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Si fa presto a dire Neet Gloria Riva 12 Segregazione scolastica Ludovico Albert 18 Flessibilità non precariato, circuito perverso da spezzare Chiara Saraceno 21 Il sonno della satira colloquio con Fabrizio Barca e Stefano Disegni di Emanuele Coen 22 Enrico Letta indeciso a tutto Antonio Fraschilla
from L'Espresso 44
by BFCMedia
I DEM DILANIATI, RINVIANO LA RESA DEI CONTI A UN CONGRESSO LONTANO. IL SEGRETARIO QUASI DIMISSIONARIO MA PRONTO A SPENDERSI PER NARDELLA O ASCANI. E, INSIDIATO DA CONTE E CALENDA, HA DI FRONTE LO SPETTRO SCISSIONE DI ANTONIO FRASCHILLA
Il segretario del Pd Enrico Letta eterno indeciso, perfetto segretario del partito che non decide. Ma questa volta una decisione l’ ha presa: nessun addio alla politica né ritorno in Francia nella sua cara Sciences-Po, l’Institut d’etudes politiques de Paris. Enrico Letta non ha intenzione di replicare la scena del 2014 con Matteo Renzi che gli “toglie” la campanella di Palazzo Chigi e la sua conseguente fuga silenziosa Oltralpe. Vuole restare saldo nei ruoli di vertice del Partito democratico e medita di sostenere una sua candidatura alla corsa alla segreteria del forse futuro Pd o della sua fase liquidatoria. Il nome sul tavolo è quello del sindaco di Firenze, Dario Nardella ma la carta a sorpresa si chiama Anna Ascani. Carta che sulla scrivania di Letta ha posato il suo braccio destro Marco Meloni. Peccato però che questa sua decisione di non prendere una chiara via per i dem rischi di ingessare ancora di più non solo il partito ma anche l’intera opposizione, in vista di un congresso che si terrà tra cinque mesi e che lo stesso Letta sta rendendo un rompicapo con cavilli burocratici e passaggi vari. Cinque mesi in questi tempi veloci sono un’era geologica che potrebbe far davvero chiudere via del Nazareno o ridurla a un condominio per pochi intimi, mentre l’elettorato va di corsa verso le altri ali dell’opposizione, Movimento 5 stelle e Terzo Polo (Calenda più che Renzi). Letta, nipote di Gianni Letta il gran consigliere di Berlusconi e del berlusconismo da anni, come lo zio ha provato ad agire con modi felpati. Ma così non ne ha azzeccata una, prima del voto e dopo.
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Letta è stato lo specchio delle L’ indecisioni del Partito democratico negli ultimi dieci anni: ha imbarcato tutti e promosso linee di governo che prevedevano tutto e il contrario di tutto. Ha candidato al Nord Carlo Cottarelli, volto del Fondo monetario internazionale che fino a qualche mese fa quasi auspicava norme in Italia per andare in pensione a 70 anni come «in Giappone», lui che ci è andato un bel po’ prima di questa età, ma anche Aboubakar Soumahoro, volto delle proteste dei braccianti, immigrati e non, sfruttati senza legge nelle campagne italiane dalla Val Padana ai campi della Puglia. Uno che parla una lingua diciamo abbastanza differente da quella di Cottarelli. Letta ha candidato poi due ex segretarie nazionali di sindacati che non hanno tenuto linee uguali di fronte alle grandi vertenze del Paese, Susanna Camusso e Annamaria Furlan, che tra il 2014 e il 2015 non riuscivano a fare uno sciopero insieme. Per non parlare del record di paracadutati da altre regioni e da altre storie politiche che ha registrato il Pd nell’ultimo voto. Tanto per citare alcuni dei tanti campanelli d’allarme sullo stato confusionale dei dem e in fondo anche del segretario. Ma, preso atto della sconfitta di una linea che evidentemente il Paese non ha capito, anche perché era difficile da comprendere, il giorno dopo il voto Letta è rimasto immobile e di fatto imprigionato dalla perdita di ruolo e potere: come leggere altrimenti la scelta davvero singolare di riproporre come capigruppo al Senato e alla Camera Simona
Antonio Fraschilla Giornalista
Malpezzi e Debora Serracchiani, che gli italiani hanno seguito negli ultimi anni in maggioranza con il governo Conte II e poi visto difendere il governo di Mario Draghi, la cui agenda (che non molti conoscono) era stata issata a bandiera della campagna elettorale dei dem.
Indecisioni, debolezze, che da un lato stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza del Pd non tanto nel Parlamento ma nel Paese; e stanno facendo anche un regalo insperato alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni alle prese con una maggioranza isterica e senza una linea politica chiara sulle cose da fare, se non appunto riempire i giornali e i tg con provvedimenti su presunta legalità, contanti, sicurezza, immigrazione. Temi ideali per la propaganda, ma non certo per risolvere i problemi drammatici dell’economia del Paese alla vigilia di un inverno che si annuncia durissimo in termini di costi e spese per famiglie e aziende.
Ecco, di fronte a questa scenario, l’assenza di un segretario che parli con Conte e Calenda di fatto rende l’intera opposizione parlamentare ininfluente per il governo Meloni. Ma nessuno tra i dem in questo momento alza più di tanto la voce, se non nel chiuso delle stanze del Nazareno. Tutti sono concentrati a capire cosa fare da qui al fantomatico congresso che potrebbe diventare però, senza contenuti e senza leader compresi dal Paese, solo uno rito stantio questa volta con il rischio che sia l’ultimo prima della liquidazione del partito. Base riformista dell’ex ministro Lorenzo Guerini punta sulla candidatura a nuovo segretario del governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, che non ha intenzione di fare accordi con il Movimento 5 stelle. L’ex ministro Andrea Orlando, con i suggerimenti dell’eterno Goffredo Bettini, cerca un candidato (anche lui stesso, ma si vedrà) per portare avanti un disegno che preveda una intesa forte con Conte, anche in caso di sconfitta alla corsa alla segreteria e vittoria di Bonaccini: non escludendo scissioni, per essere chiari. Poi tra l’area degli ex ds ci sono i giovani guidati da Giuseppe Provenzano, ormai in rotta con Orlando, che chiedono una costituente chiara per stabilire una linea che sciolga alcuni nodi irrisolti da dieci anni.
E poi ci sono loro, in gran parte moderati arrivati dalla Margherita, che Letta ha candidato a man bassa in posizioni utili per essere eletti e che gli consentono di avere di fatto un ruolo in Parlamento e nel partito: da Silvia Roggiani a Mauro Berruto, da Antonio Nicita a Valeria Valente e Furlan. Una truppa, composta anche da Dario Franceschini e Francesco Boccia, che in queste ore cerca di fare la mossa del cavallo. Candidare un volto senza molte pretese di vincere ma consentendo loro di trattare e restare in gioco. Di trattare, ad esempio, con Bonaccini, o comunque di eleggere un buon numero di componenti della segreteria. Il nome sul tavolo di Letta è quello di Nardella, ma la carta vera dicono sia quella di Anna Ascani: vice presidente della Camera, nel 2007 ha sostenuto la corsa alla segreteria di Letta, nel 2010 ha appoggiato Pier Luigi Bersani, poi è stata folgorata sulla via di Matteo Renzi e adesso è considerata una delle predilette di Letta. Insomma, perfetta per chi non vuole prendere mai decisioni chiare.
Il regista dell’operazione che vede Letta restare saldamente dentro i dem è Marco Meloni che nelle scorse settimane ha più volte ribadito al segretario di non fare l’errore del 2014, quando anche lì non prese
BONACCINI
Il presidente dell’Emilia-Romagna è per il no al dialogo con i Cinquestelle
GUERINI
Il rappresentante di Base riformista sostiene la corsa di Bonaccini
PROVENZANO
Appartiene all’area dei giovani ex ds ormai in rotta con Andrea Orlando


