Per un'Università più inclusiva, più accessibile, più partecipe

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PER UN’UNIVERSITÀ PIÙ INCLUSIVA, PIÙ ACCESSIBILE, PIÙ PARTECIPE Come Sinistra Universitaria abbiamo deciso di scrivere questo documento per presentare ai candidati rettore e alle candidate rettrici le nostre idee e le nostre proposte per il futuro dell’Alma Mater.

Come studenti e studentesse dell’Unibo che tutti i giorni si spendono per un’Università più inclusiva, più accessibile e più partecipe alla vita cittadina, sentiamo il dovere di mettere per iscritto queste richieste e lanciare un appello a coloro che si sono proposti come guida del nostro Ateneo per i prossimi sei anni.

Il nostro punto di vista, in quanto tale, risulterà di certo parziale. Crediamo però che una comunità come quella universitaria tragga la sua ricchezza principale proprio dalla coesistenza di tanti punti di vista diversi, tante prospettive che è necessario mettere a sistema senza che nessuno venga lasciato indietro.

Proprio a partire da queste considerazioni, prima di entrare nel merito delle proposte, non possiamo sottrarci ad una considerazione che riguarda il modo in cui negli ultimi anni la Governance in uscita si è rapportata con gli Organi collegiali e con le Rappresentanze universitarie. È una considerazione che precede la legittima divergenza di opinioni politiche e riguarda il funzionamento dell’Università come istituzione democratica. Negli ultimi anni gli Organi accademici hanno avuto una posizione eccessivamente marginale rispetto a decisioni fondamentali riguardanti la vita dell’intera comunità universitaria. Non è accettabile che il Consiglio degli Studenti e talvolta persino il Senato Accademico vengano relegati a ruolo di passacarte di decisioni prese in maniera centralizzata e verticistica dalla Governance di Ateneo. Allo stesso modo, troppo spesso le iniziative e le legittime richieste dei rappresentanti degli studenti sono state trascurate dall’Ateneo, che in alcune circostanze ha deciso di ignorare le interpellanze e le mozioni del Consiglio degli Studenti. L’esempio più significativo di questa marginalizzazione degli Organi collegiali dai processi decisionali è la costruzione del Bilancio previsionale, il documento di spesa in cui viene stabilito l'indirizzo politico dell’Ateneo: il Senato Accademico e il Consiglio degli Studenti sono sostanzialmente esclusi in fase di elaborazione di Bilancio, che viene loro sottoposto in prossimità di scadenze inderogabili e con margini di manovra irrisori.

La prima richiesta che rivolgiamo alla futura Governance è pertanto di rafforzare il coinvolgimento di tutti gli organi accademici proprio a partire da un confronto preventivo sul bilancio che duri per tutto l'anno. Per la stesura di questo documento sono senza dubbio necessarie le dovute competenze tecniche, ma non si tratta di un documento esclusivamente tecnico: il Bilancio è il documento politico fondamentale per la comunità universitaria, al suo interno viene deciso come e in che misura investire sul sostegno al reddito delle studentesse e degli studenti, sugli investimenti di medio e lungo periodo. Crediamo che tutta la comunità accademica debba essere chiamata a dare un contributo su un documento tanto importante.

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Indice DIDATTICA  Quale modello per il futuro?  La nostra proposta  Internazionalizzazione altre proposte per la didattica

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MOBILITÀ E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE  Trasporto pubblico: bus e treno  Mobilità a pedali: Mobike e Almabike  Altri mezzi trasporto in sharing  Efficientamento energetico ed energie rinnovabili  PLASTOP e raccolta differenziata

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DIRITTO ALLO STUDIO E CITTADINANZA UNIVERSITARIA  Questione abitativa  Mensa e servizi ristorativi  Spazi  Bando 150 ore  Diritto alla salute  L’Università come baluardo contro la violenza di genere  Il ciclo non è un lusso: l’Università prenda posizione  Paracadute Unibo  Tassazione

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DIDATTICA Per la prima volta dopo tanto tempo, grazie alla pandemia la didattica ha avuto un suo spazio nel dibattito pubblico. È uno dei tre pilastri su cui l’Università si fonda.

Trasformare la didattica significa trasformare nel profondo l’Università e il suo significato sociale. L’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto e che non può ancora dirsi terminata ci ha imposto forzosamente nuovi modelli, costringendoci a sperimentare soluzioni che avremmo prima ritenuto impraticabili.

Tralasciando il comparto della scuola e mantenendo il discorso limitatamente all'ambito universitario, la didattica blended ha suscitato da una parte reazioni recisamente contrarie, talvolta in maniera aprioristica, e dall’altra ingenui entusiasmi.

Cosa fare delle sperimentazioni dell’ultimo anno? Cosa fare delle tecnologie su cui si è investito? Quali sono i rischi e quali i benefici che queste comportano?

Una cosa ci pare certa: non sarà possibile tornare indietro e azzerare tutto quello che di nuovo abbiamo conosciuto. La pandemia, volenti o nolenti, ha imposto un salto. Ora sta a noi decidere come e dove atterrare.

Quale modello per il futuro?

Non sono state poche le voci levatesi a sostegno della didattica mista, rivendicata come strumento fondamentale per potenziare il diritto allo studio. Secondo questa posizione, la possibilità di seguire le lezioni da remoto consentirebbe ad un pubblico molto più ampio di accedere all’Università, abbattendo i costi per il singolo (spostamenti, eventuale affitto ecc.) e consentendo di conciliare più agevolmente la vita privata con il percorso universitario.

Benché alcune delle argomentazioni dei sostenitori della didattica mista siano vere e condivisibili, il discorso complessivo si rivela tuttavia miope e parziale. Innanzitutto, è necessario sottolineare che una didattica erogata in forma mista non può essere della stessa qualità – per chi è in presenza e per chi è a distanza – di una didattica erogata esclusivamente in presenza. Chiunque abbia partecipato, da docente o da studente, a una lezione in modalità blended sa bene che gli elementi che possono inficiare la qualità della didattica sono diversi: problemi di ordine tecnico, relativi ad audio, video, connessione internet dell’aula e dei singoli studenti che seguono da remoto; problemi nella gestione contemporanea di due aule, quella virtuale e quella fisica, che costringono il docente a verificare continuamente che la comunicazione stia avvenendo in maniera efficace; problemi relativi al coinvolgimento attivo dell’aula virtuale, che può facilmente rimanere a margine del processo didattico.

