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La dinastia del Pinguino

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Multinazionale del pinguino

La De’ Longhi è da decenni un gioiello dell’industria made in Italy Oggi il gruppo è alle prese con un passaggio di testimone ai vertici

DI STEFANO FOSSATI

Non è l’atmosfera dei giorni migliori quella che si respira in queste settimane ai piani alti della De’ Longhi, a Treviso. Prima il conflitto in Ucraina, che ha costretto l’azienda a rivedere la guidance 2022 con la previsione di ricavi organici in linea con il 2021 (rispetto a una crescita attorno al 5% preventivata a gennaio). Poi, a fine giugno, le dimissioni dell’amministratore delegato Massimo Garavaglia, che lascerà il gruppo il 31 agosto per “motivi personali”. Un doppio colpo accusato a Piazza Affari, dove il titolo De’ Longhi ha perso il 18% del suo valore in tre mesi. E che ha riportato bruscamente nelle mani di Giuseppe De’ Longhi e del figlio Fabio, rispettivamente presidente e vicepresidente, i destini di uno dei simboli del nordest industriale. Non una novità per un’azienda che, in 120 anni di storia, si è affidata a manager esterni solo in poche e circostanziate fasi. Come fra il 2000 e il 2005, quando il compito di portare il gruppo in Borsa (nel 2001) e di guidare una delicata fase di riorganizzazione aziendale, con tanto di delocalizzazione in Cina di parte della produzione, fu affidato a Stefano Beraldo. E come nel 2020, quando appunto Fabio De’ Longhi decise di lasciare la gestione operativa a Garavaglia.

La fabbrica dell’innovazione

Certo, la De’ Longhi di oggi è tutt’altra cosa rispetto all’officina avviata nel 1902 dal nonno Danilo per la produzione artigianale di stufe a legna. E portata avanti per sessant’anni così come tante anonime microimprese nate come funghi in Veneto nel corso del Novecento: l’officina diventò un laboratorio, passando alla realizzazione di componenti per stufe a kerosene e cucine a legna, fino alle pompe per spruzzare il solfato di rame sulle viti. La vera svolta coincise con l’ingresso del figlio di Danilo De’ Longhi, Giuseppe detto Bepi: classe 1939, laureatosi in Economia e Commercio all’Università Ca’ Foscari di Venezia nel 1962, dopo il servizio militare rilevò nel 1964 anche le quote dello zio. In testa, tante idee e un obiettivo ambizioso: trasformare il laboratorio di componenti per conto terzi in una fabbrica di prodotti finiti da commercializzare con il proprio marchio. Così, nel 1974 arrivò sul mercato il primo radiatore a olio “firmato” De’ Longhi. Non un punto d’arrivo, anzi. Affiancato da un manipolo di amici e compagni di studi – fra cui il cognato Silvio Sartori, marito della sorella Marisa, che sarà amministratore delegato di De’ Longhi nei primi anni ’90 - Bepi intuì le potenzialità della diversificazione e negli anni successivi punta sugli elettrodomestici “pop” e spesso innovativi. Dopo il riscaldatore portatile Caldobagno, nel 1985 viene lanciato il forno elettrico Sfornatutto, seguito l’anno successivo dal celeberrimo condizionatore portatile Pinguino e, nel 1987, dalla Friggimeglio, l’unica friggitrice a immersione con cestello rotante per friggere con metà olio. Prodotti perfetti per cavalcare il boom degli anni ’80 nelle case di mezza Europa, supportati da importanti strategie di marketing – compresa la sponsorizzazione del Team Lotus di Formula 1 per un biennio - e

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Instancabile sul lavoro, Giuseppe condivide con molti imprenditori veneti la scarsa propensione per i riflettori: niente vita mondana, pochissime le interviste rilasciate ai media

Dall’alto Giuseppe, Fabio e Silvia De’ Longhi.

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martellanti campagne pubblicitarie. Il successo è travolgente, consolidato nel decennio successivo dal sistema stirante Stiromeglio e dalla scopa elettrica Colombina. E mentre la produzione di radiatori, non più core business, è da tempo scorporata sotto la controllata DL Radiators, inizia la stagione delle acquisizioni: nel 1994 Climaveneta, con cui il gruppo entra nel settore delle grandi unità per la refrigerazione e il condizionamento industriale e civile, l’anno successivo MicromaxSimac, all’inizio del nuovo secolo la britannica Kenwood e la toscana Ariete, che rafforzano la presenza sul mercato dei piccoli elettrodomestici.