seppe Conte. Al di là delle strategia di Bettini o dei buoni uffici di Massimo D’Alema, che dopo aver provato a vendere armi alla Colombia è tornato guarda caso in tv a parlare di politica fiutando gli enormi spazi lasciati liberi dal segretario dem, Conte ha le idee chiare. Il leader del Movimento 5 stelle vuole diventare lui il riferimento della sinistra sociale, con pochi argomenti chiave che diventano dirompenti con il governo Meloni: difesa del reddito di cittadinanza, lotta al caro bollette, contratti di lavoro stabili e salario minimo, no all’invio di ulteriori armi all’Ucraina. Pochi slogan, rilanciati ogni giorno, mentre punta anche a riprendere spazi e consensi al Nord parlando alle piccole imprese e al mondo degli artigiani e dei commercianti, con un tour che inizierà a breve tra Veneto, Lombardia e Piemonte. Conte vuole essere l’unico volto di vera opposizione al governo Meloni, e già nel dibattito sulla fiducia ci è riuscito, attaccando la presidente del Consiglio sul Pnrr che lei e Fratelli d’Italia non hanno mai votato, né in Europa né a Roma. Il Pd si è presenta-
una posizione chiara contro il renzismo crescente e nell’arco di pochi mesi si trovò fuori dal governo e con Matteo nuovo presidente del Consiglio. «Non fare lo stesso errore», gli suggeriscono in tanti, non solo Meloni. Letta così oscilla tra la voglia di mollare la segreteria, che molti hanno sentito palpabile nel corso dell’ultima direzione, e il desiderio di provare una rivincita restando con ruoli di primo piano nel partito e ottimi rapporti con il nuovo possibile segretario. L’importante è non rispondere alla vera domanda di fondo: dove si vuole portare il Partito democratico? Verso quale direzione? Di sicuro la strada non può essere l’autosufficienza, ancora assurdamente evocata nell’ultima direzione: il risultato elettorale è stato chiaro e Conte e Calenda stanno stringendo sempre più il cerchio attorno alle contraddizioni dei dem. Non a caso se l’ala Orlando, diciamo, pensa anche a una cosa nuova con Conte e il Movimento 5 stelle, un pezzo del partito sta aprendo ponti di dialogo con Calenda ed è pronto a lasciare il partito: tra questi anche insospettabili ex ds che sono stati fatti fuori dal Parlamento dalle scelte di Letta.
Ma la vera spina nel fianco del Pd immobile di Letta, e senza linea, si chiama Giu-
L’USCENTE SI ARROCCA CON L’ALA EX MARGHERITA, ORLANDO DIALOGA CON I 5S. BONACCINI NON NE VUOL SAPERE. IL LEADER DI AZIONE FA SCOUTING TRA I DELUSI E D’ALEMA ESCE DALL’OMBRA
L’ex ministro Andrea Orlando, con i suggerimenti di Goffredo Bettini, potrebbe anche correre per la segreteria ed è fautore della linea dell’intesa con Conte to con il volto debole della Serracchiani che ha pensato bene di criticare la leader di Fdi per stare un passo indietro agli uomini: lei che è la prima presidente del Consiglio donna nella storia del Paese. Nel frattempo la prima proposta di legge presentata dal “nuovo” corso dem è una riforma costituzionale che ferma il presidenzialismo evocato da Meloni e rilancia con il cancellierato alla tedesca. Già detto così, l’argomento difficilmente scalderà gli animi del popolo di sinistra e non sembra proprio la chiave per recuperare consenso.
La sensazione è che il problema del Pd oggi si chiami «indecisione perenne», perfettamente incarnata dal segretario in carica, anzi mezzo dimissionario, ma senza dimissioni ufficiali, Enrico Letta.
di PIETRO GRASSO Ergastolo ostativo da cambiare ma non per i mafiosi irruducibili
Senza entrare nelle altre questioni su l tema g iustizia, certamente positiva è l ’attenzione con cui il Governo come primo atto ha affrontato il tema dei reati ostativ i a lla concessione di benefici penitenziari, il cosiddetto ergastolo ostativo, trasponendo in un decreto legge il testo approvato a larga magg ioranza da lla Camera nella scorsa leg islatura . Così come ho accolto con particolare favore l ’annuncio del presidente Meloni, in conferenza stampa, di «passi avanti» nella lotta a lla mafia e di possibili mig lioramenti delle norme in sede di conversione. Si ha la consapevolezza che si tratta di un problema complesso la cui soluzione deve trovare il g iusto equilibrio tra l ’attuazione del principio costituziona le della f unzione rieducativa della pena, messo in crisi da l “fine pena mai ”, le esigenze di sicurezza socia le, travolte da lla liberazione di pericolosi condannati, e infine la sa lvag uardia, se non l ’ incentivazione, del sistema dei collaboratori di g iustizia, che, superando g iuramenti di eterna fedeltà a lla regola del silenzio e dell ’omertà, si è rivelato fondamenta le per il perseg uimento di quel diritto a lla verità, ancora parzia lmente rea lizzato, il solo che possa restituire dig nità a llo Stato e a lle v ittime di sang uinose strag i. Non mi appassiona l ’ idea di partecipare a l derby tra super garantisti, magari tacciati di collusione con la mafia, e super g iustizia listi, forcaioli e manettari, quelli del “ buttiamo v ia la chiave”. La Corte costituziona le, con l ’ordinanza 97/2021 ha dato un meritorio seg na le di lea le collaborazione istituziona le, differendo la pur pa lesata dichiarazione di incostituziona lità, per consentire a l Parlamento di approvare le opportune modifiche. Il testo approvato a larga maggioranza da lla Camera il 30 marzo 2022 ha certamente il merito di avere superato i riliev i di incostituziona lità, tuttav ia nel cercare il consenso più largo possibile ha finito per mantenere ta lune sov rapposizioni di nor-
me, dubbi applicativ i e inaccettabili criticità, che ne hanno provocato la mancata approvazione in Senato prima della conclusione anticipata della leg islatura . Va certamente superata la criticità sorta con l ’ introduzione di un nuovo comma (1-bis.2) e la mancata abrogazione di un comma prev igente (1ter) per identiche tipolog ie di reati se commessi in associazione, da l momento che non rimane chiaro, né per i condannati e tantomeno per i g iudici, qua le sia il reg ime istruttorio, l ’onere probatorio, nonché l ’organo competente a fornire i pareri e le informazioni. Così come per plessità sorgono nel mantenere un reg ime più lieve per i reati di omicidio, rapina ed IL DECRETO LEGGE DEL GOVERNO È UN PASSO AVANTI ANCHE SE MANTIENE ANCORA DIVERSI PUNTI CRITICI. MA CHI APPARTIENE A COSA NOSTRA NON PUÒ ESSERE AMMESSO AI BENEFICI estorsione agg ravata rispetto, ad esempio, a forme di associazione fina lizzate a reati contro la pubblica amministrazione. Il testo ogg i trasf uso integ ra lmente nel decreto-legge governativo ha accolto tanti dei suggerimenti prospettati da lla Corte, tra cui quello di considerare oltre a ll ’attua lità dei collegamenti con la crimina lità organizzata anche il pericolo del ripristino di ta li collegamenti, tuttav ia non ha av vertito la necessità - puntua lmente richiesta da lla stessa Corte, ed ev idenziata nella relazione della Commissione antimafia, approvata a ll ’unanimità, di cui sono stato correlatore - di mettere ordine tra reati espressiv i di crimina lità organizzata e reati indiv idua li che nu lla hanno a che fare con ta le crimina lità, così creando una paradossa le disparità a danno di condannati per reati indiv idua li, rispetto ai qua li non ha senso chiedere di dimostrare l ’estraneità ad organizzazioni crimina li. La ra-
Campo da calcio con porte dipinte nel carcere di San Vittore, a Milano

