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Noi e voi
from L'Espresso 46
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N. 46 - ANNO LXVII - 20 NOVEMBRE 2022
DIRETTORE RESPONSABILE: LIRIO ABBATE
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CAPOREDATTORI CENTRALI: Leopoldo Fabiani (responsabile), Enrico Bellavia (vicario) UFFICIO CENTRALE: Beatrice Dondi (vicecaporedattrice), Sabina Minardi (vicecaporedattrice), Anna Dichiarante REDAZIONE: Federica Bianchi, Paolo Biondani (inviato), Angiola Codacci-Pisanelli (caposervizio), Emanuele Coen (vicecaposervizio), Antonio Fraschilla, Vittorio Malagutti (inviato), Antonia Matarrese, Mauro Munafò (caposervizio web), Gloria Riva, Carlo Tecce (inviato), Gianfrancesco Turano (inviato), Susanna Turco ART DIRECTOR: Stefano Cipolla (caporedattore) UFFICIO GRAFICO: Martina Cozzi (caposervizio), Alessio Melandri, Emiliano Rapiti (collaboratore) PHOTOEDITOR: Tiziana Faraoni (vicecaporedattrice) RICERCA FOTOGRAFICA: Giorgia Coccia, Mauro Pelella, Elena Turrini SEGRETERIA DI REDAZIONE: Valeria Esposito (coordinamento), Sante Calvaresi, Rosangela D’Onofrio CONTROLLO DI QUALITÀ: Fausto Raso OPINIONI: Barbara Alberti, Altan, Mauro Biani, Massimo Cacciari, Lucio Caracciolo, Franco Corleone, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, Luciano Floridi, Bernard Guetta, Sandro Magister, Marco Dambrosio Makkox, Bruno Manfellotto, Ignazio Marino, Ezio Mauro, Michela Murgia, Denise Pardo, Massimo Riva, Pier Aldo Rovatti, Giorgio Ruffolo, Michele Serra, Raffaele Simone, Bernardo Valli, Gianni Vattimo, Sofia Ventura, Luigi Vicinanza, Luigi Zoja COLLABORATORI: Simone Alliva, Erika Antonelli, Viola Ardone, Silvia Barbagallo, Giuliano Battiston, Marta Bellingreri, Marco Belpoliti, Caterina Bonvicini, Ivan Canu, Gino Castaldo, Giuseppe Catozzella, Manuela Cavalieri, Rita Cirio, Stefano Del Re, Alberto Dentice, Francesca De Sanctis, Cesare de Seta, Roberto Di Caro, Paolo Di Paolo, Fabio Ferzetti, Alberto Flores d’Arcais, Marcello Fois, Antonio Funiciello, Giuseppe Genna, Wlodek Goldkorn, Marco Grieco, Luciana Grosso, Helena Janeczek, Stefano Liberti, Claudio Lindner, Francesca Mannocchi, Gaia Manzini, Piero Melati, Luca Molinari, Donatella Mulvoni, Matteo Nucci, Eugenio Occorsio, Marco Pacini, Massimiliano Panarari, Gianni Perrelli, Simone Pieranni, Paola Pilati, Sabrina Pisu, Laura Pugno, Marisa Ranieri Panetta, Mario Ricciardi, Gigi Riva, Stefania Rossini, Evelina Santangelo, Elvira Seminara, Caterina Serra, Chiara Sgreccia, Francesca Sironi, Leo Sisti, Elena Testi, Chiara Valentini, Chiara Valerio, Stefano Vastano PROGETTO GRAFICO: Stefano Cipolla e Daniele Zendroni
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RISPONDE STEFANIA ROSSINI
stefania.rossini@espressoedit.it
QUELLA RIDICOLA QUERELA CONTRO SAVIANO
Cara Rossini, il fatto che Roberto Saviano sia chiamato a processo per rispondere delle accuse di diffamazione nei confronti della presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni, a mio parere la dice lunga sul tenore della classe politica che attualmente governa il Paese, ma anche di un popolo che di fronte a ciò avrebbe dovuto mobilitarsi. Qual è stata la colpa di Saviano? Quella di aver chiamato “bastardi” Giorgia Meloni e Matteo Salvini in tv nel 2020, riferendosi alla strumentalizzazione destrorsa dei flussi migratori e delle morti nel Mediterraneo. Cioè, di aver fatto una opposizione dura e imbastita con parole forti all’operato e all’ideologia di uno schieramento politico, colpendo i potenti che di questo modus operandi hanno fatto il proprio vessillo (e che, non dimentichiamolo, sono responsabili delle sue conseguenze). Da quando, in uno Stato democratico, questo costituisce un reato? La libertà di parola si applica solo a un dissenso sussurrato in circoli che nessuno ascolta? Roberto Saviano è uno scrittore di fama mondiale. La sua voce non si può facilmente ignorare, ed è voce contro la destra italiana in maniera partigiana, polemica, senza sconti. Meloni e Salvini hanno il diritto di sentirsi insultati da Saviano, gli elettori di destra hanno il diritto di non condividerne le posizioni. Ma nessuno ha il diritto di portare a processo uno scrittore per aver esternato le proprie opinioni. Specie in un Paese in cui le voci di destra, affini alla linea dell’attuale governo, hanno tutti i mezzi per propagare la propria versione dei fatti. Gli attacchi e i contrattacchi d’opinione sono normali, non è normale che la presidente del Consiglio dei ministri chieda a un tribunale di condannare chi l’ha criticata. Fosse successo altrove, avremmo gridato allo scandalo. Invece in Italia uno che si è costruito la carriera politica con nostalgie neofasciste e con l’omotransfobia, presiede in Senato, mentre una delle voci più eminenti dell’opposizione viene convocata in tribunale. Non è abbastanza per intravedere una china pericolosa, al cui termine stanno già Paesi come la Polonia e l’Ungheria? Non è questo abbastanza, per avere paura? Simone Santini Paura no, signor Santini, semmai vigilanza affinché episodi come questo non passino inosservati, aiutando l’avvio di una gestione autoritaria del potere. Ma per ora non se ne vedono segnali credibili, almeno se non si dà credito a dichiarazioni e a smargiassate senza costrutto dei tanti arrivati a governare senza un minimo di esercizio. Portare in tribunale un cittadino da cui ci si è sentiti offesi, per un politico non è vietato: è ridicolo. Troppo facile dichiararsi come tutti gli altri quando si incassa il consenso, rischioso continuare a fare la persona qualunque quando si è al comando di un Paese. Chi ha tutti gli strumenti di un ruolo egemone sa che non può più fingere di essere come tutti gli altri. E infatti Giorgia Meloni ha già fatto dichiarare ai suoi avvocati che valuterà il ritiro della querela mentre Salvini, a quanto se ne sa, andrà avanti a muso duro. Due protagonisti di questa disgraziata stagione politica che non marciano all’unisono.
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