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Il muro delle donne Simone Alliva
from L'Espresso 46
by BFCMedia
IL MURO DE LLE DONNE

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uando mi diceva che non valevo niente, quando a cena con amici se ne usciva con quelle frasi, io ridevo. Ci ho messo del tempo. Anni di violenza psicologica. Poi è esplosa quella fisica. Non è stato facile risalire l’abisso che ti inghiotte. Ti salvi solo se tendi la mano e qualcuno la afferra. Io sono risalita da qui». Qui è la Casa internazionale delle donne. Dafne si racconta di fronte a un’intera parete tappezzata di nomi di donne morte per femminicidio. Nella «casa di tutte» ha sede anche l’associazione Cco, Crisi come opportunità che insieme a Urban Vision ha realizzato la campagna #laviolenzanonèunluogocomune, ideata da Celeste Costantino, coordinatrice dell’Osservatorio sulla parità di genere del ministero della Cultura: «La campagna gioca su un doppio livello di falsa narrazione ai danni delle donne: da una parte ci sono gli stereotipi “benevoli”, quelli più vicini a dei proverbi piuttosto che a dei giudizi ragionati, e che costituiscono un ostacolo all’emancipazione dell’immagine della donna nella società italiana. Dall’altra parte invece ci sono quelli esplicitamente pericolosi, quelli che comprendono o addirittura giustificano la violenza sulle donne», spiega Costantino. La lingua indirizza il modo di pensare. Modi di dire come «chi dice donna dice danno», riverberano una visione patriarcale spiega Giulia Minoli, presidente di Cco: «In Italia il 67 per cento delle donne si occupa della cura della casa, il 37 per cento non ha un conto corrente intestato, una donna su due non ha lavoro, ogni tre giorni un femminicidio. Nel 2022 sono state uccise 77 donne. Il da-



Qto è drammatico, il momento è difficile ma la crisi è opportunità. Ci mette alla prova. Noi ci siamo». #laviolenzanonèunluogocomune sarà proiettata su tutti gli impianti pubblicitari digitali di Urban Vision, dislocati sul territorio italiano. «L’obiettivo è incoraggiare le donne a denunciare, a rompere il silenzio e chiedere aiuto prima che sia tardi», dice l’amministratore delegato Gianluca de Marchi. I pensieri, le intenzioni, la memoria e le emozioni si formano sulle parole, spesso si guastano. Lo si può vedere con l’abisso che si è spalancato davanti ai nostri occhi e che parla soprattutto agli uomini, racconta quanto il mondo fuori sia cresciuto deforme dentro di loro. La questione femminile non è altro che una questione maschile: sono gli uomini i primi a doversene occupare. Fermarsi, non solo il 25 (Giornata internazionale contro la violenza) e il 26 novembre (Manifestazione nazionale a Roma) ma ogni giorno, guardarsi dentro e riflettere. Riconoscere i volti della violenza - fisica, verbale, psicologica - e liberarsene.


ACCANTO A ESPRESSIONI “BENEVOLE” CHE PERÒ COSTITUISCONO UN OSTACOLO ALL’EMANCIPAZIONE CE NE SONO DI PERICOLOSE CHE COMPRENDONO O GIUSTIFICANO AGGRESSIONI E ABUSI
Simone Alliva Giornalista L A DONNA NON SI TOCCA NEANCHE CON UN FIORE L’ex presidente della commissione parlamentare sui femminicidi e senatrice del Pd, Valeria Valente scorre l’elenco della cam-



L’INIZIATIVA
Dal 25 novembre sugli impianti pubblicitari digitali di Urban Vision, dislocati su tutta Italia sarà proiettata la campagna #laviolenzanonèunluogocomune realizzata dall’associazione Crisi Come Opportunità e ideata da Celeste Costantino. In collaborazione con L'Espresso si potrà accedere attraverso un qr-code ai contenuti informativi online scritti per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Una grande campagna di sensibilizzazione che vede L’Espresso, da 67 anni il più grande settimanale italiano, in prima linea per i diritti delle donne.