g ionevolezza di una procedura rafforzata si g iustifica solo per quel tipo di reati indicativ i dell ’estrema pericolosità e di una conclamata difficoltà nel recidere i legami con l ’organizzazione crimina le. Auspico che i parlamentari in sede di conversione possano far tesoro di tutti i precedenti lavori, nonché delle va lutazioni espresse da vari Presidenti di importanti Tribuna li di Sor veg lianza, per mig liorare questa legge anche su a ltri punti che misi in ev idenza con la presentazione di precisi emendamenti che possono essere recuperati. Del resto una legge che contraddice i principi di rag ionevolezza e di eg uag lianza, da sempre a fondamento delle pronunce della Consu lta, rischia di incorrere in nuove e diverse dichiarazioni di incostituziona lità .
Per ev itare effetti e rappor ti g iurid ici che possono sorgere nel prov v isorio v igore di un atto avente forza di legge che può ancora essere modificato, si auspica che la mag istratura di sor veg lianza possa attendere la definitiva conversione in legge del decreto, così come la Corte Costituziona le, e la Corte di Cassazione, g iudice che ha rimesso la questione a l vag lio della prima, possano va lutare positivamente l ’ intento di prov vedere con urgenza da parte di Governo e Parlamento, attendendo per le loro valutazioni su l superamento dei riliev i di costituziona lità i sessanta g iorni di va lidità del decreto-legge. È troppo pretendere, nel trentesimo anniversario delle strag i del 1992, che mafiosi irriducibili che hanno rifiutato e rifiutano di contribuire a ll ’accertamento della verità, debbano fornire per ottenere anche il più piccolo beneficio, una prova rigorosa, oltre og ni rag ionevole dubbio, che sia cessata la loro appartenenza a Cosa nostra?
di TOMMASO MIELE*
Co n tr o l a “p a u ra d e l l a fi r m a” re go l e c hi a re e tra sp a ren ti
Èopinione diffusa che le lentezze delle amministrazioni pubbliche nello svolgimento dell’attività amministranon è certamente quella di eliminare o di mitigare le responsabilità di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica e a gestire ingenti l’art. 21 del decreto semplificazioni, eliminando o attenuando le responsabilità derivanti da colpa grave per i fatti commissivi, perché questa solutiva e nella realizzazione delle opere pubbliche siano determinate dalla cosiddetta burocrazia difensiva, e cioè, dalla paura di amministratori e dirigenti pubblici di incorrere nella responsabilità di dover risarcire eventuali danni erariali che possono derivare dai loro provvedimenti. Sì è così diffuso nell’opinione pubblica e nella classe politica il convincimento che a bloccare i cantieri e a rallentare l’azione amministrativa sia la cosiddetta “paura della firma”, cioè, la paura di firmare provvedimenti da cui possono derivare danni erariali che gli stessi amministratori e dirigenti pubblici possono essere chiamati dalla Corte dei conti a risarcire.
Proprio per attenuare le responsabilità ed aiutare amministratori e dirigenti pubblici a superare la paura della firma, nel 2020 il Governo Conte approvò una norma, l’articolo 21 del decreto semplificazioni n. 76/2020, che ha limitato al solo dolo la reponsabilità per danno erariale derivante da condotte commissive, eliminando, di fatto, la responsabilità per danno erariale dovuta a comportanenti connotati da colpa grave, e cioè, da grave negligenza.
Non si può negare che la paura della firma esiste, ma la soluzione somme di denaro, e tollerare che tali somme vengano gestite con superficialità e leggerezza - atteso che in questo consista la colpa grave - perché in democrazia autonomia e responsabilità sono una endiadi inscindibile. Eliminare o attenuare i controlli e le responsabilità significa abbassare il livello di attenzione e creare sacche di impunità nella corretta gestione delle risorse pubbliche e nel controllo della spesa pubblica. Significherebbe, in altre parole, gettare via il bambino con l’acqua sporca, cosa che, soprattutto in un momento come quello attuale, in cui le amministrazioni pubbliche sono chiamate a gestire le ingenti risorse del Pnrr, non ci possiamo assolutamente permettere. Il Paese, l’Europa, le imprese, le famiglie e i cittadini, invece, non solo chiedono di non abbassare la guardia, ma hanno diritto di pretendere da amministratori e dirigenti pubblici che quelle risorse vengano gestite con la massima oculatezza e diligenza, anche perché gran parte delle stesse dovranno essre restituite dai nostri figli e dalle generazioni future. Il rimedio per superare la paura della firma non è, quindi, quello scelto dal governo Conte nel 2020 con zione ha creato un vero e proprio vulnus nella sana e corretta gestione delle risorse pubbliche. La soluzione per superare la paura della firma sta, piuttosto, nell’intervenire sulla qualità della regolazione e della legislazione. Per mettere le pubbliche amministrazioni in condizione di realizzare i programmi e di intercettare le risorse del Pnrr, ci vogliono regole chiare, occorre migliorare e semplificare la legislazione e, in particolare, il Codice degli appalti. È, pertanto, auspicabile che il Parlamento e il Governo che si sono appena insediati non solo non abbassino la guardia su controlli e responsabilità nella sana e corretta gestione delle risorse pubbliche, ma che intervengano in maniera decisa e radicale sulla qualità della regolazione e della normazione. Occorre una legislazione chiara e semplice, snella, accessibile a tutti, occorrono regole chiare per dare indicazioni precise alle amministrazioni pubbliche, alle imprese e ai cittadini, e agli stessi operatori del diritto. Oltre alla paura della firma per le possibili ipotesi di responsabilità per danno erariale, si eviterebbero il frequente contenzioso e i ricorsi al giudice amministrativo che assai spesso bloccano i cantieri e rallentano l’azione Per contrastare il fenomeno dei burocrati amministrativa. che non vogliono assumersi responsabilità *Presidente aggiunto della Corte dei Conti e Presidente è sbagliato depenalizzare, come è stato fatto. della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del LazioOccorre cambiare leggi e procedure
Affari criminali GRATTA E RICICLA

DI ROSARIA CAPACCHIONE
ai quattro agli otto milioni a estrazione, tre volte a settimana. DÈ la cifra che viene distribuita dalla Sisal ai vincitori del SuperEnalotto quando non vengono centrate combinazioni molto fortunate, come il 5+1 o il 6. Le ricevitorie possono pagare in contanti fino a 5.200 euro, ma è possibile richiedere anche un assegno bancario non trasferibile; per importi superiori il pagamento è sempre tracciato. Con i Gratta e Vinci funziona alla stessa maniera. Biglietti vincenti anonimi fino al momento dell’incasso che possono circolare liberamente quasi fossero una moneta alternativa e che diventano la pezza d’appoggio per giustificare con l’Erario il possesso di somme di denaro
Sono stati oltre 117 miliardi di euro i soldi spesi, nel 2021, nel gioco legale; la previsione per il 2022 è di 140 miliardi
di provenienza oscura. Una grande lavanderia alla luce del sole, perfettamente legale, che mette al riparo piccoli e medi evasori fiscali, spacciatori, uomini del racket, funzionari corrotti, camorristi e mafiosi che così sottraggono enormi somme di denaro alle confische. Riciclaggio à la carte in un Paese in cui, secondo i dati Istat, ancora oggi l’economia sommersa ammonta a poco più di 183 miliardi di euro mentre quella delle attività illegali supera i 19 miliardi.
La trasformazione del nero in bianco attraverso il gioco va avanti da decenni, ma, con il proliferare delle lotterie e delle scommesse, è diventata più sofisticata e di difficile controllo. I piccoli evasori sono fuori della portata dei radar : è sufficiente avere un rivenditore amico per acquistare una decina di migliaia di euro in ticket vincenti dei Gratta e Vinci, non ancora messi all’incasso, e poi “cambiarli” altrove, con pagamento tracciato. Una tecnica molto diffusa, ma, visti gli importi relativamente modesti, mai indagata a fondo. Ben altri volumi di denaro, invece, riguardano il SuperEnalotto (o, in passato, il Totocalcio). In più occasioni le Procure antimafia si sono imbattute in capitali considerevoli nelle mani di soggetti legati a clan mafiosi, giustificati da vincite provvidenziali. Impossibile dimostrare che i tagliandi fortunati non fossero
Rosaria stati giocati proprio da chi, ai controlli, aveva
Capacchione esibito la ricevuta del bonifico fatto dalla Si-
Giornalista sal. Fortuna che, in almeno due casi, le verifiche hanno toccato uomini legati ai Casalesi del clan Zagaria: un miliardo di lire a tale Nicola Fontana; novecentomila euro alla famiglia Balivo, che se li è visti restituire una decina di giorni fa dalla sezione per le Misure di prevenzione di Santa Maria Capua Vetere, unico bene sfuggito alla confisca. Hanno dimostrato che quei soldi erano frutto di un tredici, nel primo caso; di giocate vincenti puntando sulle date di nascita di parenti, nell’altro. Un habitué delle vincite al gioco legale era anche il napoletano Maurizio Prestieri, poi diventato collaboratore di giustizia, che esponeva i biglietti vincenti (del Lotto) in un bar del rione Monte Rosa. I dubbi sono tanti e tali sono destinati a rimanere. Ma non è trascurabile un altro dato: i centri scommesse, le sale gioco, la distribuzione di slot e vlt, le ricevitorie Sisal, in Campania e in Sicilia, sono state per decenni monopolio assoluto di famiglie mafiose o strettamente collegate a esse. È storia giudiziaria lo smantellamento dell’impero dei fratelli Grasso, napoletani, che gestivano decine di ricevitorie legali e la distribuzione delle macchinette in tutta la Campania. Un comparto con migliaia di addetti che, inutilmente, la Dda di Napoli e il giudice delegato ai sequestri hanno cercato di salvare dal fallimento. L’ultima trattativa, naufragata durante il lockdown, riguardava la vendita in blocco dei totem e delle sale gioco a Sisal e Lottomatica. Aveva raccontato Renato Grasso, che da imputato nel suo processo (aveva già una condanna per estorsione e associazione camorristica) aveva reso una lunga testimo-