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Inoltre, pensare che il percorso universitario dello studente consista unicamente nei momenti di didattica formalizzata (lezioni, laboratori, tirocini, esami ecc.) è radicalmente sbagliato: frequentare l’università è un percorso di formazione organico che va ben al di là dell’acquisizione di mere nozioni, ma è un percorso in cui ciascuno ha modo di crescere nell’incontro e nello scontro con l’altro, dal confronto diretto con i colleghi e con i docenti, dalla formazione di legami umani ed empatici senza i quali l’Università non potrebbe realmente dirsi tale. Oltretutto, sono proprio questo tipo di rapporti interpersonali che contribuiscono al reale sviluppo delle competenze trasversali – su cui molto l’Ateneo ha insistito negli ultimi anni – e che invece non sono certo acquisibili tramite specifici insegnamenti né sono quantificabili in termini di CFU, come pure si è tentato di fare.

Da ultimo, ma non per importanza, è fondamentale tenere in conto l’incremento di disuguaglianze cui una didattica mista – resa strutturale – potrebbe condurre. Non è infatti difficile immaginare che sul medio e lungo periodo la didattica mista porterà a un decremento negli investimenti a livello nazionale per il diritto allo studio.

Infatti, con la possibilità di seguire le lezioni e sostenere gli esami da casa propria, non sarebbe più così urgente – come invece è a livello locale e nazionale – incrementare i fondi destinati all’edilizia universitaria, perché di fatti non sarebbe più strettamente necessario trasferirsi a Bologna per studiare. Di conseguenza, da parte dello Stato, dell’Ateneo e delle altre istituzioni pubbliche non sarebbe più necessario investire risorse in agevolazioni per affitti e spostamenti. Allo stesso modo, incrementare il numero delle aule e gli spazi per lo studio individuale sarebbero bisogni del tutto secondari. Così come non ci sarebbe più bisogno di aumentare il numero di docenti a fronte di un incremento del numero di iscritti, poiché una sola persona potrebbe fare lezione a un numero di studenti e studentesse molto più alto a parità di spazi – trascurando l’indicatore nazionale riguardante il rapporto studenti/docenti, che da anni nel nostro Ateneo denuncia una carenza di personale docente.

Nel lungo periodo, la didattica blended potrebbe quindi condurre a uno scenario in cui, all’interno di un’Università pubblica, la disuguaglianza sociale diverrebbe strutturale.

Tralasciando chi vive a Bologna, o nelle sue immediate vicinanze, si avrebbe una separazione della comunità studentesca su base economica: da una parte un gruppo di studenti e studentesse privilegiate, in grado di sostenere l’onere finanziario di una casa in affitto a Bologna e le spese connesse alla vita da fuorisede; dall’altra parte, un gruppo di studenti e studentesse di seconda categoria, i quali, non provenendo da famiglie economicamente in grado di sostenere i costi di cui sopra, potrebbero decidere di non trasferirsi e seguire esclusivamente a distanza.

Inoltre, se il nostro Ateneo proseguisse con la didattica mista si avrebbero anche ricadute negative sui territori, danneggiando i piccoli Atenei e le città che li ospitano.

Infatti, la didattica mista porterebbe senza dubbio a un incremento delle iscrizioni nei grandi e mega Atenei, che sarebbero in grado di raccogliere studenti e studentesse dalle

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altre regioni in maniera ancora più significativa, depauperando in termini di risorse umane ed economiche le piccole università e i territori che arricchiscono.

La nostra proposta A nostro parere, tutelare il Diritto allo Studio significa mettere tutte le studentesse e tutti gli studenti nelle condizioni di accedere alla stessa offerta formativa, permettendo a chiunque lo desideri di vivere realmente l’Università, in presenza, con il complesso di esperienze di crescita personale e relazionale che questa permette di acquisire. Ed è lungo questa linea di intervento che la prossima Governance d’Ateneo dovrà impegnarsi, in dialogo con l’Amministrazione comunale, la Regione, la CRUI e i Ministeri competenti, per un incremento strutturale e nazionale dei fondi destinati al Diritto allo Studio e all’Università in generale.

Tuttavia, come si è già accennato, non tutte le argomentazioni dei sostenitori della didattica mista sono da respingere. Questa ha infatti permesso di intercettare i bisogni vecchie e nuove categorie di studenti, i quali non sono mai riusciti ad accedere alla didattica per come l’abbiamo conosciuta fino al mondo pre–pandemia. Sono studenti e studentesse lavoratrici, studenti genitori, studenti impossibilitati a recarsi fisicamente a lezione e altri che per ragioni personali non sono mai riusciti a partecipare in presenza alle lezioni. E ancora, le nuove sperimentazioni sono andate incontro alle esigenze dei tanti pendolari, in precedenza costretti a rinunciare a parte delle lezioni in ragione delle insufficienze dovute ai trasporti. Non è pensabile e, anzi, è radicalmente sbagliato voltare le spalle a queste categorie di studentesse e studenti, che in precedenza andavano a costituire il grosso della categoria dei non–frequentanti o che, nel peggiore dei casi, erano costretti a rinunciare del tutto al percorso universitario.

Per scongiurare i pericoli di disuguaglianze relativi alla didattica mista, ma per rispondere allo stesso tempo alle esigenze degli studenti e delle studentesse di cui si è appena parlato, proponiamo che al termine della pandemia l’Università torni a svolgersi prioritariamente in presenza, stabilendo però l’obbligo di registrazione per tutte le lezioni.

Con un’integrazione di questo tipo si permetterebbe a queste categorie di accedere alle lezioni per come avvengono in aula, compatibilmente con i propri ritmi di vita e i propri impegni personali. Inoltre, per questi studenti e queste studentesse, laddove ve ne sia richiesta esplicita, si ritiene di buon senso che almeno gli esami orali possano essere svolti telematicamente.

Nondimeno, grazie alle registrazioni, si offrirebbe un servizio ulteriore per l’intera comunità studentesca, rispondendo per di più ai problemi di sovrapposizione degli orari di insegnamento che esistono in molti Corsi di Studi.

Per tutelare la proprietà intellettuale dei e delle docenti, riteniamo che le lezioni debbano essere accessibili esclusivamente dalla piattaforma di Ateneo ‘Virtuale’. Inoltre, le lezioni non dovranno essere esportabili dal dispositivo singolo utente e dovrà essere stabilito un 6

termine ultimo in cui possano essere visionate, ad esempio il termine dell’anno accademico di riferimento in cui l’insegnamento è erogato, salva diversa indicazione da parte del docente titolare dell’insegnamento.

Internazionalizzazione e altre proposte per la didattica Fermo restando quanto detto fin qui, bisogna riconoscere che la didattica mista e la possibilità di sostenere esami a distanza appaiono uno strumento importante nel favorire l’internazionalizzazione e ridurre le difficoltà che un periodo di studi all’estero può comportare nel percorso universitario.