Nuova generazione al comando

Instancabile sul lavoro, Giuseppe condivide con molti imprenditori veneti la scarsa propensione per i riflettori: niente vita mondana, pochissime le interviste rilasciate ai media. Anche se ogni tanto, suo malgrado, deve fare qualche eccezione. Come quando, nel 1997, è costretto a scrollarsi di dosso l’immagine di “padrone di stampo ottocentesco” affibbiatagli da qualche giornale dopo che l’azienda è finita al centro delle cronache per la “vertenza pipì”: alcuni operai denunciano decurtazioni dello stipendio per ogni minuto in cui

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si sono assentati dalla linea di produzione per andare in bagno. I sindacati insorgono, puntano il dito su una gestione impostata sull’iperproduttività al limite dello sfruttamento, sui ritmi imposti dal ciclo continuo e lui, alla fine, non riesce a trattenersi: “Guarda cosa mi capita tra capo e collo – sbotta con un giornalista - spendiamo 50 miliardi l’anno in pubblicità e ora mi ritrovo con questa immagine addosso, anche se non neghiamo a nessuno di andare in bagno... Qualche capetto forse ha esagerato, alla fine qualcuno l’ha fatta controvento e ha bagnato tutti”. Nel 2005, quando Beraldo lascia l’azienda di famiglia per andare a occuparsi di Coin, la gestione torna familiare. È il momento del passaggio generazionale: Bepi mantiene saldamente la presidenza e il figlio Fabio, nato nel 1967, si siede sulla poltrona di amministratore delegato, oltre che su quella di vicepresidente. Portando avanti la razionalizzazione avviata dal suo predecessore: alcune linee di prodotto meno remunerative furono abbandonate, altre vennero rafforzate, a partire dalle macchine per il caffè, sempre più centrali nel business. Nel 2012 sono state scorporate le attività nel settore del riscaldamento e della climatizzazione con la nascita di DeLclima, ceduta tre anni più tardi al colosso giapponese Mitsubishi Electric. E sono proseguite di pari passo le acquisizioni: sempre nel 2012 De’ Longhi ha acquistato

da Procter & Gamble i diritti per gli elettrodomestici sullo

storico marchio tedesco Braun, fra il 2017 e il 2021 viene rilevata in due tranche la svizzera Eversys, specializzata nelle macchine professionali per caffè espresso. E nel 2020, per 420 milioni di dollari, è entrata a far parte del gruppo la statunitense Capital Brands Holdings, nota per i blender Magic Bullet e Nutribullet. Ma a Treviso il nome De’ Longhi è anche ricordato per avere reso possibile dal 2012, in qualità di sponsor, la rinascita e il ritorno nella massima serie di una squadra di basket cittadina, dopo il ritiro della Benetton dai campionati professionistici.

Il peso della Russia

Sono lontanissimi i tempi del laboratorio di stufe: secondo Forbes, oggi Giuseppe è al sesto posto nella classifica degli uomini più ricchi d’Italia con un patrimonio familiare stimato in 4,4 miliardi. Termometro di cinquant’anni di successi, sia pure punteggiati qua e là da qualche grana. Non solo per la pausa bagno. È il 18 aprile 2007 quando un incendio si sviluppa nello stabilimento trevigiano, provocando una nuvola nera che ricopre la città e scatenando l’allarme diossina: qualcuno parla di origine dolosa ma l’inchiesta esclude questa ipotesi e ogni responsabilità per la famiglia De’ Longhi. Nel 2019, poi, il patron Giuseppe finisce indagato per insider trading nell’ambito della cessione di DeLclima: è assolto nel 2021 nel processo per rito abbreviato. Intanto, nel 2020, il passo indietro di Fabio De’ Longhi che, come il padre vent’anni prima, chiama un manager d’esperienza alla guida operativa proprio per poter affiancare Bepi, ormai 81enne, nello sviluppo delle strategie future del gruppo. Nel top management c’è anche la sorella Silvia, che dal

3,2 miliardi

I ricavi in euro del 2021

10mila

I dipendenti, di cui due-terzi all’estero

120

Gli anni di storia dell’azienda

A Treviso De’ Longhi ha anche reso possibile, in qualità di sponsor, il ritorno nella massima serie della squadra di basket cittadina

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La squadra di basket De Longhi Treviso in una partita a Bologna.

2016 è chief corporate services officer con responsabilità su affari legali e societari, risorse umane e organizzazione, qualità e IT di un’impresa che è oggi il perfetto esempio di “multinazionale tascabile” all’italiana: 10mila dipendenti, oltre due terzi dei quali all’estero dopo la stagione delle delocalizzazioni (“È stato necessario, i nostri concorrenti lo hanno fatto prima di noi e non abbiamo licenziato nessuno”, tenne a sottolineare Fabio De’ Longhi qualche anno fa), ricavi record nel 2021 oltre i 3,2 miliardi di euro (+36,8% sull’anno precedente), una presenza commerciale in oltre 50 Paesi. Anche se pesa inevitabilmente l’esposizione in Russia e Ucraina, su cui De’ Longhi ha puntato sin dai primi anni ’90 e che nell’ultimo esercizio hanno generato quasi il 5% degli introiti. Il che, unitamente all’annunciato addio di Massimo Garavaglia, ha indotto alcuni analisti a tagliare il rating sul titolo e a rivedere al ribasso le previsioni sul 2022. Sta di fatto che il management che lavora con l’ad uscente è pressoché lo stesso di quando al suo posto c’era Fabio De’ Longhi. E sono in molti a credere che la famiglia saprà garantire ancora una volta la continuità, in attesa della scelta del nuovo ceo.

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