una mentalità ristretta, pensate in grande e date un’occhiata attorno, notate le armi nascoste che vi offre la strada.

Armi in casa vostra Molto spesso le donne mi domandano cosa possono fare se vengono aggredite a casa loro. La mia prima risposta è che dovete sentirvi sicure a casa vostra, ma disgraziatamente a volte succede che dei teppisti di strada entrino in una casa per rubare e spesso picchiare i residenti, se non peggio, anche qui in Olanda. È un bel problema ed è in continua crescita. La mia risposta è, guardatevi in giro per casa e osservate la quantità di armi che ci sono. Coltelli, forchette, pentole, tavoli, sedie, fondamentalmente qualsiasi cosa che potete usare, non ci sono regole per l’auto-protezione, quella dei figli e dei propri cari. Negli USA è permesso l’uso

delle armi da fuoco se uno entra in casa vostra. In Olanda non è consentito possedere un’arma da fuoco, ci sono molte probabilità che andiate in galera al posto dell’intruso. Un buon consiglio è fare un sacco di rumore, per esempio, lanciare un posacenere o un vaso di fiori dalla finestra. Fate più rumore possible, gli intrusi lo temono.

Armi fisse in casa A causa dei miei seminari e corsi istruttori, sono spesso fuori di casa e mia moglie rimane sola con i bambini. Ora vivo in un paesino in cui praticamente non c’è criminalità e non è così necessario nascondere delle armi (non si deve essere paranoici). Ma prima vivevamo in un quartiere con una bella quantità di delitti di droga ed era necessario prendere delle precauzioni. Una di queste fu l’installazione di armi fisse come bastoni e coltelli. Naturalmente, mia moglie Leonora


(filippina) è cresciuta in mezzo alle armi. I suoi fratelli e i familiari praticavano Eskrima. Il bastone e il coltello erano e sono le sue armi preferite. In ogni stanza c’era un’arma nascosta. (I bambini ovviamente non potevano arrivare a queste armi). Per Leonora erano facili da recuperare quando era necessario. Il mio consiglio per Leonora è sempre stato, tutto quanto è lecito, perfino arrivare a misure estreme pur di proteggere se stessa e i bambini.

Più donne nell’Eskrima Sono convinto che l’Eskrima sia una buona Arte Marziale per le donne. Fondamentalmente c’è tutto per la difesa personale. È buono allenarsi con tutti i tipi di armi e prendere coscienza dell’impatto, abituarsi a queste e all’addestramento, sia fisico che mentale. Utilizzando il Pangamot (combattimento totale senza armi) tutte le nozioni acquisite attraverso l’allenamento con le armi, si applicano

senza quest’ultime. Calci bassi all’inguine, ginocchiate, pugni, gomitate, colpi a mano aperta, infilare le dita negli occhi, anche una testata da parte di una donna può essere inaspettatamente efficace. In realtà, tutto il corpo può essere utilizzato per difendersi. Ovviamente, potete allenare l’Eskrima come un’Arte, poichè ha molto da offrire. Pensate alle splendide forme Sayaw e agli Arkos, gli eleganti movimenti di leva e alle tante tecniche di


disarmo che funzionano solo in palestra, o al combattimento col sarong (sciarpa). In definitiva l’Eskrima ha molto da offrire ed è considerata a ragione una delle Arti Marziali più efficaci mai inventate. Per le donne che leggono questo articolo, spero che tutto ciò le attragga e stimoli il loro interesse a conoscere meglio e magari a cominciare a praticare Eskrima. Pensate a tutti i benefici dell’Eskrima come forma estremamente elevata di legittima difesa e da un altro lato a quanto è valida per la salute e il benessere. Tutto quello che dovete fare, è trovare un buon maestro. Lo stile non importa, sempre che vi rendiate conto che quello che s’impara si possa mettere in pratica nella realtà.

Camp di Coltello in Germania Vorrei invitarvi al mio prossimo Camp di Coltello a Bielefeld, Germania, il 16 Maggio di quest’anno. Potrete allenarvi e imparare la difesa contro un coltello, il disarmo da coltello, simulazioni con coltello, coltello contro mano nuda e altro ancora. Coloro che vorrebbero far parte del Sistema di Combattimento Stroeven e fossero interessati a partecipare a corsi istruttori e iscriversi ai Camp o ai seminari, possono contattarmi a HYPERLINK "mailto:sekan@zigoo.nl" sekan@zigoo.nl Auguro a tutti un grande successo nel vostro addestramento e chissà, magari ci incontreremo in uno dei miei numerosi seminari! Siete i benvenuti nel mio mondo, il mondo dell’Eskrima!



Intervista a Michele Panfietti (Presidente Mondiale della W.K.A. e della W.T.K.A. e organizzatore del Festival Dell'Oriente di Carrara e Milano) A cura di Nicola Pastorino & Leandro Bocchicchio


T

ra i molti personaggi incontrati e intervistati durante la recentissima manifestazione “Sport Show Revolution” di Chiuduno (Bergamo), ne abbiamo “catturato” uno di grande rilevanza nel panorama nazionale (e non solo) delle arti marziali. Una persona che con la sua intuizione, frutto di una passione smisurata per le Arti Marziali e la cultura orientale in genere, ha da qualche anno contribuito alla loro diffusione sul territorio nazionale in maniera significativa, oltre che decisamente audace e innovativa. Si tratta di Michele Panfietti, Presidente Mondiale della W.K.A. e della W.T.K.A, ma soprattutto vero e proprio artefice di quello che per numeri e rilevanza è attualmente l'evento sulle Arti Marziali e la cultura orientale più importante in Italia e uno dei più importanti a livello internazionale, il Festival Dell'Oriente. Ci siamo intrattenuti brevemente per una piacevole conversazione nella quale ci siamo fatti spiegare le ragioni del successo di questa manifestazione, cosa ha spinto a

crearla e quali sono i programmi futuri. Abituati a vederlo nello svolgimento delle sue mansioni di organizzatore a Carrara, iperattivo e concentrato affinché tutto si svolga regolarmente, abbiamo approfittato della relativa tranquillità del contesto in cui lo abbiamo intercettato per portarlo ai nostri microfoni e farci raccontare alcuni retroscena della sua avventura di questi anni al timone di un evento partito un po' come una scommessa, ma che ora ha raggiunto una dimensione mediatica pressoché globale. Cintura Nera: Prima di parlare dei progetti che riguardano il Festival dell'Oriente ed altro, ci puoi dire il motivo della tua presenza qua e cosa ne pensi di questo “Sport Show Revolution”? Michele Panfietti: L'evento è sicuramente ben fatto, è una delle nove tappe della nostra “Maratona Marziale” che è il campionato italiano WTKA. Noi ci teniamo molto a promuovere queste iniziative, soprattutto perché siamo

gli unici a mettere insieme diverse arti marziali, diversi stili. Da quando abbiamo iniziato 9 anni fa è stato il nostro biglietto da visita, il nostro marchio di fabbrica, quello di riuscire ad unire e amalgamare arti marziali che prima pareva impossibile potessero collaborare assieme. La nostra è una federazione multidisciplinare, le gare che facciamo sono anch'esse multidisciplinari. Da tutto questo è poi nata la Maratona Marziale e poi il Festival dell'Oriente. C.I.: Parliamo proprio del Festival dell'Oriente, con i suoi numeri sempre più impressionanti e un interesse sempre maggiore, dove si propone di arrivare? M.P.: E' una sfida continua. Caratterialmente cerco sempre di dare il meglio, per la passione che mi brucia dentro. Non è che c'è una meta in particolare, il mio proposito è quello di dare un sempre maggior contributo alla diffusione della cultura delle Arti Marz iali e dell'Oriente. Effett iv amente al mo mento il




Italy News

Festival dell'Oriente è incredibile ma viene considerato l'evento di pro mo z io ne della cultura o rientale più impo rtante al mondo. Addirittura quest'anno sono venute delle delegazioni coreane di ufficiali governativi che organizzano un festival nel lo ro paes e, per lo ro era incredibile che esistesse una manifestazione del genere da noi. Sono venuti, diciamo pure, per imparare ad unificare tutti i vari aspetti culturali così come riusciamo a fare noi. Il Festival di Carrara e di Milano sono arrivati a numeri spaventosi: circa 90 mila presenze in tutto. I mass media presenti sono di livello nazionale (Rai, Mediaset, ecc…) ed inter nazionale ci seguono s empre di più. Ques t 'anno av remo ino ltre un'ulterio re estensione della manifestazione che s i terrà a Ro ma il 30-31 Maggio, l'1 e il 2 Giugno, allo scopo di portare il tutto anche al centro-sud Italia.

C.I.: L'idea di spalmare il Festival su due date e luoghi distinti è fatta in funzione dei numeri di cui parlavamo, oppure è frutto di un progetto ben preciso dell'organizzazione? M.P.: In realtà entrambe le cose. C'è un business plan commerciale, però c'è anche chiaramente il desiderio di espandere su tutto il territorio l'influenza del nostro Festival e dare l'opportunità di partecipare alle tante persone che lo volevano ovunque. Siamo partiti da Carrara, poi ci siamo spostati a Milano e adesso andremo a Roma, è un modo per distribuire il Festival al nord, al centro e al sud Italia. Abbiamo raggiunto una dimensione in cui sarebbe difficile ridurlo a una sola data. Nonostante che Carrara sia un complesso fieristico importante di oltre 45.000mq di superficie, quindi anche per questa ragione abbiamo deciso di dividerlo. Col tempo siamo cresciuti davvero

tanto, ormai le realtà culturali e marziali orientali hanno piacere a venire perché hanno compreso che si tratta di un contesto importante in cui promuovere con serietà la propria attività. Lavorando seriamente curando i dettagli, facendo cose di un certo livello, offrendo spettacoli e c o n f e re n z e d i e n o r m e s p e s s o re , l a g e n t e a p p re z z a s e m p re di più questa manifestazione e capisce che vale la pena visitarla. Per il momento i risultati lusinghieri ci danno ragione. C.I.: A nome di tutti i lettori di Cintura Nera, ti ringraziamo di averci dedicato un po' del tuo tempo e ci auguriamo di riaverti presto ai nostri microfoni. M.P.: Senz'altro! Vi aspetto al Festival per promuovere Cintura Nera e le Arti Marziali cosa che fate anche voi con grande passione ed eccellenti risultati. Grazie a voi!


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Quando il giovane allievo si rivolse al vecchio maestro desideroso di imparare il suo leggendario Kung Fu il saggio rispose: “Non sei ancora pronto! Ti insegnerò le mie tecniche segrete quando riuscirai a sradicare a mani nude questo arbusto di Acero.” Il giovane non perse tempo e si avventò sulla pianticella. Ben presto, cimentandosi nell’impresa si rese conto di essere troppo debole, così con caparbietà continuò a provarci tutto il giorno fino ad essere stremato. Il mattino successivo di buon ora riprese i suoi tentativi e così nei giorni seguenti, ma la pianta, passando il tempo cresceva radicandosi sempre più. Il tenace ragazzo continuò ad aumentare il suo impegno per diversi anni riuscendo in fine a strappare l’Acero dal terreno. Corse dal vecchio reggendo senza sforzo la pianta che ormai era un alberello: “Maestro! Sono pronto ad imparare il tuo Kung Fu.” “Cosa mai posso insegnare io” rispose pacato l’anziano saggio “ad un uomo capace di sradicare un albero dal terreno?” ell’antica Cina i leggendari addestramenti per le Arti Marziali hanno creato una vera e propria iconografia arrivata ai giorni nostri raccontata in innumerevoli pellicole, aneddoti e racconti. Chi non cita almeno una volta il famoso: “metti la cera, togli la cera”, ad oggi “appendi la giacca…” Gli insegnanti ricorrevano ai più disparati attrezzi per sviluppare nei giovani volenterosi doti al limite del sovraumano e, soprattutto, la perseveranza e la tenacia; attrezzi spesso ricavati da oggetti poveri e di uso quotiniano: legni, sassi, mattoni, corde, bamboo ed altro ancora. Un addestramento quasi più psicologico che fisico. Su questo ci hanno divertito personaggi interpretati da JACKIE CHAN, STEPHEN CHOW e tutta la nutrita schiera di attori Honkonghesi. Non di meno gli aneddoti raccontati dal mio maestro sui suoi addestramenti, mi hanno sostenuto nelle fatiche del cammino marziale stimolando con forza la

N

Rubrica periodica a cura di Nicola Pastorino


volontà di migliorarmi; da lui ho appreso la varietà negli addestramenti e l’apertura mentale nella ricerca, oltre all’enorme bagaglio tecnico marziale. Argomento di questo rubrica, che spero si possa replicare a lungo, è la preparazione fisica dei dilettanti che si approcciano alle Arti Marziali senza avere particolari mire agonistiche, persone che arrivano spesso da situazioni di inattività che devono recuperare un armonioso rapporto con le capacità del proprio corpo. In oltre vent’anni di esperienza di insegnamento ho avuto occasione di esaminare un ventaglio piuttosto ampio di tipologie motorie negli allievi; si presentano alle ginnastiche, persone sovrappeso, altri privi totalmente di coordinazione motoria, altri esili ed insicuri, alcuni per diversi mesi non riescono nemmeno a concludere il ciclo di riscaldamento. Ma nel gruppo capita sempre di trovare qualcuno che si iscrive al corso già con un buon livello

sportivo. Come fare per dirigere un riscaldamento che vada bene per tutti? La risposta mi è giunta con l'intensa esperienza di insegnamento nel corso dei piccini, dai 6 ai 12 anni. L’aspetto ludico degli esercizi, e questo vale anche per gli adulti, stimola l’immaginazione del bambino interiore sempre pronto a mettersi in gioco e migliorarsi con simpatica competitività. Ho sempre insegnato nella scuola del Gran Master Sifu Paolo Cangelosi, dove per tradizione si dirige la ginnastica solo per i primi due anni dopo di ché l’allievo si deve autogestire la preparazione fisica in base all’esperienza maturata in questa fase iniziale. Pertanto ho sempre cercato di dirigere le lezioni di ginnastica mostrando un ampio bagaglio di esercizi e metodologie, allo scopo di formare in modo ricco il praticante che si prenderà presto la responsabilità di scegliere l’allenamento che maggiormente gli si confà.

Gli obbiettivi a mio avviso prioritari della ginnastica preparatoria nelle Arti marziali sono: agilità, velocità ed esplosività, flessibilità muscolare e mentale, equilibrio, colpo d’occhio, sensibilità e dimestichezza nel contatto fisico con gli altri. Un marzialista serio deve sapersi districare da situazioni difficili, magari su terreni sconnessi o in ambienti ingombri di cose e persone, per questo cerco spesso di creare situazioni difficili, imprevedibili che richiedono reazioni muscolari con tipologie diverse come ad esempio saltare improvvisamente in alto o balzare di lato, abbassare la posizione flettendo le gambe, recuperare l’equilibrio guardando verso l’alto, effettuare avvitamenti e rotazioni rapide, capriole o camminando a quattro zampe. Nel caso di una preparazione agonistica, entrano in gioco importanti fattori mirati al tipo di incontro che si deve affrontare, ad esempio per un incontro FULL CONTACT occorre


Kung Fu

stimolare il tono cardiovascolare per ottenere resistenza agli sforzi prolungati, ed un buon condizionamento per incassare i colpi, mentre in una gara di LIGTH CONTACT, sarà più importante ottenere velocità e precisione tecnica. Un buon supporto musicale aiuta a superare la fatica stimolando l’aspetto ritmico del movimento. Le sessioni di fitness aerobico usano una base musicale che gira intorno alle 125-135 battute per minuto (BPM), ritmo valido per uno sforzo leggero e mantenuto a lungo, difatti la maggior parte della musica House da discoteca usa questa velocità per consentire ai clienti di ballare a lungo senza stancarsi eccessivamente. La nostra ginnastica non è fine a se stessa ma preparatoria alla pratica dell’arte marziale, sarà quindi nostro obbiettivo portare gli allievi ad un picco cardiovascolare che si esaurirà in una ventina di minuti, alternato a fasi di recupero che dovranno essere rapide e ben gestite. Per questo scopo la nostra colonna musicale dovrà raggiungere i 180 BPM; a tale scopo preferisco usare generi come la DRUM AND BASS, la JUNGLE, o la GOA TRANCE o usare sonorità tribali di incitamento come ad esempio i percussionisti japponesi KODO, molto divertenti sono anche le sonorità balcaniche sullo stile BREGOVICH. Nella scelta della colonna sonora bisogna tenere presente qualche minuto di intro tranquillo per le fasi iniziali di respirazione e scioglimento. Un altro aspetto importante da curare è la posizione dalla quale dirigere la seduta di riscaldamento, personalmente preferisco sistemarmi al centro di un

lato lungo per avere un fronte più ampio di allievi. Nel caso la palestra fosse dotata di una parete specchiata mi trovo meglio orientando il gruppo in modo che questa risulti alle spalle degli allievi, ottenendo un duplice scopo: evitare che si distraggano perdendo la concentrazione guardando gli altri ed osservarmi durante l’esecuzione degli esercizi per controllarne la precisione. Inoltre è bene che il gruppo non abbia sottocchio l’orologio in modo che la loro attenzione non sia condizionata dalla misura del tempo; la sessione di allenamento deve essere vissuta come una sorta di trance dove gli esercizi travolgono e trascinano i praticanti al di là della loro volontà e presunti limiti fisici. Il mio Maestro ha sempre affermato che un insegnante professionista, quando dirige un gruppo nella ginnastica deve preoccuparsi che gli allievi eseguano bene gli esercizi e non sfruttare la seduta per un riscaldamento personale come spesso succede agli istruttori principianti che arrivano in palestra pochi minuti prima della lezione dopo una giornata di lavoro o di studio. Questo non significa che un istruttore debba starsene a braccia incrociate e dare solo dei comandi. Normalmente

quando termino di dirigere una ginnastica sono sempre più sudato di tutti gli altri. Le prime volte, di fronte a gruppi di quaranta o cinquanta persone, facilmente venivo trascinato dall’emozione esagerando nel cercare di dare molta più energia di quanta potessi fare normalmente. È una questione di adrenalina, trovarsi di fronte a tanti volti che ti osservano aspettandosi uno stimolo può facilmente generare una sorta di ansia da palcoscenico; si può arrivare a superare i propri limiti rischiando di farsi male o di perdere il gruppo per strada eseguendo esercizi troppo complicati con il risultato di traumatizzare la maggior parte degli allievi. È anche vero che sperimentando in prima persona l’esecuzione della routine di allenamento si percepisce meglio il dispendio energetico e il carico muscolare riuscendo così a dosare le


serie di ripetizioni ed i momenti di recupero. Inoltre la figura del trainer deve anche dare uno stimolo energetico dimostrando bravura per incitare il gruppo ad imitarlo e raggiungerlo: bisogna in qualche modo guadagnarsi la stima degli allievi per aumentarne la fiducia. Con l’esperienza si trova il giusto equilibrio di presenza fisica e distacco professionale, si impara ad incitare gli allievi non solo con l’esempio ma anche con i comandi verbali; non è facile durante una sessione di slanci o saltelli mantenere il giusto controllo della respirazione se nel frattempo si scandiscono i comandi, magari contando in cinese: bisogna imparare ad abbinare l’emissione del suono con l’espirazione energica. L’uso di una lingua straniera possibilmente legata alla regione d’origine dell’arte che si stà insegnando, a mio avviso è importante per diversi fattori: crea fascino e senso di appartenenza ad un gruppo speciale, evoca il luogo di origine dell’arte, mantiene necessariamente una attenzione logica e mnemonica che unisce il lavoro del corpo con quello della mente favorendo l’obbiettivo principale delle discipline orientali di presenza totale e consapevolezza nei gesti, inoltre spesso i comandi che si impartiscono sono più secchi e brevi e sviluppano bene la reattività a stimoli esterni fondamentale in combattimento. Bisogna anche fare i conti con i propri acciacchi personali, ad esempio qualche tempo fa, mi sono procurato un leggero ma profondo trauma tendineo sull’inserzione prossimale del grande gluteo che non sono riuscito a recuperare per un lungo periodo perché facevo due ginnastiche e quattro lezioni al giorno. In casi come quello, bisogna convivere con il dolore e dosare gli esercizi con molta attenzione. Molto importante è l’osservazione della classe, non perdere di vista il volto degli allievi durante lo sviluppo


Kung Fu

dello sforzo per prevenire mancamenti dovuti da iperossigenazione, calo di zuccheri, digestione in atto. Alcuni esercizi si possono mostrare direttamente eseguendoli, mentre altri, più complessi o delicati, avranno bisogno di essere anticipati con una spiegazione chiara e semplice. Se la seduta è accompagnata dalla musica, è bene avere a portata di mano il controllo del volume per abbassarlo durante la spiegazione degli esercizi. In alcuni esercizi indicherò la frase migliore da usare per spiegare l’esercizio in modo veloce ed efficace. In questo prima puntata della mia rubrica, voglio illustrarvi un sistema abbastanza economico e al contempo molto versatile per attrezzare la vostra palestra: LIN SHU: “il boschetto di Bamboo” Appendendo un paio di reti elettrosaldate in tondino da 6mm a maglia 20x20, ai tiranti del soffitto del mio capannone, ho creato il supporto ideale per il nostro boschetto. Considerando che il supporto sia posto a circa 3 metri da terra, basterà procurarsi una trentina di canne di bamboo da cm 250 diametro cm 2,5/3, forarle sull’estremità più piccola ed inserirci un filo di ferro abbastanza robusto da essere attorcigliato e curvato a formare un gancio. Il gioco è fatto, in 5 minuti il boschetto si monta e si smonta. Le canne possono essere disposte in vari modi per utilizzi diversi, ad esempio potremmo fare un

boschetto casuale, una linea retta, o delimitare aree precise. A questo punto è solo un problema di fantasia, comunque vi do qualche suggerimento: gincana libera: inserendo il boschetto nel percorso di un riscaldamento con corsetta, costringeremo i ragazzi a scegliere sempre percorsi diversi schivando le canne durante la corsa. Il grande vento: ogni tanto l’istruttore passa nel boschetto spingendo le canne per farle oscillare, così l’impegno nelle schivata sarà ancora più alto Prede e predatori: dividendo in due il gruppo creeremo due file di cui quella delle prede sarà più vicina al boschetto per avere un ragionato vantaggio. Al comando i primi delle due file scatteranno e il predatore cercherà di toccare la prede prima che questa esca dal boschetto. Il tutto cercando di evitare le canne. Ad ogni giro ognuno cambierà fila provando entrambi i ruoli. Combattimento tra le canne: questa volta si attraversa il boschetto in coppia, scambiandosi leggeri colpi e parate di sole braccia, cercando di usare le canne come ostacolo a proprio vantaggio. Target dinamici: applicando un sottile strato di gommapiuma o neoprene coperto da nastro adesivo nero a diverse altezze su alcune canne, si creano dei target che dovranno essere colpiti con forza moderata con tecniche a scelta di mano mentre si attraversa il boschetto