Riteniamo che per gli studenti e le studentesse che svolgono un periodo all’estero – ad esempio, primo per numero di partecipanti, il progetto Erasmus – venga lasciata la possibilità di svolgere gli esami telematicamente nel periodo di assenza da Bologna, senza che nel periodo di permanenza all’estero debbano rinunciare a sostenere gli esami non ancora superati negli anni precedenti.

Inoltre, potrà certamente essere sfruttata la possibilità di invitare un o una docente di un’altra Università per tenere una lezione via Microsft Teams all’interno delle ore di lezione di un insegnamento locale.

Allo stesso modo, sembra ragionevole pensare che una forma di didattica mista possa permanere per i curriculum di studio a vocazione maggiormente internazionale, almeno per il primo semestre: così facendo si potrebbe dare una risposta – anche se parziale – ai problemi relativi all’ottenimento del permesso di soggiorno per gli studenti e le studentesse non comunitarie, molte volte costrette a perdere il primo semestre di lezioni a causa di macchinosi iter burocratici.

Per quanto riguarda la didattica in generale, riteniamo necessario migliorare il dato del rapporto studenti/docenti, andando nella direzione di aule e lezioni meno affollate, permettendo così modalità didattiche – e di verifica dell’apprendimento – innovative, in grado di portare l’Università di Bologna al passo con altre Università europee: nel nostro Ateneo i lavori di gruppo, le presentazioni, la scrittura di paper, la peer evaluation e gli approcci flipped classroom sono modalità didattiche nella maggior parte dei casi neppure contemplate.

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MOBILITÀ E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE A Bologna, il Diritto alla Mobilità si intreccia con il Diritto alla casa, il Diritto allo Studio e alla lotta per la sostenibilità ambientale. Una mobilità efficiente, capillare ed economicamente accessibile a tutte e tutti permetterebbe di trovare soluzioni abitative all’esterno delle mura cittadine per i tanti e le tante studentesse fuorisede, decongestionando il centro, aumentando l’offerta, comportando un abbassamento generale del prezzo medio di affitto e disincentivando l’utilizzo dei veicoli privati altamente inquinanti. È necessario che l’Ateneo di Bologna incentivi la mobilità sostenibile, insistendo sulle politiche avviate negli anni trascorsi, e che allo stesso tempo si impegni per ridurre sensibilmente quello che è il proprio impatto ambientale, sia come struttura fisica sia nella realizzazione di accordi di ricerca e collaborazioni con aziende ed enti che possano dirsi davvero sostenibili. Sostenere di essere in prima linea per la battaglia climatica e stringere partnership con aziende altamente inquinanti è ipocrita: quello che vogliamo non è un ecologismo di facciata utile solo a scalare le classifiche dei ranking internazionali.

Proprio a tal fine chiediamo che l’Unibo calcoli annualmente il proprio ecological footprint, un indicatore complesso in grado di misurare in maniera oggettiva quale sia l’impatto ambientale della nostra Università in termini di emissioni, consumo energetico e di risorse. Inoltre, un indicatore di questo tipo permetterebbe di raccogliere dati utili per l’elaborazione di proposte concrete di intervento e, soprattutto, renderebbe decisamente meno praticabili le operazioni di greenwashing.

Trasporto pubblico: bus e treno Nell’a.a. 2020/21, l’Ateneo ha offerto la possibilità agli studenti e alle studentesse iscritte di acquistare un abbonamento annuale al trasporto pubblico TPER per il bacino urbano ed extraurbano al prezzo ridotto di 150€. Inoltre, sono stati messi a disposizione tramite apposito bando su base ISEE 5000 abbonamenti al prezzo ulteriormente ridotto di 69€.

Chiediamo che l’Ateneo estenda tale tariffazione agevolata agli studenti regolarmente iscritti dei prossimi anni. Rispetto all’a.a. 2019/20 il prezzo risulta infatti diminuito di 30€ su entrambe le tipologie di abbonamento: ciò si deve alla somma che T–PER ha dovuto restituire all’Unibo per gli abbonamenti non effettivamente fruiti dagli studenti e dalle studentesse nei mesi di lockdown.

Riteniamo necessario che per il prossimo anno accademico e per quelli a venire il costo dell’abbonamento non torni quello pre–pandemia, quindi che la nuova Governance si impegni per rendere strutturale la riduzione di tariffa di cui gli studenti e le studentesse hanno potuto beneficiare quest’anno.

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Oltre a ciò, le agevolazioni offerte dall’Università coprono solo le tratte che percorrono dalla Zona 1 alla Zona 3 – compreso da quest’anno anche il comune di Ozzano –, escludendo però gli studenti pendolari e ignorando le loro difficoltà nel dover acquistare abbonamenti annuali a prezzo sostanzialmente pieno – gli studenti con età inferiore a 27 anni hanno diritto infatti ad un solo sconto del 10%. Pertanto, riteniamo necessario che l'Ateneo avvii un’interlocuzione con Trenitalia e TPER per far sì che gli studenti e le studentesse pendolari appartenenti alle fasce ISEE medio–basse abbiano diritto a delle agevolazioni consistenti.

Inoltre, è generalmente necessario che l’Ateneo avvii un’interlocuzione con TPER e Comune per ottenere una razionalizzazione delle linee di trasporto locali in funzione degli orari di lezione e di lavoro dei poli universitari periferici – come, ad esempio, le sedi del Navile, di Agraria e Lazzaretto, oggi raggiungibili con viaggi lunghi e spesso mal organizzati – evitando che gli autobus circolino a vuoto inquinando oltre il necessario e migliorando in generale il servizio nelle ore di punta.

Un esempio concreto riguarda il plesso Navile, che risulta ancora difficilmente raggiungibile. Infatti, nonostante TPER abbia effettivamente aumentato il numero delle corse delle linee 37 e 87, questo aumento non ha tuttavia migliorato il servizio. Ciò si è verificato perché la necessità di recarsi al polo non è costante durante tutto l’arco della giornata ma solo in specifiche fasce orarie: la mattina, prima delle lezioni; a pranzo, per il ricambio fra chi ha o non ha lezione al pomeriggio; e la sera, a lezioni concluse.

Aumentare le corse indistintamente a tutti gli orari porta solo a un maggiore inquinamento.

Crediamo che l’Università possieda al suo interno le competenze e i mezzi per un lavoro di analisi dati sull’effettivo utilizzo delle linee da parte degli utenti. Uno studio di questo tipo, svolto ad esempio attraverso sensori attivi e passivi in grado di misurare in tempo reale l’effettiva occupazione dei mezzi nelle varie fasce orarie, può davvero portare a una razionalizzazione dei mezzi di trasporto pubblico.