pagna e si sofferma sul primo luogo comune che incornicia il femminicidio: «Una violenza che non ha conosciuto nessuna battuta di arresto anche se è cresciuta la consapevolezza nella società. Sono molti i passi avanti sulle leggi, ma qualsiasi norma deve essere applicata da uomini e donne».
Non c’ è altro modo che non sia quello di cominciare dall’educazione. Dal rifinanziamento dei centri antiviolenza che sono luoghi per ribaltare la cultura della sopraffazione, per evitare quando vai a denunciare il tuo ex che ti perseguita o il tuo compagno che ti massacra, che non ci sia, come è successo, qualcuno al commissariato che dica: «Torni a casa». «Questi uomini e queste donne sono anche loro espressione della società. Portatori di stereotipi. Nelle aule di giustizia si fa fatica a credere alle donne. Nei processi di separazione spesso il giudice non considera gli attestati di violenza. Un’indagine Istat del 2019 dice che il 74 per cento delle donne vittime non si racconta neanche a un’amica. Leggere prima la violenza conta. L’aggressione, quando arriva, non è un fulmine a ciel sereno, il tormento di mesi o di anni ha rilevanza».
L A DONNA È L’ANGELO DEL FOCOL ARE «La questione è semplice: senza autonomia economica, non ci può essere una reale indipendenza». È netta Daniela Santarpia, presidente di E.v.a la cooperativa sociale nata nel 1999 a Casal di Principe in un bene confiscato alla camorra e che forma e trova lavoro alle donne in uscita dalla violenza. Fondata da Lella Palladino, E. v.a custodisce storie luminose, come quella di Giusi: «Non avevo nessuna competenza, pensavo di non poter fare nulla. Ho denunciato mio marito dopo anni di violenze fisiche, psicologiche ed economiche. A cinquant’anni sono arrivata sotto protezione al centro antiviolenza. Non pen-
savo di poter fare niente. Gli anni con lui mi avevano annullata». Giusi che per anni aveva gestito il bar del marito senza percepire un centesimo, si è riscoperta. «Adesso è un nuovo inizio».
MOGLI E BUOI DEI PAESI TUOI Nelle rotte dei migranti ci sono i trafficanti, stupri, botte, abusi, mutilazioni. Donne trasformate in giocattoli, fino a che non si rompono. «Spesso sono giovanissime. Quando arrivano qua in Italia sono già devastate. La nostra sensazione è che di loro non importi più nulla a nessuno», dice Oria Gargano, presidente di BeFree, la cooperativa sociale nata nel 2007 per contrastare tratta, violenza e discriminazione. «Negli anni 90 erano tutte bianche, venivano dall’Europa, oggi sono per lo più ragazze provenienti dall’Africa. Per la gran parte dalla Libia. Torturate e costrette a prostituirsi. Partono da Benin City, poi attraversano tutto il deserto del Niger, arrivano nella Libia settentrionale e lì vengono messe in case chiamate Africa house e che in genere sono gestite dalla mafia nigeriana che spesso collabora con la mafia libica. Destinazione Lampedusa. Queste donne riescono ad arrivare in Italia convinte di trovare accoglienza e invece vengono messe in strada. È un copione rigido: non conoscono la lingua ma vengono istruite per chiedere subito il modulo C2, per il diritto d’asilo, per non essere espulse». Sostenere queste ragazze dopo, aiutarle a ripartire non è mai facile ma è possibile: «Di recente, tra le tante, due ragazze giovanissime sono diventate operatrici anti-tratta. Ci vuole tanta competenza, empatia. Evitare la ri-vittimizzazione. Ci sono molte strade aperte per chi riesce a salvarsi, bisogna dar loro la possibilità di percorrerle». DONNA AL VOL ANTE PERICOLO COSTANTE L’avvocata Teresa Manente da 30 anni assiste le donne dell’Ufficio legale di Differenza Donna. Da qui sono passate 48 mila donne ospitate in centri antiviolenza e case rifugio.
Conosce bene il coraggio delle donne quando decidono di denunciare, le loro paure, la vergogna del sentirsi a un tratto carnefici e non più vittime, il dover fuggire

