Pepeverde

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CENTENARIO DI MARIO LODI

Per il maestro di Piadena

Cento anni di Lodi di Carla Ida Salviati

Ogni anniversario corre il rischio della celebrazione acritica, dell’adesione sentimentale, che può addirittura arrivare all’esaltazione. Poi, magari, cambiati i tempi e mutati gli umori, tutto va nel dimenticatoio assieme al personaggio in questione. È finita così per tanti illustri “a orologeria” – politici, intellettuali, artisti – e credo sia inutile per il mio lettore fare qui nomi o citare eventi.

M

i auguro che il centenario della nascita di Mario Lodi costituisca un’occasione per ritagliare la sua figura fuori dalla retorica del “maestro buono” riconducendola, attraverso nuovi documenti e nuovi studi, al reale spessore pedagogico e agli ideali che hanno sostenuto le sue scelte morali e didattiche. In altre parole, all’insegnante che “vuole bene ai bambini”, “al papà di Cipì” (come talvolta l’ho sentito apostrofare) va sostituita una più razionale e

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realistica dimensione culturale. Non è mai, questa, un’operazione semplice, soprattutto quando si tratta di personalità che hanno a che fare con l’infanzia: persino Gianni Rodari, che pure è ben inquadrabile entro un solido profilo intellettuale e politico, non è stato del tutto risparmiato da operazioni mielose intente a smussare gli spigoli del giornalista sociale e del militante di sinistra. Anche la Montessori non sfuggì a simile destino: pur sollecitando studi nuovi e ricostru-

zioni biografiche egregie, venne al contempo avvicinata a profili più vicini alla “maestrina dalla penna rossa” di deamicisiana memoria che non alla scienziata coraggiosa e controcorrente, madre nubile che affidò ad altri il proprio figlio, fascista per breve tempo ancorché piuttosto entusiasta… Si potrà obiettare che l’immaginario “di massa” poco ha da spartire con la seria ricerca. Tuttavia sappiamo bene che le convinzioni di massa sono assai abili a radicarsi, mentre le più complesse interpretazioni degli specialisti riescono poco – e talvolta per niente – a scalfirle. Mario Lodi era figlio del suo tempo: un tempo che infatti ben si riflette nel suo pensiero e nelle sue azioni, a cominciare dalle scelte didattiche e dalla scrittura. Venne a contatto con eventi e personaggi coevi che lo sostennero o, al contrario, lo osteggiarono. Nell’arco dei suoi novant’anni e più, conobbe la scuola fascista che frequentò per l’intero arco dei suoi studi; ebbe un padre antifascista e una madre che – come accadde a molte italiane – cercò di mediare tra le convinzioni del marito e il desiderio di assicurare ai figli una crescita equilibrata, giocoforza allineata, negli anni del maggiore consenso verso il regime1; conobbe la carcerazione dopo il ’432; entrò nella scuola dell’Italia repubblicana e vi rimase fino alla pensione nel 1978; nel dopoguerra fu attivo in numerose iniziative di impegno civile di ispirazione socialista; elaborò una profonda crisi


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