casablanca

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la Repubblica MERCOLEDÌ 22 FEBBRAIO 2012

VIAGGI UN GIORNO UNA CITTÀ

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Gruppi heavy metal e hip hop, artisti emergenti nei vecchi Abattoirs, festival culturali. Dietro la grande moschea di Hassan II e il santuario di Sidi Abderrahman batte il cuore creativo della metropoli Una tendenza che in Marocco ha già un nome: “nayda”

9.00 TÈ Lungo i bastioni che separano la città vecchia dal porto, il tè si gusta seduti nei giardini del Café de la Sqala

Casablanca

10.00 MEDINA Una passeggiata nella parte più antica della città Tra i vicoli odori e colori dei mercati di prodotti artigianali e cibo

11.00 MAUSOLEO Visita al mausoleo sulle rocce di fronte alla spiaggia. Qui le donne da marito chiedono la grazia del santo. Marabut Sidi Abderrahmane

12.00 MOSCHEA Costruita a metà anni Novanta per il sessantesimo compleanno del re Hassan II, svetta sul litorale atlantico

13.00 PRANZO Al restaurant du port de peche: a pochi passi dal molo di pesca, si mangia il pesce più fresco della città Prezzi economici

14.00 CAFFÉ Al Don Quijote di Place des Nations Unies si beve il miglior caffè di Casablanca Nel bar s’incontrano artisti e giornalisti

16.00 ARTE In boulevard Brahim Roudani c’è l’unica galleria d’arte cittadina: mostre di artisti marocchini e stranieri. È anche caffè letterario

19.00 MATTATOIO Nel quartiere Hay Mohammedi il vecchio mattatoio è diventato luogo di ritrovo giovanile e centro creativo culturale alternativo

20.00 CENA All’ingresso dell’ex mattatoio diversi piccoli ristoranti spartani offrono salsicce di vitello speziate e spiedini Venerdì couscous

23.00 BIRRA Al bar La Cigale birra di produzione locale: la Special o la più pregiata Casablanca. Ogni tanto il locale propone musica live

La giovane movida del Maghreb DAL NOSTRO INVIATO GIAMPAOLO CADALANU CASABLANCA è una città «dove l’aria del mare colpisce il viso», canta Cheba Maria. È «la sorella minore di Parigi», sogna e ha una tentazione forte di credere ai sogni. Casablanca guarda l’Atlantico e immagina di cancellare il Mediterraneo. Accetta la geografia, la rivendica e nello stesso tempo la maledice. E si sorprende a fantasticare di come sarebbe la vita, se Gibilterra fosse solo il nome di un casello autostradale, con il Marocco unito all’Europa. Fra i muri color crema dei vecchi mattatoi, gli Abattoirs, nel quartiere Hay Mohammed, la periferia accanto all’autostrada per Rabat, la musica rimbalza sui mattoni, sfiora i monumenti dell’archeologia industriale: gabbie, bilance, recinti. Entra nelle stalle in disuso, si affaccia negli spiazzi. Non è melodia del Maghreb, non se ne parla nemmeno. «Questo è heavy metal

C’

tedesco», dice molto seriamente Zahim, analista-programmatore di computer, smettendo per un attimo di tormentare il basso elettrico. La via della fuga passa per la musica: metal, alternative rock, e naturalmente rap. Se la scelta per i ragazzi magrebini è tra il miraggio di un futuro “europeo” e l’ombra dell’Islam radicale, Casablanca è un simbolo per chi ha scelto la prima via. «Voi vi fate crescere la barba e vi mettete in testa di educarci, di dirci che cosa è marocchino e che cosa no. Volete dirci come vestire, che cosa mangiare. Mollateci, lasciate perdere», urlano i ragazzi del gruppo H-Kayne. A pochi metri dallo slargo dove Zahim suona il suo metal tedesco, un adolescente con lo skateboard guarda il fratello più grande e gli amici. Sono fermi, sudati, uno si tira su la canottiera per asciugare il viso. Un momento di attesa, la concentrazione, poi: via! Ahmed fa una corsa rapida, batte su un rudimentale trampolino, spicca il salto verso la parete coperta di poster, per toccare il punto più alto, vicino

alle tegole. E poi più avanti, nel praticello spelacchiato, per saltare ancora, e ancora, e ancora il muretto colorato dai writer. È l’allenamento per il parkour, lo sport dei traceur, la scommessa di chi corre in città “accettando” gli ostacoli e giocando sull’equilibrio. È Casablanca, oppure un sobborgo di Londra, o la banlieue parigina. La differenza non si vede. Gli Abattoirs sono la libertà di sognare l’Europa per quei giovani di Casablanca che vivono «come grilli immersi nell’inset-

I baristi servono birra o Pastis, ma offrono anche un tè alla menta tra i più profumati ticida», scandiscono gli Hoba Hoba Spirit, per poi aggiungere in modo esplicito: «Signore misericordioso, concedimi il visto per l’Europa. Se non lo otterrò, sarò costretto a “bruciare” in Italia». “Bruciare” quella frontiera che li separa dal futuro: è la stessa espressione popolare fra i tunisini per indicare la strada verso Lampedusa. Gli Hoba Hoba Spirit sono

LE IMMAGINI In alto, una veduta di Casablanca con la moschea di Hassan II Qui sopra, il mercato moderno nel quartiere Habous A sinistra, la moschea di Hassan II. A destra, ceramiche marocchine


la Repubblica

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MERCOLEDÌ 22 FEBBRAIO 2012

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Accessibile solo durante la bassa marea: costruito su roccia e circondato da una piccola medina