I L T E L E F O N O A M I C O P E R R I N C A S A R E I N L I B E RTÀ
DI SILVIA ANDREOZZI E VALERIA VERBARO
«Quando arrivi a casa scrivimi». Un rito, una cura reciproca alla fine di una serata. Tornando a casa da un allenamento, quando la giornata di lavoro si è conclusa, «quando arrivi a casa scrivimi». Tra donne lo si dice e lo si sente spesso. Come spesso succede di dover chiamare qualcuno lungo un tragitto. Un’amica, una persona cara. Percorrendo una strada, buia o meno, conosciuta o nuova, chiamare per sentirsi meno esposte. Da questa esperienza condivisa nasce l’associazione DonnexStrada, dalla presa di coscienza della sua fondatrice, la psicologa Laura De Dilectis. «Era una domenica mattina quando ho saputo della morte di Sarah Everard, rapita, stuprata e uccisa a Londra nel 2021. Ho provato una sensazione di rabbia e paura al pensiero di quante volte avevo rischiato in passato, passeggiando di notte da sola, a piedi, con il telefono scarico. Invece di trattenere la frustrazione, l’abbiamo trasformata in un’azione che ha coinvolto sempre più persone in una call to action». Il movimento è nato dalla pagina
per evitare il peggio. E le contraddizioni della giustizia: «I pregiudizi contro le donne sono talmente radicati nella nostra cultura e in tutti noi da non permettere di riconoscere la gravità dei fatti denunciati e applicare le leggi. Questo è visibile nelle condanne della Corte europea dei diritti umani nei confronti dell’Italia. Quattro negli ultimi mesi.
L’ultima, emessa su nostro ricorso pochi giorni fa, ha condannato l’Italia per aver violato l’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e non protetto i figli di una madre costringendoli per tre anni a incontrare il padre accusato di maltrattamenti, nonostante lo stesso continuasse a esercitare violenza e minacce». Madri ancora oggi considerate alienanti, manipolatrici, malevole. «Mentre gli uomini vengono considerati disperati dall’essere stati “abbandonati” o “delusi” dal comportamento della donna che si è sottratta al loro potere». L’UOMO È CACCIATORE. L A CARNE È CARNE «Ancora oggi le nuove generazione ritengono, a seguito di un’acquisizione stereotipata del mito dello stupro, che l’uomo agisce in base a impulsi naturali e incontenibili mentre la donna scatena questi impulsi». Nella sua carriera di magistrata, Paola Di Nicola si è occupata a più riprese di reati di violenza contro le donne e di pari opportunità. «È ancora radicatissimo il principio per cui l’uomo è cacciatore e la donna è preda. Ci sono vari livelli. C’è quello culturale dove è sal-
IN PIAZZA
Qui e nelle altre pagine, una carrellata di immagini della Giornata contro la violenza celebrata negli anni scorsi. Il 26 novembre prossimo, la manifestazione a Roma
SUGLI IMPIANTI PUBBLICITARI DIGITALI DI URBAN VISION IN COLLABORAZIONE CON L’ESPRESSO LE PAROLE MOLESTE. PERCHÉ IL LINGUAGGIO TRADISCE UN MODO DI PENSARE E DI AGIRE
Instagram omonima all’associazione. L’idea era quella di poter fornire un supporto a chi, rincasando da sola, si sentisse in pericolo. Le dirette inizialmente erano collettive, poi il progetto si è trasformato. Oggi a gestire le videochiamate è Violawalkhome, una start-up che conta volontari da diversi Paesi. DonnexStrada continua a occuparsi del sostegno psicologico e legale e della prossima creazione dei “punti viola”, attività di frequentazione quotidiana il cui personale, dopo una formazione specifica, sarà in grado di dare sostegno alle donne che lo richiederanno in caso di pericolo. Le volontarie di Violawalkhome portano avanti in diciassette lingue lo stesso obiettivo per cui Laura ha dato inizio a questo percorso, «rivendicare la pretesa di poter camminare con tranquillità, con una sensazione di libertà. Essere libere, non coraggiose». E tutte, come la fondatrice, si sono avvicinate a questo impegno spinte da storie personali. È il caso di Simona Mancino che ha iniziato come volontaria di Violawalkhome un anno fa: «Avevo notato alcune sfumature nel comportamento del mio ragazzo, quasi verso una violenza psicologica. Ho bloccato il rapporto e dentro di me mi sono detta: io ho avuto la prontezza di lasciarlo ma non so se altre ragazze hanno questa possibilità». Sul web ha trovato DonnexStrada ed è diventata volontaria: «Siamo divisi in turni. Quello diurno arriva alle 18, il serale va dalle 18 a mezzanotte, il primo turno notturno, di cui sono corresponsabile, va da mezzanotte alle 3 e il secondo turno notturno dalle 3 alle 6 del mattino». Secondo la sua esperienza, il maggior numero di richieste si concentra tra le 18 e le 3 di notte, quando «ci sono delle ragazze che più spesso prenotano una chiamata perché lavorano o fanno attività sportiva fino a tardi». Difficile, comunque, trovare uno schema fisso. La cosa certa è che qualcuno chiamerà. «C’è una percezione di pericolo diffuso. Il più delle volte le ragazze che ci contattano hanno una sensazione di paura, a volte tremano, non sono lucide. Magari in quel momento non è successo nulla, ma il contesto non le fa stare tranquille. Altre volte accompagniamo persone che hanno subito violenze in passato, sono rimaste segnate. C’è una realtà che vediamo e che sentiamo anche noi volontarie, che spesso usufruiamo delle dirette. È una cosa che ci accomuna tutte, che tutte sentiamo paura». Alessandra C., un’altra volontaria, ha conosciuto Violawalkhome da utente: «utilizzavo DirettexStrada quando tornavo a casa da sola, dato che abito in una zona periferica della mia città, quindi è successo di trovare la strada poco illuminata». Superati i primi dubbi ha deciso di dedicare il proprio tempo al progetto che l’aveva aiutata. Anche lei, come Simona, copre il primo turno notturno. Durante le chiamate, dice, «si chiacchiera normalmente, in modo tranquillo, come tra amiche. Alla fine mi dicono “guarda, grazie. Sono a casa, tutto bene”. A quel punto le saluto e ricomincio il turno».


