Pepeverde

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EDUCAZIONE E APPRENDIMENTO

Generazioni a confronto

Che fatica essere adulti! di Paola Parlato

Un tempo educare era un compito quasi naturale: regole chiare e condivise, coccole (ma non troppe) e qualche bacchettata se la ricetta non aveva funzionato. Oggi educare è un compito molto più complesso, vediamo perché.

U

n papà si è rivolto a un servizio di ascolto per genitori chiedendo aiuto: la sua bambina di dieci anni resta attaccata al suo cellulare fino alle tre di notte e lui non sa cosa fare. Un altro genitore ha indirizzato il seguente messaggio al gruppo genitori del liceo di sua figlia: «Il nostro istituto ha molti difetti, nessuno lo mette in dubbio, un preside al limite della follia, molti insegnanti demotivati, che non hanno saputo neppure fare tesoro dell’entusiasmo dei ragazzi per la prima volta nella storia felici di tornare a scuola dopo la pandemia, insegnanti spesso incapaci di proporre attività e metodi di insegnamento all’altezza delle necessità dei ragazzi. Questa è la scuola che abbiamo, niente insegnanti alla Robin Williams in L’attimo fuggente, bisogna fare buon viso a cattivo gioco e far valere i diritti dei ragazzi. Ineccepibile. Ma proviamo ad assumere per un momento un altro punto di vista. Sarà colpa della scuola se tutti, ma proprio tutti e sempre, i nostri ragazzi abbassano le mascherine, e lo fanno con un atteggiamento sprezzante e privo di qualsiasi preoccupazione per le conseguenze del loro gesto? Vogliamo incolpare la scuola se uno studente con tono beffardo dice al professore “siamo qui per farvi impazzire”, o se si mette a suonare la chitarra durante le lezioni? Questa è esuberanza, come la chiamano molti, oppure mancanza di rispetto per se stessi e per gli altri, e totale incapacità di comprendere e

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apprezzare dei valori che dovrebbero far parte del corredo morale di tutti? Va bene difendere i diritti dei nostri figli, ma questo non può diventare una giustificazione a tutto. Secondo me il rischio è di delegittimare agli occhi dei nostri figli tutta la scuola, i professori, l’osservanza delle regole, proprio quello che loro dovrebbero imparare a rispettare più di tutto. Credo che il messaggio che i professori ci stanno lanciando sia proprio questo, di stare dalla loro parte, non perché non sbagliano mai o sono perfetti, ma per non delegittimare agli occhi dei nostri figli tutto quello che rappresentano. Troviamo il coraggio di chiedere semplicemente che vengano fatte rispettare le regole, perché la cosa più importante da insegnare ai ragazzi è quella che le loro azioni, se sbagliate, portano a delle conseguenze, anche gravi, delle quali devono assumersi la responsabilità». Nel racconto Il Pannello, Erri De Luca descrive il braccio di ferro ingaggiato nell’anno scolastico 1966/67 da una classe di liceali che rischiarono la bocciatura in massa pur di non denunciare alcuni compagni, rei di aver smontato il pannello della cattedra per guardare le gambe di una giovane supplente. De Luca così descrive il comportamento – netto e unanime – delle famiglie: «Nessun retroterra familiare si mostrò comprensivo nei confronti della colpa, nessuno sostenne almeno un poco i diritti al silenzio di fronte al ricatto. Nessuno: tempi tutti d’un pezzo, non

era solo a scuola il campo del dovere, esso si estendeva a tutta la piccola vita privata. Da adulto ho visto le famiglie difendere figli colpevoli di stupro e di linciaggio, un tempo invece stavano dalla parte dell’accusa. Se un ragazzo non si trova di colpo solo al mondo, mai cresce. Forse era difficile essere giovani in quei tempi anche se, per misericordia, non lo sapevamo. Molte più cose di oggi, in quegli anni erano considerate importanti, molto del futuro di ognuno si decideva sui banchi di quelle scuole».1 Ce n’è abbastanza per un ampio e complesso esame, ma riflettere su questi temi può condurre su un campo minato. Il discorso sull’adolescenza è difficile, controverso e peri-


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