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SPIAGGIA DI AIN DIAB

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È nota, più che per il mare, per i club e la vita notturna: la maggior parte dei locali si trovano qui

CORNICHE Il moderno quartiere sul mare a ovest della moschea di Hassan II: pieno di resort, cinema, caffè e discoteche

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MOSCHEA DI RE HASSAN II Una delle più grandi al mondo e con il minareto più alto. Interni bellissimi, con portici e giochi d’acqua

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MUSEO EBRAICO Nel quartiere di Oasis, dentro a una bella villa: c’è l’unico museo ebraico che si trova nei Paesi di religione musulmana

FOTO GETTY

I LUOGHI

SANTUARIO SIDI ABDERRAHMAN

PER SAPERNE DI PIÙ www.visitcasablanca.ma www.visitmorocco.com

LE IMMAGINI

uno dei gruppi più noti della scena “nayda” (da tradurre con «Muoviti!» o «Sveglia!). È quella che negli anni scorsi è stata definita la movida marocchina, il movimento più significativo dei giovani decisi a riprendersi gli spazi della città con la musica, il cinema, il teatro. Sono loro i protagonisti di festival come il Tremplin (il Trampolino, che l’anno scorso è arrivato alla tredicesima edizione e ha battezzato più di trecento gruppi) o il Boulevard, appuntamento fondamentale per la musica contemporanea, di incontri periodici come CasaProjecta, kermesse mensile dedicata alle arti visive e persino di sfilate di moda autoctona come Festimode. Accanto al più “istituzionale” Festival de Casablanca, diviso in tre sezioni fra musica, cinema e arti visive, è proprio nella spontaneità della nayda che i germogli di novità e di irrequietezza si sono trasformati in produzione culturale. È un piccolo universo: gruppi come Casa Crew, Mean Street, Old School, Analgesia, Lazy Wall, ma anche compagnie teatrali come Daba Teatr o registi come Nabil Ayouch o Nour Eddine Lakhmari, autori di film dedicati ai ragazzi di Casablanca. Solo negli ultimi mesi l’effervescen-

za è un po’ rallentata, forse in attesa di prendere significati politici, seguendo la Primavera dei paesi vicini, ma senza la stessa rabbia. Perché a volte il richiamo della fuga e l’ansia di cambiamento si scontrano con la forza dell’identità, la tentazione si batte con l’impegno, o con la fede. Casablanca è la sintesi. È il luogo dove le turiste europee in pantaloncini incrociano le pie musulmane, in pellegrinaggio al santuario di Sidi Abderrahman per chiedere la grazia di trovar marito. Dove i baristi “dimenticano” di chiedere i documenti e servono ai locali la birra o il Pastis, ma offrono anche un tè alla menta fra i più profumati. È la città il cui orgoglio architettonico è la moschea di Hassan II, dedicata al vecchio sovrano ma pagata dai piccoli contributi dei fedeli. Persino il minareto, il più alto del mondo, chiama alla preghiera ma serve anche come faro per il porto, quasi fosse il simbolo di una scelta non fatta. Come quella dei protagonisti di Casanegra, il film di Lakhmari: sognano di partire per la Svezia, ne discutono, immaginano come sarà lì la loro vita. Ma poi restano a Casablanca. © RIPRODUZIONE RISERVATA

FOTO JACOPO GRANCI

A destra, una ragazza canta durante un concerto a Casablanca; la zona commerciale di Downtown piena di negozi colorati e caffè

“L’ha resa famosa Hollywood, per tanti esiste solo al cinema” TAHAR BEN JELLOUN

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LO SCRITTORE Tahar Ben Jelloun in un ritratto di Massimo Jatosti

on la città ma il film di Michael Curtiz con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Il film che ha reso famosa la città. La maggioranza degli americani non sa dove si trovi il Marocco: ogni tanto lo confondono con Monaco. Grazie al cinema, il Marocco attraverso Casablanca, ricorda qualcosa ai vecchi americani. Ma la città in quanto capitale economica, ha un’anima così complicata che ci chiediamo se davvero ne abbia una. Città di denaro, ricchezza e povertà, città dinamica, rumorosa, sporca in molti quartieri, pulita nelle zone residenziali, ha i suoi bassifondi, i suoi misteri e soprattutto il suo esercito di bambini di strada, di ribelli, trafficanti, e di piccole canaglie. [...] La stessa Casablanca è servita da scenario a un altro film (risposta crudele e senza concessioni al film mitico), dato che si tratta della Casablanca della miseria, dei reati e della truffa. Il film ha un titolo

significativo: Casanegra. Siamo lontani dalla bella romanza fra due innamorati coinvolti nei rischi della guerra, che vivono un amore impossibile e senza senso, in quanto immagine di un’epoca in cui la resistenza all’occupazione passava da luoghi ambigui come un locale notturno gestito da un uomo di suprema eleganza, il che è in contraddizione con la realtà di questi personaggi. Splendide ville art déco sono state rase al suolo per far posto a edifici che rendono molto; ma deturpano il paesaggio. È la legge del mercato e l’incultura di una borghesia d’affari che vuole guadagnare tanto e in fretta. La città ha una forza inaudita che inghiotte tutto, rinasce e scombina i codici. Si muove continuamente e non permette a nessuno di sistemarsi per un tempo dolce e languido. Da Marocco, romanzo, Einaudi, pag. 98 © RIPRODUZIONE RISERVATA


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