Attraverso un accordo fra TPER, Università e Comune di Bologna, a partire dalle tratte riguardanti il polo Navile si potrebbe poi estendere lo studio a tutte le linee.

Operazioni di questo tipo sono già svolte dalle grandi corporazioni del web per raccogliere dati con finalità di mercato: riteniamo che l’Università, in quanto istituzione pubblica, debba mettere al servizio di tutta la comunità cittadina le potenzialità che ha al suo interno con l’obiettivo di un utile sociale, evitando che tali potenzialità vengano drenate unicamente da aziende il cui interesse è di carattere prettamente privato ed economico.

Crediamo che questa sia la strada da percorrere per un servizio pubblico che si adatti alle reali esigenze delle cittadine e dei cittadini, e non il contrario.

Mobilità a pedali: Mobike e Almabike La necessità di sviluppare stili di vita sani e sostenibili dal punto di vista ecologico è sempre più urgente.

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Nonostante i costi del servizio fornito alla città di Bologna siano in linea con quelli offerti dall’azienda nelle altre città italiane, abbiamo rilevato una netta difficoltà da parte degli studenti e delle studentesse nella fruizione delle Mobike.

Crediamo che un servizio di questo tipo debba essere economicamente accessibile a tutte e tutti, e crediamo che possa essere tanto più efficace quanto più integrato con gli altri servizi di trasporto cittadino.

Una proposta interessante, da sviluppare con i dovuti interlocutori, potrebbe essere quella di un abbonamento integrato TPER e Mobike per studenti e studentesse universitarie, in grado di garantire un servizio complessivamente più efficiente e a costi ridotti.

Per quanto riguarda le Almabike fornite dall’Ateneo riteniamo necessario ridurre i costi del deposito cauzionale – attualmente di €99 – previsto per il comodato d’uso gratuito delle biciclette. Tale deposito, per quanto destinato a essere restituito, rappresenta comunque un’uscita notevole per le economie di uno studente o di una studentessa appartenente alle fasce ISEE più basse e la possibilità che possano essere trattenuti in caso di danneggiamento o di furto può facilmente indurre a cercare altre soluzioni – legali e non – per ottenere una bici della stessa qualità ma di proprietà. Inoltre, per quanto lodevole, il progetto mette a disposizione ad oggi un numero molto ridotto di bici: riteniamo che queste debbano essere aumentate e messe a disposizione tramite più bandi in diversi periodi dell’anno, al pari di quanto già si fa per gli abbonamenti agevolati TPER. Inoltre, viste le condizioni in cui versano le rastrelliere presenti nella zona universitaria, riteniamo opportuno che l’Ateneo interloquisca con il Comune per l’installazione di nuove rastrelliere, riducendo la possibilità di furti e danneggiamenti delle Almabike e delle bici di proprietà con cui molti studenti e studentesse si muovono.

Altri mezzi trasporto in sharing Il car sharing rappresenta un’altra risorsa per una mobilità cittadina sostenibile.

Crediamo che il servizio di car sharing Corrente, gestito da TPER, ad oggi non sia sfruttato quanto potrebbe dalla componente studentesca. Uno degli ostacoli è certamente rappresentato dal costo del servizio che, nonostante le piccole agevolazioni per chi sia in possesso dell’abbonamento per il trasporto autobus urbano, risulta ancora poco vantaggioso se utilizzato da singoli utenti. Crediamo che anche in questa direzione possa essere fatto uno sforzo da parte dell’Università, rendendo maggiormente accessibile il costo del servizio, che potrebbe essere integrato all’abbonamento annuale al trasporto pubblico a costo agevolato messo a disposizione per studenti e studentesse universitarie.

Allo stesso modo, qualora nuova servizi di sharing dovessero essere introdotti a Bologna, come sta avvenendo per i monopattini elettrici – kick sharing – in altre città 11

italiane, chiediamo che anche per questi servizi venga valutata la possibilità di un pass agevolato per studenti e studentesse.

Efficientamento energetico ed energie rinnovabili Una delle principali criticità che da anni riscontriamo è lo smodato utilizzo da parte dell’Ateneo degli impianti di riscaldamento d’inverno e di quelli di raffreddamento d’estate, inquinando più del necessario e comportando un dispendio eccessivo di risorse economiche. Riteniamo necessaria l’installazione di sistemi di gestione del riscaldamento e del raffreddamento di tutti gli spazi dell’Ateneo (aule, biblioteche, uffici, ecc.) che utilizzino una tecnologia tale da comportare una riduzione del consumo di energia.

Un altro passo importante da compiere riguarda la limitazione del consumo di acqua calda. Se in alcuni periodo dell’anno l’utilizzo e il consumo di acqua calda è indispensabile, in altri periodi è invece superfluo. Perciò, riteniamo opportuna la sospensione dell’erogazione dell’acqua calda in tutti i locali dell’Ateneo almeno durante i mesi estivi.

Parallelamente, nell’ottica di ridurre gli effetti nocivi causati dall’utilizzo di energia non sostenibile, crediamo possa essere un’iniziativa importante che l’Ateneo doti le sue strutture di impianti di impianti di produzione di energia sostenibile, in particolare degli impianti fotovoltaici. Una misura di questo tipo, oltre a ridurre i costi sul lungo periodo, permetterebbe un abbassamento delle emissioni di CO2 e altre sostanze climalteranti da parte del nostro Ateneo.

Una misura di questo tipo, concretamente capace di contribuire nella lotta per la sostenibilità ambientale, porrebbe la nostra Università davvero come esempio positivo di ecologismo a livello nazionale e internazionale.

Parallelamente, chiediamo alla nuova Governance di prestare massima attenzione agli accordi che vengono stretti nel campo della ricerca e della didattica con aziende ed enti privati, collaborando solamente con chi davvero condivide la causa ambientale e avendo il coraggio di anteporre il bene comune al vantaggio economico.

PLASTOP e raccolta differenziata Una delle cause dell’emergenza ambientale è dovuta a un uso eccessivo delle plastiche monouso, che stanno danneggiando irrimediabilmente l’ecosistema.

L’Ateneo ha attivato nel 2018 il progetto PLASTOP, volto a ridurre l’utilizzo della plastica da parte dell’intera comunità universitaria. A tale scopo è stata avviata la distribuzione di borracce in alluminio da 500ml, il cui utilizzo comporta una riduzione di 80g di CO2 emessa per ogni bottiglia in plastica non acquistata.