Recinti di combattimento: si possono creare un paio di recinti dentro ai quali una coppia si sfida spingendosi e tirandosi, ma senza usare colpi (tipo Tui Shou del Tai Chi), chi tocca le canne viene sostituito da un altro degli allievi che nel frattempo continuano la loro corsetta di riscaldamento intorno Troppi nemici: con un unico recinto largo, una persona al centro deve schivare o proteggersi dalle canne che vengono spinta da un paio di compagni che passano a tur no intor no al boschetto, Assicuratevi che non spingano le canne con troppa veemenza, per evitare incidenti. Questi erano alcuni esempi della versatilità di un simile attrezzo che, come avrete capito si presta ad innumerevoli addeestramenti. Date un’occhiata al video pubblicato nella sezione streaming TV di marziale network, e non perdetevi le altre puntate della mia rubrica. Nel caso che vi piaccia questa idea e vogliate realizzarne uno nella vostra scuola non esitate a contattarmi se avete bisogno di ulteriori spiegazioni, lo faccio volentieri. Anzi mandatemi foto e video che le pubblicheremo nei prossimi numeri di CINTURA NERA e nel canale streaming TV di MARZIALE NETWORK. http://www.marzialenetwork.info/# !warm-up-creativo-1/c1vdt Se questo articolo vi è piaciuto cliccate “mi piace” su: https://www.facebook.com/marzial enetworkitalia?ref=hl


Krav Maga

Krav Maga RED e gli sport da combattimento Al gior no d’oggi gli sport da combattimento sono più importanti che mai. Gli ultimi 15 anni hanno visto la nascita delle MMA che hanno messo in discussione molte certezze nel mondo delle arti marziali. Nel frattempo, il numero di professionisti è andato aumentando grazie all’entusiasmo per alcune discipline, anche in un contesto “mondiale” in cui è necessario sapere come difendersi. Il Krav Maga è una di quelle discipline di “moda”, poiché privilegia il riflesso e la rapidità di acquisizione di semplici mezzi per l’autodifesa. Tuttavia, così come si insegna nella nostra società moderna, esso ora è sottoposto a un cambiamento necessario per mantenere la sua efficacia, passando dalla condizione di “Close Combat”, che si impartiva in 3 o 4 settimane ai soldati che avevano bisogno di disporre di alcune basi di semplice combattimento per far fronte a uno scontro corpo a corpo, a quella di disciplina “sportiva” insegnata durante l’anno in alcune

strutture e adesso destinata al 90% a un pubblico civile. Questo ha portato molte persone a modificare e ad arricchire il contenuto del Krav Maga originale. Il KMRED è stato costruito anche pensando e mescolando i diversi approcci del Krav Maga concepiti in questi ultimi 10 anni. Ma c’è un punto su cui insistiamo. Si tratta dei concetti basilari di cui deve disporre il praticante di Krav Maga moderno. Infatti, crediamo che le rivoluzioni sperimentate dalle arti marziali e dagli sport da combattimento con l’avvento delle MMA, debbano riflettersi nell’ambiente del Krav Maga. Senza rompere le basi del Krav Maga originale, quest’ultimo deve diventare una sorta di MMA della difesa personale. E quale miglior modo di sviluppare questa disciplina se non quello di ampliare le conoscenze dei praticanti ai quali è stato dimostrato. Le esperienze accumulate nelle modalità di combattimento sportivo e negli attacchi a mano nuda o armata non sono mai state così numerose. Pertanto, abbiamo il dovere di appoggiarci ad esse per fare evolvere il nostro Krav Maga e non essere superati da nuove realtà!



Krav Maga

Il KMRED da un ruolo importante al corretto apprendimento di tutte le tecniche di percussione estratte, ad esempio, da discipline come la Boxe inglese, la Boxe Thailandese, così come delle tecniche degli sport da presa come il Judo o la Lotta, per costruire un solido bagaglio tecnico per i s uo i prat icanti. Co s a c’è di meglio in combattimento, che saper gestire una distanza e portare dei diretti della Boxe inglese, cosa c’è di meg lio che s aper co nt ro llare una gomitata o una ginocchiata della Thaiboxing, o del proiettare, cadere o lottare a terra come un judoka o un praticante di Jiu Jitsu, o cosa c’è di meglio, infine, che disporre – e questo è molto importante – di una mente a pro v a di t u t t o co me qu el l a di u n “commando di èlite”? Una volta acquisite le basi solide, il nostro programma prevede di applicarle in un lavoro del “combattimento” per portare il praticante verso la “realtà”, all’apprendimento dei colpi e alla complessità della gestione di un conflitto. Quando un lottatore entra sul ring, sul tatami o nella “gabbia”, deve

gestire le sue paure, le sue insicurezze, lo stress e metterli da parte per affrontare il suo avversario. Il KMRED possiede un programma che consente agli allievi di sperimentare tutto questo, allo scopo di prepararsi al “combattimento” con l’unica differenza che, per la strada, non ci sono ne regole, ne arbitri. Il praticante di Krav Maga moderno, così come lo concepiamo nel KMRED, deve avere un arsenale completo, considerando sia il lavoro di percussione, che la lotta, il lavoro in piedi e a terra, ma tenendo conto che non si tratta di uno sport, ma della propria difesa e che lo scontro non deve durare. I suoi pogressi devono soltanto permettergli di uscire da una situazione difficile o aiutare una persona con dei problemi. È per quello che tutti i maestri KMRED sono, oltre che esperti di Krav Maga, praticanti, combattenti e anche insegnanti di sport da combattimento, e la maggior parte sono anche persone che sono state dei professionisti della sicurezza e dispongono di una vasta esperienza nei “conflitti reali”.



ANDREAS HOFFMANN: CINTURA NERA 3째DAN


N DI BRAZILIAN JIU JITSU

RAPPRESENTANTE UFFICIALE IN GERMANIA DI RICKSON GRACIE, 1994-2000

Quando il primo Ultimate Fighting Championship (UFC) si svolse a Denver il 12 Novembre del 1993, quest’evento richiamò l’attenzione di tutto il mondo delle Arti Marziali verso un nuovo stile allora sconosciuto, il Brazilian Jiu Jitsu della famiglia Gracie.


“Figlio di Helio Gracie, il fondatore dello stile, Rickson imparò il Jiu Jitsu fin dalla culla ed è cresciuto con le Arti Marziali” Gli atleti di Brazilian Jiu Jitsu batterono tutti i loro avversari di qualsiasi stile con facilità, obbligandoli alla resa. Nel 1994 venni invitato negli USA per insegnare Weng Chun Kung Fu. Sfruttai l’opportunità e chiamai Rickson Gracie, il miglior lottatore della famiglia Gracie, per organizzare un confronto amichevole. Ero curioso di vedere se riusciva a battere anche me. Negli ultimi dieci anni nei quali avevo imparato le Arti Marziali in Cina, era pratica comune visitarsi reciprocamente e fare un pò di allenamento in modo amichevole, secondo la tradizione dei “cavalieri erranti” che viaggiavano per perfezionare la loro Arte Marziale. Con questo spirito avevo intenzione di mettermi alla prova con atleti del UFC. Al mio arrivo a Los Angeles fummo accolti all’aeroporto da Rickson e sua moglie Kim Gracie e ci portarono a casa loro, una bella residenza in Pacific Palisades, accanto ad alcune stelle del cinema. Egli mi invitò nel suo leggendario “garage”, dove molte stelle conosciute della scena delle Arti Marziali come Paul Vunak o Fabio Gurgl si erano allenati. Cominciammo a combattere in piedi in maniera molto rispettosa: Rickson portava dei calci laterali, cercando di frustrare i miei calci e

pugni e di chiudere la distanza al momento opportuno. Attraverso il controllo della distanza che già conoscevo dal Weng Chun Kung Fu e durante il combattimento rilassato e lento, riuscii a neutralizzare le sue tecniche di proiezione. Dopo decidemmo di cominciare a lottare in una posizione in ginocchio e senza pugni. Fu li che iniziò davvero a sorprendermi. Pur provando a fare qualcosa, lui stava utilizzando la mia forza, cercando di obbligarmi ad arrendermi. Persino quando lasciò libere le sue braccia, non avevo nessuna possibilità mentre lottavamo a terra. Fu una cosa incredibile e mi resi conto che dovevo imparare anche questo. Così organizzammo la sua prima lezione privata. Dopo il combattimento, mi invitò nella sua piscina. Insieme a sua moglie e i suoi 4 figli, Rickson Gracie si mise comodo nella sua casa di campagna nell’assolato stato della California. Si allenava ed insegnava nel suo garage e in palestra, ma quando le onde erano buone, mollava tutto e andava a fare surf. All’interno della famiglia Gracie, viene considerato il campione dei campioni, un Maestro tra le cinture nere. In Brasile e nel mondo, ha difeso e protetto con successo il prestigio



della famiglia, anche contro gli avversari più pericolosi. Dopo la sua vittoria su Zulu, il campione brasiliano di Vale Tudo che era rimasto imbattuto per 120 match, Rickson divenne una stella in tutto il Brasile. Figlio di Helio Gracie, il fondatore dello stile, Rickson imparò il Jiu Jitsu fin dalla culla ed è cresciuto con le Arti Marziali. Aveva sei anni quando cominciò la carriera nei campionati e a 15 anni iniziò a insegnare. All’età di 18 anni ottenne la sua cintura nera e da allora partecipò a oltre 400 combattimenti, sia nel Jiu Jitsu, che nel Sambo o Judo, così come alle competizioni di Ultimate Fighting, o a risse di strada alla luce del giorno. Le mie lezioni di allenamento con Rickson cominciarono il giorno seguente. Iniziò con un tipo

di riscaldamento abbastanza particolare, una speciale combinazione che consisteva in respirazione, resistenza, stretching e esercizi di equilibrio, adattamenti degli esercizi basilari del Brazilian Jiu Jitsu, così come dello Yoga. Quest’ultimo sistema è diventato assai conosciuto nella sua forma più avanzata chiamata ginnastica Naturale, che venne sviluppata dall’amico di Rickson, Alvaro Romano. Rickson non solo mi stupì come lottatore, ma anche come istruttore e non fu soltanto per la maniera di insegnare Arti Marziali, ma anche perchè insisteva molto nel trattare temi come un’alimentazione equilibrata, yoga, esercizi di respirazione, spiritualità e anche il “controllo emozionale”. Il suo “controllo emozionale” divenne particolarmente famoso per il successi di Holliwood, “L’incredibile Hulk”, dove Rickson operò come Maestro D’Armi del protagonista Bruce Banner/Hulk e gli insegnò anche il “controllo emozionale” – tecniche di respirazione, oltre a metterlo alla prova prendendolo a schiaffi sulla faccia. (Continua…)

“Rickson non solo mi stupì come lottatore, ma anche come istruttore e non fu soltanto per la maniera di insegnare Arti Marziali, ma anche perchè insisteva molto nel trattare temi come un’alimentazione equilibrata, yoga, esercizi di respirazione, spiritualità e anche il “controllo emozionale”



AUTORE: B. RICHARDSON

AUTORE: SALVATORE OLIVA

REF.: DVD/TV2

REF.: DVD/SALVA • DVD/SALVA2 • DVD/SALVA3 TITOLO: KNIFE FIGHTING: • DVD/SALVA4 • DVD/SALVA5 TITOLO: PROFESSIONAL • DVD/SALVA6 FIGHTING SYSTEM: • DVD/SALVA6 TITOLO: PROFESSIONAL • DVD/SALVA7 FIGHTING SYSTEMKINO MUTAI:

REF.: DVD/BL

TITOLO: J.K.D. STREET SAFE:

TITOLO: BRUCE LEE: L’UOMO E LA SUA EREDITA

AUTORE:RANDY WILLIAMS

AUTORE:JOAQUIN ALMERIA

REF.: DVD/ALM2 TITOLO: JKD TRAPPLING TO GRAPPLING

TITOLO: HOMENAJE A BRUCE LEE AUTORE: TED WONG & CASS MAGDA

REF.: DVD/ALM3 REF.: DVD/ALM4 REF.: DVD/RANDY1 REF.: DVD/RANDY2 TITOLO: WING TITOLO: WING TITOLO: FILIPINO TITOLO: STREETCHUN KUNG FU: CHUN KUNG FU: MARTIAL ARTS FIGHTING! SIU LIM TAO CHUM KIU JEET KUNE DO

TITOLO: JKD STREET DEFENSE TACTICS: TITOLO: EXPLOSIVE DUMOG TITOLO: JKD STREET TRAPPING”

inglés/Español/Italiano inglés/Español/Italiano

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TITOLO: JEET KUNE DO BRUCE LEE’S YMCA BOXING

REF.: DVD/YAW2 TITOLO: YAWARA KUBOTAN AUTORE: MASTER PEREZ CARRILLO

TITOLO: JKD EFS KNIFE SURVIVAL AUTORE: ANDREA ULITANO

REF.: DVD/DP1 TITOLO: 5 EXPERTS - EXTREME STREET ATTACKS AUTORI: VICTOR GUTIERREZ, SERGEANT JIM WAGNER MAJOR AVI NARDIA, J.L. ISIDRO & SALVATORE OLIVA

AUTORE: BOB DUBLJANIN

TITOLO: JEET KUNE DO ELEMENTS OF ATTACK

REF.: DVD/SILAT3

TITOLO: JEET KUNE DO

DVD/RANDY4 TITOLO: CONCEPTS & PRINCIPLES

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TITOLO: JKD “EL CAMINO DEL PUÑO INTERCEPTOR”

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AUTORE:TIM TACKETT

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INGLES

ALTRI STILI

REF.: DVD/JKDTIM2

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TITOLO: THE WOODEN DUMMY INGLES/ITALIANO

TITOLO: PENTJAK SILAT

REF.: DVD/SILAT4

REF.: DVD/BURTON REF.: DVD/BURTON2 TITOLO: JEET KUNE TITOLO: JEET KUNE DO UNLIMITED DO UNLIMITED

TITOLO: TITOLO: ESPADA Y DAGA BUKA JALAN SILAT





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COREOGRAFIE DI AZIONE MADE IN HONG KONG & AMERICA Spettacolarità contro Credibilità In passato gli americani non credevano nella continuità e nella spettacolarità, preferivano basare le proprie idee coreografiche su qualcosa di più reale e credibile. Ma a metà degli anni ’90, quando Jackie Chan irruppe con “Terremoto nel Bronx”, il pubblico americano iniziò ad accettare combattimenti più lunghi e spettacolari. Per esempio, se paragoniamo “Senza esclusione di colpi” di Van Damme, vedremo che è pieno di colpi micidiali e nitidi, mentre in “Hong Kong colpo su colpo” ci sono combattimenti già più complicati ed elaborati. Il mercato americano per molto tempo mantenne i riferimenti che Bruce Lee lasciò negli anni ’70, ovvero, spettacolarità con un movimento principale e poca sequenzialità. L’idea generale è che il buono colpisce e il cattivo subisce, non c’è molto più di questo. I cinesi e in special modo Jackie Chan, svilupparono uno stile che non da respiro, movimenti, cadute, incassare e colpire allo stesso momento, poi una scena in cui l’attore si gioca letteralmente la vita seguita da un’altra lotta frenetica, che al solo pensarci ti stanchi… La differenza sta nella dedizione che viene investita nelle sequenze di combattimento, se a Hong Kong ci volevano 3 mesi per realizzare una coreografia d’azione, negli USA ci mettevano soltanto 3 giorni.



Cinema Marziale

Immagine & abilità marziale

Continuità nelle scene

Un altro aspetto significativo è che negli USA (possiamo dire in tutto l’Occidente) si presta più attenzione all’immagine che alle capacità, per cui un attore che “sembra” un fighter è il protagonista e poi c’è una controfigura o stuntman che ricrea le scene pericolose. La massa muscolare, i lineamenti del viso sono le cose più importanti nel momento di scegliere un attore, la sua abilità marziale rimane in secondo piano. In Asia non è esattamente così, si può vedere un protagonista fuori forma fisica, come Sammo Hung, ma le sue qualità marziali sono sempre di alto livello. Personalmente ho avuto la fortuna di lavorare in diverse produzioni asiatiche e americane (o per il mercato internazionale), la verità è che se in America ci sarà un tutor che ti assiste nella recitazione, che starà li cercando di farti esprimere al massimo le tue emozioni, in Asia ci sarà un maestro d’armi e il suo team di professionisti che non tralasceranno nessun dettaglio nelle sequenze d’azione.

Un altro dettaglio a livello cinematografico è la continuità filmica; quando si filma una scena, poi ne abbiamo una seguente che deve dare l’idea che tutto avvenga nello stesso momento. Le produzioni occidentali hanno di solito una donna che è incaricata di fare solo questo ed è la figura denominata Segretaria di Edizione. E perché sempre una donna? Per il semplice fatto che sono più attente ai particolari degli uomini, notano tutto, i costumi, come si muove ogni attore, che piede ha utilizzato per primo per salire una scala, in quale parte del corpo è stato colpito e che mano ha appoggiato a terra quando ha perso l’equilibrio, tutto minuziosamente dettagliato per non perdere la continuità; anche così ci sono sempre dei particolari che sfuggono alla vista di tutti e una volta terminata la pellicola, diventano perle per gli appassionati del mondo della celluloide. Nelle produzioni asiatiche non ho mai visto Segretarie di Edizione, e so di molti attori occidentali che hanno un sacco


Cinema Marziale di problemi quando si trovano a girare, poiché gli stessi registi non prestano la minima attenzione a queste cose. In quanto ai combattimenti credo che la continuità non sia tanto importante, le produzioni fuori dell’Asia le danno una tale rilevanza da farli apparire, in alcuni casi, addirittura statici quando la sequenza viene montata. Peraltro gli asiatici hanno uno stile di montaggio che può fare miracoli con un attore in là con gli anni e con poca esperienza in scene di combattimento. Tenendo a mente ciò, osserviamo un altro dettaglio cruciale: la posizione della macchina da presa.

Angoli di ripresa Il Cinema asiatico è specializzato nel mostrare l’azione in una maniera diversa e se al montaggio ci aggiungiamo gli insoliti angoli di ripresa, avremo delle scene d’azione frenetiche dallo stile unico. A Hollywood l’azione è in funzione di dove si trova la macchina da presa, sembra che tutto si muova attorno alla sua posizione… D’altra parte a Hong Kong, per esempio, la camera si posiziona secondo l’azione realizzata.

Yuen Woo Ping è uno specialista in questo senso e forse il suo contributo più significativo per il pubblico occidentale è stato in Matrix, dove ha integrato oriente e occidente in scene che hanno segnato un prima e un dopo, unendo la più avanzata tecnologia digitale dell’epoca, a eccezionali sequenze di combattimento.

Velocità Cinematografica Questo è un aspetto cruciale nelle scene di lotta, gli orientali preferiscono aggiungere velocità ai combattimenti, al contrario gli occidentali sono adepti del rallenty… Come esempio posso citare i film di Jackie Chan realizzati in Asia, che possiedono una velocità e una sincronizzazione incredibile e le sue produzioni americane sono un po’ più “credibili” quando i movimenti hanno

una velocità considerevole. Può darsi che sia a causa della sua età, JC ha quasi 60 anni, ma continua ad appassionare i suoi fans. Un chiaro esempio di produzioni in cui si utilizzano scene al rallentatore per esaltare la spettacolarità, sono niente meno alcuni dei film di Van Damme. “Senza esclusione di colpi” contiene molte scene rallentate per consentire di far risaltare al massimo le tecniche di calcio di JCVD. Un'altra stella, stavolta femminile, che brillava per la sua abilità negli USA e a Hong Kong è Cynthia Rothrock, e se paragonate le pellicole prodotte nel sudest asiatico vedrete scene impressionanti, mentre nei suoi lavori all’interno dei confini americani la qualità non è la stessa. Possiamo dire che la mentalità americana si riflette nel far capire allo spettatore tutto quello che succede, fin da subito, durante un combattimento,

dove ci sono impegno e slow-motion per consentire una facile lettura delle azioni. Al contrario a Hong Kong, si creano azioni frenetiche che sono continue e di grande impatto, e spesso bisogna guardare i combattimenti più di una volta per catturare ciascuno dei movimenti realizzati.