nianza: «I miei fratelli ebbero la grande opportunità di ottenere dei contratti in esclusiva per la distribuzione delle New slot in tutta Italia a favore di oltre 2.500 ricevitorie e agenzie». Accordo raggiunto quando i centri gestiti o controllati dalla sua famiglia erano quasi 200. L’impero dei fratelli Grasso, nel momento in cui era intervenuta la Dda 13 anni fa, arrivava a 2.660 punti scommessa, con 288 ricevitorie in Campania, 119 nel Lazio e altre centinaia in Abruzzo, Toscana, Lombardia, Sicilia, Calabria, Puglia. Gestori dei concessionari Lottomatica attraverso la Wozzup srl, raccoglievano oltre 100 milioni l’anno di giocate. Altrettanto attraverso la King slot. I rapporti con Sisal passavano attraverso la DueGi, incassando dal 2004 al 2008 oltre 635 milioni di euro.
La vicenda giudiziaria di Grasso e della sua famiglia non si è ancora conclusa. Fallite le società, a casa i dipendenti, su Renato e il fratello pendono condanne pesanti, ma solo di primo grado. L’inchiesta della Dda è datata 2009: 97 indagati e 29 arrestati. Secondo l’accusa, Renato aveva stretto patti con i principali clan della camorra napoletana e casalese per l’imposizione dei propri videopoker, versando in cambio una consistente parte degli introiti ai camorristi. La prima sentenza è del 2019: la nona sezione del Tribunale di Napoli (presidente Antonio Pepe) ha condannato cinque
persone e ha ordinato la confisca di dieci società riconducibili ai fratelli Grasso. Nella sentenza, però, non c’è l’aggravante di aver gestito l’attività illegale nell’agro aversano per conto della camorra, prevista dalla Direzione Distrettuale Antimafia ed esclusa per quasi tutti i capi di imputazione. Tra gli imputati, 30 sono stati assolti, cinque i condannati: Renato Grasso a 16 anni; Francesco Grasso a 10 anni e 8 mesi; Luigi Di Serio a 3 anni e 8 mesi; Salvatore Giuliano e Giuseppe Misso a 3 anni e 4 mesi. Alterne decisioni dei giudici, invece, nel processo sulle sale Bingo gestite direttamente dai Casalesi ( famiglie Schiavone e Russo) in provincia di Caserta. L’inchiesta è stata smembrata in vari tronconi, conclusi solo in parte. Chiuse tutte le piattaforme online gestite un tempo dalla famiglia Schiavone: centri di sommesse che hanno fruttato centinaia di milioni di euro, ma che, soprattutto, hanno consentito di esportare valuta nei Paesi dell’Est e a Malta. Un eccellente veicolo per ripulire il denaro proveniente da droga ed estorsioni. Sono stati oltre 117 miliardi di euro i soldi spesi, nel 2021, nel gioco legale; la previsione per il 2022 è di 140 miliardi. Molto online (soprattutto giochi da casinò e scommesse sportive), moltissimo nelle ricevitorie: lotterie, lotto, estrazioni istantanee. Secondo i dati diffusi dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nel Libro Blu appena pubblicato, in calo slot machine e vlt, a causa del distanziamento per il Covid-19 e all’aumento dei controlli. Ed era in questo particolare segmento che, fino al 2017, chiunque poteva convertire in denaro tracciato qualunque somma posseduta senza giustificaIL GIOCO D’AZZARDO È MONOPOLIO DELLE MAFIE. I BIGLIETTI VINCENTI, ANONIMI FINO ALL’INCASSO, DIVENTANO LA PEZZA D’APPOGGIO PER GIUSTIFICARE IL POSSESSO DI DENARO SPORCO zione. Oggi, per acquistare le fiches è necessario fornire il codice fiscale; ma fino alla modifica di tutti i distributori automatici di gettoni era sufficiente inserire il denaro e, subito dopo, richiederne la restituzione. La macchinetta rilasciava uno scontrino che, portato alla cassa, si trasformava di nuovo in denaro, ma pagato con bonifico bancario. Era impossibile sapere se quei soldi erano frutto di una vincita o, appunto, di un semplice cambio. Ma piattaforme online, sale, ricevitorie sono ancora tutte in piena attività. Collateralmente, il servizio di ripulitura del denaro offerto a pagamento: una commissione oltre all’aggio legale riconosciuto dallo Stato. Ed è così che il denaro per la corruzione ha smesso di viaggiare nelle ingombranti e visibili valigette di un tempo per prendere la forma e la sostanza di un biglietto vincente. Perfettamente legale.

di NICOLA GRAZIANO* La Giu sti zi a s e c on do Nordio Mi x di i d e e c ontra d dittori e
Èun vento che soffia forte quello che alimenta la fiamma e la sua luce risplende sulle idee che uomini e donne di governo hanno da sempre portato avanti come vessilli, simbolo di quel cambiamento gridato in più direzioni e da oggi da concretizzare innanzi a un’ardua prova del nove. In questo contesto si attende la fattiva concretizzazione dell’azione del neoministro della Giustizia Carlo Nordio, già magistrato con un curriculum da fare invidia e attivo in politica da qualche anno. Sua è la partecipazione in prima persona nella battaglia sui recenti referendum sulla giustizia e fanno eco all’attualità le sue parole a sostegno del Sì referendario: «La riforma Cartabia va nella direzione giusta e infatti il sindacato dei magistrati ha proclamato lo sciopero. Ma è una riforma timida, condizionata da un Parlamento che non ha né la forza né la volontà politica di rimediare alle attuali anomalie».
Di quali anomalie intenderà farsi carico il neoministro? E con quali conseguenze nei rapporti con la magistratura associata? In attesa degli eventi futuri, non resta che fare un bilancio flash sulle prime dichiarazioni del ministro e sui primi atti ufficiali per cercare di individuare quella che potremmo definire, appunto, la Giustizia secondo Nordio. Partendo da questi ultimi emerge una volontà di cambiamento radicale molto ancorato, però, anche a una visione realistica degli equilibri della coalizione. Efficienza della giustizia, riduzione dei tempi di risposta giudiziaria alle aspettative dei cittadini, rigore, ma anche benessere lavorativo sono evidentemente gli obiettivi dichiarati nella scelta del nuovo capo di Gabinetto, Alberto Rizzo, presidente del Tribunale di Vicenza in carica. Mentre vice capo di Gabinetto è stata designata Giusi Bartolozzi, anch’essa magistrato, ma eletta alla Camera dei Deputati nella precedente legislatura. Questa nomina ha così aperto il fronte al tema, sempre attuale, della separazione tra politica e magistratura e fatto riaffiorare alla memoria le imbarazzanti polemiche che in passato hanno travolto Bartolozzi. Quanto alle prime dichiarazioni programmatiche il neoministro ha appuntato la sua attenzione su alcuni temi cruciali.
La partita tra accusa e difesa, per esempio, e ci si chiede: sottende alla (non dichiarata, ma concreta) intenzione di una riforma costituzionale sulla separazione delle carriere? È questo uno degli obiettivi prioritari del neoministro e dell’esecutivo? Fanno riflettere poi le dichiarazioni sulla intenzione di abrogare l’abuso d’ufficio, che può certamente contenere in sé germi di corruzione e altri più gravi reati. Ancora: un carcere umano, come extrema ratio e quindi con incentivo alle misure alternative, ma una pena da scontare con certezza. Significativo sarà capire se il neoministro cambierà il vertice del Dap, oggi affidato a Carlo Renoldi, per la Lega, che parla di istituzione di un garante degli agenti di polizia penitenziaria e dell’abrogazione del garante dei detenuti, reo di interpretare idee troppo rivolte a una visione della pena costituzionalmente orientata.
In senso opposto vanno però le norme approvate dal governo sull’ergastolo ostativo e inutile è nascondersi dietro una norma già approvata da un ramo del Parlamento perché trattasi di un decreto legge per il quale si annunciano rigorose modifiche in sede di conversione. Il neoministro, cui ironicamente la presidente del Consiglio ha dichiarato di aver tolto il bavaglio, accogliendo le sollecitazioni dei procuratori generali d’Italia sulla problematica entrata in vigore delle nuove norme del codice di procedura penale, ne ha disposto il rinvio, ma anche qui si potrebbe celare la volontà di rivedere quella che la destra italiana aveva definito una legge salva-ladri o svuota-carceri perché troppo piena di norme che potenziano le pene alternative al carcere. Insomma, appare evidente che vi è un mix esplosivo tra idee del ministro e azione di governo e non resta che aspettare gli sviluppi che all’orizzonte sorgeranno. *Magistrato
GOVERNATI DA UN OLOGRAMMA
DI FABIO CHIUSI
ILLUSTRAZIONE DI SIMONE ROTELLA