Per quanto lodevole, tale misura si dimostra ad oggi insufficiente. L’assenza di distributori d’acqua in cui riempire le borracce vanifica in gran parte lo sforzo fatto. È 12

pertanto necessario che l’Ateneo installi al più presto erogatori di acqua microfiltrata e le cosiddette Casine dell’acqua in ogni struttura dell’Università, nelle biblioteche e nelle aule studio. Solo in questo modo si può effettivamente ridurre il consumo di plastica monouso all’interno dell’Ateneo.

Inoltre, un gran quantitativo di plastica monouso è dovuta agli imballaggi e ai contenitori dei distributori automatici presenti nelle strutture universitarie. Anche a tal proposito è necessario un intervento da parte dell’Ateneo, che dovrebbe premurarsi che le aziende responsabili del servizio utilizzino materiali maggiormente ecosostenibili – ad esempio: carta e legno –, come si è iniziato a fare per alcuni distributori automatici di caffè.

La stessa cura nell’utilizzo di materiali ecosostenibili va pretesa anche da chi è responsabile del servizio mensa, in particolare per quanto riguarda gli imballaggi per l’asporto, senza che ciò comporti un incremento dei costi per gli studenti e le studentesse.

Interventi come quelli sopra descritti non possono che accompagnarsi a un potenziamento del sistema di raccolta differenziata, poiché non tutte le strutture dell’Ateneo sono adeguatamente dotate dei contenitori appositi.

Parallelamente, in collaborazione con il Comune di Bologna, riteniamo necessaria una campagna di informazione sul funzionamento e sulle modalità di smaltimento dei rifiuti a Bologna (e nei suoi Campus), pubblicizzando ad esempio l’apposita applicazione di Hera.

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DIRITTO ALLO STUDIO E CITTADINANZA UNIVERSITARIA Crediamo che un Ateneo come l’Alma Mater, con quasi 90.000 iscritti, e una città come quella di Bologna, che ospita circa 40.000 studenti e studentesse fuorisede, debbano collaborare in maniera strutturale, con progetti e strumenti di lungo termine, superando gli attuali rapporti di collaborazione sporadica. È necessario proseguire e rafforzare il lavoro avviato con la Fondazione Innovazione Urbana, una collaborazione che sta fornendo dati fondamentali per la comprensione dei bisogni della componente studentesca e, in generale, per la comprensione di Bologna come città universitaria.

Solo tramite un impegno comune è davvero possibile la piena garanzia del Diritto allo Studio e, con esso, del Diritto alla Città. Gli studenti e le studentesse sono il corpo centrale dell’Università e allo stesso tempo contribuiscono concretamente alla crescita della città di Bologna dal punto di vista culturale, tecnologico ed economico.

Questione abitativa Il diritto alla casa, l’accesso a un'abitazione economicamente sostenibile e adeguata alle proprie esigenze, costituisce per ciascun individuo il primo tassello del welfare. E proprio la ricerca di una stanza in affitto che risponda alle proprie necessità e disponibilità economiche è il primo grande ostacolo per chiunque si trasferisca a Bologna per frequentare l’Università, determinando difatti una precarietà del Diritto allo Studio.

Il mercato degli affitti a Bologna è ormai saturo. Tra le ragioni di questa saturazione un peso importante spetta alla conversione degli affitti a lungo termine in affitti a breve termine ad uso turistico: la crescita di Airbnb a Bologna negli ultimi dieci anni ne è la testimonianza più evidente. A pagare il costo di questa emergenza abitativa non possono essere le studentesse e gli studenti universitari.

Come ha dimostrato l’indagine HousingBo, realizzata in collaborazione tra Unibo, Fondazione Innovazione Urbana, Consiglio degli Studenti e associazioni studentesche, il problema principale consiste nell’inadeguatezza dei locali posti in affitto e nel costo troppo elevato delle stanze – utenze escluse, circa 330€/mese per un posto in doppia e 415€/mese per una singola.

Come abbiamo già proposto altre volte, una soluzione efficace, che è però di responsabilità dell'Amministrazione comunale, è certamente quella di intervenire direttamente nel mercato degli affitti ponendo un tetto massimo al numero di locali affittabili ad uso turistico. Tuttavia, anche l’Università ha un ruolo fondamentale riguardo alla questione abitativa e può contribuire concretamente alla sua risoluzione mettendo a punto, di concerto con le parti interessate, un insieme di misure e strumenti utili.

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Il primo strumento da mettere a punto per invertire la rotta è sicuramente un nuovo contratto a canone concordato. Il contratto attualmente esistente, utilizzato solo nel 34,9% dei casi, non comporta difatti nessun beneficio sostanziale per entrambe le parti – locatori e conduttori. È necessario un tavolo tra Università, Comune, rappresentanze universitarie e associazioni di categoria per trovare una soluzione contrattuale condivisa per ridiscutere i parametri previsti dall’attuale canone concordato in modo da renderlo maggiormente aderente alle reali necessità degli studenti e delle studentesse.

Parallelamente, chiediamo che l’Ateneo sviluppi un’app che permetta di fare incontrare domanda e offerta, mettendo in collegamento universitari fuorisede e proprietari e garantendo uno strumento ulteriore per monitorare la situazione abitativa a Bologna. Un’app di questo tipo permetterebbe di mettere a sistema l’intero mercato abitativo, tenendo sotto controllo i prezzi medi e le oscillazioni del mercato, insieme ad una mappatura efficiente e capillare degli immobili presenti in città adibiti a questo uso.

Altra soluzione per affrontare la questione abitativa potrebbe essere la creazione di un tertium genus tra studentati e alloggi privati: la Casa dello studente.

Come più studi in merito alla condizione abitativa bolognese testimoniano, la scelta di molti proprietari di casa tra continuare ad affittare i propri immobili agli studenti con contratti a lungo termine e affittare con contratti brevi a piattaforme come Airbnb sta decisamente propendendo per la seconda opzione. Ci si sta interrogando molto sui motivi di questa tendenza di mercato. A tutti appare chiara la motivazione economica: il turismo predatorio degli affitti di Airbnb e simili piattaforme digitali è sicuramente più allettante per i proprietari di casa. Ma oltre a questa motivazione, se ne potrebbe rintracciare un’altra correlata ma più sommessa, quella relativa alla manutenzione degli immobili necessaria per un un affitto a lungo termine. Per ovviare a questo problema proponiamo un nuovo paradigma formato da tre soggetti: l’Università insieme all’Azienda Regionale per il diritto allo studio Er.Go, i proprietari di casa e gli inquilini.