West vs East Personalmente ho lavorato in entrambe le industrie e si può dire che sono un po’come l’acqua e l’olio per certi aspetti. Da un lato a Hong Kong abbiamo coreografie dettagliate con movimenti che devono essere precisi e nella giusta angolazione in relazione al punto di ripresa. Questo è ciò che ho sperimentato lavorando con Anthony Szeto in “The Fist of the Dragon”, film che ancora


non è uscito di cui è disponibile il trailer su internet. Mentre negli USA si fanno riprese in condizioni eccellenti, con un catering che non si trova in Cina o ad Hong Kong, ma a livello di coreografie è tutto assoggettato ai tempi e alla visione del regista, senza prestare molta attenzione ai dettagli a livello marziale o di angolazione di ripresa. Attualmente in Cina si sta iniziando a fare delle co-produzioni con gli USA e altri paesi occidentali, forse in un futuro non molto lontano potremo apprezzare dei film che integreranno perfettamente questi due stili così particolari di fare cinema come in Oriente e in Occidente. Andrew Dasz Attore/Coreografo d’azione andrewdasz@facebook.com andrewdasz@gmail.com http://www.imdb.me/andrewdasz http://www.facebook.com/andrewdasz? http://www.alivenotdead.com/AndrewDasz


Fu Shih Kenpo Fu-Shih Kenpo e il suo legame con il KOSHO SHOREY – RYU KENPO

Kenpo significa “la legge del Pugno”. E’ un’arte marziale che ricerca lo sviluppo dell’essere umano in tutti i suoi aspetti (fisico, mentale e spirituale). Persegue la conoscenza interiore, l’equilibrio, l’armonia e una convivenza pacifica e rispettosa con tutti gli esseri che ci circondano e ci accompagnano lungo il nostro cammino. Il Kosho Shorei Ryu Kenpo è diviso in due rami differenti che di per se sono già delle arti, quello spirituale e le tecniche pugilistiche, che non possono essere studiati separatamente. Le arti fisiche sono divise in tre sistemi di combattimento indipendenti che sono “l’arte della guerra del

tirare e spingere, i colpi alle estremità; non sono tecniche letali anche se efficaci per controllare un avversario senza danneggiarlo più del necessario. - La vera difesa personale si basa su tecniche di salto e spostamenti in corsa, oltre ad insegnare l’utilizzo di qualsiasi oggetto per la difesa. L’ordine di apprendimento del sistema Kosho inizia dall’insegnamento delle arti spirituali e successivamente, quando l’allievo è preparato, si passa alle tecniche fisiche. La ragione di tale ordine risiede nell’idea che in caso di uno scontro reale, l’allievo anteporrà la sua arte spirituale alle tecniche fisiche più micidiali. In questa maniera si capisce che sta mettendo in pratica il vero senso del concetto del Kenpo Kosho. La vera Difesa Personale è l’arte dell’anticipo, del prevenire le situazioni di pericolo ed evitarle. La più grande e vera autodifesa è vivere e modellare intorno a noi un mondo di pace e armonia. Ma in caso di necessità, in una situazione di grande pericolo per la vita, si è perfettamente allenati per respingere l’aggressione e applicare tecniche devastanti e letali per l’incolumità fisica dell’aggressore. Nell’aspetto fisico, uscire vittorioso nella Difesa Personale è l’essenza dell’arte del Kenpo. Nella Difesa Personale si vince con il ritmo che nasce dal vuoto, con la cadenza che nasce dall’intelligenza e con la conoscenza del ritmo dell’avversario. Ma danneggiare, ferire o uccidere non è il cammino dell’umanità. La parte interna, il vero spirito del Kenpo, è radicato nell’umiltà, nella semplicità e nel perenne autocontrollo. Essere umile significa essere rispettoso, responsabile e giusto con

nostra mente per agire e valutare rapidamente ed essere sempre in allerta. L’arte del Kenpo è un aiuto inestimabile nella nostra vita quotidiana. Il vero praticante di Kenpo deve possedere uno spirito grande e aperto, essere paziente umile, sobrio e mostrare un’assoluta calma interiore. Deve continuamente allenare il suo spirito nella strategia e nella tattica. Deve ricercare la semplicità che è la chiave della maestria, la perfezione, la purezza, la sincerità e la dedizione in ciascuna tecnica, in ogni movimento, in ogni gesto. Si deve interiorizzare la tecnica fino al punto da farla sgorgare dall’inconscio come fosse un movimento naturale. Colui che riesce a dominare il potere di ciò che è naturale, sarà padrone di qualsiasi situazione. Per questo motivo la tecnica non deve essere una routine meccanica, perché così limitiamo la nostra mente e questa limitazione rende rigidi e carenti di spirito. L’allenamento costante deve essere una parte normale della vita perché il corpo e lo spirito rimangano imperturbabili e in allerta in qualsiasi situazione. “Allenati ogni giorno con l’illusione, la dedizione, l’entusiasmo e lo spirito del tuo primo gior no. Vivi ogni allenamento come se fosse l’ultimo della tua vita e lavora come potessi vivere in eterno”. Ricorda che il vero guerriero deve sconfiggere un solo nemico: se stesso. Il cammino del guerriero è la libera via della conoscenza, senza aggrapparsi a nulla e a nessuno. Questa è la via del puro e autentico Kenpo. Ognuno scolpisce la propria

Monastero Kosho-Ji”, “le arti simmetriche” e “l’arte della vera difesa personale”. - L’arte della guerra del Monastero Kosho-Ji, comprende le tecniche di base di attacco con pugni, calci, mano aperta, punta delle dita, gomiti, ecc. oltre all’aspetto formale del “kata”. Con suddette tecniche si cerca di colpire nei punti vitali con l’intenzione di danneggiare e eliminare un possibile avversario. - Le arti simmetriche si riferiscono all’insegnamento delle tecniche di

gli altri e con se stessi. La persona umile non si abbassa davanti a nulla, ma non permette nemmeno che qualcuno si abbassi dinnanzi a lei. La pratica persistente e continuativa del Kenpo migliora la salute, aumenta la longevità e non è pericolosa per i praticanti. Non importa chi lo pratica, che sia uomo o donna, giovane o anziano, debole o forte. Bisogna sempre preservare le proprie risorse fisiche e utilizzare la forza e l’energia in modo economico. Il Kenpo sviluppa l’autostima, affina i nostri sensi e la

strada. La strada è nel nostro cuore, nella fonte della nostra coscienza, nel nostro spirito. Trasformare il cuore dell’universo nel proprio è la via del guerriero. Il Kenpo si pratica anche come sport, ma bisogna sempre tener presente la filosofia del vero e originale Kenpo. Per padroneggiare l’arte del combattimento si deve andare in profondità nella filosofia, senza spirito. La forza del corpo e la maestria della tecnica non sono niente senza la vigilanza dello spirito.

LA TECNICA: Il Kenpo Kosho basa la sua efficacia tecnica sull’utilizzo degli Atemi, o colpi, ma è ricco di sistemi di proiezioni e atterramenti, un settore molto ampio nel Kosho Shorei Ryu e molto complesso come nell’Aikido o nel Ju Jitsu che sono alcuni dei “Concetti” basilari su cui si fonda il sistema. In sicurezza grazie all’arte di alto livello del “non-conflitto”, si utilizzano quelli che vengono denominati “colpi femminili” e “parate femminili” (Onna No Atemi). Parate e colpi che sono realizzati solo per provocare una data intensità di dolore e confusione, senza fare troppi danni.

FILOSOFIA E SPIRITO DEL KENPO KOSHO-RYU:


Grandi Maestri E’ necessario mantenere uno spirito imparziale, equilibrato, giusto, comprensivo e accondiscendente in qualsiasi situazione. Un vero maestro di Kenpo lotta sempre per la giustizia, sebbene le circostanze siano avverse. Vincere o perdere, o confrontarsi con gli altri usando alcune tecniche, non è vero Kenpo. Il traguardo non consiste nel vincere o nell’essere vinto ma nel raggiungere la perfezione e la semplicità in ciascuna tecnica e in ogni azione della nostra vita. Ricorda sempre che il pugno è un tesoro che hai in tasca. Non deve mai essere mostrato in pubblico. Riflettiamo sulle seguenti considerazioni, in esse troveremo il segreto della vera arte marziale. Nell’arte del Fu-Shih Kenpo, ci identifichiamo pienamente con questa filosofia KOSHO dei Maestri Mitose. Tra il GM Thomas Barro Mitose e il sottoscritto c’è enorme rispetto, amicizia, armonia e fratellanza. GRAZIE…


Fu Shih Kenpo


Grandi Maestri


Kyusho (il punto vitale dello sviluppo dell’energia) Angusthasana, Postura 13 “Postura sulla punta dei piedi” Questa seguente postura è un’incredibile apertura della via dell’energia che puoi aggiungere alla tua routine, una volta preparato adeguatamente il corpo fisico ed energetico. Nella posizione precedente abbiamo alleggerito la pressione sugli organi e disteso i nervi toracici inferiori e lombari, per facilitare il potenziale completo di questa successiva. Dal punto di vista fisico, questa postura è molto esigente in fatto di equilibrio e forza dei piedi in particolare, che si sviluppano gradualmente tramite le posizioni precedenti. L’equilibrio che abbiamo scoperto non solo aumentava la comunicazione tra gli emisferi destro e sinistro del nostro cervello, ma comunicava continuamente anche con i nostri muscoli favorendo le innumerevoli reazioni di tensione e rilassamento dei muscoli antagonisti. Possiamo considerare questa tensione continua come un esercizio dinamico, anche se le posture sono statiche. Per esempio, se osserviamo i muscoli della gamba che mantengono l’equilibrio quando si uniscono i piedi, vedremo come la parte anteriore e posteriore (o esterna/interna) dei muscoli stessi cambia costantemente di tensione e rilassamento per stabilizzare la posizione. È simile a quando facciamo delle serie con i pesi, con la contrazione quando li solleviamo e il rilassamento quando li abbassiamo. Questa volta il peso è il nostro corpo, con il beneficio aggiuntivo della funzione cerebrale dinamica che fluisce da destra a sinistra. I piedi sperimentano la posizione precedente condizionando la distribuzione del peso, lo stiramento, l’equilibrio e ora in questa postura più avanzata, la forza totale del muscolo per sopportare il peso totale del corpo

insieme all’equilibrio richiesto. Questo è necessario per aprire più efficacemente i canali energetici, staccandosi quasi da terra. E’ specialmente importante sollevare i talloni da terra per inibire l’energia dal suolo e consentire completamente che solo una postura appropriata del nostro corpo si apra ulteriormente per rafforzarne un maggior sviluppo futuro, come abbiamo fatto fisicamente fino ad ora. Il nostro precedente lavoro energetico, ha rafforzato i messaggi neuronali del nostro corpo, del cervello, della terra e dell’atmosfera perchè si possa adesso privilegiare la coltivazione di una maggiore capacità energetica. L’allenamento adeguato con le posture precedenti nel corso del tempo fino ad arrivare a correggere e ad adattarsi a tali esercizi in sequenza (le posture sono allo stesso tempo un regime di esercizi interni ed esterni), ci ha reso capaci ora di gestire più energia senza le gravi ripercussioni che sarebbero sorte se non fossimo stati preparati. Come nota a parte, queste ripercussioni sono in sintesi: ansia, stress, insonnia, malessere emozionale, confusione, agitazione, isteria e altre ancora. Ciò è dovuto alla liberazione incontrollata della Kundalini o al risultato di essere impreparati. Questa postura apre i tre canali midollari dello Shushuma, dell’Ida e del Pingala, così come i canali interni della gamba, permettendo che l’energia si elevi totalmente mentre sale verso la ghiandola pineale. Quando si sollevano i talloni dei piedi, consentiamo all’energia di elevarsi mentre questi ultimi fanno pressione verso la parte posteriore delle gambe e allo stesso tempo la compressione dell’area posteriore del ginocchio, fissa e impedisce di rimanere al suolo/bloccato dall’energia della terra...Le piante dei piedi e le parti interne delle gambe si stirano così come il perineo. Questo apre il Chakra base (aprire questa porta di energia è cruciale, poichè è il punto di passaggio delle energie spirituali e terrene) e lì è dove la

Testo: Evan Pantazi Istruttrice di Yoga: Carolina Lino - Ponta Delgada, Azzorre Foto: Tiago Pacheco Maia - Ponta Delgada, Azzorre



Kundalini inizia l’ascesa attraverso l’osso sacro in cui si unisce anche all’Ida e al Pingala. L’equilibrio laterale richiede a sua volta di iniziare il movimento di energia quando il lato destro del cervello comunica e controlla la muscolatura del lato sinistro e quando il lato sinistro del cervello controlla il destro, ricevendo e disperdendo le trasmissioni neuronali. Tutto ciò si raggiunge attraverso la linea principale del midollo spinale e anche a livello periferico tramite i nervi della spina dorsale che escono lateralmente dagli spazi intervertebrali. Questo stesso schema a forma di elica rappresentante l’energia dei serpenti dell’Ida e del Pingala, lo si può vedere nella forma del DNA così come nel simbolo più moderno dell’infinito. Questa specie di clessidra a forma di serpente s’incontra anche nell’arte marziale cinese chiamata Sanchin, che si basa, coltiva e utilizza le stesse energie (Prana) delle antiche pratiche indiane. Queste energie venivano considerate la via verso verso il benessere e l’illuminazione anche nella cultura moderna. Si sono persino manifestate nella Medicina Moderna quando questa adottò il Caduceo per rappresentare la buona salute e il suo recupero. Se diamo un’occhiata al Caduceo (Caduceo è una parola adattata dal greco Kerukeion, che significa “il messaggero della guarigione miracolosa” – il bastone del messaggero pubblico), questo si mette in relazione con le parole Kerux e Kerusson, che si riferiscono a qualcuno che annuncia una informazione al pubblico, così come il medico spega qual’è la strada per recuperare la salute. Non si trovano tanti simboli che fanno riferimento alle antiche culture di Egitto, Grecia e

India che siano sopravvissuti al tempo, almeno fino agli inizi del XX secolo quando la professione medica adottò questa effige. Se facciamo un’analisi più profonda di questo antico simbolo, notiamo che si divide in varie parti distinte e fondamentali. Bastone: il bastone rappresenta la spina dorsale (Shushuma) e l’energia che prende vita dal cervello e comunica con il mondo. Questa energia nelle pratiche indiane dello yoga rappresenta la Kundalini. Serpenti: La figura intrecciata del serpente a forma di doppia elica (che rappresenta il DNA e nel campo dell’energia elettromagnetica che forma un circuito anulare intorno a tutto il percorso diretto del flusso) è la rappresentazione dell’energia dell’Ida e del Pingala che mostrano il positivo e il negativo, lo Yin e lo Yang, il maschile e il femminile, la vita e la morte (insieme alla lotta per salire in alto). Fa anche riferimento allo spostamento dell’energia del lato destro del cervello verso la parte sinistra del corpo e viceversa. Ghiandola Pineale: la sfera superiore del bastone è la zona più protetta del corpo umano, incapsulata al centro del cervello sotto la Pia Madre, lo spazio Subaracnoide, l’Aracnoide, lo spazio Suturale, lo strato meningeo del Dura madre, lo strato del periostio del Dura, l’osso del cranio, il Periostio e la pelle esterna... La ghiandola pineale collega il sistema endocrino con quello nervoso trasformando i segnali nervosi del sistema simpatico del sistema nervoso periferico, in segnali ormonali. Viene considerata in molte culture, dai primi documenti ritrovati, come “la residenza principale dell’anima” o la connessione tra l’intelletto e il corpo fisico. Una volta che si apre la corona del Chakra, la nostra coscienza si espande. Ali: Sono il simbolo di questa ascesa verso una maggiore coscienza e verso ambiti aldilà di quello fisico, una volta che la coltivo, la messa in funzione e la pratica del sistema completo ci daranno la fluidità della vita inter na ed ester na. La realizzazione e la connessione dell’energia con le vibrazioni dell’universo si irradiano verso gli altri, dandoci la libertà simboleggiata dalle ali. Questo non è soltanto un simbolo della salute fisica, ma una mappa per ottenerla. È la chiave della guarigione, che allevia lo stress e ci fa stare in armonia col nostro posto nell’universo. Per curarsi completamente e coscientemente, dobbiamo per prima cosa comprendere questo antico simbolo, ciò che insegna e perchè rappresenta non solo il metodo del Chi Gung, dello Yoga, del Ki e del Prana, ma anche la nostra stessa esistenza e buona salute.

“Postura sulla punta del piede – Angusthasana” Quando terminiamo le posizioni equidistanti della postura precedente, portiamo lentamente la parte posteriore del piede verso l’alto sotto il bacino e assestiamo il piede opposto nella stessa posizione. Quando i talloni si sollevano e le gambe si stendono, si impedisce di fissarsi all’energia terrestre e si stimola il flusso di energia in direzione ascendente attraverso la parte interna delle cosce, ora aperte e del perineo. Da qui trascende attraverso i tre canali. Questa posizione facilitata dall’equilibrio, richiede che si mantenga il corpo eretto mentre aumentano i messaggi neuronali. Le mani si portano dalle ginocchia alla versione più avanzata qui descritta. I palmi delle mani si uniscono in posizione verticale (rappresentando lo Shushuma o la Kundalini) con i gomiti sollevati e spinti verso l’esterno. I piedi mostrano la connessione con le energie negative della terra, mentre le mani rappresentano la direzione del flusso.


Vediamo come i piedi, le gambe, il torso, le braccia, le mani e la testa raffigurano in maniera esatta e inequivocabile il Caduceo. Le ali sarebbero un’altra volta il Chakra e l’aura dell’energia emanata dalla testa sono come i raggi del sole (la conoscenza, la coscienza, la spiritualità, la crescita e la luce). Mantenendo questa postura, sentirete che la concentrazione e la forza dei piedi, la spina dorsale, le spalle e la testa si raddrizzano e rafforzano la vita trasmessa attraverso la spina dorsale. Inizierete anche a sentire che aumenta l’energia che esce dal centro della testa (cerebro-ghiandola pineale), espandendosi verso l’esterno. Non fatevi trasportare dalla parte fisica quando state godendo della gioia e della meraviglia che state provando, prendetevi il vostro tempo e sviluppate totalmente la postura e il suo effetto in maniera graduale, per evitare qualsiasi problema di salute che può causare.

Respirazione e intenzione Dalla “postura dei polmoni” Janurasana, quando portate la parte posteriore del piede verso l’interno, inspirare profondamente dal naso. Sentite come il perineo si espande dal basso verso i talloni, come se si spingesse tramite i piedi verso la terra. Una volta che siete nella posizione base con le mani sulle ginocchia, espirate lentamente un’altra volta e sempre dal naso. Notate la contrazione e la spinta del perineo verso l’alto mentre percepite l’energia fuoriuscire dai piedi che sale attraverso la spina dorsale dai tre canali energetici. Ripetete l’inspirazione come prima sentendo che le vibrazioni riempiono le gambe e i piedi; mentre espirate alzate le mani verso una postura più avanzata e se è possibile più comoda. Durante questa respirazione e posizione, sentirete una maggiore connessione energetica e concentrazione nella ghiandola pineale. Ripetete un’altra volta il ciclo di inspirazione e le concentrazioni di energia, ma rendendovi adesso più conto della leggerezza nella parte inferiore del corpo e di quanto il perineo si espande verso una posizione inferiore. Espirando e ripetendo la presa di coscienza precedente, sentirete un incremento dell’energia attraverso i tre canali e verso il centro del cervello. Consentite che questo si espanda verso l’esterno attraverso il cranio come se si sviluppasse un alone. Un’ultima precauzione per questo procedimento è assicurarsi di permettere l’espansione al di sopra della testa...non concentratevi o trattenete dentro l’energia perchè questo potrebbe causare dei problemi come quelli citati in precedenza. Prossima postura numero 14 “ La postura dell’arco – Dhanurasana”


C’è bisogno di un maestro per tutta la vita? lcuni mesi fa nella mia associazione, laTAOWS Academy, ho avviato un progetto che avevo in testa già da molto tempo. L’ho chiamato TAOWS Lab. In questo laboratorio cerchiamo di fare dei passi avanti nello studio di questa appassionante Arte da Combattimento. Il Wing Tsun è uno stile di boxe cinese ben distinto dagli altri. Nei miei articoli e libri mi riferisco ad esso come a uno stile “ibrido”. Questa parola definisce molto chiaramente le caratteristiche e l’idiosincrasia propria del sistema. Nella mia esperienza nell’insegnamento e nella pratica di questo stile, c’è una parola che credo rispecchi perfettamente il WingTsun: SOTTILE. Questa piccola parola composta solo da tre sillabi (Wing Tsun sono due) ha molto in comune con esso. Il dizionario della Accademia Reale della Lingua Spagnola definisce in prima istanza la parola sottile come “fine, delicato e tenue...” ma in una seconda riga come “acuto, perspicace, ingegnoso...”. Senza ombra di dubbio, la seconda riga inquadra molto meglio ciò che a mio avviso rende così difficile la comprensione di questo sistema. In numerose occasioni il WingTsun è stato vittima di una volgare

A

“Non sempre quello che consideriamo come basilare è più facile da comprendere o da applicare di ciò che chiamiamo avanzato” semplificazione che ha messo degli eccellenti praticanti in un vicolo cieco, intrappolati dalle direttive assolutamente inflessibili di alcuni guru o insegnanti che affermano di essere i depositari della verità (della loro chiaramente...). E’ una cosa molto triste e contro la quale mi sto scagliando contro da diversi mesi. Però essendo in condizione di costruire e pianificare delle situazioni, desidero utilizzare tutti questi elementi così negativi nello studio dell’arte per provare a trasformarli in “positivi”. Il LAB della TAOWS Academy è un modo di mettere in contatto praticanti

“Nel panorama del Wing Tsun è piuttosto normale sentire istruttori di differenti rami dello stile che affermano che è necessario studiare l’arte per svariati decenni”

di WingTsun col fine di praticare e studiare ciò che definisco il Wing Tsun Avanzato. Anche se non sono molto avvezzo alle frasi eclatanti (avanzato), in fin dei conti dovevo farlo in qualche maniera e la mia riflessione vuole stimolare i praticanti a rivedere tutto ciò che stanno studiando in una determinata prospettiva, per aiutarli/ci nella loro/nostra pratica. Avanzato è ciò che viene dopo la Base. Nel Wing Tsun, non sono sempre d’accordo con quello che s’intende per Avanzato o Base, per una ragione molto semplice. Non sempre quello che consideriamo come basilare è più facile da comprendere o da applicare di ciò che chiamiamo avanzato. Questa potrebbe essere, a mio avviso, l’unica ragione per classificare in un modo o nell’altro le tecniche, ma più pratico questo sistema, più mi rendo conto che le cose apparentemente basilari sono le più difficili da applicare nelle situazioni reali. La ricerca di tale “apparente semplicità” non sempre ha compreso che ciò che cerchiamo è rendere SEMPLICE ciò che è molto COMPLICATO (sconfiggere un avversario che non collabora e che tenta di colpirci o finalizzarci con tutte le sue forze).


