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BIBLIOTECHE
La Biblioteca di Borgomanero
Quando leggere troppo fa bene Intervista a Giovanni Cerutti, di Ferdinando Albertazzi
La Biblioteca di Borgomanero è il polo centro-rete del Sistema bibliotecario del Medio Novarese. Tra l’altro: visite di classi tutte le settimane, prestiti per la durata dell’anno scolastico, volontarie propongono letture animate per le differenti fasce di età.
L
’idea di innestare la Sezioni Ragazzi nelle biblioteche pubbliche cominciò a germogliare, qui da noi, intorno agli Anni Trenta del secolo scorso. A Venezia già nel 1926 e poco dopo a Cremona, artefice Virginia Carini Dainotti che, successivamente, ebbe un ruolo di primo piano nella costituzione dell’Area Ragazzi della biblioteca di Borgomanero (Novara), allestita in spazi autonomi all’avanguardia per ambientazione, organizzazione e funzionalità. Una biblioteca, quella di Borgomanero, dunque molto guardata durante i suoi primi cinquant’anni. Li sta festeggiando timonata con appassionata dedizione, ormai da un paio d’anni, da Giovanni Cerutti, per di più brillante quanto coltivato indagatore dei “passaggi storici”, che ripercorre per i nostri lettori. «La biblioteca sorse per esplicita volontà testamentaria di Achille Marazza, che alla morte (1967) ha lasciato alla città di Borgomanero le sue proprietà, tra cui la villa settecentesca e il parco che la circonda, con l’esplicito vincolo di costituire e continuare a finanziare una biblioteca pubblica e di destinare il parco a uso pubblico. Dirigente di spicco della Resistenza italiana, rappresentante della Democrazia cristiana nel Cln Alta Italia, stretto collaboratore di Alcide De Gasperi e presente in tutti i governi da lui presieduti, sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel ministero Parri e nel primo ministero De Gasperi, Marazza ebbe l’opportunità di frequentare Luigi De Gregori (papà del cantautore Francesco) e, appunto, Virginia Carini Dainotti. Che lo introdussero alla concezione della Public Library anglosassone, un cardine del passaggio dallo stato liberale a una democrazia compiuta».
50 Pepeverde n. 13/2022
In che senso? «Be’, quel passaggio, così decisivo, era ritenuto impraticabile senza la diffusione, il più capillare possibile, delle opportunità di accedere agli strumenti della cultura. In questa prospettiva, l’istituzione di un’autonoma sezione dedicata ai ragazzi – così come lo scaffale aperto, accorgimento pensato per abbattere qualsiasi barriera di accesso alla conoscenza, senza contare la scelta di testi adeguati ai contesti culturali in cui erano inserite le biblioteche e la riqualificazione del mestiere di bibliotecario, che diventava il tramite tra il cittadino e il mondo della cultura – era uno dei punti qualificanti, architrave di tutto il sistema». Una visione lungimirante… «Certamente, benché del tutto estranea alle culture politiche e alle ideologie dominanti in Italia fino agli Anni Ottanta. Non per niente la Carini Dainotti era un’azionista, per giunta torinese, e Marazza un esponente del popolarismo degasperiano solidamente liberale, presto finito in minoranza nel partito di massa costruito da Fanfani. In un’Italia per cui i diritti sociali e la redistribuzione della ricchezza (anche, se non soprattutto, quella non prodotta) facevano perno sulla promozione della responsabilità individuale e della sfera di diritti connessa, l’idea che compito primario della collettività fosse dotare ciascuno di strumenti di valutazione autonoma veniva considerata reazionaria: se il futuro è la rivoluzione, le libertà borghesi sono solo una finzione; se il soggetto è la collettività, gli spazi di pensiero autonomo sono decadenti». In quale contesto socio-culturale è stata calata la biblioteca? «La Borgomanero del 1971 era, come ora, una cittadina di circa ventimila abitanti, con un’economia florida basata prevalentemente sul commercio, senza grosse emergenze sociali ma refrattaria a grandi slanci e visioni. Una comunità dove lo studio era percepito soprattutto come mezzo per salire la scala sociale – ingegneri, medici e avvocati – e la vita culturale una bizzarrìa aliena. Ricordo ancora lo sguardo desolato di mio padre quando, qualche anno dopo,