L’idea è quella di fare una mappatura degli immobili sfitti ad uso abitativo e di tutti quegli immobili rimasti sfitti perché manchevoli della manutenzione necessaria.

L’università insieme ad Er.go dovrebbe fungere da intermediario tra i proprietari di questi immobili, facendosi carico delle spese di manutenzione e di interlocuzione, e gli studenti e le studentesse in cerca di alloggio. Questo sistema di triangolazione permetterebbe ai conduttori di intervenire sugli immobili bisognosi di interventi di ristrutturazione e manutenzione senza investimenti economici propri, ma solamente dando in locazione questi ultimi a prezzi calmierati rispetto alle tendenze del mercato.

Gli studenti, dal canto loro, avrebbero la possibilità di accedere ad un servizio in più offerto dall’Università insieme ad Er.go che non rientra nelle residenze universitarie e neppure nell’affitto di una stanza da un privato. Inoltre, l’Azienda Regionale per il diritto allo studio amplierebbe così la propria capacità abitativa con un investimento

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sicuramente inferiore rispetto alla costruzione ex novo di edifici, permettendo anzi la rigenerazione di locali in disuso.

Un’altra linea di intervento percorribile consiste nella rilevazione e rigenerazione di edifici pubblici in disuso. Un’operazione di questo tipo, condotta congiuntamente da Er.Go e Ateneo, permetterebbe di trovare soluzioni abitative alternative alla costruzione di nuovi studentati. Ciò non significa essere aprioristicamente contrari all’edificazione di studentati pubblici, poiché un incremento degli alloggi a disposizione degli studenti è con tutta evidenza necessario: bensì significa coniugare la valorizzazione del patrimonio pubblico in funzione sociale alla sostenibilità ambientale.

Mensa e servizi ristorativi Negli ultimi anni il servizio mensa è risultato tutt’altro che vantaggioso, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista del servizio.

Per chi non è beneficiario di borsa di studio un pasto completo in mensa costa circa 6€, a seconda della struttura in questione. Un prezzo di questo tipo, malgrado il pasto sia certamente abbondante, non compete in nessun modo con l’offerta di molti locali della zona universitaria e non solo, il cui costo degli alimenti è decisamente inferiore.

Il primo obiettivo è senza dubbio quello di rendere la mensa più accessibile, insistendo su una riduzione del costo complessivo dei pasti. Una misura interessante in questo senso potrebbe essere, come avviene in altri Atenei d’Italia, il calcolo del prezzo d’acquisto del pasto sulla base dell’ISEE, stabilito in cassa tramite la presentazione del badge.

Parallelamente, per dare una risposta alla carenza dei servizi di mensa, concentrati quasi tutti in zona universitaria – fatta salva la mensa in Viale Risorgimento presso i dipartimenti di Ingegneria e la sperimentazione in avvio al Navile –, crediamo che l’Ateneo debba stringere una serie di convenzioni con locali cittadini per consentire a studenti e studentesse di avere accesso a pasti a prezzi agevolati.

Spazi La costante crescita del numero di iscritti a cui abbiamo assistito negli ultimi anni palesa la necessità di incrementare gli spazi a disposizione per lo studio individuale e di gruppo. Non è solamente necessario aprire nuovi spazi, ma anche estendere gli orari di apertura di quelli attualmente esistenti, andando a coprire anche le fasce orarie serali e i fine settimana.

Allo stesso modo, è necessario che l’Università allestisca all’interno di ogni propria struttura degli spazi destinati al ristoro, in cui gli studenti e le studentesse possano sedersi per consumare il pranzo portato da casa o semplicemente fare una pausa.

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Inoltre, è urgente che l’Ateneo bandisca nuovi spazi in città per le associazioni studentesche che permettano un’aggregazione autonoma anche fuori dagli orari di ufficio. La necessità di una socialità spontanea e svincolata da attività di consumo si è fatta ancora più pressante dopo un anno e mezzo di pandemia e distanziamento.

Inoltre, crediamo che l’Università non possa occuparsi dei suoi studenti solo negli orari di ufficio, ma che debba offrire luoghi di incontro e scambio in ogni momento. Questi luoghi dovrebbero essere accessibili anche alla cittadinanza, promuovendo l’incontro tra due anime della città che troppo spesso sono presentate come in conflitto tra loro.

La proposta che avanziamo è di aprire le aule universitarie anche la sera e nei weekend, mettendole a disposizione di chi vi voglia organizzare attività culturali e ricreative, ovviamente nel rispetto delle regole di comune convivenza. Così facendo, l’Università potrebbe porsi anche come presidio importante sul territorio, dando una risposta all’abbandono di determinate zone della città in orari e periodi dell’anno notoriamente più critici.

Bando 150 ore L’attuale bando per le attività di collaborazione studentesche è il risultato di un compromesso tra il Consiglio degli Studenti e l’Ateneo. La priorità emersa dal Consiglio degli Studenti era quella di tutelare le fasce ISEE medio–basse, continuando a considerare l’attività di 150 ore come uno strumento di welfare studentesco.

Contrariamente, parte del Senato Accademico riteneva necessario rimuovere qualunque vincolo ISEE per la partecipazione al bando e proponeva di valutare unicamente dei criteri di merito (numero crediti e media ponderata) per la formulazione della graduatoria: una proposta ovviamente irricevibile.

Attualmente è quindi prevista una soglia ISEE massima non superiore a 35.000€ per la partecipazione al bando e il primo criterio di formazione della graduatoria è il numero di CFU ottenuti nell’anno precedente: in sostanza, stabilita la soglia ISEE, il criterio predominante è il merito.

Riteniamo che la soglia ISEE di 35.000€ per la partecipazione al bando possa considerarsi ragionevole, poiché va nella direzione di intercettare quelle studentesse e quegli studenti che, pur non trovandosi in una situazione economica prospera, rimangono esclusi da tutti gli altri benefici per il Diritto allo Studio. Se si decide però di mantenere una soglia d’accesso di questo tipo, è necessario rivedere i criteri di formazione della graduatoria, che rischia di lasciare da parte chi più ne ha bisogno.

Pertanto, chiediamo garanzia alla nuova governance che le 150 ore continuino a essere considerate come uno strumento di welfare a sostegno degli studenti e delle studentesse più fragili economicamente: riteniamo necessario prendere in esame quali fasce ISEE siano state intercettate dal bando del 2021 e sulla base di ciò rivedere i criteri di costruzione della graduatoria.

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Diritto alla salute La salute è un diritto, assicurare l'assistenza necessaria a curarsi è un dovere dello Stato, assicurare che l'assistenza sanitaria sia effettivamente garantita nel luogo in cui gli studenti vivono e studiano lo è altrettanto.