Wing Tsun



“È gratificante notare come ogni giorno ci siano sempre più insegnanti coraggiosi che si avventurano a proporre nuove idee (alcune davvero geniali)” Sicuramente siamo confusi dai film d’azione o dalle centinaia di dimostrazioni/esibizioni di abilità alle quali partecipano le scuole di Arti Marziali o dal desiderio di poter sconfiggere degli avversari con una tecnica “magica” con cui avere la meglio su un nemico che fa di tutto e con forza superiore, in quattro e quattr’otto... Bene, dopo venti anni di tentativi...sento dire che non è possibile! A seguito di questa “disillusione”, ho riflettuto su come possono cambiare le cose, o forse, essere orientate in maniera differente perchè si possa combattere utilizzando lo stile al quale alcuni di noi ha dedicato oltre metà della propria esistenza... Sono consapevole che a molti praticanti di altri stili (non di Wing Tsun) che leggono i miei articoli e mi fanno delle domande via e-mail o sul mio sito internet, tale affermazione apparirà curiosa o addirittura, in alcuni casi, gli sembrerà simile agli stessi problemi che affliggono gli altri stili cosiddetti classici. Ma la cosa principale per me è cercare di intridurre nella pratica qualcosa che molto spesso viene dimenticato: il buonsenso.

Qualche gior no fa stavo preparando una sessione del LAB per il mio team e uno dei canali che di solito guardo per studiare elementi del combattimento e le arti affini, trasmetteva un documentario sulle legioni romane. Il documentario descriveva in modo molto conciso quali erano le differenti strategie e tecniche che le legioni romane utilizzavano in battaglia e quali erano i motivi per cui questo corpo militare divenne la macchina da guerra più temuta della sua epoca. P a r l a v a n o dell’addestramento individuale dei legionari. Il dato che più mi è saltato all’occhio riguarda il periodo di addestramento: da sei mesi a un anno. Sono rimasto alquanto sorpreso del lasso di tempo relativamente breve per addestrare uno dei più temibili soldati della storia antica, contrapponendolo al periodo impiegato per analogo lavoro da un artista marziale al giorno d’oggi. Nel panorama del Wing Tsun è piuttosto normale sentire istruttori di differenti rami dello stile che sostengono che è necessario studiare l’arte per svariati decenni. Mi pare quanto meno curioso che ci siano persone che ritengono che una persona necessiti di 20 anni per “completare un sistema”, quando un legionario romano era perfettamente addestrato per la battaglia in poco meno di un anno. Qual’è la conclusione che si evince da questa dicotomia? Bene...è facile. In tutto il processo formativo di un’abilità c’è una parte di addestramento e un’altra di sperimentazione. La parte dell’addestramento non può durare, nel modo più


assoluto, 20 anni! È una cosa veramente offensiva per l’intelligenza delle persone normali. Anche se, dopo un periodo formativo, la sperimentazione può e deve durare per più anni possibile al fine di migliorare le capacità e la comprensione dei principi e delle tecniche. In quest’ottica è nato il TAOWS Lab, dove si completa quanto prima il sistema Wing Tsun e si mette alla prova lo stesso sistema in numerosi scenari o situazioni che ci obbligano ad adattarci a contesti mutevoli e a realtà fuori dal nostro controllo. L’esperienza sta risultando davvero appagante. Al punto che alcuni degli esercizi, degli schemi e delle sezioni che insegno nei miei seminari ed addestramenti, sono scaturiti dallo sviluppo di questo lavoro di ricerca che sto realizzando con il mio team di collaboratori più stretti. Tutto nel tentativo di poter applicare uno stile di combattimento al combattimento! Arrivato a questo punto, voglio riallacciarmi al titolo dell’articolo di questo mese: C’è bisogno di un maestro per tutta la vita? A mio parere NO. Credo infatti che sia una cosa veramente negativa per lo sviluppo individuale di un praticante. Non vorrei che questo fosse frainteso. Non parlo di rompere col tuo maestro/padre/istruttore, ma esattamente il contrario. Semplicemente dico di guardare tutto da un altra prospettiva. Uno dei maestri che ammiro e rileggo spesso, afferma senza vergogna che...”arrivati a un certo

“La ricerca di tale “apparente semplicità” non sempre ha compreso che ciò che cerchiamo è rendere SEMPLICE ciò che è molto COMPLICATO”

“Invitarle a non confondere la tradizione con l’immobilismo. A non scambiare il rispetto verso il proprio maestro con la mancanza di coraggio di proporre cose per migliorare la pratica” punto bisogna “uccidere” il maestro”...Sono assolutamente d’accordo. NON farlo difficilmente condurrebbe verso un lavoro di scoperta di se stessi e di sperimentazione personale che arricchirebbe la nostra pratica. Questo cambio di prospettiva nelle relazioni allievo-maestro, è a mio avviso quello che dovrebbe definire il passaggio da allievo a insegnante, che giunto a un certo livello, in tutti gli aspetti, riceve il titolo di SIFU. Da quel momento in poi, è il nuovo “padre” che deve guardare in maniera differente il modo di rapportarsi con il suo maestro e cominciare a lasciare la propria impronta, il proprio stile

all’interno dello stile, in definitiva, il periodo in cui deve dedicarsi all’arte, alla sperimentazione e a proporre nuove idee. E’ vero che oggi esistono alcuni gruppi che stanno portando avanti dei lavori molto interessanti (non solo nella mia associazione). L’era delle telecomunicazioni ci consente di osservare ciò che accade in altri paesi o in altri continenti rispetto alla pratica delle Arti Marziali. È gratificante notare come ogni gior no ci siano sempre più insegnanti coraggiosi che si avventurano a proporre nuove idee (alcune davvero geniali). Una brillante prospettiva si fa largo tra tanta oscurità. Arrivato a questo punto vorrei invitare le persone che lo desiderano a lavorare, indagare, avventurarsi e addentrarsi nel mondo del Wing Tsun Avanzato. Quello in cui si svolgono le fasi più avanzate del sistema BZT, MYC, BCD e Bastone. Invitarle a non confondere la tradizione con l’immobilismo. A non scambiare il rispetto verso il proprio maestro con la mancanza di coraggio di proporre cose per migliorare la pratica. Dobbiamo essere più simili ai legionari romani...pochi anni di apprendimento e molti anni di pratica ed evoluzione. Sono sicuro che la grande famiglia dei praticanti lo apprezzerà. Grazie mille a tutti per la vostra attenzione e supporto.


Wing Tsun

“Dobbiamo essere piĂš simili ai legionari romani... pochi anni di apprendimento e molti anni di pratica ed evoluzioneâ€?


Sueyoshi Akeshi Il Giappone è una terra colma di tradizioni e antiche culture. Le Arti Marziali del Giappone non si differenziano molto tra loro, ad eccezione di un Maestro di Arti Marziali che è molto diverso dagli altri. Il suo nome è Sueyoshi Akeshi. Sueyoshi Akeshi è il principale Maestro del Raku Yu Kai Iaido. E’ anche esperto di Naginata (alabarda), Yari (lancia), Kenjutsu (combattimento con la spada), Jo Jitsu (bastone di 128 cm), shuriken e molte altre Arti Samurai. Ha praticato anche Tai Ki Ken, un’Arte giapponese di difesa personale.

Quando abbiamo chiesto al Maestro Sueyoshi cosa ne pensasse dei kata nelle Arti Marziali, ci ha detto che lui pensa che il 99% dei kata nelle Arti giapponesi sono inutili, nel migliore dei casi. Egli non si allinea agli insegnamenti tradizionali delle Arti Marziali, tuttavia è anche un monaco che si è guadagnato il titolo di Ajari che si traduce in colui che si è illuminato. E’ anche un monaco Shuguendo. Nel suo addestramento è stato messo alla prova in tutti i modi, compreso vivere in una buca per terra 4’x4’x8’ per 10 giorni senza mangiare, restando in mezzo a un incendio per 7 giorni senza sosta e ripetere lo stesso

mantra senza fermarsi mai per 21 giorni, riposando solo per andare in bagno e mangiare. Questo raro tipo di monaci vengono chiamati Yama Bushi, che è stato tradotto da molti come “Samurai di Mo nt ag na”, ment re in realtà rappresenta un monaco che si allena nel bosco o al di fuori. Dice che la sua formazione nel Buddhismo è consistita in vari periodi distinti trascorsi nel t empio principale del buddhis mo Shingun. Durante la sua permanenza nel buco, anche se è quasi impazzito, è riuscito a raggiungere il Satori, o Illuminazione e dice che adesso comprende ciò che è


Grandi Maestri l’energia pura, nonostante che sia quasi morto d’infarto e respirasse a malapena quando lo tirarono fuori da li. Tornando alle sue Arti Marziali, egli è stato un praticante delle diverse Arti samurai sotto la tutela di Kono Yoshinori e poi ha ricevuto un particolare addestramento dal famoso Maestro fondatore del Tai Ki Ken, Sawai Kenichi, che era famoso per la sua tecnica squisita che imparò in Cina dal maestro Wang Xiang Zhay. Il suo dojo Honbu è a Tokyo, Giappone, e anche se vive ancora li, egli è un viaggiatore del mondo che ha visitato e insegnato le sue Arti Marziali e il

Buddhismo in oltre 20 paesi differenti. Quando gli abbiamo domandato perchè era a Los Angeles, ci ha detto che vorrebbe provare a entrare nell’industria del cinema per diffondere sia il Buddhismo che le sue Arti Marziali e che spera di avere un giorno un tempio negli USA. Attualmente ha degli allievi in Portogallo, Spagna, Norvegia, Austria, Brasile, Inghilterra e qui negli USA è l’istruttore personale di spada di David Lee Roth, membro dei famosi Van Halen. Le sue passioni nella vita sono tre: 1. L’amore per il Buddhismo, 2 le Arti Marziali, 3 la Falconeria. Egli possiede due uccelli molto rari, un aquila reale e un

gufo, inoltre nel suo appartamento ha anche un furetto che è un pò intimorito. Anche se non è mai stato attaccato dai due uccelli. La sua abilità con la katana è ineguagliabile in velocità e peculiarità, come dimostrano le sue tecniche alla velocità della luce e che a volte sono difficili da comprenderne la loro vera utilità, fino a che non si rivedono a rallentatore contro un attacco e una volta viste, il senso pratico dei movimenti risulta evidente a tutti. Le sue tecniche preferite sono il suo Ina Zuma che si traduce come la caduta di un lampo che simula un fulmine che colpisce. Ha anche una predilezione per la Gun Dari che si


traduce come il disegno Kundalini. Ha imparato queste tecniche dal suo Maestro di Iaido circa 30 anni fa. Sueyoshi Akeshi, come preferisce essere chiamato, pensa che le capacità fisiche che ha acquisito durante il suo addestramento per diventare monaco lo abbiano aiutato nelle sue Arti Marziali e viceversa, perchè lo scopo della ripetizione dei Mantra è quello di risvegliare l’energia occulta che tutti abbiamo dentro. Praticando Arti Marziali e/o i Mantra, saremo capaci di rilassarci completamente perchè questa forza vitale o energia possa fluire liberamente in tutto il nostro corpo... Quando gli abbiamo chiesto in qualità di monaco buddista di spiegarci perchè il

fiore di loto è il simbolo dell’illuminazione, ci ha detto che nella vita degli esseri umani è necessario superare tutti i tipi di ostacoli e che alla fine saremo migliori grazie a questo genere di prove e tribolazioni. Allo stesso modo, il fiore di loto cresce in uno stagno di acqua sporca, in condizioni terribili e alla fine diventa un fiore splendido che abbellisce il mondo. È autore di 4 libri, oltre che di 20 DVD di Arti Marziali e continua a dimostrare ed insegnare le sue forme d’arte in tutto il mondo, ma senza dimenticare mai di fare il suo regolare pellegrinaggio al tempio Kinpusenji ogni anno, dove egli fa il suo ritorno alle montagne giapponesi, al tempio Nachi Seigantoji.

Quest’anno solo in 6 hanno osato fare questo cammino che si realizza dall’anno 1200 e solo in tre sono stati capaci di coprire l’intera distanza di circa 124 km attraverso alcuni dei territori più insidiosi del Giappone, in certi giornate si può percorrere al massimo 15 o 16 km e in altre fino a 30. Insomma, è evidente che Sueyoshi A kes hi è un v ero uo mo dai fo rti contrasti, poichè egli è in grado di camminare su quella linea sottile tra il modo di vivere giapponese e quello occidentale e riesce a muoversi con disinvoltura tra i due mondi, andata e ritorno, entrata e uscita, compiendo i passi di un vero Maestro di Buddhismo e di Arti Marziali.


Grandi Maestri “Nella vita degli esseri umani è necessario superare tutti i tipi di ostacoli e che alla fine saremo migliori grazie a questo genere di prove e tribolazioni. Allo stesso modo, il fiore di loto cresce in uno stagno di acqua sporca, in condizioni terribili e alla fine diventa un fiore splendido che abbellisce il mondoâ€?




In vista dell’imminente serata di Oktagon 2014, ( Forum di Assago – Milano - 5 Aprile 2014), abbiamo avuto l’opportunità di incontrare due dei protagonisti dell’evento più importante dell’anno in Italia per quanto riguarda gli sport da combattimento sul ring. In seno alla manifestazione “Sport Show Revolution” abbiamo scambiato due parole con Armen Petrosyan, impegnato con il fratello Giorgio nella direzione di due stage aperti a tutti i praticanti di K-1 e Muay Thai. Una breve intervista in previsione del suo match-rivincita contro Alim Nabiev che sarà uno dei main eventi della serata milanese. Gli abbiamo chiesto delle sue condizioni e delle sue aspettative per un incontro che si annuncia duro e spettacolare, come nella tradizione dei fratelli Petrosyan. Nonostante il carattere schivo e il lavoro impegnativo che stava portando avanti sin dal mattino con i tanti partecipanti del loro seminario, ci ha concesso volentieri una piccola intervista in cui ha manifestato con poche parole tutta la sua determinata concentrazione nei confronti del suo prossimo avversario.

A cura di: Nicola Pastorino & Leandro Bocchicchio



I

noltre, abbiamo anche avuto la fortuna di imbatterci in colui che è la mente organizzatrice della manifestazione, nonché da tanti anni voce storica degli sport da combattimento delle reti Mediaset, Carlo Di Blasi. Lo abbiamo intercettato mentre si aggirava tra i vari tatami e ring del padiglione fieristico di Chiuduno (Bergamo) che ha ospitato la suddetta manifestazione e lo abbiamo invitato al nostro stand per fare una breve chiacchierata. A lui abbiamo rivolto alcune domande sull’organizzazione di Oktagon e siamo riusciti a strappare anche qualche ghiotta anticipazione sui temi coreografici che caratterizzeranno l’evento per antonomasia che catalizza l’attenzione dei media e del pubblico degli appassionati di queste discipline in Italia e nel mondo.

Intervista Armen Petrosyan: Cintura Nera: Prima di tutto, come stai e come è andata la preparazione al match che affronterai a Oktagon? Armen Petrosyan: Ma, direi che sto bene. La preparazione è andata molto bene, ormai manca davvero poco quindi non ci resta che salire sul ring. C.N.: Il tuo avversario Nabiev lo hai già affrontato qualche mese fa e non andò molto bene. Sei pronto a prenderti la tua rivincita? A.P.: Si ho combattuto con lui in Russia lo scorso Novembre e ho perso. Sappiamo che lui è un atleta molto forte, ma io sono pronto per questa nuova sfida e vedremo dunque come finirà stavolta.

C.N.: Che tipo di incontro pensi di impostare, in funzione anche della precedente esperienza? A.P.: Di sicuro non come a Novembre, visto com’è andata. Devo cambiare un po ’ l’appro ccio ed es s ere più aggressivo. Lui è molto alto per cui lavora molto bene da lontano, io devo essere bravo a non dargli spazio e ad aggredirlo di più. C.N.: Le tue motivazioni ci fanno capire che i tuoi fans vedranno un Armen all’altezza della situazione…


A.P.: Certamente. Io come sempre ce la metterò tutta, possono stare tranquilli che sarà un bell’incontro per tutti.

piena di effetti speciali all’interno della quale si svolgeranno 7 match da paura. Askerov vs Groenhart, Armen Petrosyan vs Alim Nabiev, la grande sfida tra Andy Souwer e Yuri Bessmertny e altri ancora, sono alcuni dei match che faranno vibrare i 12.000 del Forum di Assago.

C.N.: Senti, parlando della tua presenza qui a “Sport Show Revolution”, come sta andando lo stage organizzato per l’occasione? A.P.: L’evento devo dire che è molto ben organizzato, la partecipazione allo stage è più che buona e quindi direi che è andato tutto per il meglio. C.N.: Dopo Oktagon quali sono i tuoi prossimi impegni? A.P.: Sarò impegnato nell’evento organizzato da noi del Team Satori “Fight Night 2” a Gorizia, il prossimo 24 Maggio, nel quale combatterò per il titolo mondiale ISKA e nel quale ci saranno anche titoli europei e italiani della stessa sigla. C.N.: Bene Armen, grazie per la tua disponibilità. Vuoi dire qualcosa agli amici di Cintura Nera e Marziale Network? A.P.: Voglio ringraziare di cuore tutti i tifosi e gli appassionati che mi seguono da sempre. Grazie a tutti!

Intervista a Carlo Di Blasi: Cintura Nera: Come sono andati i preparativi per Oktagon 2014 del prossimo 5 Aprile al Forum di Assago e cosa proporrà il programma della serata? Carlo Di Blasi: Grazie di avermi invitato. Anzitutto auguro a Cintura Nera e al sistema che avete messo in piedi il maggior successo possibile, perché non può esistere sport senza copertura mediatica. Questo è quello che cerco di spiegare da anni ai miei colleghi, tanto è vero che quello che cerco di fare io con Oktagon, è un servizio per tutte le discipline, perché aldilà delle sigle di

appartenenza Oktagon è diventato un media, cioè un sistema per divulgare e per lanciare le nostre discipline attraverso televisioni come Italia 1 e 2 e via dicendo. Detto questo, Oktagon 5 Aprile sarà un grande evento diviso in due parti, la prima dedicata alla Muay Thai chiamata “Made in Thailand”, ovvero una sfida tra i migliori atleti thailandesi e una serie di atleti italiani che hanno vinto le nostre selezioni. Dall’altra avremo invece per la prima volta in Italia “Legend Show”, il grande evento/galà di sport da combattimento russo. Se avete avuto modo di vedere sul nostro sito www.oktagon .it c’è un promo che riguarda l’ultimo evento da loro svolto in cui 20 “Spetnaz” (Soldati dei Reparti Speciali dell’Esercito Russo – ndr) si calano dal tetto del palasport in una scena degna di un vero e proprio film d’azione. Anche quest’anno ci sarà una coreografia

C.I.: Quindi ogni anno il proposito di Oktagon è quello di proporre sempre il meglio del panorama internazionale del panorama K-1 e Muay Thai… D.B.: Si, il mio proposito è sempre quello di battere il nemico numero uno: l’Oktagon dell’anno prima. Quello dell’anno scorso è duro da battere perche abbiamo avuto lo show di “Glory” che è stato fantastico e tante altre cose. Ma quest’anno non è soltanto la caratura degli atleti, tra i quali mi viene in mente anche Mohamed Khamal, il primo vincitore del K1 Nederland (Olanda), che se la vedrà contro Sitthichai, il “thailandese d’acciaio”. Ma, dicevo, non è soltanto il livello degli atleti presenti, ma la stessa costruzione di un evento che una volta l’anno riunisce tutti gli appassionati di queste discipline in uno dei palasport più grandi di tutta Europa come se fossero ad un concerto rock, trovandovi tutto il nostro mondo di riferimento e facendoli sentire non più parte di uno sport minore. Perché il nostro non è uno sport minore, ma uno sport “maggiore” con poca luce. Quel giorno, il 5 aprile, però la luce si accende e noi abbiamo modo di mostrare che le nostre discipline sono davvero numero uno! C.I.: Ringraziandoti per la tua disponibilità, non resta che darci appuntamento a Oktagon, 5 Aprile, Forum di Assago. Ti aspettiamo al più presto di nuovo ai nostri microfoni. D.B.: Ben volentieri! Tenetemi al corrente delle vostre iniziative, perché tutto ciò che è comunicazione mi vede, ci vede, in prima linea per supportare il lavoro svolto dai colleghi del settore.