CAMBIAMO VISUALE GUARDIAMO ALL’UOMO
DI CELESTE COSTANTINO
La violenza maschile sulle donne nel tempo è diventato un fenomeno sempre più complesso. Per questa ragione quando l’associazione Crisi come opportunità mi ha coinvolta per l’ideazione della campagna di comunicazione di Urban Vision sul 25 novembre ammetto di aver avuto paura della semplificazione. Con #laviolenzanonèunluogocomune è invece successo l’inimmaginabile. È successo che con Giulia Minoli, Noemi Caputo e Benedetta Genisio ci sia stata subito la sintonia di non rinunciare alle sfumature del fenomeno. Il primo obiettivo è stato spostare finalmente l’attenzione sugli uomini, cioè su chi agisce la violenza. Uomini diversi tra loro, esattamente com’è nella realtà. Perché non esiste un identikit dell’uomo maltrattante. La violenza è un fenomeno frutto di un guasto culturale e per questo non deve essere vissuto come una condizione privata ma invece assunto come un problema collettivo. Ed è stato questo il secondo obiettivo della campagna: fare un’opera di svelamento sul sessismo ambivalente di cui è affetta la nostra società. Da una parte ci sono gli stereotipi “benevoli” e apparentemente innocui, quelli ormai più vicini ai proverbi che ai giudizi ragionati, quelli che danno una visione delle donne come esseri indifesi, da proteggere e tutelare (“la donna non si tocca neanche con un fiore”, “la donna è l’angelo del focolare”) e gli stereotipi “simpatici” che vogliono ironizzare sull’incapacità delle donne (“donna al volante pericolo costante”). Ci sono poi gli stereotipi “ostili”, quelli che dichiarano apertamente l’inferiorità della donna ritenuta sostanzialmente un oggetto (“donne e buoi dei paesi tuoi”) o un essere malvagio (chi dice donna dice danno”) o quelli che valorizzano le donne solo se nel confronto con uomo (“è una donna con le palle”). In tutto questo proliferare di false narrazioni, naturalmente l’uomo dal canto suo è cacciatore e i suoi impulsi sono dettati dalla carne. Arriviamo quindi al terzo obiettivo, quello più ambizioso ma anche più doloroso di questa campagna: il racconto della comprensione, della tolleranza e spesso anche della negazione sociale della violenza maschile sulle donne. Nessuno oggi infatti sosterrebbe apertamente che è giusto uccidere una donna che ha tradito il marito ma… Quel “ma” è il sintomo di un irrisolto, il segno che nella nostra società è ancora presente l’idea di proprietà della vita delle donne. Vale per la violenza domestica, vale per lo stupro e per il cosiddetto revenge porn. Perché la verità è che la violenza sulle donne non è un luogo comune, ma nello stesso tempo lo è. E questa campagna racconta di un 25 novembre che sia di Liberazione per le donne. Dall’immaginario e nella realtà. *Coordinatrice dell’Osservatorio sulla parità di genere del MiC