Ètempo di automatizzare la democrazia, rimpiazzando la nostra attuale classe politica con degli algoritmi? Niente affatto, ma il sogno proibito dei soluzionisti tecnologici resta: risolvere le storture e il logorio della politica umana con l’intelligenza artificiale. Non questo o quel problema politico: la politica, tutta. «In un periodo storico in cui la fiducia nei politici è bassa e l’efficienza dei governi discutibile», ha scritto sull’Economist il direttore esecutivo di The Fourth Group, Alvin Carpio, già nel 2018, «non staremmo meglio» se sostituissimo gli eletti umani con «macchine e robot?». Svariati cittadini sono pronti a dirsi d ’accordo: secondo un sondaggio del Center for the Governance of Change dell’Università Ie in Spagna, uno su quattro in otto paesi europei vuole sia l’Ia a prendere importanti decisioni politiche. Molti tra i fautori dell’ipotesi dell’Ia “forte” - quella cioè di “Terminator” e di “Her”, capace di autocoscienza, intelligente come e anzi molto più di noi - addirittura lo teorizzano. Perché come potrebbe un essere umano, con tutti i suoi limiti e le sue imperfezioni, competere con l’algida, imperturbabile perfezione decisionale di un presidente del Consiglio artificiale? I politici in carne e ossa sono, secondo questa vulgata intrisa di populismo tecnologico, corrotti e vanitosi: una macchina no, è sempre oggettiva. I politici hanno “perso il contatto con la realtà ”: l’Ia, al contrario, sa tutto di ciascuno di noi. I politici umani hanno, infine, facoltà cognitive limitate: ma non quelli artificiali, che possono leggere, analizzare e confrontare migliaia di proposte di legge in un baleno. Già oggi si potrebbe sviluppare una idea “audace per rimpiazzarli”, ha teorizzato dunque in una conferenza Ted César Hidalgo, classe 1979, cileno, direttore di un centro di ricerca all’Università di Tolosa, prima a Harvard e al Mit: sostituire la democrazia rappresentativa con una diretta digitale. Una democrazia
SOSTITUIRE I POLITICI CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE. È L’ULTIMA PROVOCAZIONE DEI TECNOPOPULISTI, MA QUALCHE PAESE LA STA GIÀ SPERIMENTANDO. ECCO CON QUALI RISCHI nuova, in cui la rappresentanza diventa artificiale (non con una persona fisica ma virtuale), ma il rapporto tra cittadino ed eletto è di uno a uno: una chatbot per ogni elettore. Carpio, in un altro Ted Talk spiega che sarebbe «un po’ come avere un super-politico, sempre connesso a tutti i dati del mondo, e capace di prendere decisioni sulla base di tutto quanto hai postato su Facebook». Questo potrebbe consentire, al limite, di rendere obsoleto il governo per come lo conosciamo oggi; Forbes, non a caso, ne pronun-

ciava la “fine” per mano della “regolamentazione algoritmica” già nel 2019, sostenendo con l’influente Tim O’Reilly che o i governi cominciano a somigliare ad algoritmi di Ia capaci di apprendere continuamente dai propri errori e aggiornarsi, o sono destinati a perire. Obsoleto diventerebbe in quest’ottica perfino il voto. «Una democrazia automatizzata potrebbe rimpiazzare sia i politici che le urne elettorali», dice Carpio. Del resto perché recarsi alle urne, se i votanti non possono che confermare decisioni che il proprio rappresentante virtuale già conosce? La mente corre a un racconto di Isaac Asimov, “Franchise”, che già nel 1955 preconizzava un’era in cui una unica mente digitale, Multivac, avrebbe ridotto l’esercizio elettorale al voto di un solo essere umano, scelto dalla macchina come rappresentante dell’intero elettorato. In Giappone Michihito Matsuda, candidato nella realissima competizione politica per il sindaco di Tama City, a Tokyo, ha sostenuto qualcosa di molto simile avanzando la candidatura del primo “sindaco Ia”. La macchina, informata dalle preferenze di tutti i cittadini, avrebbe non solo preso decisioni politiche migliori, ma avrebbe anche “reso possibile”, ha dichiarato Matsuda in un’intervista, «ascoltare le storie di 10 o 100 milioni di persone alla volta». E questo, a sua volta, avrebbe consentito di «ridurre significativamente il numero di parlamentari e consiglieri locali»: tanto l’Ia ascolta tutti comunque. Casi simili, al limite tra la provocazione intellettuale e la denuncia politica, si sono verificati negli ultimi anni in diversi altri paesi. Il più recente è il “Partito Sintetico”, che mirava a correre nelle elezioni di novembre in Danimarca con una piattaforma decisa dall’Ia e con un algoritmo, “Leader Lars”, addestrato per rappresentare le posizioni più marginali nel dibattito politico: quelle del 20% che di norma non vota. Ma già nel 2017 il presupposto tecnopopulista ha portato a un “primo politico Ia” , di nome “Sam”, in Nuova Zelanda. L’anno seguente in Russia, poi, una rivisitazione politica dell’assistenza virtuale del motore di ricerca Yandex, “Alisa”, aveva cercato provocatoriamente di sfidare Vladimir Putin promettendo di portare “il sistema politico” russo «nel futuro, costruendolo sulla sola base di decisioni razionali prese grazie ad algoritmi chiari». Se il dittatore russo è isolato nelle sue stanze, Alisa è invece «il presidente che ti conosce personalmente», che «sa tutto dei tuoi problemi»: sì, proprio dei tuoi. E se Putin pare avere perso il senno, ecco che Alisa «dipende dalla logica, non è guidata da emozioni, non cerca vantaggi personali e non emette giudizi». Inoltre, sarebbe dotata di «un intelletto che funziona sette volte più veloce di un cervello umano», ha scritto il Moscow Times, qualunque cosa significhi. L’idea appartiene più al regno dell’arte e della comunicazione che alla politica, ma nel frattempo pare che i dati finiti in pasto ad Alisa le abbiano insegnato a schierarsi dalla parte delle «prigioni segrete sovietiche» e dello «sparare ai nemici del popolo». Segno, se mai servisse, che il progetto di risolvere la politica dissolvendola nella tecnologia è destinato a fallire. Peggio: a fallire mettendosi al servizio di chiunque voglia mascherare il proprio umanissimo autoritarismo dietro la presunta, e inesistente, superintelligenza della macchina. E la pretesa di risolvere tutto tramite intelligenza artificiale non solo ignora gli svariati problemi, concettuali e applicativi, che incontrano applicazioni sociali dell’Ia ben più circoscritte e modeste, ma proprio non conosce il ridicolo. Come altro definire l’idea, espressa in un commento su The Hill dell’ex analista del Dipartimento di Stato Marik von Rennenkampff, che l’intelligenza artificiale possa «salvare l’America» e risolverne la polarizzazione facendo risorgere i padri fondatori tramite il machine learning, così da poterli interpellare e
Fabio sfruttarne la saggezza? Non serve l’ologramma di George
Chiusi Washington, per rispondere.Giornalista
MINISTERI IN CONFLITTO SULLE COMPETENZE. SCARSA ATTENZIONE ALLE FONTI RINNOVABILI. L’APPROCCIO DEL GOVERNO METTE A RISCHIO I FONDI DEL PNRR DI EUGENIO OCCORSIO
CHE FINE HA FATTO IL”GREEN DEAL”

ra l’8 e il 10 febbraio 2021 Ma-F rio Draghi, prima di andare al Quirinale per sciogliere la riserva e presentare al presidente della repubblica Mattarella la sua lista dei ministri, all’abituale serrato giro di consultazioni con i partiti e con le parti sociali aggiunse per la prima volta tre interlocutori: il Wwf, Greenpeace Italia e la Legambiente. Un gesto di consapevolezza che il cambiamento climatico e la difesa dell’ambiente dovevano entrare nel Dna della politica italiana, ma anche un’accortezza pratica: entrava nel vivo l’attuazione del Pnrr, e la maggior voce in assoluto - 71,2 miliardi pari al 37,1% dei fondi assegnati all’Italia - era destinata al “green deal”. L’Italia con 191,5 miliardi complessivi (più 30,6 di fondi propri aggiunti dal governo), è la maggior beneficiaria dei fondi del Next Generation Eu. A fianco degli investimenti sulla rete ferroviaria, sulla sanità, sulla scuola e su tutte le altre infrastrutture da realizzare con i fondi del Pnrr, è indispensabile - secondo l’Europa e il buon senso - che il nostro Paese metta mano al dissesto idrogeologico, alla tutela dei boschi, dei fiumi e del mare, alle migliorie nella rete distributiva dell’acqua, allo sviluppo una volta per tutte delle fonti eolica e solare, persino alla ricerca nell’idrogeno pulito alla quale è assegnato un miliardo e mezzo secco. E tutto questo entro il 2026, vicinissimo in termini di programmazione.
TTO IL”GREEN DEAL”