Gracie Jiu-Jitsu Principi fondamentali del Jiu Jitsu: Precisione Come si ottiene in qualche modo una precisione naturale? Probabilmente, per chi frequenta assiduamente e regolarmente gli allenamenti, questo può rappresentare un problema. Inizialmente, la maggior parte dei principianti di Jiu Jitsu sono talmente entusiasti dell’allenamento, che vanno quasi tutti i giorni in palestra. Dopo un po’ di tempo, si rendono conto che non è la quantità, bensì la qualità che fa la differenza, perciò alcuni riducono la loro presenza sul tatami a una o due volte alla

settimana, specie se sono già atleti praticamente di elite. Allenarsi molto e duramente non vuol dire necessariamente migliorare il Jiu Jitsu, spesso succede esattamente il contrario, poiché chi lo fa molte volte pensa di avere già la vittoria in tasca e se questo non avviene, allora la delusione è così grande che sovente abbandona la pratica a causa della sconfitta. I primi gior ni che ero a Rio de Janeiro, abbandonai una scuola di Jiu Jitsu nella quale dicevano “il secondo è il primo dei perdenti”. Questa mentalità la si può anche percepire in molte scuole di Jiu Jitsu a carattere sportivo e nella quale i suoi membri

sono estremamente competitivi. La paura e la delusione che provavano spesso si sentiva nell’aria. Avrebbero dovuto, tuttavia, vivere la sconfitta come un’esperienza di apprendimento e farlo per se stessi, perché la cosa migliore è analizzare e imparare da essa a sentire l’esperienza negativa come una fonte di positività per migliorare, allora si che potrebbero trarre beneficio da una cosa del genere. Se percorrete il cammino degli sportivi di elite o intendete il Jiu Jitsu come uno stile di vita, dovrete accettare sia il successo che il fallimento, per cui sarebbe meglio sin dall’inizio concentrare lo studio del Jiu Jitsu allenandosi a tutto tondo e


pertanto affinare il repertorio tecnico e mettere la conoscenza in primo piano. La gente spesso si impegna nelle competizioni di Jiu Jitsu anche in cerca di prestigio, perché magari hanno avuto un’infanzia difficile, o perché vogliono essere al centro dell’attenzione. Il successo e la fama arrivano, ma finiscono presto e vengono superati dalla realtà. In pochi riescono a trasformare le loro prodezze in qualcosa di positivo e che aiuti gli altri, questo sarebbe davvero saper vincere, essere in grado di condividere la propria esperienza con altre persone e con loro raggiungere insieme il massimo della felicità nel Jiu Jitsu. Se oggi leggete le riviste di sport da combattimento, di arti marziali o affini, in particolare le riviste americane, arriverete a credere che circa l’85% dei praticanti di Jiu Jitsu nel mondo si allenano in altre discipline di Grappling. Tuttavia, forse saremo un 5% dell’insieme di tutti

gli sport da combattimento. Al Jiu Jitsu viene associata un’idea che da la sensazione che solo i veri duri possono praticarlo – o piuttosto, che ogni allenamento di Jiu Jitsu sia più che duro. Il Gran Maestro Helio Gracie probabilmente si starà rivoltando nella sua tomba se potesse vedere la realtà dello sport…egli metteva sempre l’accento sul fatto che il suo Jiu Jitsu non era per colui che voleva essere l’atleta migliore, ma perché chiunque potesse impararlo. Le utilità reali del Jiu Jitsu, la salute fisica totale, la forza mentale, il rispetto e la disciplina, devono restare in primo piano, al contrario del ritenerlo semplicemente uno sport di massa senza


grande spiritualità e tradizioni. Il Jiu Jitsu è un veicolo che va utilizzato per lo sviluppo personale. La pratica del Jiu Jitsu con le sue sottili differenze ci stimola ad osservare tutto quanto nella vita in maniera più realistica e precisa, come si osserva un combattimento o una tecnica di allenamento. E’ mia opinione che il principio di “precisione” nel Jiu Jitsu rimane oscuro in molti aspetti dell’allenamento. Spesso e volentieri ci troviamo costantemente divisi in tra le nuvole del successo e la terra che ci ricorda che c’è ancora molto lavoro da fare per noi. I tornei si possono utilizzare per lavorare sulla tecnica, indipendentemente se si vince o si perde, ma non dovrebbe essere l’obbiettivo finale, anche se in verità, molto spesso, è proprio questo il vero obbiettivo di certe persone. Supponendo tuttavia che bisogna avere come prospettiva il miglioramento costante della tecnica (a lungo termine), i tornei sono delle prove intermedie molto utili quanto assolutamente necessarie per se stessi. Possiamo forse spiegarlo meglio facendo l’esempio di uno che si prepara per la maratona di New York e partecipa a corse minori in previsione di questa. L’obbiettivo deve essere lo sviluppo di un praticante di Jiu Jitsu che rispetti gli standard più alti. Non è compito semplice. Ottenere ciò richiede molto lavoro e tempo.

Spesso, ci allontaniamo dalla vera rotta e crediamo di poter prendere qualche scorciatoia, però poi ci rendiamo conto una volta di più che queste strade non sono reali. Credo che una delle lezioni più importanti da me imparate è che il mio Jiu Jitsu è quello del “qui e adesso” – nel presente. Uno degli aspetti più interessanti del Jiu Jitsu riguarda, naturalmente oltre al grande numero di tecniche, le combinazioni e le varianti che si può imparare e che col tempo si possono sviluppare per se stessi. Dopo l’osservazione dell’avversario, del suo peso, del suo movimento e dinamismo, arriva l’azione, che sia da parte nostra o da parte sua. Praticamente, è come volare con il pilota automatico, fino a che non sappiamo dove si vuole andare. Il corpo può comportarsi a seconda della situazione e per un lasso di tempo prolungato in modo neutrale, fino a che il nemico o voi stessi realizzate l’azione successiva. Qui si deve eseguire l’azione precisa per assicurarci il successo.

La pressione e la teoria della connessione Molte volte, il Maestro Pedro Hemeterio ha parlato dell’adattamento e della teoria della connessione che dice che se utilizziamo l’80% del suo peso contro l’avversario, si può facilmente arrivare

alla finalizzazione. L’80% di qualcuno non si deve prendere alla lettera, ma s’intende che nel Jiu Jitsu è molto importante la connessione, poiché si può facilmente sentire come si muove il nemico. Disse anche in varie occasioni che non esiste una tecnica precisa che si possa realizzare senza una vera connessione tra i combattenti. La posizione relativa alla pressione contro il proprio avversario, rende possibile tenere il braccio adeguatamente sotto controllo perché si possa fare una leva al braccio disteso. Tuttavia, questo può succedere in una manciata di secondi…ora stesso sto pensando a un combattimento che ho visto l’altro giorno…lo scontro è durato oltre quindici minuti, in un evento di Jiu Jitsu-Pro e poco prima della fine, l’atleta del Gracie Jiu Jitsu è riuscito ad evitare la posizione di monta di un avversario molto forte e a sconfiggerlo con una leva al braccio. Questa la possiamo davvero mettere nella categoria “miglior manovra” dell’anno, perché è qualcosa che non vedevo da molto tempo in un grande evento di Jiu Jitsu. Quindi si potrebbe dire che non c’entra niente il Jiu Jitsu con la tecnica, ma che ha a che vedere con tutto. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di potermi allenare con i migliori e imparare da loro. La mia formazione personale è cominciata con Gracie in un piccolo garage a Santa Monica, dopo sono andato a conoscere Sylvio Behring a Rio. Di


ritorno a Los Angeles ho imparato ulteriormente con i cugini dei Gracie, i fratelli Machado e nei miei numerosi viaggi ho potuto studiare con Pedro Hemeterio, eccellente campione di Jiu Jitsu che adesso, disgraziatamente, non è più con noi. L’uomo che ha influito di più nella costruzione della mia immagine nel mondo del Jiu Jitsu è stato probabilmente Rickson Gracie. Ero affascinato non solo dalla sua abilità come lottatore, ma anche dal suo stile di Jiu Jitsu; se parliamo di concetti di base al livello più alto, è con lui che si può vedere tutto ciò. Mai, nemmeno nei primi giorni in cui stavo imparando le tecniche di Jiu Jitsu, mi è interessato memorizzare centinaia di posizioni. Piuttosto mi sono impegnato nel migliorare la mia conoscenza invece di imparare movimenti non necessari complicandomi le cose. Non sono un uomo da grandi teorie, ma uno che bada soprattutto alla pratica. Chiunque desideri raggiungere la massima precisione nel Jiu Jitsu, prima deve capire che non si tratta di una sottomissione effettiva (finalizzazione), ma di come ci si può arrivare. Prendiamo alcune tecniche come brevi esempi.: - Praticamente sin dal primo giorno come Jiu Jitsuka con i Gracie, ho imparato lo strangolamento incrociato (Choke Cross), il motivo era perché: a) ho scoperto che si esegue questo strangolamento con il “pollice”, e non tirando il collo

torcendo il kimono, b) che non dovevo mantenere il bacino in posizione di guardia, ma muoverlo leggermente per poter rimanere più vicino alla nuca del mio avversario e, c) potrei usare lo strangolamento incrociato come finta, “invertire” la guardia dell’avversario allo scopo di posizionarmi sul suo ventre (Monta). -In più dell’80% dei combattimenti che si fanno nel Jiu Jitsu, si adottano varie posizioni di guardia. Che ciò avvenga, non è scontato per molti. Ma chi dice che deve accadere? Il Maestro Pedro metteva molta enfasi sul fatto che bisogna mantenere la guardia. Per cui bisogna posizionarsi come se realmente si volesse stare nella Guardia, quindi il nemico dovrà adesso muoversi per tentare qualche tecnica, allora possiamo sfruttare il momento per rompere la guardia. Perciò bisogna anche imparare a leggere tra le righe. Lasciate che il (forte) rivale faccia la prima mossa e poi contrastatelo con meno forza, ma con precisione e persistenza. - se siete distesi a terra e l’avversario vi domina in posizione di monta, allora dovete provare a farlo sentire instabile, per cosi dire, deve cercare di mantenersi in equilibrio. Il movimento del bacino chiamato anche “Upa” era per il Maestro Pedro e per molti altri esperti di Jiu Jitsu, un elemento assai importante. Peraltro, il movimento Upa funziona non solo come difesa della posizione di Monta, ma per la difesa del controllo laterale (100 chili) e della

monta incrociata, con questa tecnica possiamo creare lo spazio per liberarci. Pertanto è una tecnica che si può utilizzare in diverse situazioni. -Rimaniamo in posizione di Monta e controlliamo ora l’avversario da sopra. Qui abbiamo l’opzione di fare delle tecniche di braccio e la leva alla spalla. L’Americana, una delle tecniche più efficaci. Perché è così? Supponiamo che siamo in posizione di Monta con l’Americana e adesso l’avversario si muove così tanto che non possiamo mantenere la posizione (Monta). Naturalmente, potremmo cercare di fare una tecnica differente, ma ci possiamo anche spostare nella posizione seguente (controllo laterale, 100 chili) e così mantenere l’Americana e la forza per sconfiggere l’avversario. In questo caso, abbiamo appena ottimizzato la posizione invece di dover applicare una tecnica completamente differente. Quindi, in definitiva, possiamo dire in conclusione che una tecnica deve essere applicata a tutti i livelli, a prescindere dal grado del praticante e che una tecnica dovrebbe essere efficace indipendentemente dalla stazza e dal peso del praticante e per ultimo, ma non meno importante, una tecnica deve essere utilizzabile da tutti, sia dagli uomini che dalle donne. www.triangleacademy.ch www.graciejiujitsu.ch Testo e Foto © Sandra Nagel & Franco Vacirca



Per molti Mohammed Qissi, amico personale di Jean Claude Van Damme sin dall’infanzia, è stato un elemento fondamentale per la carriera dell’attore belga, fu colui che lo accompagnò del suo “american dream”, oltre ad essere intervenuto in maniera attiva nelle coreografie di “ Senza esclusione di colpi”, “KickBoxer” e “Lionheart - Scommessa vincente”, i film che lo lanciarono verso la fama; partecipò insieme a Van Damme al montaggio finale di “Senza esclusione di colpi” collaborando anche alla formazione del suo cast, ecc. Dato il suo aspetto, molti non lo riconosceranno, Qissi è un attore camaleontico che ha incarnato una serie di personaggi secondari nei primi film di Van Damme (oltre a dare vita a Tong Po in KickBoxer, interpretò il Thai-boxer brasiliano in “Senza esclusione di colpi”, nel quale diede vita con Chong Li/Bolo Yeung a un incredibile combattimento. In “Lionheart” fece la parte di un legionario francese che perseguiva il disertore Van Damme). Ma chi è questo personaggio? Chi è Mohammed Qissi?

Tong Po e l’ombra del camaleonte Testo: Gladys Caballero & Pedro Conde. Foto: Melissa Qissi, Lily Almazan & Pedro Conde.


Cinema Marziale


Mohammed Qissi Più famoso probabilmente con il suo nome d’arte, Michel Qissi. L’attore-coreografo è nato a Oujda (Marocco) nel 1962, due anni dopo i suoi genitori emigrano a Bruxelles, Belgio, a sette anni inizia a praticare la Boxe in una polisportiva: “Fu nello stesso complesso sportivo in cui ho conosciuto Jean Claude, aveva nove anni, praticava Karate Shotokan; col tempo Jean Claude divenne un campione del Karate ed io nella Boxe. All’inizio quando ci conoscemmo e diventammo amici, lui mi insegnava alcuni calci e tecniche di Karate e io invece altre della Boxe, così nacque la nostra amicizia. Siamo diventati come fratelli, io restavo spesso a dormire a casa sua e lui da me, chiamava i miei genitori mamma e papà e io facevo lo stesso con i suoi, passavo più tempo con lui che con i miei veri fratelli. Avevamo la stessa passione, gli stessi idoli, Bruce Lee nei film e Mohammed Alì nello sport”. Fin da piccoli condividevano le stesse passioni: le arti marziali e il cinema: ”Spesso dopo la scuola ci compravamo qualcosa da mangiare e la consumavamo mentre guardavamo un film al cinema (nel quale ci si intrufolava sempre dalla porta di servizio). Poi ci vedevamo di nuovo nel pomeriggio in palestra. Ricordo anche che a quell’epoca spesso andavamo a vendere sapone e shampoo porta a porta, per racimolare un pò di denaro. Le nostre due passioni erano senza dubbio il cinema e le Arti Marziali. Queste due sfumature della nostra

vita erano incarnate in un idolo in comune: Bruce Lee”. Il suo sogno, come aveva fatto il “Piccolo Drago” era di essere protagonista di film e mostrare al mondo intero il suo talento e la sua abilità; quando Van Damme aveva 18 anni e Qissi 16, andarono al Festival di Milano per cercare di conoscere dei produttori e tornarono a casa con una bella quantità di biglietti da visita e telefoni di personalità importanti del mondo del cinema. Le loro aspettative iniziarono ad aumentare e presto si lasciarono tentare dal “american dream”. Quindi nel 1982 decisero di andare negli Stati Uniti, a Hollywood, per tentare la fortuna nella settima arte. “Presentai a Van Damme uno stilista che aveva una fabbrica a Hong Kong. Questi gli propose un lavoro come modello per le sue ultime creazioni nella città asiatica. Laggiù Jean Claude riuscì a conoscere Jackie Chan. Ma la cosa forse più importante di questa esperienza fu che Jean Claude ottenne, oltre al suo compenso, un biglietto andata e ritorno per Los Angeles in regalo. Lì, conobbe una grande persona che si chiamava Tyrone, che si offrì di ospitarci qualora fosse tornato insieme a me in città. Jean Claude ritornò a Bruxelles e mi propose di andare con lui, entrambi condividevamo la stessa aspirazione di fare dei film, quindi nel 1982 ci costò molto guadagnarci il denaro per pagarci il viaggio, ma in un modo o nell’altro andammo a Hollywood dove dal 1982 al 1986 ce la passammo veramente male. Facevamo una

gran fatica a farci strada a Hollywood, ma ce la facemmo e riuscimmo a metterci in contatto con la Canon Productions e a fare “Senza esclusione di colpi” e più avanti “Kickboxer” e “Lionheart”, che diventarono pellicole di grande successo in tutto il mondo”. Effettivamente quei primi anni in America furono veramente duri per tutti e due, anche Jean Claude fu sul punto di abbandonare la sua “avventura” come attore, non lo fece proprio grazie a Qissi. “Quando atterrammo il primo gior no all’aeroporto di Los Angeles, nel 1982, avevamo un sacco di biglietti da visita che recuperammo al Festival di Milano. Là molti produttori nordamericani ci avevano invitato a visitarli promettendoci di tutto. Però quando ci andavamo, nessuno voleva darci un’opportunità, nemmeno un colloquio telefonico. Così Jean Claude, demoralizzato, mi disse: “Guarda, abbiamo ancora il biglietto di ritorno...torniamo in Belgio!”. Ma io gli risposi: “Nemmeno per sogno!”. Perchè prima di andarcene da Bruxelles, Jean Claude disse a tutti che avevamo un contratto in Nordamerica e che ci andavamo per quello. Quindi, io preferivo morire piuttosto che tornare a mani vuote. Nei primi sei mesi non si arrivò a nulla di concreto; inoltre, abbiam finito per dormire in macchina perchè nel giro di qualche mese decidemmo di smettere di abusare della nostra amicizia con Tyrone al quale non potevamo pagare un soldo per l’alloggio. A tutto questo seguirono


tre anni nei quali non ottenemmo neanche una piccola particina. Logicamente eravamo demoralizzati, Jean Claude fu più volte sul punto di tornare a Bruxelles e lasciarsi alle spalle questa follia. Io mi rifiutavo nel modo più assoluto: preferivo schiantare laggiù prima di tornare umiliato in Belgio”. Durante i loro quattro duri anni a Los Angeles, ebbero l’occasione di conoscere personalmente addiruttura Muhammad Alì, il più grande, con cui nacque un rapporto davvero speciale: “Conoscemmo Mohammed Alì nel 1984 attraverso il suo assistente che si chiamava Abdel Kader, dal Marocco, solo alcuni marocchini potevano arrivare a lui e avemmo la fortuna di poterlo conoscere. Eravamo a Hollywood in una

caffetteria-ristorante molto spartana a prendere un caffè e a parlare con un uomo che era lì, gli confessammo del nostro desiderio di girare dei film e lui ci disse che la cosa era abbastanza difficile, ma noi cercavamo di fare il meglio che potevamo, allora gli chiedemmo di cosa si occupava. Lui ci rispose che era l’assistente di Mohammed Alì, quindi io e Jean Claude ci guardammo, perchè lui e Bruce Lee erano i nostri idoli, gli dicemmo che ci sarebbe piaciuto conoscerlo di persona, allora lui ci disse che glielo avrebbe chiesto e ci avrebbe fatto sapere. Così un giorno parlammo di nuovo con lui e ci diede la notizia che Mohammed Alì aveva accettato di parlare con noi. Ci incontrammo con lui ed eravamo davvero felici di

vederlo e di poter parlare con lui, ci divertimmo tantissimo. Jean Claude ed io andammo a casa sua ed egli ci mostrò una valigetta con articoli per trucchi di magia e debbo dire che era veramente bravo a farli. Dopo ci portò al suo armadio e ci fece vedere una delle sue vesti da ring e ci rivelò che gliela aveva regalata Elvis Presley, era veramente bella. Poi visitammo il suo museo e vedemmo tutti i trofei vinti durante la sua carriera. Dopo quell’incontro, Jean Claude ed io andammo in chiesa a pregare Dio per avere il suo aiuto, perchè Jean Claude era nato in una famiglia cristiana. Alcuni giorni dopo Mohammed Alì ci invitò nella sua palestra e quando ci andammo lo incontrammo mentre usciva, allora Jean Claude gli disse che anche io


ero un pugile e quando Alì mi disse di mettermi i guanti e di salire sul ring a scambiare con lui, quello è stato uno dei momenti più felici della mia vita. Ricorderò sempre che ad un certo punto Mohammed Alì mi fermò nel bel mezzo dello sparring e gridò a tutti: “Wow, lui boxa come me!”. Io fin da piccolo mi alzavo alle tre o alle quattro del mattino per vedere gli incontri di Alì contro Foreman o Frazier e ricordo quanto amassi il suo modo di boxare, quindi cercavo di imitarlo e forse s’intravede qualcosa di Mohammed Alì nel personaggio che ho interpretato in “Senza escluisone di colpi”. Quindi questa è fondamentalmente la storia di come conobbi Mohammed Alì e dei momenti molto piacevoli trascorsi assieme”. In quei durissimi anni ebbero anche modo di conoscere Chuck Norris, il colosso delle competizioni nordamericane, oltre che la stella numero uno del firmamento del cosiddetto cinema di arti marziali in occidente... “Chuck Norris è una persona meravigliosa, Jean Claude ed io lo abbiamo conosciuto a casa sua, a Los Angeles nel 1984. Ci allenavamo con lui nella sua palestra che si trovava nella sua residenza, insieme al suo assistente Howard Jackson. Lo aiutava in tutti gli sparring, era un

campione di Boxe e Kick Boxing. E’ stato davvero incredibile poter conoscere Howard Jackson e soprattutto Chuck Norris”. Il miracolo che stavano aspettando si materializzò: Jean Claude ottenne per la prima volta una parte importante come cattivo nel film “Kick Boxer – Vendetta personale” (No retreat, no surrender). Furono soltanto quattro giorni di riprese, ma fu il primo passo importante che fecero dentro l’universo della celluloide. Poco dopo impressionarono a tal punto Menahem Golan, che questi diede a Van Damme il ruolo da protagonista di un progetto chiamato “Bloodsport” (“Senza esclusione di colpi”) nel quali anche Qissi interpretò una piccola parte. Aldilà del poco protagonismo che aveva in questo film, il suo lavoro dietro le telecamere fu alquanto importante, questa esperienza è quella che gli ha permesso di dirigere e coreografare al giorno d’oggi i propri film: “Mi è sempre interessato molto conoscere tutte le fasi della complessa realizzazione di un film. Infatti ho sempre collaborato “ufficiosamente” in questo, anche se poi il mio nome non appare nei titoli di coda. In “Senza esclusione di colpi” per esempio, oltre ad aiutare Jean Claude a coreografare le scene d’azione, partecipai anche alla post-produzione: dopo aver visto il discutibile lavoro di montaggio finale del film, Jean Claude ed io chiedemmo a Menahem Golan di lasciarci rifare il montaggio e che dopo scegliesse quello che più gli piaceva. Scelse il nostro e credo proprio che