Nel corso del primo semestre dell’a.a. 2020/21, dopo anni di richieste da parte di Sinistra Universitaria negli Organi di Ateneo, è stato ripristinato il servizio di assistenza sanitaria per le studentesse e gli studenti fuorisede, che era stato tagliato dal Governo Monti nell’ambito della spending review ormai quasi dieci anni fa.

L’assistenza sanitaria per i fuorisede è un servizio necessario, imprescindibile per la garanzia di un pieno Diritto alla Salute. Tuttavia, il servizio non riesce ancora a rispondere ai bisogni di tutte e tutti, risultando il più delle volte irraggiungibile. Questo tipo di servizio, al pari del Servizio di Aiuto Psicologico – poiché non esiste salute fisica senza salute mentale – va di necessità implementato, affinché siano in grado di rispondere davvero alle necessità della comunità studentesca.

L’Università come baluardo contro la violenza di genere Nella nostra visione, l’Università, oltre a ricoprire un ruolo fondamentale nella formazione superiore e accademica degli studenti e delle studentesse, dovrebbe anche essere un soggetto trainante del progresso sociale, quindi anche dello sviluppo di una coscienza collettiva alternativa alla mentalità oppressiva, sessista e patriarcale che domina la nostra cultura.

Per questo, analogamente a quanto stanno tentando di fare altre Università italiane, proponiamo di aprire i locali dell’Ateneo a delle associazioni e realtà del territorio che si occupano di violenza di genere, fornendo supporto psicologico e legale alle vittime molestia sessuale e morale per come sono definite dagli art. 5 e 6 del Codice di comportamento per la prevenzione delle molestie morali e sessuali e il loro contrasto.

La proposta che avanziamo è di creare uno sportello antiviolenza in collaborazione tra Università e realtà cittadine che fornisca servizi di ascolto e accoglienza, supporto psicologico e legale, aiuto nel percorso di allontanamento dal partner violento, orientamento lavorativo in sostegno all’autonomia, indirizzamento e accompagnamento ad altri servizi specifici. L’esigenza di uno sportello di questo tipo si fa ancora più urgente a seguito del periodo fuori dall’ordinario che abbiamo vissuto e che stiamo ancora vivendo, in cui le regole di distanziamento e lo stravolgimento della socialità sono state cause di un incremento della violenza di genere e di un aggravamento della condizione psicologica per molti.

L’obiettivo dello sportello è anche quello di sensibilizzare le persone sul tema della violenza di genere, insegnare a riconoscere le situazioni di pericolo e denunciarle, offrire un ambiente sicuro in si possa uscire dalla solitudine e dalla situazione di isolamento e abbandono in cui è possibile sentirsi imprigionati.

L’Università, in quanto polo di produzione culturale e istituzione pubblica che ha tra i suoi obiettivi il progresso sociale, non può sottrarsi a una missione fondamentale come quella del contrasto alla violenza di genere.

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Il ciclo non è un lusso: l’Università prenda posizione Nel corso della sua vita una persona è soggetta a 456 cicli mestruali, con una spesa pro– capite per i soli assorbenti di circa 1.700€, a cui si somma la spesa per i medicinali per la gestione dei sintomi.

A nostro parere, dovrebbe essere compito dello Stato fornire gratuitamente il materiale igienico–sanitario e i medicinali necessari al trattamento dei sintomi mestruali. Ma siamo, purtroppo, ancora molto indietro. Nel nostro Paese, infatti, l’aliquota Iva sul materiale igienico–sanitario femminile è ad oggi quella massima, cioè al 22%, mentre i beni di prima di necessità sono tassati al 10% e quelli di funzione sociali al 4%.

Siamo profondamente convinti che l’Università possa dare una risposta fattualmente concreta alla questione, proponendosi come esempio positivo di inclusività e dando un messaggio politico significativo nei confronti della comunità studentesca e della società tutta.

La nostra proposta è che presso le varie sedi dell’Ateneo vengano installati distributori di materiale igienico–sanitario di qualità non inferiore alla media di mercato, in modo da essere presenti in almeno un bagno, di ogni piano, di ogni edificio. L’obiettivo politico, lo ripetiamo, è senza dubbio che tali materiali vengano distribuiti gratuitamente a tutta la popolazione che ne necessita. Ciò che pretendiamo dall’Università è che vengano quanto meno messi a disposizione a un prezzo calmierato rispetto alle tendenze del mercato.

Paracadute Unibo Gli studenti beneficiari di borsa di studio devono soddisfare dei criteri di merito conseguendo un numero di CFU minimo per ogni anno accademico per rinnovare il beneficio, oltre i criteri di reddito. Allo stesso modo, l’Unibo prevede dei requisiti di merito minimi stabiliti dalla legge 232/2016 per rientrare nella no tax area di Ateneo e beneficiare dell’esenzione delle tasse. Attualmente i criteri di merito previsti dall’Azienda Regionale per il Diritto allo studio e quelli previsti dall’Università di Bologna non sono allineati. Al contrario, i criteri previsti da Er.Go sono altamente più stringenti.

Per fare un esempio: l’Azienda Regionale per il Diritto allo studio richiede che gli studenti iscritti al primo anno di un di Corso di Laurea Triennale o Magistrale a Ciclo Unico conseguano almeno 25 cfu, gli iscritti al primo anno di un Corso di Laurea Magistrale 30 cfu. Per il secondo anno accademico di un Corso di Laurea Triennale o Magistrale a ciclo unico il requisito è di 80 cfu e così via.

Diversamente, i requisiti di merito per rientrare nella no tax area di Ateneo sono quelli di aver conseguito almeno 10 cfu per il primo anno accademico e 25 cfu all’anno per gli studenti iscritti agli anni accademici successivi.

Attualmente i criteri di merito per conseguire la borsa di studio dell’Azienda Regionale per il diritto allo studio sono stabiliti da fonte legislativa in maniera univoca per tutto il 20

territorio nazionale. Nonostante ciò, il disallineamento per l’accesso ai benefici è evidente. Per questi motivi proponiamo che il nuovo Rettore o la nuova Rettrice si faccia promotrice in sede della CRUI dell’allineamento fra i criteri, proponendo quindi un’interlocuzione con il Ministero per una revisione dei requisiti di merito per il rinnovo della borsa di studio, andando nella direzione di un abbassamento di questa soglia, pur necessaria, ma che ad oggi risulta problematica, soprattutto nel passaggio tra secondo e terzo anno: infatti, per il primo anno accademico è sufficiente conseguire 25 cfu, mentre per il secondo anno accademico la soglia si alza vertiginosamente a 80 cfu, richiedendo quindi in determinati casi di conseguire fino a 55 cfu in un solo anno – una soglia tutt’altro che scontata.