Per affrontare tale mole di impegni nacque il ministero per la Transizione Ecologica, affidato a un tecnico come Roberto Cingolani, già a capo dell ’Istituto italiano di tecnologia. Con base sul vecchio ministero dell ’Ambiente, nato nel 1986 sull ’onda dell ’ incidente di Chernobyl ma rimasto ai margini del dibattito politico e limitato nell ’operativ ità dalla carenza di risorse umane, veniva finalmente creata una struttura organica in grado di interloquire con Bru xelles Eugenio e di gestire i fondi con la Occorsio capacità progettuale neGiornalista cessaria. Ad essa venne
La centrale solare Enel Green Power di Serre Persano, in provincia di Salerno trasferito il dipartimento Energia dal ministero dello Sv iluppo, furono poi creati un dipartimento chiamato esplicitamente “Sv iluppo sostenibile” e un’unità di missione per il Pnrr. Nei venti mesi del governo Draghi sono stati assunti (o sono stati banditi i concorsi), con i fondi del Pnrr, 300 tecnici: agronomi, forestali, esperti di energia. Si sono sbloccati più impianti fotovoltaici che nei quattro anni precedenti.
Niente più di tutto questo. La transizione ecologica scompare nell ’organigramma dell ’esecutivo Meloni. Jeremy R if k in, indomito g uru della sostenibilità, si dice «molto preoccupato» della dimenticanza e teme che «l ’Italia rischi di perdere molti dei fondi del Pnrr e di riportare indie-
tro la protezione ambientale con riflessi negativ i per tutta Europa». Si torna alla vecchia dizione, “Ambiente”, con l ’aggiunta della “sicurezza energetica” che fa temere che si fugga dall ’ecologia per concentrarsi sull ’emergenza gas. L’ambientalismo in senso ampio e moderno, così come era entrato a Palazzo Chigi con Draghi ne esce con Giorgia Meloni, a conferma che l ’ecologia non è in testa ai pensieri della destra in nessuna parte del mondo, da Trump a Bolsonaro. In questo versante politico cova una malcelata insofferenza per le tematiche ambientali quando non uno sprezzante rev isionismo per l ’emergenza climatica. Eppure il 2022 è stato l ’anno della grande siccità, della spaventosa alluv ione che ha travolto le Marche, del caldo anomalo a novembre, dei mille altri incontrovertibili segnali che qualcosa è già mutato e continuerà a mutare nel clima, e non in senso buono né da oggi: il 29 ottobre era il quarto anniversario della tempesta Vaia, la “martellata di Dio”, che abbatté 20 milioni di abeti secolari dalla Lombardia alla Carnia.
Ma nessuna memoria né alcuna emergenza attuale è ser vita. Ora bisogna rimettere mano all ’intera organizzazione, e molte competenze potrebbero essere redistribuite a una mezza dozzina di ministeri. Il Mare, per esempio, cruciale nelle strategie sia economiche (il Pnrr prevede 390 milioni per aumentare le capacità dei porti) che ecologiche (molti altri fondi sono destinati alla lotta all ’inquinamento e alla tutela delle specie marine), dovrebbe andare secondo logica al ministero cui è stato attribuito lo stesso nome (oltre che “del Sud ”), affidato a Nello Musumeci. Il quale però sembra più intenzionato a duellare con Salvini sulle competenze nelle capitanerie che preoccupato della tutela ambientale. Del tutto orfano rischia di essere poi il capitolo «economia circolare, gestione dei rifiuti urbani, sviluppo di fonti di energia rinnovabile, agricoltura sostenibile» che da solo vale 59,5 miliardi ov vero il 31% del totale del Pnrr e comprende anche lo sviluppo delle “reti intelligenti ” fondamentali per le rinnovabili (che non danno energia per alcune ore del giorno). Ci sarebbe un ministro, Raffaele Fitto, a cui sono state attribuite le responsabilità denominate “Affari europei, Politiche di coesione e Pnrr” che però è senza portafoglio e quindi tecnicamente impossibilitato a occuparsi della gestione di una massa di investimenti così ampia e diversificata. Tutt’al più svolgerà una funzione di coordinamento fra Palazzo Chigi e… non si sa chi.
Il ministero più “vicino” alla Transizione, con cui la collaborazione è stata più intensa, è quello delle Infrastrutture, impegnato in un miglioramento della rete ferroviaria, stradale, portuale del Paese che vale nel Pnrr 25,4 miliardi (il 13,2% del totale) ed è tutto improntato alla sostenibilità. Compito al quale ha adempiuto il ministro Enrico Giovannini, economista di livello internazionale, che dimostra adesso un rimarchevole fair-play: «Non sarei così pessimista», ci spiega. «Certo, c’è qualche mutamento lessicale, ma l ’essenza non andrà perduta. A lmeno spero». Giovannini si è battuto per anni perché nella Costituzione venisse sancita la protezione ambientale, e all ’inizio di quest’anno sono stati finalmente modificati gli articoli 9 e 41 che ora dichiarano: «la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, tutela l ’ambiente, la biodi-
versità e gli ecosistemi». E ancora: «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l ’attività economica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali». Insomma, non si può più deragliare senza finire davanti alla Corte Costituzionale. Riflette ancora Giovannini sui temuti cambiamenti nell ’approccio ambientale del nuovo governo: «L’importante è che non vadano disperse iniziative come l ’attuazione del Piano nazionale integrato per l ’energia e il clima nonché del Piano per l ’adattamento al cambiamento climatico. Oppure le materie ecologiche introdotte presso la Scuola nazionale dell ’amministrazione, o ancora il neonato Cite, il comitato interministe-

ALL’AMBIENTE È STATA ACCOPPIATA LA “SICUREZZA ENERGETICA”. MA BISOGNA CAPIRE CHE SOLO CON LE FONTI PULITE SAREMO IN GRADO DI PERSEGUIRE ENTRAMBI GLI OBIETTIVI
CONTROVERSO
La nave a sinistra è una rigassificatrice Golar Tundra, lo stesso modello usato da Snam per il progetto di Piombino. La città, guidata da un sindaco di Fratelli d’Italia, si oppone alla sua presenza nel porto
riale per la transizione ecologica: bisognerà vedere se continuerà a chiamarsi così e se lavorerà intensamente come con il nostro governo». Questa è una fase cruciale, aggiunge l ’ex ministro, «perché oltre alle misure per contenerlo occorre promuovere l ’adattamento al cambiamento climatico, che è in parte irreversibile, e intanto ripristinare il più possibile gli ecosistemi distrutti. Tutto questo andrà fatto, e mi auguro che nessuno eccepirà, in stretto coordinamento con l ’Europa. La stessa Giorgia Meloni ha affermato che da soli non si va da nessuna parte, e noi prendiamo per buone le sue parole».
Il problema è che la caduta di attenzione su lla questione ambienta le a lmeno nell ’attegg iamento inizia le («una follia v isto che si g ioca con il problema numero uno dell ’umanità», la definisce A ndrea Boitani, economista della Cattolica), arriva in concomitanza a ll ’a ltra emergenza, la g uerra con le sue conseg uenze su l gas. «Non ci facciamo illusioni, è un’ illusione riuscire a v incere insieme tutte e due le battag lie, quella contro Putin e quella per abbattere le emissioni», tag lia corto l ’eco-