Cinema Marziale così venne salvato il film. Da quel momento in poi, tutto andò sempre meglio per entrambi”. “Senza esclusione di colpi” (Bloodsport) contava su uno scarso budget e tuttavia ebbe un discreto successo al botteghino e più tardi spopolò nelle videoteche di mezzo mondo. A cosa si doveva quel grande successo? “Naturalmente le arti marziali e la boxe ci aiutarono moltissimo nell’industria cinematografica, perchè non è per niente facile farsi strada a Hollywood; Jean Claude proponeva qualcosa di nuovo e inedito, mancava solo di arrivare al grande pubblico e così arrivò l’occasione. Nel caso di “Senza esclusione di colpi”, aldilà di avere una sceneggiatura molto buona, avevamo un grandissimo produttore e un bravissimo regista e questo di per se fu una garanzia. Ma l’ingrediente più importante fu senz’altro Jean Claude, non si vedeva in giro uno come lui, con una scioltezza come quella, capace di saltare e fare una spaccata, la tecnica con cui usava le sue gambe era unica al mondo, specialmente a quei tempi nel 1986”. Qissi fu un tassello chiave nella realizzazione di “Senza esclusione di

colpi”, addirittura, pochi lo sanno, lo fu anche nel casting del film... “Ricordo un particolare aneddoto che avvenne prima di andare ad Hong Kong. Loro volevano che BodybyJake (Jake Steinfield) avesse il ruolo di Ray Jackson nel film “Bloodsport”, a quei tempi BodybyJake era più abituato all’aerobica, non era un attore famoso ma aveva fatto qualche esperienza di cinema e aerobica. Mark Disalle voleva che lui partecipasse con quel ruolo nel film, ma quando io lo vidi, pur sapendo che era anche uno in gamba, capii che non era l’attore adeguato per svolgere quella parte. Non volevo in alcun modo qualcuno che potesse far si che Jean Claude non fosse esaltato a dovere, quindi ne parlai, dissi che credevo che era un uomo in gamba ma non adatto al ruolo e lo riferì a Jean Claude. Ma Mark Disalle gli aveva già fatto un contratto e lo aveva pagato e ricordo che gli avevano offerto 60.000 dollari, che allora erano un sacco di soldi, specialmente per qualcuno che non era un attore vero; adesso quella cifra non è nulla per un attore, ma quando sei agli inizi nel business è già qualcosa. Dunque Jean Claude

insitette sulla cosa e il regista era preoccupato perchè non sapeva dove e come avrebbe trovato qualcuno con soli tre giorni di tempo. Il giorno dopo Jean Claude ed io andammo in Sunset Boulevard a pranzare, eravamo seduti uno accanto all’altro e davanti a me vedevo una televisione in cui trasmettevano un programma dove c’era un uomo di bell’aspetto, così dissi a Jean Claude di guardare quel tipo, uno uomo ben piazzato con capelli lunghi e mi sembrò perfetto per la parte, era Donald Gibb. Parlammo col proprietario del ristorante e con quelli che lavoravano lì e ci dissero chi era quell’uomo e quindi lo contattammo. Fu così che trovammo Jackson, l’enorme personaggio di “Senza esclusione di colpi” e mi pagarono dodicimila dollari facendomi molto felice, perchè non mi avevano mai pagato prima di allora, ahahah! Mentre ad Hong Kong presero un ragazzo cinese bassino per una parte e si vedeva che era omosessuale, non ho nulla contro gli omosessuali e stava con Jean Claude e Jackson tutto il tempo, era un modello cinese ed era molto appariscente. Allora dissi a Jean


Claude:” No Jean Claude per Dio, quest’uomo per “Bloodsport” no, per favore...” Io pensavo che lo avessero preso per la parte del grosso e cattivo, ma Jean Claude mi rassicurò dicendomi di avere fiducia in lui, non avrebbe avuto quel ruolo. Allora Jean Claude ne parlò con Mark Disalle e dicono che questi non fosse molto contento perchè non c’era molto tempo. Così il giorno stesso andammo a mangiare e accadeva la stessa cosa successa in precedenza, egli aveva già un contratto, gli avevano già dato una parte del denaro, la stessa cosa. Quindi dovevamo trovare qualcuno perchè se non ci fossimo riusciti avrebbero dato la parte a quel tipo e noi non lo volevamo davvero. Mentre stavamo mangiando vidi un uomo indaffarato con i tecnici, con i cameramen ed era uno degli assistenti del gruppo cinese che lavorava con noi, vidi come lavorava e urlava dietro alla gente, io lo osservavo, lo osservavo e alla fine andai da lui con Jean Claude chiedendogli se aveva mai recitato in un film. Lui ci disse di no ma che in verità aveva fatto qualcosa in teatro e che gli piaceva moltissimo, allora gli proponemmo di fare un provino,

lui accettò e quindi è stato così che abbiamo scelto quel piccolo cinese per il film. Dunque sono stato io a scegliere Jackson e il piccolo ometto. Tutti ci dissero che il cast fu incredibile, i due attori nei loro rispettivi ruoli.” Dopo il successo di “Senza esclusione di colpi”, Jean Claude Van Damme girò “Cyborg” e “Black Eagle”, in questi film non partecipò Mohammed Qissi, che oltre ad essere suo amico, era anche suo consigliere, assistente, allenatore personale, ecc. Nella sua vita la cosa prioritaria era la carriera del suo amico: “In effetti, nella mia famiglia sono stato cresciuto con il precetto che i fratelli maggiori vengono sempre prima dei più piccoli e Jean Claude per me era come un fratello maggiore. Quindi io pensavo sempre prima a cosa poteva andare bene per lui. Credevo in lui e sapevo che con molto duro lavoro sarebbe arrivato il successo.” Finalmente arrivò il grande progetto in cui entrambi avrebbero lavorato assieme, Kickboxer era ciò che stavano aspettando, ciò che avrebbe dato vita a Tong Po, il sadico cattivo tailandese del lungometraggio, personaggio che fu il

trampolino di lancio verso la fama. Questo è stato senza dubbio il ruolo che lo ha reso celebre, sia per l’interpretazione del thailandese (molta gente pensò che fosse effettivamente un Thai-Boxer trovato in qualche Gym di Muay Thai), che per la sua capacità di risultare effettivamente odioso e terrificante, di grande impatto tra il pubblico. “Kickboxer” contiene alcune scene realmente epiche che coinvolgono Tong Po: forse la più indimenticabile è quella in cui si vede il thailandese che condiziona la sua tibia a base di colpi su una colonna di mattoni e cemento; sotto l’incessante ritmo dei suoi low-kicks la sua lunga treccia si muove flessuosa e schizzano ovunque frammenti di cemento... “All’inizio il ruolo di Tong Po non era destinato a me, volevano un thailandese. Durante i preparativi di “Kickboxer” venni incaricato di passare in rassegna tutti i gym di Thai Boxing in cerca della persona giusta. Ma tutti i thailandesi che interpellai o non avevano alcuna dote interpretativa o non avevano il peso e la muscolatura che richiedeva la parte di Tong Po. Così riuscii a ottenere questo ruolo grazie alla complicità di Van Damme, lui disse ai produttori che a Bruxelles



avrebbe trovato la persona ideale per fare Tong Po. Al suo ritorno a Los Angeles, mostrò loro alcune mie foto, truccato per sembrare thailandese (il magnifico lavoro lo realizzò la truccatrice di “Cyborg”) e con la testa rapata a zero. I produttori parvero entusiasti e gli dissero di ingaggiare il “thailandese” di quelle foto. Ancora ricordo la loro incredulità quando gli svelammo che il “thailandese” ero io. La mia interpretazione di cattivo odioso fu un vero successo” A cosa si deve il successo di “Kickboxer”? Perchè questo film colpì così profondamente il pubblico? Ci fu una perfetta sinergia nel tandem Van Damme & Qissi? “Inizialmente proposi molte idee perchè quando lessi il copione di Kickboxer non mi piacque, proposi buone idee che piacquero molto a Jean Claude e dunque il film uscì alla fine, in assoluto è il mio film preferito, poichè il personaggio di Tong Po diventò assai famoso e grazie a lui molti ragazzi mi dissero che volevano praticare la Muay Thai e la Boxe, però penso che il film in cui sto lavorando adesso sarà il mio numero uno.

“Tong Po è un personaggio di un film, non ha niente a che vedere con me” Credo che i produttori e gli sceneggiatori siano in generale troppo ossessionati dall’azione. Per me l’azione è importante, ma è molto più importante il contenuto, il dramma, il cuore e le emozioni. Un film non può essere solo colpi e ancora colpi. L’azione funziona meglio, è più emozionante se dietro c’è una bella storia. L’azione fine a se stessa non ha senso. Per fare dei film bisogna avere molta, moltissima pazienza, costanza e determinazione. Il miglior esempio è stato quello di Bruce Lee. Quando giunse negli USA nessuno credeva in lui. Partecipava alle serie televisive ma nessuno gli dava una buona opportunità. Così dovette andarsene a Hong Kong per dimostrare quanto valeva. Il suo

segreto è che non si è mai arreso; ha insistito, insistito e insistito, fino al trionfo. Nella vita bisogna dare tempo al tempo per poter incontrare le persone giuste: validi sceneggiatori, registi produttori, ecc. E’ come una catena: basta che salti una delle maglie, perchè l’insieme smetta di funzionare come deve”. Il personaggio di Tong Po ebbe un tale impatto nel pubblico, che Michel Qissi era più conosciuto con il nome del cattivo di Kickboxer che per il suo nome d’arte. Tutti quelli che si riferivano a lui, lo facevano con il nome dell’infame personaggio. Qissi è stato tentato in certe occasioni di cambiare il suo nome d’arte in Tong Po? “Non ho mai avuto in mente di cambiare il mio nome in Tong Po, perchè Tong Po è un personaggio, io sono stato colui che gli ha trovato quel nome per il film e mi fa piacere naturalmente e mi sento fortunato di essere così conosciuto per via di quel nome, ma preferisco mantenere il mio nome, Mohammed. Tong Po è un personaggio di un film, non ha nulla a che vedere con me.” Michel Qissi, ha cambiato il suo nome d’arte col suo nome vero, Mohammed. A cosa si deve questa scelta?


Cinema Marziale

“Veramente si pronuncia “Michel”, è stato il padre di Jean Claude, anch’egli mio amico, che iniziò a chiamarmi così quando avevo 9 anni, così la gente del quartiere continuò a chiamarmi in questo modo e anche qui a Hollywood. Tuttavia adesso con l’età che avanza e anche se alcune persone continuano a chiamarmi Michel, preferisco tornare al mio nome di battesimo, quindi mi piace usare Mohammed”. A seguito di Kickboxer girarono “Lionheart” e dopo la sua uscita nacquero delle divergenze tra Jean Claude e Mohammed Qissi, quest’ultimo iniziò la sua carriera individuale lavorando in varie produzioni di Hollywood; gli proposero di recitare in “Kickboxer 2”dove sarebbe tornato a interpretare il detestabile Tong Po, con protagonista Sasha Mitchell. Girerà anche “Extreme Force”, “Kickboxer Terminator”, “Fino alla morte” (To the Death), “Bloodmatch – L’ultima sfida” con Benny Urquidez, ecc... Quando passò la moda del cinema KickBoxing, Mohammed Qissi tornò in Belgio. “Sono tornato in Belgio e mi sono dedicato a lavorare di più nell’ambito sociale, sull’onda del personaggio di Tong Po,

visitando molte scuole e questo è ciò che ho fatto, mi sono allontanato per un pò dai film, però c’è sempre un ritorno ed io sto tornando, avere successo è fantastico ma la cosa più importante è essere felici di ciò che facciamo. Se faccio un film ed ha successo è meraviglioso, ma se non ce l’ha non succede nulla perchè sto facendo quello che mi piace e questo è ciò che auguro a tutti.” Su diversi media è apparsa la notizia, nonostante la grande crisi che attraversa il cinema di arti marziali, della possibile realizzazione del seguito di “Senza esclusione di colpi”, in cui parteciperebbero Jean Claude Van Damme e Mohammed Qissi. Cosa c’è di vero? “Si ho sentito che c’è la possibilità di fare un remake del primo, più che una seconda parte, per cui si, esiste questa possibilità di tornare a lavorare insieme”. Attualmente il cinema di arti marziali attraversa una profonda crisi, praticamente ora non si gira nessuna pellicola di questo genere in nordamerica, Hollywood crede che questi film al giorno d’oggi non siano redditizi, ma che pensa Qissi a tal proposito? “Ci sono film che hanno avuto un grande successo per molti, molti anni, come “I 3 dell’Operazione Drago” con Bruce Lee “Kickboxer” con Van Damme, film come quelli non muoiono mai e spero che il film che sto girando ora produca lo stesso effetto. Penso che molti film possono essere belli o brutti, dipende se hanno una buona sceneggiatura, mezzi e


attori all’altezza, anche se sono molto difficili da reperire. Molti film di arti marziali sono carenti nella sceneggiatura e questi non vanno da nessuna parte. Ci sono pellicole di arti marziali che si presentano bene e queste sono buone per i ragazzi perchè ci sono molti ragazzi per le strade che poi vanno a vedere questi film. E’ risaputo che praticare arti marziali ti tiene lontano dai malaffari, alcuni di questi film possono salvare le loro vite, perchè alcuni cadono nella droga e grazie alle arti marziali e soprattutto allo Shotokan, hanno un aiuto per allontanarsi da tutte le cose negative. Perciò ovviamente penso che ci sarà sempre un mercato per i film di arti marziali. La gente non è stupida e le piacciono quelli scritti bene. Pertanto ripeto che non è per nulla semplice trovare sceneggiature ben scritte e bisogna avere il regista giusto che è colui che si incarica del casting degli attori appropriati, per questo penso che ci sarà sempre mercato per i bei film di arti marziali.” E’ curioso che uno che ha praticato Boxe e il cui idolo era Mohammed Alì, menzioni il Karate stile Shotokan e non dica niente della “nobile arte”. Cosa pensa della realtà attuale della Boxe, Qissi? Continua ad allenarsi e a praticare questo sport che le ha dato così tante soddisfazioni? “Da piccolo mi piaceva la boxe e Mohammed Alì, ma ciò avvveniva quando ero molto giovane. Adesso a quest’età vedo le cose in maniera differente. Io non vorrei che i miei figli praticassero la boxe, non direi a nessuno di fare pugilato, dipende da persona a persona, qualsiasi sport che possa far male a un altro non lo

raccomanderei mai a nessuno. Ho indicato ai miei figli lo Shotokan, quello che faceva Jean Claude, credo che sia il migliore, l’unica cosa è trovare il maestro giusto. Per me lo Shotokan che viene dal Giappone è il migliore perchè implica rispetto, amore, pace, al posto dei combattimenti ci sono i kata e negli incontri ci sono regole molto valide, è molto pulito, penso che sia la miglior cosa che possiamo consigliare di fare ai nostri figli. Ciò che più mi piace dello Shotokan sono i Kata che possiedono parate e bloccaggi e se sei un esperto nello Shotokan e qualcuno ha un problema per la strada, come una donna o un bambino, puoi intervenire e difenderli. Da molti anni lotto contro l’uso delle droghe motivando la gente a fare sport e l’unico sport che raccomando a tutti perchè so che è buono per la gente è lo Shotokan. Però dico anche che si deve fare attenzione e trovare il maestro adeguato, perchè in realtà tutte le federazioni di Shotokan del mondo in generale hanno dei buoni programmi e di solito altrettanti buoni maestri. L’unico motivo per cui dico che la boxe non è buona è perchè è la mia opinione e perchè l’ho praticata e so che si può davvero far male a qualcuno e danneggiare il proprio cervello col tempo, a meno che non la pratichi per così tanto. Io ho avuto molta fortuna perchè non l’ho praticata troppo, non perchè non volessi, ma perchè ho avuto un problema al gomito e ho dovuto smettere di combattere, ma mi rallegro che sia andata così perchè se avessi continuato, adesso potrei avere problemi ben più grandi. Ma se dovessi scegliere per i ragazzi tra la strada e il ring allora, senza pensarci su, sceglierei la boxe (ride), capite quello che voglio dire perchè possono succedere molte cose spiacevoli e la peggio di tutte è la strada, le risse di strada, puoi essere coinvolto in cose assai pericolose con le persone sbagliate, in quel caso si, la boxe è meglio che la strada.” Mohammed Qissi ha cambiato il suo modo di pensare sulla boxe e la sua pratica. Lo avrà fatto anche col suo idolo di gioventù, Bruce Lee? “Come ti dicevo, sia per me che per Jean Claude il nostro idolo nello sport era Mohammed Alì e nei film Bruce Lee. Bruce Lee aveva un grande carisma e conosceva il cinema, sapeva dove doveva stare, sapeva come girare molto bene, era impressionante questo è ciò che posso dire, aveva un grande talento. Grazie a lui molti ragazzi in tutto il mondo sono stati strappati alla strada e sono andati nelle palestre e questo è incredibile.” Attualmente Mohammed Qissi continua a lavorare “davanti e dietro” la macchina da presa. In quale nuovo progetto è coinvolto adesso? “Sto dirigendo e coproducendo una pellicola chiamata “The Pact”, è una storia alla Rocky o Rambo, ma differente.” Mohammed Qissi, è deciso a portare sul grande schermo tutti gli ideali e i principi che sono insiti nelle arti marziali, mettendo l’accento soprattutto sull’aspetto filosofico e il potere che hanno per aiutare i tanti giovani che, in un modo o nell’altro, si trovano persi per colpa della società, del consumo delle droghe o semplicemente a causa del luogo o del momento in cui gli è toccato vivere. Speriamo che Jean Claude Van Damme e Mohammed Qissi tornino a lavorare assieme in un film e che questo possieda il glamour e l’entusiasmo dei loro primi lungometraggi, perchè come ci diceva Mohammed Qissi, “I bei film non muoiono mai”, quei film che consentirono al “Belga d’oro” di avere una enorme schiera di ammiratori in tutto il mondo.


Il libro del tè


Classici Tra le letture senza tempo raccomandate per conoscere lo spirito dell’Oriente, specialmente del Giappone, non può mancare il classico di Kakuzo Okakura, Il Libro del Tè. Un classico lo è perché non delude mai, perché ha superato la prova del tempo. Questa meraviglia di testo, scritto in prima istanza in inglese per una minoranza che si avvicinava al profondo significato del Tè in Oriente, è divenuto senza dubbio un’opera letteraria di prima categoria e un bestseller. Abbiamo scelto la versione di ELA già pubblicata alcuni anni fa, per condividere con voi qualche brano del medesimo. Chi ancora non lo conoscesse, converrà con noi che si tratta di un testo che apre le porte verso comprensione dell’essenza dello spirito giapponese. Un titolo che non può mancare tra i migliori testi, insieme a classici come Miyamoto Musashi, o L’Arte della Guerra, come compendio indispensabile nella formazione di ogni artista marziale.

TAOISMO E ZEN Il legame di parentela tra lo Zen e il Tè è proverbiale. Abbiamo già fatto notare che il cerimoniale del tè è un’evoluzione del rituale Zen. Il nome del fondatore del taoismo, Laotse, è strettamente legato alla storia del tè. Nel manuale scolastico cinese, trattando di usi e costumi, si dice che la cerimonia di offrire il tè a un ospite venne da Kwanyin, che per la prima volta offrì durante una parata Han al Vecchio Filosofo, una tazza del prezioso liquido dorato. Non cercheremo qui di discutere l’autenticità di queste tradizioni; in ogni caso, esse dimostrano la antichità dell’uso del tè da parte dei taoisti. L’interesse che il Taoismo e lo Zen suscitano in noi, risiede in particolar modo nelle idee che riguardano la vita e l’arte di ciò che chiamiamo il Teismo. E’ un peccato che aldilà di alcuni tentativi encomiabili, non esista in nessuna lingua straniera una descrizione esatta delle dottrine taoiste e zen. Una traduzione è sempre una traduzione e per molto buona che sia, non è niente di più, come dice un autore dell’epoca Ming, che “il rovescio di un broccato”; ci sono gli stessi fili, ma manca l’accuratezza del disegno e del colore. Inoltre, esiste per caso qualche grande dottrina che sia facile da esporre? Gli antichi saggi non esponevano mai le loro conoscenze in maniera sistematica. Parlavano per paradossi, perché temevano di mettere in circolazione delle verità pericolose. Laotsè, col suo humor sottile, dice: “Quando la gente dall’intelligenza inferiore sente parlare di Tao, scoppia a ridere; però se non scoppiassero a ridere, non esisterebbe il Tao”. Letteralmente Tao significa il Sentiero, ma spesso è stato tradotto come la Via, l’Assoluto, la Legge, la Natura, la Ragione, la Moda, termini che d’altro canto non sono sbagliati, dal momento che gli stessi taoisti impiegano una parola diversa secondo il senso che desiderano dare alla loro espressione.