Oltre a ciò, il sistema di Diritto allo Studio prevede che chi non sia riuscito a soddisfare i criteri di merito, oltre a non confermare il beneficio per l’anno successivo, debba restituire le rate già ricevute per l’anno in corso. Questa misura non appare incentivante, al contrario, è una misura sanzionatoria perché non prevede la sola decadenza dal beneficio in esame ma anche una restituzione in denaro delle somme precedentemente percepite. Partendo dal presupposto che chi acceda al beneficio della borsa di studio non versi in situazioni economiche floride e che nella grande maggioranza dei casi l’entrata della borsa di studio risulta essere l’unica entrata percepita, questa misura sanzionatoria potrebbe essere per molti causa di abbandono degli studi e di interruzione di carriera.

Siamo consapevoli dell’impossibilità per l’Unibo di agire sulla fonte legislativa che prevede la restituzione delle somme già percepite. La nostra proposta è quindi quella di istituire un fondo ad hoc per coprire le spese di restituzione dei benefici di questa categoria di studenti permettendo loro di proseguire gli studi. La proposta si sostanzia in un fondo “paracadute” predisposto dall’Università sulla stima degli studenti che negli anni non riescono a soddisfare i requisiti di merito previsti da Er.Go per coprire le rate di borsa di studio che questi studenti devono restituire pur avendo soddisfatto i cfu necessari previsti dall’Ateneo per conservare il beneficio della no tax area.

Tassazione Attualmente il calcolo delle tasse universitarie in raffronto al modello ISEE presenta delle criticità dovute alla presenza di immobili infruttiferi nei capitoli dell’ISPE che in molte situazioni sfalsano la situazione economica dichiarata degli studenti rispetto alla situazione economica reale. Queste criticità dipendono dalla legislazione tributaria nazionale sulla quale l’Università non ha competenza di intervento ma crediamo che debba essere avviato un lavoro di indagine sulle possibilità migliorative del calcolo dell’ISPE e dell’ ISEE per il conseguente accesso degli studenti e delle studentesse realmente bisognosi ai benefici del diritto allo studio. Pertanto, chiediamo come obiettivo di lungo termine che la nuova governance si faccia promotrice di tale istanza all’interno della CRUI e presso i Ministeri competenti.

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Vi sono invece degli interventi che l’Ateneo può e deve fare a livello locale. Risulterà forse impopolare, ma riteniamo ingiusto e sbagliato chiedere una riduzione generalizzata delle tasse. Non tutti sono nelle stesse condizioni economiche e la pandemia non ha colpito tutti allo stesso modo: c’è chi ha visto i propri redditi familiari calare, chi li ha visti rimanere stabili e persino chi li ha visti crescere.

Abbassare indiscriminatamente le tasse significa distribuire risorse in maniera piatta e, in un mondo di risorse limitate, ciò significa non fare distinzioni tra chi ha maggiore disponibilità economica e chi è invece più fragile: il criterio deve sempre essere quello costituzionale della progressività, e la priorità deve sempre essere la tutela delle fasce ISEE medio–basse.

Attualmente l’Unibo prevede una NO TAX AREA fino a 23.000€ di ISEE. La Governance in uscita, nonostante la disponibilità economica, ha deciso di non dare risposta alle richieste del Consiglio degli Studenti, che sin dall’agosto 2020 ha chiesto all’Ateneo, oltre agli interventi straordinari introdotti, una revisione del quadro contributivo per far fronte alla montante crisi economica, che esploderà con forza al termine del cosiddetto blocco dei licenziamenti.

Ad oggi, riteniamo che la fascia ISEE più penalizzata dalle regole di accesso ai benefici per il Diritto allo Studio sia quella compresa tra i 23.000€ e i 35.000€. Questi studenti e studentesse, in sede e fuorisede, sono infatti esclusi da tutti i benefici Er.Go e sono tenuti a pagare una quota di tasse universitarie che, in virtù del vigente Sistema di calcolo delle tasse dell’Università di Bologna, cresce molto rapidamente all’interno di questo range.

Basandoci sul “simulatore tasse” messo a disposizione dall’Unibo e prendendo a riferimento una Laurea Triennale con importo massimo di 2197,07€, portiamo degli esempi concreti:  l’intervallo di crescita ISEE 23.001–28.000€ comporta un innalzamento delle tasse di 350€ (da 257,04€ a 607,04€) e l’intervallo 28–33.000€ comporta un innalzamento delle tasse di 450€ (da 607,04€ a 1.057,04€);  invertendo la tendenza, il ritmo di crescita rallenta nell’intervallo ISEE 33.001– 38.000€, che comporta un innalzamento delle tasse di 350€ (da 1.057,04€ a 1.407,04€), e il ritmo si fa ancora più lento nell’intervallo di crescita ISEE 38.000– 43.000, che comporta un innalzamento di 250€ (da 1407€ a 1657€).

Intervallo

Importi estremi intervallo

Aumento

23.001 – 28.000 ISEE

257,04 – 607,04€

+350€

28.000 – 33.000 ISEE

607,04 – 1.057,04€

+450€

33.001 – 38.000 ISEE

1.157,04 – 1.407,04€

+350€

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38.000 – 43.000 ISEE

1.407,04 – 1.657,04€

+250€

Tale differenza nella velocità di crescita si deve all’aliquota troppo alta relativa alla prima fascia ISEE prevista dal sistema di calcolo: tra 23.001,00 e 33.000,00 l’aliquota è infatti al 9%. Con il sistema vigente, a 33.000€ di ISEE si è quindi già raggiunto circa il 50% della soglia massimale dell’importo.

Pertanto, chiediamo che il quadro contributivo Unibo venga complessivamente modificato attraverso una revisione delle aliquote e delle basi di calcolo attualmente previste, con lo scopo di ridurre la tassazione che va a gravare sulle studentesse e gli studenti con ISEE compreso tra i 23.000 e i 35.000. Parallelamente, poiché le contribuzioni studentesche non rappresentano difatti la voce di spesa più onerosa sul totale di quanto è necessario a un fuorisede per vivere a Bologna, chiediamo venga stanziato un fondo “contributo affitti” del quale le studentesse e gli studenti fuorisede appartenenti a queste fasce ISEE possano beneficiare per ridurre i costi cui devono andare incontro trasferendosi a Bologna.

Le due misure proposte, revisione del sistema di contribuzione e stanziamento “fondo affitti”, sono da considerarsi complementari e non alternative.

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