71,2
MILIARDI
Investimenti nella transizione ambientale previsti dal Pnrr dal 2021 al 2026. Per due terzi fanno direttamente capo al ministero dell’Ambiente
37,1
PER CENTO
La quota del Pnrr destinata alla transizione ambientale. Dei sei capitoli del progetto, è quello con la quota maggiore
191,5
MILIARDI
L’ammontare dei fondi europei destinato complessivamente all’Italia. Il governo Draghi vi ha aggiunto altri 30 miliardi di fondi propri nomista tedesco Wolfgang Munchau nella sua newsletter Eurointelligence del 31 ottobre. E l ’economista Giampaolo Ga lli, direttore dell ’Osser vatorio sui conti pubblici, commenta a sua volta: «In una sorta di omaggio all ’attualità, è stato non solo ridenominato il ministero secondo la vecchia dizione, ma è stato aggiunto: “e della sicurezza energetica”. Perché oggi è considerata l ’urgenza delle urgenze. Resta da capire se la questione della diversificazione delle fonti prenderà il soprav vento e farà dimenticare la lotta alla CO2, o se v iceversa i due elementi si rafforzano. Insomma al cittadino, tranne forse che ai più giovani, interessa di risparmiare sulle bollette piuttosto che salvare il pianeta, e questo è logico: tutto è far sì che si comprenda che con più impianti eolici e fotovoltaici, con un maggior risparmio e un uso accorto delle fonti, si potranno centrare in un sol colpo entrambi gli obiettiv i. Per la sicurezza insomma ser vono le rinnovabili». Proprio il fatto che i problemi sono così strettamente connessi, rendeva strategico un apparato ministeriale forte e organico: «Il ministero della Transizione era necessario - spiega Grazia Pagnotta, docente di Storia dell ’ambiente a Roma Tre - per la necessità di un approccio unitario all ’ intera problematica ambientale, come del resto è nello spirito del Pnrr: l ’energia non può essere considerata scissa dalle infrastrutture, i trasporti e l ’ industria non possono essere considerati separatamente dalle politiche del territorio e da quelle urbane, la biodiversità dall ’agricoltura, i boschi dal mare».
Non a caso una delle soluzioni più orig inali del governo è far affiancare al nuovo ministro il vecchio ministro quale consulente. Cingolani ha accettato di fare da adv isor gratuito al ministro Gilberto Pichetto Fratin, non propriamente un esperto v isto che si autodefinisce «commercialista e insegnante» con zero esperienze nel settore. Ma sarà un adv ising limitato a sei mesi e circoscritto a poche materie: price cap, stoccagg i, rigassificatori, disaccoppiamento del prezzo dell ’elettricità. Tutto qui. Dopodiché, il Pnrr, per la sua parte più qualificante e più strutturale, volerà senza rete nell ’empireo del centrodestra.
IL PREZZO DELL’ELETTRICITÀ È DETERMINATO DA QUELLO DEL GAS. LE LOBBY DEL FOSSILE SI OPPONGONO AL CAMBIO. E CHI COMPRA “PULITO” PAGA CONTI SALATI ENERGIA VERDE QUANTO MI COSTI

DI ALESSANDRO DE PASCALE
Un complesso di abitazioni a Grugliasco, in Piemonte, alimentate esclusivamente a energia solare, attraverso i pannelli collocati sul tetto arco (nome di fantasia) è
Mun ambientalista convinto. Circa un anno fa ha deciso di sottoscrivere, per la propria abitazione, un contratto luce con una delle varie aziende italiane che da tempo vendono a privati e imprese energia elettrica prodotta al 100% da fonti rinnovabili.
L’obiettivo era rendere il più possibile sostenibili i propri consumi domestici, senza dover installare pannelli fotovoltaici o pale eoliche, cercare di risparmiare e magari anche mettersi al riparo dalle fluttuazioni e speculazioni del mercato. Ma non è andata così.
Perché nel giro di sei mesi, nelle sue ultime tre bollette bimestrali che L’Espresso ha potuto visionare (quelle che vanno da marzo ad agosto), il prezzo al kilowattora gli si è praticamente raddoppiato, passando da 35 a 62 centesimi di euro. Nello stesso arco di tempo, con un altro fornitore, anche Francesca (altro nome inventato) è stata colpita dallo stesso rincaro: prezzo salito da 37 a 62 centesimi. Cosa avvenuta, a quanto è dato sapere, a chiunque abbia sottoscritto contratti non a prezzo bloccato delle decine di società che vendono solo energia rinnovabile. Poco importa che si tratti dei piccoli recenti fornitori della green economy o delle storiche aziende del comparto con offerte dedicate.
Sole, acqua e vento sono di fatto una fonte energetica dai costi tendenti a zero: a differenza dei fossili non devono essere estratti e raffinati e per di più sono gratuiti. Ovviamente al netto dei normali costi di esercizio: installazione degli impianti, gestione, manutenzione, imposte e oneri di sistema. Ma allora come mai chi compra solo energia rinnovabile alla fine la paga quanto quella fossile prodotta col gas? «Il meccanismo di fissazione del prezzo sul mercato italiano ed europeo è basato sul cosiddetto prezzo marginale orario. Significa che, per ogni ora del giorno, il fabbisogno netto di energia è soddisfatto dalle offerte dei produttori da fonti convenzionali, valorizzato al prezzo più alto proposto in quell’ora (…) e applicato a tutta l’energia immessa in rete», spiega il fornitore
“ènostra” in una mail inviata ai propri clienti il 30 settembre. In poche parole, «nell’Ue il prezzo dell’elettricità è determinato da quello del gas», sintetizza ai propri utenti senza troppi giri di parole un’altra azienda italiana che vende solo energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (la milanese NeN del gruppo A2A).
Per i consumatori, oltre al danno c’è quindi la beffa di essere costretti a pagare l’energia rinnovabile allo stesso prezzo di quella generata dalle normali e inquinanti centrali termoelettriche. L’Italia produce ben il 40% della propria corrente elettrica usando il gas, il cui prezzo è soggetto alle speculazioni del mercato. Venerdì 26 agosto, nel Title Transfer Facility sulla Borsa di Amsterdam, punto di scambio virtuale di riferimento europeo, questo combustibile è stato venduto a 343 euro al megawattora. Appena un anno prima, quando i prezzi erano già saliti, ne bastavano 50. «Dare la colpa alla guerra in Ucraina è molto comodo, ma l’escalation nel conflitto è una concausa, visto che l’aumento del gas è iniziato ad agosto 2021, quando non se ne parlava ancora», denuncia Sergio Ferraris, direttore del portale web specializzato QualEnergia. «Il problema è la speculazione da parte di fondi internazionali sugli asset energetici, resa possibile in Europa dal fatto che, a differenza di quanto avviene per il petrolio, per il gas l’unico punto di contrattazione è sulla Borsa di Amsterdam». Per Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente, «ora si stanno chiedendo tutti se il meccanismo attuale sia ormai superato. Ma nel settore energetico non esiste l’autarchia, il nostro mercato è comunitario e quindi le scelte vanno fatte innanzitutto a livello europeo».
L’attuale meccanismo di calcolo (detto pay-as-clear) è stato introdotto a fine anni Novanta con la liberalizzazione del settore in Europa e la nascita del mercato libero: nel regime tutelato il prezzo del kilowattora è invece stabilito dall’Autorità per l’energia ogni tre mesi e rimane fisso. Tale sistema mirava a favorire la produzione di energia con le centrali termoelettriche senza penalizzare i piccoli produttori sottoposti a maggiori costi, impedendo che ogni operatore potesse fissare autonomamente il prezzo dell’energia che vende (il pay-as-bid), garantire maggiore trasparenza ed evitare speculazioni.
Alessandro Il problema è che con la
De Pascale conversione delle centrali
Giornalista elettriche italiane dal


carbone al gas, in Italia il prezzo finale dell’energia elettrica nel mercato libero si è trovato agganciato a questa fonte sottoposta a grandi speculazioni e i cui costi sono profondamente influenzati dal contesto geopolitico ed economico mondiale. Per Katiuscia Eroe «è sicuramente importante agire su quelli che sono i meccanismi dei mercati e delle Borse, evitando le speculazioni. Perché oggi c’è sul gas, ma domani potrebbe avvenire su qualsiasi altra fonte. Detto ciò, le regole del mercato non si cambiano in un mese. E mentre si individuano gli strumenti adatti, imprese e famiglie vanno aiutate a sopravvivere. E lo dico molto chiaramente, non basta azzerare gli oneri di sistema in bolletta, perché altrimenti queste restano ugualmente alte».
Su questo il precedente governo ha introdotto, nel marzo 2022, una tassa sugli extra-profitti delle imprese del settore energetico, innalzando a 600 euro il bonus che arriva direttamente in bolletta (previa presentazione dell’Isee con tetto a 12mila euro, che sale a 20mila in caso di famiglie con almeno quattro figli). Misura che il nuovo esecutivo guidato da Giorgia Meloni vuole estendere almeno fino a fine anno (dicembre è al momento scoperto), semplificarla e renderla automatica per la platea di beneficiari. Ma per esperti del settore e addetti ai lavori servono misure strutturali. Che vanno trovate in Europa. Per la responsabile Energia di Legambiente non basta nemmeno «il tetto al prezzo del gas nelle fasi acute», deciso a Bruxelles dopo mesi di trattative, «perché va trovata rapidamente una soluzione che permetta alle bollette di scendere». Nel caso delle rinnovabili, basterebbe «scorporare le fonti, rendendo quindi differente il loro prezzo, scelta che darebbe maggiore impulso anche alla ricerca sull’energia pulita, perché se quella tecnologia mi permette di pagare meno aumentano l’interesse e gli investimenti».
In sede europea se ne sta parlando e anche per l’ex premier italiano, Mario Draghi, quello tra gas e rinnovabili per la fissazione del prezzo «è un legame che non ha più senso». Ma le resistenze sono tante, come conferma a L’Espresso, chiedendo l’anonimato, un funzionario europeo che segue dall’inizio questo dossier : «Tale disaccoppiamento renderebbe dalla sera alla mattina non più conveniente ai costi attuali l’energia prodotta da fonti fossili».
I vantaggi dell’energia prodotta con sole, acqua e vento sono fuor di dubbio. Anzi, come afferma l’Agenzia internazionale per l’energia nel proprio rapporto annuale diffuso il 27 ottobre, la guerra in Ucraina ha il potenziale per accelerare la transizione verso un sistema energetico più sostenibile e sicuro». Ancora di più in Italia, dove le rinnovabili possono diventare l’unica fonte in grado di ridurre le importazioni dei fossili e aumentare l’autosufficienza energetica. Nel mese di agosto, quando sul mercato è stato raggiunto il picco nel prezzo del gas, sole, acqua e vento hanno garantito alla Penisola quasi il 45% della produzione nazionale e coperto il 39% della domanda. Nonostante le lungaggini autorizzative per realizzare questi impianti.
«Nel luglio 2017, per poche ore, in Italia abbiamo avuto addirittura il prezzo dell’elettricità negativo - ricorda Ferraris di QualEnergia - perché c’era un surplus da rinnovabili. Cosa che crea problemi anche agli stessi produttori, dovendo comunque essere riconosciuto un giusto guadagno dalla produzione elettrica». La cosa, però, rende bene l’idea della loro convenienza rispetto ad altre fonti. Il direttore del portale web specializzato in materia non ha dubbi: «Il libero mercato attualmente non funziona, né in un senso né nell’altro. Per un prodotto primario a cui sei obbligato ad accedere è un paradosso e non può tutelare i produttori di energia. In questo momento bastona inoltre i consumatori, ancor più in Italia dove abbiamo complessivamente in bolletta extra-costi di oltre 100 miliardi di euro».
L’approdo del gasdotto Tap a Melendugno in provincia di Lecce
I FORZATI DELLE POLI TICHE MIGRA