Laotsè dice: “Esiste una cosa silenziosa e solitaria che contiene tutto e che è nata prima che il cielo e la terra esistessero. Esiste di per sé ed è immutabile. Torna a se stessa ed è la madre dell’universo. Siccome ignoro il suo nome, la chiamo Sentiero. Bene, con il mio sentimento la chiamo Infinito, l’Infinito è Fuggevole, Fuggevole è l’Evanescenza, l’Evanescenza è il Ritorno”. Il Tao è lo spirito del cambiamento cosmico, l’eterna evoluzione che produce nuove forme. Si avvolge su se stesso, come il drago che è il simbolo principale dei taoisti. È delicato come le nuvole. Il Tao può essere anche considerato come la Grande Transizione. Soggettivamente, è il modo di essere dell’universo, il Suo Assoluto è il Relativo. Il Taoismo, come il suo successore lo Zen, rappresenta l’impegno individualista dello spirito cinese del sud, contrapposto al comunismo della Cina settentrionale che si esprime attraverso il Confucianesimo. L’Impero di Mezzo è vasto come l’Europa e le sue distinte idiosincrasie vengono definite dai due grandi sistemi fluviali che l’attraversano: lo Yangtse- Kiang e lo Hoang-Ho che possono essere paragonati al Mediterraneo e al Baltico. Ancora oggi, nonostante i secoli di unificazione, i sudditi del Celeste Impero del Sud sono ben differenti da quelli del Nord, nel modo di pensare e nelle credenze, come un individuo di razza latina si distingue da uno di razza germanica. Anticamente, quando i mezzi per comunicare erano più complicati di oggi e soprattutto durante l’epoca feudale, questa divergenza di mentalità era ancora più evidente. La poesia e l’arte di un popolo respiravano un’atmosfera completamente opposta a quelle dell’altro. In Laotsè e i suoi discepoli, e in Kutsungen, il precursore dei poeti nazionalisti dello Yangtse-Kiang, si manifesta un idealismo che è totalmente incompatibile con le nozioni morali ed esageratamente prosaiche degli scrittori del Nord contemporanei, ovvero, cinque secoli prima dell’Era Cristiana, che è quando visse Laotsè. Il germe della riflessione


taoista che esiste da ben prima dell’apparizione di Laotsè, venne chiamato Laotsè-dalle-orecchielunghe. Nei vecchi annali cinesi, specialmente nel Libro dei Mutamenti, si prospetta la sua apparizione, ma il grande rispetto che c’era verso i costumi in quell’epoca classica della civiltà cinese, che raggiunse il suo apogeo con la dinastia Chow nel XVI secolo A.C., costituì un enorme ostacolo al progresso dell’individualismo, cosicchè fu soltanto durante la disgregazione della dinastia Chow e la nascita dei numerosi regni indipendenti, che il taoismo ha potuto mostrare il proprio rigoglioso modo di pensare. Laotsè e Soshi, i due grandi esponenti della nuova scuola, erano due del Sud; dal canto loro, Confucio e i suoi discepoli tentarono sempre di conservare le antiche usanze. Solamente conoscendo il Confucianesimo si può comprendere il Taoismo e viceversa. Abbiamo detto che nel Taoismo, l’Assoluto era il Relativo. Nella loro etica, i taoisti negavano le leggi e i codici morali della società, perché per loro il bene e il male erano cose relative. Una definizione racchiude sempre un’idea di limitazione. Le idee di fissità e immutabilità non sono altro

che un ostacolo allo sviluppo. Le nostre idee di moralità sono figlie delle esigenze di tempi passati, ma per caso la società è sempre la stessa? Il rispetto delle tradizioni comuni comporta il sacrificio costante dell’individuo verso lo Stato. L’educazione, per mantenere una così forte illusione, incoraggia l’ignoranza; non si insegna al popolo a essere virtuoso, ma a comportarsi degnamente; siamo cattivi perché siamo terribilmente coscienti. Non perdoniamo gli altri perché ci sentiamo colpevoli, imponiamo il silenzio alla nostra coscienza perché abbiamo paura di svelare la verità agli altri; ci rifugiamo nell’orgoglio perché non osiamo ammettere tale verità a noi stessi. Come si può dare importanza al mondo se questo è così ridicolo? L’anima commerciale pervade ogni cosa. L’onore e la Castità! Chi è il mercante che vende il Bene e la Verità? E’ possibile comprarsi anche una religione che non sia altro che un rituale di moralità santificato con fiori e musica. Messi da parte gli orpelli, cosa rimane di essa? Una preghiera per un pass per il paradiso! Un certificato di onorabilità! Nascondetevi dietro a una botte, non sia mai che la società

scopra il vostro vero valore! Perché agli uomini e alle donne piacerà così tanto farsi notare? Non sarà una reminiscenza dei tempi della schiavitù? La virilità di un’idea consiste sia nella sua forza di trovarsi un posto nel pensiero contemporaneo, che nella propria capacità di dominare i pensieri futuri. La potenza attiva del taoismo si manifesta durante la dinastia Shin, che è quella che da origine al nome della Cina. Quanto sarebbe interessante fare luce sull’influenza che ebbe allora sui pensatori, sui matematici, sui legislatori e sui militari, sui mistici, sugli alchimisti e i poeti naturalisti dello Yangtsè-Kiang, e tracciare il ritratto di quegli speculatori della Realtà che si chiedevano se un cavallo bianco esisteva perché era bianco, o perché era un corpo solido, e di quelli delle Sei Dinastie che come i filosofi Zen, passavano il tempo discutendo del Puro e dell’Astratto! E se non ci dimenticassimo di rendere il giusto omaggio al taoismo, per l’influenza che ha avuto nella formazione del carattere dei sudditi del Celeste Impero, ai quali ha dato una capacità di resistenza e di calda raffinatezza come la giada. Ci sono innumerevoli esempi in


Cina che mostrano come gli adepti del Taoismo, principi ed eremiti, praticavano i precetti delle sue credenze e ne ricavavano risultati interessanti. Le loro storie, ricche di aneddoti, allegorie e aforismi, sarebbero istruttive e piene di dettagli. Potremmo conversare con quel celebre imperatore che non morì mai per il solo fatto che non aveva mai vissuto. Monteremmo a cavallo sopra il vento con Liehtsè e la nostra cavalcata sarebbe rilassante, perché saremmo noi stessi il vento; vivremmo fluttuando nell’aria con il vecchio dell’Hoang-Ho, che viveva tra il cielo e la terra perché non era soggetto alle leggi dell’uno o dell’altra. Nell’apologia che oggi la Cina moderna fa del Taoismo, troveremo una serie di dati comici, che non hanno pari in altre religioni. Ma è soprattutto nella padronanza dell’estetica che il taoismo ha influenzato maggiormente la vita asiatica. Gli storici cinesi hanno considerato il Taoismo come l’arte dell’esistere, perché si riferisce al presente, ovvero, a noi stessi. E’ in noi che Dio si mescola con la natura e dove ieri è diverso da domani. Il presente è l’Infinito in movimento, la sfera legittima del Relativo.

La Relatività cerca l’Adattamento; l’Adattamento è l’Arte. L’arte della vita consiste nell’adattamento costante all’ambiente circostante. Il taoista accetta il mondo così com’è, e al contrario dei confuciani e dei buddisti, tenta di trovare la bellezza in un mondo fatto di miserie e preoccupazioni. L’allegoria Song dei tre assaggiatori di aceto spiega mirabilmente la tendenza delle tre dottrine. Sakyamouni, Confucio e Laotsè si riunirono un giorno davanti a una grande caraffa di aceto, simbolo della vita, e ognuno di loro infilò un dito dentro il liquido per assaggiarlo. Confucio lo trovò agre; Buddha, amaro; Laotsè, dolce. I taoisti sostenevano che la commedia della vita poteva essere più interessante se ognuno sapeva guardare il senso dell’unità. Secondo loro, mantenere le proporzioni delle cose e lasciar spazio agli altri senza perdere il proprio, è il segreto del successo nel dramma della vita. Per recitare bene la nostra parte, è necessario conoscere tutta la commedia; il concetto di totalità non deve mai andare perso in quello dell’individualismo. E Laotsè lo dimostra con la sua metafora del vuoto. È solo nel vuoto, dice, che troviamo ciò che è davvero essenziale. Una stanza esiste per il suo spazio vuoto compreso tra le sue pareti, non per il tetto e le pareti stesse. L’utilità di una caraffa d’acqua consiste nello spazio vuoto in cui si può mettere l’acqua, non nella forma o nel materiale della caraffa. Il vuoto è onnipotente, perché può contenere tutto. Solo nel vuoto è possibile il movimento. Chiunque possa fare di se stesso un vuoto in cui gli altri possano penetrare liberamente, sarà padrone di ogni situazione; il tutto domina sempre la parte. Queste idee taoiste hanno avuto una grande influenza sulle nostre teorie dell’azione. Persino sulla scherma e la lotta. Il Jiu Jitsu, l’arte giapponese della difesa, deve il suo nome a un passaggio del Tao-teiking. Nel Jiu Jitsu si cerca di sconfiggere la forza e la resistenza dell’avversario con la non resistenza, conservando la propria forza per il combattimento finale. Applicato all’arte, questo principio fondamentale si dimostra per il valore della suggestione. Non svelandolo del tutto, l’artista lascia che sia lo spettatore a completare la sua idea; ed è per questo che un’opera maestra richiama tanto la nostra attenzione, che arriviamo a identificarci con essa e a credere di essere parte della sua essenza. C’è un vuoto in cui noi possiamo penetrare e riempire per intero la misura delle nostre emozioni artistiche.

Chi fa di se stesso un maestro dell’arte della vita è, per il taoista, l’Uomo Vero. Dalla sua nascita, entra nel regno dei sogni, per non risvegliarsi nella realtà fino al momento della sua morte. Attenua il proprio splendore per potersi immergere nell’oscurità degli altri. “E’ vacillante come colui che attraversa un fiume in inverno; indeciso come chi teme i propri vicini; tremante come il ghiaccio sul punto di sciogliersi; grezzo come un pezzo di legno prima di essere scolpito; vuoto come una valle; informe come l’acqua agitata.” Le tre perle della vita sono per esso, la Pietà, l’Economia e la Modestia. Se adesso tor niamo allo Zen, vediamo che rafforza le lezioni del taoismo. Zen è una parola derivata dal sanscrito Dhjana, che significa meditazione. Lo Zen sostiene che dalla meditazione sacra si può raggiungere la realizzazione suprema di se stessi. La meditazione è una delle vittorie che conducono allo stato di Buddha e i taoisti affermano che Sakyamouni raccomandasse particolarmente questa pratica e che aveva trasmesso le sue regole al suo discepolo favorito, Kashiapa. Secondo la tradizione, Kashiapa, il primo patriarca Zen, svelò il suo segreto ad Ananda, che a sua lo volta lo trasmise ai futuri patriarchi, fino al ventottesimo, Bodhi-Dharma. Questo patriarca venne dal Nord della Cina, a metà del VI secolo e fu il primo patriarca Zen cinese. C’è comunque molta incertezza sulla storia di questi patriarchi e le loro dottrine. Filosoficamente, lo Zen primitivo sembra avere delle affinità con il negativismo hindù di Nagarjuna, e dall’altro lato con la filosofia Gnan che formula Sancharacharya. Le prime predicazioni Zen si attribuiscono al sesto patriarca cinese, Yeno (637713), fondatore dello Zen meridionale, chiamato così a causa del suo predominio nella Cina del Sud. Fu seguito dal grande Baso, morto nel 788 che portò una vera influenza dello Zen nella vita cinese. Hiakujo (719814), suo figlio, fondò il primo monastero Zen e dettò le sue regole e i suoi rituali. Nelle discussioni della scuola Zen, si manifesta lo spirito Yangtsè-Kiang delle correnti di pensiero naturalistiche, così diverse dal precedente idealismo hindù. Nonostante cosa ne pensi l’orgoglio settario, sono evidenti le analogie tra lo Zen meridionale e le dottrine di Laotsè e dei conversatori taoisti. IL TAO – TEIKING contiene allusioni sull’importanza della concentrazione e sul modo di regolare la respirazione, punti essenziali nella pratica della


meditazione Zen; d’altra parte, le migliori relazioni circa Laotsè e la sua dottrina furono scritte da seguaci della dottrina Zen. Lo Zen, come il Taoismo, è il culto del Relativo. Un maestro Zen descrive l’arte Zen come l’arte di scoprire la stella polare nel cielo meridionale. Nulla possiede una realtà al di fuori di quello che riguarda le operazioni del nostro stesso spirito. Yeno, il sesto patriarca, un giorno vide due monaci che guardavano la bandiera di una pagoda che si muoveva nel

vento. Uno disse: “E’ il vento che muove la bandiera”, l’altro rispose:”E’ la bandiera di per sé che si muove”; ma Yeno spiegò loro che il movimento vero non derivava ne dal vento, ne dalla bandiera, ma da qualcosa in più di ciò che possedevano nel loro spirito… Hiakujo passeggiava in un bosco con uno dei suoi discepoli, quando una lepre saltò davanti a loro: Perché questa lepre fugge da noi? – domandò Hiakujo. Perché ci teme – gli rispose No, è perché abbiamo istinti mortali. Queste conversazioni ricordano anche quelle del taoista Soshi. Un giorno questi passeggiava sulle rive del fiume, parlando con un amico. Come sono felici i pesci nell’acqua! – osservò Soshi Lei non è un pesce; come sa che i pesci sono felici nell’acqua? – gli rispose l’amico Lei non è me; come sa che io non so che i pesci sono felici nell’acqua?Lo Zen è stato spesso opposto al buddismo ortodosso, come il taoismo al confucianesimo. Se si desidera compenetrare la vera scuola dello Zen, le parole intralciano il pensiero; l’intera massa degli scritti buddisti, sono solo commenti sulle esperienze personali. I seguaci dello Zen aspiravano alla comunione diretta con l’essenza stessa delle cose e consideravano gli elementi esterni come degli ostacoli a una chiara percezione della verità. Lo Zen prediligeva gli schizzi in bianco e nero ai dipinti policromatici della scuola buddista e questa predilezione era dovuta all’amore per ciò che era astratto. Alcuni adepti dello Zen caddero nell’iconoclastia, avendo cercato di trovare in se stessi l’essenza di Buddha, invece di cercarla nelle immagini e nei simboli. Tankawosho, un giorno d’inverno distrusse un’immagine di Buddha per accendere un fuoco. Sacrilegio! – esclamò uno spettatore terrorizzato Estrarrò dalle sue ceneri le SHALI, le pietre preziose che si formano nel corpo di Buddha dopo la sua cremazione – rispose tranquillamente il discepolo Zen Ma una statua non può avere le Shali! Allora non è un Buddha, quindi non commetto alcun sacrilegio – disse Tankawosho, tornando ad attizzare il fuoco per scaldarsi. Lo Zen ha portato al pensiero orientale l’idea che l’importanza di ciò che è temporale è uguale a quella di ciò che è spirituale e che nelle più alte relazioni tra le cose, non esiste differenza tra le piccole e le grandi; un atomo ha le stesse possibilità dell’universo. Chi cerca la perfezione, può trovare nella propria vita il riflesso della sua luce interiore. Per questo, non c’è nulla di più eloquente che la regola di un monastero Zen. A ciascun membro, eccetto l’abate, era assegnata una funzione nel mantenimento del monastero e, cosa curiosa, i novizi erano quelli incaricati dei lavori più leggeri, mentre ai monaci più rispettabili e avanzati verso la perfezione, venivano riservati quelli più umili e faticosi. Queste obbligazioni facevano parte della disciplina Zen e ogni lavoro doveva essere svolto con la massima cura e perfezione. Quante discussioni si originarono lavorando i giardini, raccogliendo le rape o preparando il tè! L’intero ideale del Teismo è la consacrazione della concezione Zen, relativa agli accadimenti della vita. Il Taoismo ha fornito la base delle idee estetiche, lo Zen le ha rese pratiche e possibili.




Ben ritrovati cari amici lettori di Cintura Nera! Nell’ambito del progetto del Censimento Nazionale delle Arti Marziali sviluppato in collaborazione con il portale MARZIALE NETWORK, che mira a portare alla luce il più elevato numero di realtà attive sul nostro territorio, oggi ci ha fatto visita in redazione Sensei Andrea Bonfatti di Bologna, Direttore Tecnico della F.I.G.J.I. per l’Emilia

(Federazione Romagna Italiana Go Ju Italia). 6° Dan di Jiu-Jitsu, Karate, Kobudo e Kenjutsu, è allievo diretto del GM Gianni Rossato, 10° Dan, uno dei pionieri delle Arti Marziali Giapponesi in Italia e in Europa, la cui opera è apprezzata e riconosciuta a livello mondiale fin dai primi anni ’60. Abbiamo fatto la conoscenza di un personaggio schietto, sorridente e dalle idee chiare sul panorama

delle Arti Marziali antiche e moderne. Con Sensei Bonfatti, accompagnato da uno dei suoi migliori allievi (Simone Pedrazzi, prossimo 3°Dan), abbiamo avuto una piacevole conversazione, condita da una breve dimostrazione di kata a mano nuda, con bastone (Bo) e di qualche applicazione tecnica in coppia sul nostro tatami. Ne riportiamo qui i passaggi salienti.

Cintura Nera: Sensei, ci parli un po’ della vostra associazione, della sua attività e della sua storia. Sensei Bonfatti: La Federazione Go Ju Italia rappresenta al meglio l’attività svolta nell’arco di tanti anni dal GM Gianni Rossato. Studiamo 4 discipline fondamentali che sono Jiu Jitsu, Karate, Kobudo e Kenjitsu. Il nostro metodo possiede un bagaglio piuttosto completo (composto da circa 4000 tecniche) in quanto il GM Rossato è riuscito a

sintetizzare in esso diversi stili di queste discipline. Ad esempio per quanto riguarda il Jiu Jitsu, il nostro Maestro ha studiato con il GM Albert Church gli stili Yoshin Ryu e Daito Ryu, mentre dal Maestro cinocoreano Kim Chi Wang ha appreso lo Shorinji Kenpo. Unendo queste sue conoscenze ha creato il Jiu Jitsu che oggi studiamo sotto l’egida della GoJu Italia. Per quanto riguarda il Karate invece seguiamo una linea diretta che passa dal Maestro Gogen Yamaguchi dello stile Goju Ryu a

Peter Urban della Goju Ryu USA, fino ad arrivare al GM Rossato. Inoltre quest’ultimo ha avuto anche il privilegio di studiare con personaggi come il M° Oyama, il M° Richard Kim, con cui ha studiato anche Kobudo, e il M°Shogo Kuniba. Per quanto riguarda il Kenjiutsu il suo background deriva sempre dai Maestri Albert Church e Shogo Kuniba attraverso lo stile Mugai Ryu di spada giapponese. Questo è in linea di massima ciò che ha contribuito a far nascere il nostro metodo GoJu.

A cura di: Nicola Pastorino & Leandro Bocchicchio


C.I.: Sulla base di quanto detto in precedenza e sulla varietà di sistemi che sono inclusi nella GoJu Italia, ci può parlare della vostra metodologia di insegnamento? S.B.: Anzitutto dividiamo i nostri corsi in bambini, ragazzi e adulti, dove a seconda della tipologia di gruppo si fanno percorsi distinti. Abbiamo una didattica specifica per ognuna di queste fasce di praticanti, in base alle loro caratteristiche. Nelle nostre lezioni svolgiamo una parte di preparazione fisica, che occupa circa 2/3 della sessione e poi una parte tecnica relativa ai programmi di studio codificati dal nostro caposcuola. C.I.: Nella vostra struttura didattica privilegiate l’aspetto tradizionale o quello sportivo della pratica dell’Arte Marziale? S.B.: Noi facciamo una grossa distinzione tra Arte Marziale e Sport da Combattimento. La linea guida che noi seguiamo è quella tracciata dal nostro Maestro, quella dell’Arte Marziale tradizionale, con i principi che questa deve trasmettere ai suoi praticanti. Per questo nel nostro metodo, la parte

sportiva viene messa da parte e si portano avanti i principi etici legati al Bushido giapponese che rappresentano al meglio la filosofia della nostra scuola. C.I.: Parliamo un po’ di te Sensei. Quando ti sei avvicinato alle Arti Marziali e quando hai conosciuto il GM Rossato? S.B.: Come la maggior parte di noi, ho cominciato con le Arti Marziali a 8 anni grazie ai film che giravano al cinema e in tv all’epoca. Adesso ne ho 42 per cui sono già oltre 30 anni che le pratico. Mi sono avvicinato subito al Jiu Jitsu e ho conosciuto il Gm Rossato circa 15/16 anni fa, perché prima andavo da alcuni dei suoi allievi. Sono dunque 15/16 anni che tutte le settimane vado da lui e faccio lezioni private e grazie a questo percorso ho potuto sviluppare tutte le discipline che fanno parte della nostra scuola e di ottenere dei risultati lusinghieri in ognuna di queste. C.I.: Il termine GoJu è associato in genere a uno stile specifico di Karate. Ma nel caso della vostra Associazione, cosa significa? S.B.: Goju tradotto letteralmente vuol dire “duro-morbido”. Nel nostro caso,

Goju Italia rappresenta il metodo all’interno del quale sono presenti le quattro discipline che pratichiamo. Tutto nasce dal periodo in cui il GM Rossato andava negli USA a studiare GoJu Ryu col M° Urban. Questi aveva un idea che si basava sul fondare un proprio GoJu basato sull’esperienza di vari stili, per cui stimolò i suoi allievi di varie nazionalità, tra cui il GM Rossato, a tornare nei loro paesi e a creare il proprio stile. Infatti il GM Rossato ha raggiunto alti gradi in sette differenti discipline e per questo è riconosciuto a livello mondiale come uno dei massimi esponenti delle Arti Marziali di origine giapponese. Tra l’altro, questo mese ha ricevuto a Lisbona (Portogallo) il premio di Maestro dell’Anno in Europa. Perciò, quando tornò in Italia dagli Stati Uniti, dopo aver fatto tutto il percorso nel GoJu Ryu giapponese e nel GoJu USA, fondò la sua scuola GoJu Italia col benestare del M°Peter Urban e degli altri suoi Maestri, così come hanno fatto i suoi colleghi nei rispettivi paesi. C.I.: La vostra è una federazione a carattere nazionale. Ci sono sviluppi per quanto riguarda l’organizzazione di attività come seminari o altro del genere anche a livello internazionale?


Grandi Maestri S.B.: Naturalmente uno degli obbiettivi della nostra federazione è quello di divulgare il più possibile il metodo GoJu. Siamo presenti a livello nazionale in quasi tutte le regioni con almeno un rappresentante e la relativa scuola. A livello europeo siamo legati alla IMAF (Inter national Martial Arts Federation) con la quale si organizzano periodicamente stage, seminari, interscambi ed esperienze varie, gestite e dirette dal nostro Maestro Gianni Rossato. C.I.: Tornando a parlare più in generale, qual è la tua opinione sulla direzione presa dalle AM verso la ricerca del combattimento sempre più estremo, grazie agli sport da ring e nelle “gabbie”? S.B.: E’ importante sottolineare la distinzione del percorso tra Arte Marziale e Sport da Combattimento. Secondo me sono due linee di sviluppo, di insegnamento e di evoluzione umana completamente diverse tra loro. L’Arte Marziale da una serie di input e di conoscenze che vanno aldilà dello sport. Si studia la fisiologia del corpo, la storia, la filosofia di uno stile ed è necessario applicarsi nello studio di queste materie connesse all’arte stessa. Negli sport da combattimento si fa un allenamento specifico e si acquisiscono dei movimenti che poi a prescindere vengono sviluppati in funzione dei match, però si limitano a quello. Puoi farli per un tot di anni, prendi e dai un tot di botte, ma il tuo percorso finisce li. Le Arti Marziali sono un percorso di una vita all’insegna della conoscenza e del rispetto di te stesso, del tuo corpo e di quello del tuo Uke, il compagno con cui ti alleni quotidianamente. Per questo, a mio avviso, è fondamentale fare una corretta distinzione tra due cose che non hanno molto a che vedere tra loro. C.I.: Alla luce di tutte questo, Sensei Bonfatti si sente più innovatore o tradizionalista? S.B.: Tutti e due. Questo perché nella nostra scuola ho la possibilità di accedere a kata e a forme molto antiche che però sono state modernizzate grazie al contributo del nostro Maestro. Questo secondo me è il futuro, nel senso che, come dice il mio Maestro, se una volta i primitivi accendevano il fuoco con un bastoncino era perché quelle erano le loro conoscenze all’epoca. Noi adesso non ci mettiamo più ad accendere fuochi con i legnetti, ma usiamo comodi accendini perché possediamo altre conoscenze. Il bastoncino rappresenta si il metodo tradizionale, ma l’evoluzione ci ha portato a poter accendere un fuoco in un’altra maniera. E questo è il percorso che l’Arte Marziale deve seguire attraverso la conoscenza, tecnica, fisiologica, medica e tutto quanto abbiamo a disposizione oggi. C.I.: Grazie per aver accettato il nostro invito e averci dedicato un po’ de suo tempo, Sensei. S.B.: Grazie a voi, è stato un piacere parlare con voi a nome mio e del mio Maestro. A breve il video dell’intervista su: http://www.marzialenetwork.info/#!stre aming-tv/c1h30




Affrontiamo in questo articolo un argomento considerato di base per tutte le scuole interne, le arti marziali e per molte attività sportive in generale, illustrato da uno degli istruttori ufficiali della scuola di Kung Fu del Maestr o Paolo Cangelosi (“gran master” riconosciuto a livello internazionale), Mario Meloni, insegnante di Tai Chi Chuan e Qi Gong in una delle scuole di Roma (Italy). Mi è stato chiesto di scrivere un articolo per questa rivista e mi è venuto subito in mente questo argomento; ho iniziato il percorso di quest’arte nel 1990 e dopo lunghe pratiche, ricerche personali e un contatto diretto con il Maestro e l’insegnamento da oltre 15 anni, ritengo opportuno sottolineare alcuni aspetti basilari della respirazione. Su questi aspetti sono dovuto spesso ritornare nella pratica personale con una ricerca più profonda, per comprendere meglio l’alchimia di quest’arte senza fine, e di conseguenza trasmetterla nell’insegnamento ai miei allievi. La trasmissione di quest’arte può realizzarsi solo attraverso l’esperienza, e non con parole, che, se non vissute, possono risuonare “vuote”; probabilmente è anche per questo che nei molti racconti di maestri del passato si trasmetteva l’arte con poche parole, lasciando all’allievo l’intuizione e lo sviluppo delle sensazioni. In una delle tante lezioni con il SIFU sugli stili interni, il maestro disse che a volte bastava solo “un respiro”; io ho interpretato queste parole nel senso che bastava un respiro per ….. risvegliare e smuovere l’energia, per rivitalizzarla e per farla circolare in tutto il sistema energetico dell’organismo, infondendo quel benessere interiore in un solo atto respiratorio di cui si tratta quando si parla dello stile interno del Tai Chi, del Qi Gong e di molti altri metodi interni. Ai miei allievi dico che è come prendere un caffè, le sensazioni possono essere le stesse. Compiere un atto respiratorio equivale a mantenere un continuo e costante afflusso di ossigeno all’interno del corpo; smettere di respirare significa spegnere gradualmente i processi


Grandi Maestri

fisiologici dell’organismo, così come perfezionare questo atto equivale a migliorare l’ossigenazione in circolo nel sangue e rendere quindi più invasivo, significativo ed estremamente rivitalizzante questo processo a favore dell’intero organismo. Esistono moltissimi esercizi e molte pratiche respiratorie; quello che affrontiamo ora è uno studio semplice attraverso un esercizio praticabile da tutti, nella cui descrizione sottolineo dei punti basilari che devono essere mantenuti come radice portante e funzionale per il raggiungimento di un risultato positivo e nel futuro duraturo nella pratica; tali punti possono poi essere di aiuto in altre attività o altre pratiche,sia interiori, sportive o semplicemente nelle vostre attività quotidiane. Tale pratica rifletterà nel tempo uno stato di calma, controllo interiore e positività che traspare all’esterno e dunque può migliorare in tal senso la quotidianità di ognuno. Tra le prime conquiste che un principiante deve ottenere è sicuramente quella di sentire, migliorare e regolarizzare la sua respirazione, grazie alla conoscenza e al movimento del diaframma.

PREPARAZIONE I punti che citiamo qui di seguito anticipano la pratica e servono per accostarsi ad essa in modo adeguato, curando alcuni dettagli che possono aiutarci e fare la differenza nella pratica stessa; a volte solo la preparazione iniziale indicherà e precederà

l’andamento e il risultato della vostra esperienza interiore. • Iniziate a calarvi nella pratica decine di minuti prima svuotando la mente dagli appuntamenti e dalle tante faccende quotidiane antecedenti e ancora da svolgere. • Abbandonate le vostre emozioni positive o negative che siano, in modo da non sbilanciare attraverso gli sbalzi di umore le vostre energie. • Eliminate ogni possibile fonte di disturbo. • Fate circolare l’aria in modo adeguato e curate l’abbigliamento per la massima comodità.

LA RESPIRAZIONE La respirazione deve essere fluida ed omogenea, senza troncamenti e spezzettature, non deve essere forzata, ma deve riflettere la calma interiore che abbiamo raggiunto nella preparazione iniziale e nel rilassamento. La sequenza efficace è: inspiro, trattengo per circa due secondi ed espiro, trattenendo per altri due secondi anche al culmine dell’espirazione, prima di ripartire con i successivi cicli respiratori. L’espansione della zona interessata (che vediamo nell’esercizio) deve essere accompagnata dalla visione interiore e questa espansione dovrebbe svilupparsi non solo frontalmente, ma anche nelle zone laterali e posteriori, come se si gonfiasse un unico palloncino; con il tempo le fasce muscolari si renderanno più elastiche favorendo il processo di espansione e rientro dei due Tan Tien.

ESERCIZIO • Posizione schiena a terra, gambe piegate con le piante dei piedi a terra alla larghezza di una volta le spalle, le braccia sono lungo il corpo, leggermente staccate da esso, con i palmi delle mani rivolte verso l’alto, occhi chiusi. Questa prima posizione ci toglie dal problema del mantenimento dell’equilibrio, per questo gli occhi possono essere completamente chiusi e possiamo concentrarci totalmente sul rilassamento del corpo e della mente, abbandonando i pensieri e le tensioni fisiche del corpo. La postura ci permette poi di mantenere la schiena perfettamente allineata in orizzontale a terra; possiamo mantenere questa postura per 10 minuti circa, non è consigliabile mantenerla oltre, poiché tale posizione potrebbe farci addormentare. • Posizioniamo entrambe le mani una sopra l’altra all’altezza del Tan Tien medio (sterno – plesso solare). Iniziamo la nostra respirazione espandendo e dilatando in fase di inspirazione il torace (polmoni); una piccola apnea ed espiriamo svuotando la stessa zona interessata; dopo una piccola apnea riparte il ciclo respiratorio. In questa fase la nostra concentrazione è sul torace dove sono posizionate le mani, la respirazione è concentrata sulla dilatazione polmonare (toracica) che non comprende solo l’aumento del volume frontalmente, ma anche sulla zona laterale e posteriore, con la visualizzazione che accompagna questo processo di dilatazione e ritenzione.


• Posizioniamo le mani sul basso ventre una sopra l’altra, Tan Tien inferiore (poco sotto l’ombelico), iniziamo la nostra respirazione cercando di espandere il bassoventre e l’addome non solo frontalmente ma comprendendo nella sua dilatazione anche le fasce laterali e la zona posteriore dei reni, come un palloncino. In questa terza fase la nostra concentrazione è sull’addome, dove sono posizionate le mani. • Lasciamo una mano sul basso ventre, mentre l’altra si posiziona sul torace. In questa posizione il nostro respiro (inspirazione) partirà dal basso ventre dilatando prima l’addome e poi il torace, per svuotare poi prima il torace e poi il basso ventre, lavorando in questo caso su entrambi i Tan Tien. La nostra visualizzazione seguirà il ritmo del respiro e le mani ci aiuteranno a monitorare il riempimento e lo svuotamento dei due centri. • Torniamo con entrambe le mani sul basso ventre e dopo aver riportato la mente e la respirazione su questa zona eseguiamo un massaggio circolare (basso ventre/addome) in un senso e poi nell’altro (orario ed antiorario). Il massaggio deve rimanere in zona, non allarghiamo la rotazione verso fegato e milza, il movimento è lento e leggero. •Si ritor na nella posizione di partenza con le braccia lungo i fianchi come nel punto 1, ci si piega prima sul fianco destro posizionando la mano destra sotto l’orecchio e poi si torna seduti; terminati questi ultimi passaggi possiamo gradualmente e lentamente alzarci da terra.

ALCUNE PRIME DIFFICOLTA’ All’inizio non sarà facile concentrarsi nell’esercizio, ma appena si posizioneranno le mani, la mente sarà totalmente assorta nella pratica. Se non si riesce ad espandere un addome rispetto all’altro, non forzate irrigidendovi, ma massaggiate la zona interessata per rilassarla e riprovate. Il ritmo respiratorio deve risultare omogeneo e non troncato; se non riuscite a renderlo fluido, provate ad accorciare il tempo di esecuzione del ciclo completo. Potreste avvertire inizialmente un fastidio addominale dato dalla pressione che crea dilatazione nelle fasce; con il tempo la zona diverrà più elastica facendo scomparire questo possibile fastidio. Consiglio un tempo iniziale di minimo due minuti per ogni passaggio, un tempo troppo ridotto non ci permetterà di calarsi sufficientemente nella pratica, mentre una pratica troppo prolungata potrebbe (inizialmente) procurare tensioni. Lo scodo dell’esercizio (oltre alla ricerca del sopracitato benessere), è quello di prendere coscenza del proprio respiro, delle prime difficoltà e del movimento del diaframma, attraverso l’identificazione dei due Tan Tien; il Tan Tien inferiore e il Tan Tien medio. Seguiranno degli approfondimenti sull’argomento. Per maggiori informazioni e contatti visita il sito: www.mariomelonitaichi.altervist a.org.






La forza prestata è un “moltiplicatore di forza” Salve lettori di Cintura Nera/Budo International! Nell’articolo di questo mese, vorrei spiegare un altro componente molto importante tra i 26 concetti chiave del CRCA come “L’ABC della teoria del combattimento del Wing Chun”. “La forza prestata” o Yie Lick, è considerata il Santo Graal del CRCA Wing Chun. Dico questo perché il Wing Chun è un’Arte Marziale. La parola “marziale” ha la sua radice in “Marte”, l’antico Dio romano della guerra. E in guerra la vittoria è tutto. Dato che l’obbiettivo principale di qualsiasi vera arte marziale è quindi la vittoria in battaglia, il miglior modo di assicurarsi il successo contro un nemico più grande, più forte, è farsi aiutare proprio da lui per sconfiggerlo. Prima che l’idea di forza prestata possa essere pienamente compresa, l’allievo serio di Wing Chun deve capire per primo i concetti basilari della propria energia, in termini di dove viene, dove va e come sfruttarla a proprio favore. Come vediamo nel CRCA Wing Chun, l’energia che si utilizza nei colpi e nelle parate è una forza della natura, come l’elettricità, la gravità, il magnetismo, la pressione dell’aria o la pressione dell’acqua, con proprietà, limiti e qualità similari alle altre forze. La maggior parte, per certi aspetti, sono come l’elettricità. La forza viene dalla terra (si origina nei talloni_”Lick Yau Gyeuk Sahng”) e tor na facendo la strada più diretta possibile al suolo. Dando energia alla mano anteriore che colpisce insieme alla gamba posteriore che spinge e facendo uno spostamento simultaneo con il piede anteriore, si può vedere facilmente che il colpo avrà molta più potenza se si porta prima che il piede anteriore tocchi terra. È durante questo breve attimo di “energizzazione” che un colpo o una parata avranno un potenziale di forza più elevato. Faccio un paragone con quanto accade in certi videogames di Boxe quando il guantone comincia a lampeggiare indicando che per un breve istante si è dotati di un “Super-pugno” che farà molti più danni se colpisce l’avversario, rispetto a un pugno normale che si porta quando il guantone è in modalità standard, senza lampeggiare. Se si colpisce l’avversario con uno spostamento medio, il colpo avrà molto più effetto di quello che avrebbe se si aspettasse che il piede anteriore tocchi terra, o se non lo si facesse affatto. Alla stessa maniera, l’avversario è “energizzato” dal suo proprio movimento, soprattutto se fa un passo, quando esegue un qualsiasi movimento, specialmente un movimento in avanti

“Dato che l’obbiettivo principale di qualsiasi vera arte marziale è quindi la vittoria in battaglia, il miglior modo di assicurarsi il successo contro un nemico più grande, più forte, è farsi aiutare proprio da lui per sconfiggerlo”

“Prima che l’idea di forza prestata possa essere pienamente compresa, l’allievo serio di Wing Chun deve capire per primo i concetti basilari della propria energia, in termini di dove viene, dove va e come sfruttarla a proprio favore”

come quando cerca di colpire, calciare o bloccare. Paragono questa idea ai principi del videogioco “Pac-Man”, quando il fantasma lampeggia, il che indica che si guadagnano dei punti extra se si raggiunge e si mangia mentre sta ancora lampeggiando, a differenza del minor numero di punti che si guadagnerebbe facendo lo stesso quando questo è in stato normale. Con questa idea in mente, l’opponente può essere colpito con una forza notevolmente maggiore quando “lampeggia” a causa del suo stesso passo e/o movimento di colpo/parata. Con una profonda conoscenza di questi principi di energia, il combattente Wing Chun può imparare a usarli a suo vantaggio, come quelli che in ambito militare si conoscono come “moltiplicatori di forza”. La “moltiplicazione della forza” avviene quando si è in grado di sottrarre qualcosa al nemico e poi usarlo contro di lui in battaglia. Per esempio, se siete capaci di intrufolarvi nell’accampamento nemico di notte, rubare tutte le sue munizioni e dopo sparargliele addosso il gior no seguente, ciò “moltiplica” la vostra forza. Nel combattimento a corta distanza, “la forza prestata” ha lo stesso effetto. Per esempio, siete di fronte al vostro avversario in una posizione aperta. Lui solleva il piede anteriore per fare un passo avanti e in quel preciso momento, sollevate anche voi il piede anteriore e gli date un pugno con la mano anteriore prima che il suo piede arrivi a terra. Quello che è stato ottenuto è stato che vi siete “energizzati” voi stessi facendo un passo, per cui nella vostra mente, la sua testa “lampeggiava” e a sua volta è stata “energizzata” la mano anteriore mediante l’intensificazione, provocando che la vostra stessa mano cominciasse a “lampeggiare” per dare un “Superpugno” e colpirlo mentre entrambi stavate “lampeggiando”; voi in realtà “avete preso in prestito” tutta la forza che lui ha creato con il suo spostamento e l’avete utilizzata insieme alla vostra. In questa maniera, l’appropriazione dell’energia è come chiedere un prestito di denaro alla banca, quando si chiede 1000 dollari, voi non restituite solo i 1000, ma pagate i 1000 dollari più una percentuale della stessa somma come interesse. Quando chiedete in prestito l’energia del nemico, restituirete ciò che avete chiesto, oltre a una parte della vostra forza come “interesse”. E nel caso in cui l’avversario non sia in movimento o non sia più in movimento, potete fare in modo di attirarlo verso di voi. Infatti, “prendendo in prestito un po’ di denaro”, poi potete restituirglielo “con gli interessi”, colpendolo mentre siete entrambi “energizzati”, come si vede nella foto BPC5.


Wing Chun Immaginate di poter creare una versione trasparente del vostro avversario che esca dal suo corpo e si metta a fianco a voi muovendosi insieme – gomito a gomito. Questo è ciò che la forza prestata fa per voi, vi permette di non temere nessun avversario, perché non importa quanto grande e forte sia, voi e lui INSIEME potete assolutamente sconfiggerlo, poiché non avete un punto negativo. Immaginate di avere il gemello del vostro avversario al vostro fianco, che agisce contro di lui come nel Jyeh Lick – vi presta la sua forza per moltiplicare la vostra. Questo concetto è un arma preziosa nell’arsenale

Forza prestata, sequenza 2: BPB1 – Zoltan Bathory, chitarrista della band Heavy Metal di fama mondiale Five Finger Death Punch, si posiziona davanti al suo avversario in una guardia chiusa. BPb2 – Senza avanzare dalla sua posizione, Zoltan intercetta il jab del rivale utilizzando la sua parata, Pock Sau Slap con la posteriore. Non avanzando, non offre al suo avversario alcuna forza prestata, ne tantomeno diminuisce la distanza avvicinandosi al suo avversario con il suo colpo.

di qualsiasi artista marziale, indipendentemente dallo stile.

L’Istruttore Capo Mario Lopez della CRCA Germania si posiziona contro l’istruttore CRCA di Duisburg Thomas Schrödter in una guardia aperta. Come Thomas avanza con il Jab anteriore, anche Mario avanza verso un lato e “prende in prestito” la forza colpendolo nel momento esatto. La forza di Thomas era al suo punto massimo, e andando a contatto prima che il piede di Mario tocchi il suolo, si assicura il

maggior potenziale d’impatto possibile tra le due forze opposte. BPa3 – appena porta il colpo con la posteriore, Mario si abbassa in diagonale usando Ngoy Seen Wai (affrontando dall’esterno), muovendo i piedi per aumentare la potenza del suo Chop Kuen di posteriore colpendo alle costole, realizzato nell’attimo esatto in cui è possibile capitalizzare al massimo il proprio impulso in avanti verso l’avversario, provocando l’effetto che l’avversario “si colpisce da solo”. BPa4 – Scaricando il peso affondato e girando radicalmente le anche, Mario prosegue con una rotazione a sinistra con Choh Ma Cheh Kuen alla mandibola.

Visto che l’avversario procede avanzando con un colpo di gomito alla testa di posteriore, Bathory arretra in un angolo e ruota facendo perno portando una Hau Chong Ma Chahng Dai Jyeung (Palmo a “spada” posteriore) alle costole. In questa maniera, l’opponente si vede obbligato ad assorbire la totalità delle forze combinate di entrambi i lottatori nella sua zona più vulnerabile delle costole al momento esatto in cui egli cerca di colpire Zoltan, subendo così la “Forza Moltiplicata CRCA. Come l’avversario tenta un timido recupero con un colpo ad ascia Fan Sau, Zoltan si abbassa spostandosi

maggiormente verso l’esterno mentre si gira alla sua destra per contrattaccare con un Chop Kuen alla zona delle costole già danneggiata, ancora una volta con la forza prestata del nemico e la sua applicazione al fuoco di risposta. - Una volta che l’avversario è stato sbilanciato dal colpo finale, Zoltan cambia il suo braccio destro in un Dai Boang Sau sotto il braccio, con lo scopo di mantenere il suo braccio fuori dalla traiettoria del suo calcio laterale Chai Wahng Gyeuk che, grazie all’angolo di impatto e al modo in cui si trova posizionato il suo avversario, può rompere sia la caviglia che il ginocchio.

Forza prestata, sequenza 1:


Forza Prestata, sequenza 3: John Simons, Istruttore Capo della CRCA Virginia e Capo della sicurezza dei Five Finger Death Punch, si piazza in posizione Bai Joang in guardia chiusa con il suo avversario. Senza fare un passo verso il colpo dell’avversario, John utilizza il suo Woo Sau anteriore per proteggersi e deviare il colpo del rivale con un colpo circolare del polso. Usa Gum Gock Ging (sensibilità di tocco), quando il colpo deviato comincia

“La “moltiplicazione della forza” avviene quando si è in grado di sottrarre qualcosa al nemico e poi usarlo contro di lui in battaglia”

a ritrarsi, John individua il colpo seguente che arriva e, in una frazione di secondo, con precisione e sincronia, si inclina all’indietro per scagliare un Jeet Wahng Gyeuk, un calcio laterale che intercetta il pugno medio dell’opponente, il quale viene colpito dal piede calciante con forza addizionale moltiplicata dal suo stesso impulso. Ora, prendendo in prestito il suo impulso discendente, John afferra rapidamente il braccio del suo avversario che colpisce ancora disteso, e colpisce la sua gola prima che il piede tocchi terra.

Invece di spingere il suo avversario fuori dal suo colpo successivo, John afferra rapidamente il braccio destro del rivale una seconda volta, il che p ro v o c a c h e T h o m a s s i s b i l a n c i ancora di più verso il “palmo” a spada Chahng Jyeung di John, che è coadiuvato da una presa Kau Sau alla spalla che lo trascina direttamente verso il colpo che si avvicina e lo spinge verso di esso, dando così un certo impulso all’opponente che può essere preso in prestito e usato contro lo stesso.

“Quando chiedete in prestito l’energia del nemico, restituirete ciò che avete chiesto”


o scorso venerdì 28 Febbraio, nella sede principale europea dell’International Bugei Society a Valencia, si è celebrata la cerimonia di investitura di tre nuovi Shidoshi. Per mano dei responsabili della scuola, Shidoshi Jordan Augusto e Shidoshi Juliana, i diplomati hanno ricevuto la loro licenza di Shidoshi e i 18 Makimono, documenti tradizionali che comprendono tutta l’eredità della tradizione Shizen della scuola Kaze no Ryu Ogawa Ha. Alfredo Tucci, Luis Nogueira e Luis Alberto Sebastian, sono diventati i primi Shidoshi formati in Europa. E per questo, si tratta di un fatto senza precendenti nella storia recente della tradizione. Da questo momento in poi e insieme a Shidoshi Jordan e Shidoshi Juliana, si faranno carico della cura e della diffusione della scuola nei suoi aspetti marziali, culturali e spirituali.

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Questo DVD sul pronto soccorso è uno strumentoindispensabile per tutti i praticanti di Arti Marziali chepresto o tardi si trovano in situazioni nelle quali ènecessario “soccorrere”. In qualsiasi scuola in cui siha a che fare con la lotta, il combattimento osemplicemente il contatto fisico, è successo chequalche allievo o istruttore sia stato colpitoo abbia patito un infortunio. E' possibile siano stati messi ko,che abbiano avuto difficoltàrespiratorie, spasmi muscolari,vertigini, nausee, o unqualsiasi altro problemacausato da un allenamentolesivo. Gli “incidenti” sonoqualcosa di reale ed ènecessario intervenirequanto prima, in modoche la disfunzionecausata non peggioriulteriormente. Questeinformazioni n o n d o v r e b b e r o essereobbligatorie per tutti gli“istruttori”, ovviamente, perpreservare la sicurezza e ilbenessere dei loro allievi?Questo DVD è il primo di unaserie di lavori a cura del Maestro Pantazi, incentrato nell' “altro lato”del Kyusho, quel lato che ponel'attenzione alle scienze dell' “energia” dellasalute e del benessere, non solo applicabile nei Dojo, ma anche ne quotidiano con i vostri cari e tutte lepersone che ci circondano.

REF.: • KYUSHO19

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ORDINALA A:

Budo international.net


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