DI ANDREA SEGRE
er superare i blocchi fisici, bisogna smontare
Pquelli mentali. Questo è necessario per evitare di riaprire l’ennesimo inutile dibattito sull’immigrazione, che rischia ancora una volta di essere sempre identico a sé stesso.
Per farlo è necessario dare voce ai diretti interessati. Non parlo solo dei migranti, ma anche degli individui e delle comunità che stanno a stretto contatto quotidiano con persone che decidono o sono costrette a migrare: operatori della cooperazione, del welfare interculturale, dell’assistenza legale, dell’accoglienza. Sono centinaia di persone, di origine italiana e non, profondamente informati su dinamiche reali, su distorsioni amministrative, incongruenze legali, e anche tensioni psico-sociali, che andrebbero costantemente tenute al centro delle scelte e delle direzioni da prendere. Senza il loro contributo è inevitabile che il punto di vista sull’immigrazione di cui ci occupiamo sia sempre lo stesso da oltre 20 anni: come ridurre il numero di arrivi irregolari. Questa prospettiva è l’unica consegnata dalla classe politica all’opinione pubblica, perché ripete e conserva lo schema di cittadini non coinvolti e preoccupati che temono la pressione di non cittadini coinvolti e disperati. In mezzo non c’è nulla, sembra non esserci nulla, tranne il ministro di turno che propone la nuova bacchetta magica all’eterno problema, continuando a spendere miliardi di fondi pubblici nella solita e unica direzione della gestione securitaria della frontiera. È necessario interrompere questo schema. Il Forum per cambiare l’ordine delle cose, nato cinque anni fa da un’assemblea di oltre 500 persone a Roma, prova a fare esattamente questo. È oggi, in modo libero e interattivo, uno spazio di confronto costante di decine di realtà nazionali e locali che partendo da esigenze reali propone cambiamenti delle politiche migratorie. Lo farà anche il 9 novembre a Roma, alla sala della Protomoteca in Campidoglio, grazie al patrocinio dell’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Roma, lanciando una provocazione, seria e tutt’altro che simbolica: come liberare flussi di migrazione regolare. Flussi di energia, così si è deciso di definirli, movimenti che se gestiti con il principio del favorirne la regolarità possono diventare
Andrea motori di energia sociale, economica e cul-
Segre turale di cui il mondo ha infinito bisogno.
Regista Se il flusso invece viene imbavagliato e

L’arrivo di un barcone con migranti da Afghanistan, Iran, Iraq e Siria a Roccella Ionica
bloccato, l’energia si disperde producendo sprechi molto dannosi: i migranti viaggiano in modo illegale e rischioso, finanziando organizzazioni criminali e milizie di stati dittatoriali, e gli Stati che cercano di proteggersi agiscono con misure sempre più lontane dal rispetto dei diritti, finanziando aziende private multinazionali specializzate in sistemi di sicurezza sempre più costosi. Secondo gli ultimi dati del dossier immigrazione Idos da poco presentato sono circa 280 milioni le persone che vivono in Paesi diversi dal proprio, di questi circa un terzo ha viaggiato in modo irregolare, senza poter accedere a vie regolari e sicure, e vengono definite statisticamente «migranti forzati». La domanda è quanti di questi migranti forzati non lo sarebbero se potessero muoversi in modo regolare? Certamente esiste una parte importante di migrazione forzata che è causata da crisi umanitarie ed ambientali a cui andrebbero garantite vie di fughe sicure e diritto alla protezione. Ma la sensazione di chi quotidianamente lavora a contatto con i migranti, forzati e non, è che vi sia una percentuale rilevante di forzati dalle politiche migratorie stesse.
POLI TICHE MIGRATORIE


Operatori dell’accoglienza e della cooperazione internazionale sanno bene che molti dei loro “assistiti” (che nel quotidiano diventato persone, uomini, donne, individui con storie, idee, desideri) avrebbero potuto evitare la forzatura, l’illegalità, ma l’ hanno dovuta scegliere come unica possibilità. Molti di loro sapevano anche chi raggiungere, dove andare e anche cosa fare. Avevano un progetto e anche i fondi per attuarlo, ma hanno dovuto invece trasformarsi, fisicamente non simbolicamente, in disperati in cerca di protezione. I «finti profughi» direbbe qualcuno: ebbene sì, sono finti in partenza, ma lo diventano necessariamente all’arrivo, se sopravvivono. Andrebbero trasformati in veri migranti regolari, e non respinti violentemente come «finti».
Ma è lo schema incancrenito del dibattito sull’immigrazione che impedisce di cambiare davvero rotta. L’esempio più lampante è quello economico (anche se per il Forum non può e non deve essere l’unica prospettiva con cui af-
frontare il tema). Non c’è più alcun dubbio che le economie e le società più ricche (il 17 per cento della popolazione mondiale, governata dalla costante e crescente urgenza di proteggersi) hanno in realtà bisogno di attrarre persone, soprattutto giovani, per svolgere lavori in cui l’offerta è ampiamente superiore alla domanda autoctona e per rendere sostenibile il proprio sistema contributivo e di welfare. Questa consapevolezza non si trasforma però mai in costruzione di vie regolari. Perché? Semplicemente perché la gestione securitaria e la sua retorica rendono politicamente (ed economicamente) di più. L’assuefazione dell’opinione pubblica a questo punto di vista sta bloccando la capacità di cambiare lo schema, anche se le condizioni materiali lo richiederebbero. E così sta succedendo anche in Italia. Lo spiega bene Gianfranco Schiavone, uno dei promotori del Forum: «A vent’anni dalla legge Bossi-Fini sull’immigrazione i canali di ingresso regolari semplicemente non esistono ed entrare irregolarmente e poi restare in qualche modo è quasi l’unica strada percorribile da parte degli stranieri. Eppure una riforma delle norme su ingressi e soggiorni che prevedano effettivi canali di ingresso per lavoro e ricerca di lavoro che eviti agli stranieri di finire per anni nel circuito del lavoro nero e del grave sfruttamento, è una strada possibile e necessaria. Tale riforma, liberando un’enorme quantità di energia, darebbe all’Italia sviluppo economico INVERTIAMO LA ROTTA: LE DERIVE SECURITARIE SONO CAUSA DI ILLEGALITÀ. E BISOGNA ASCOLTARE LE ISTANZE DI CHI LAVORA SUL TERRITORIO. I FLUSSI ANTIDOTO A SCHIAVITÙ E CLANDESTINITÀ e maggiore sicurezza». Ci vogliamo provare? L’assessora Barbara Funari, che ha deciso di promuovere l’incontro a Roma, lancia un appello: «I flussi migratori sono per l’appunto flussi, come tali regolabili e canalizzabili, almeno in buona misura. Sta a noi decidere se lasciarli all’anarchia di un mercato di vite umane, e alla volontà dei nuovi schiavisti, o assumerci la responsabilità di affrontare i problemi per provare, finalmente, a risolverli. Nell’interesse nostro e di tutti».