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Le priorità degli italiani e quelle del governo Lirio Abbate
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by BFCMedia
Le priorità degli italiani e quelle del governo
i sono delle priorità che il governo di Giorg ia Meloni do-
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Cv rebbe iniziare ad affrontare. A cominciare dagli aiuti in favore di famiglie e imprese per far fronte al caro bollette e carburante. E quindi il sostegno all ’occupazione. R ispetto ai primi mesi del 2021, oggi una famiglia spende per quanto rig uarda le bollette di luce e gas una cifra triplicata e registriamo una crescita continua dei prezzi al dettaglio. A cominciare da questi temi sarà valutato il governo da tutti gli italiani. Il resto, introdotto nei giorni scorsi dall ’esecutivo, appare come un diversivo per tentare di non concentrare l ’attenzione sui principali problemi che attanagliano il Paese. Ci sono tante contraddizioni nell ’esecutivo. E c’è la libertà dei cittadini che v iene messa in discussione con il decreto sui Rave. Per il Viminale «la norma interessa una fattispecie tassativa che rig uarda la condotta di invasione arbitraria di gruppi numerosi tali da config urare un pericolo per la salute e l ’ incolumità pubbliche». Ma Matteo Bollette,
Salv ini esulta: «Indietro non si torna, le leggi finalmente si rispettano». Però toc- inflazione, lavoro. ca al ministro dell ’Interno Piantedosi, con Queste sono le una lunga esperienza di ordine pubblico, spiegare che questo prov vedimento non emergenze che si applica ad altri contesti diversi dai rave illegali «in cui si esercitano diritti co- attanagliano il stituzionalmente garantiti a cui la norma chiaramente non fa alcun riferimento». A l Paese . L’esecutivo decreto si deve rimettere mano, per chiarire meglio l ’ambito di azione in cui sarà invece sceglie di applicato. Perché altrimenti si può pensa- cominciare da re male, e come hanno iniziato a spiegare importanti giuristi e costituzionalisti, in questioni come questo modo possono essere penalizzati, processati e forse anche condannati a pe- i Rave o il ponte ne fino a sei anni gli studenti che organiz zano l ’occupazione di un istituto scolasti - sullo stretto. Forse co, tanto per fare un esempio che è quello più attuale. Già lo scorso anno il direttore vuole distogliere dell ’Ufficio scolastico regionale aveva im- l’attenzione dai posto a tutti i presidi degli istituti di Roma e del Lazio di denunciare «formalmente il problemi che reato di interruzione del pubblico ser v izio e di chiedere lo sgombero dell ’edificio, non sa come avendo cura di identificare, nella denuncia» gli studenti che avevano occupato e affrontare quindi organizzato la protesta. Mi chiedo a questo punto come si comporteranno le forze dell ’ordine della Capita le il prossimo 7 gennaio quando sappiamo, fin da adesso, che centinaia di neofascisti si daranno appuntamento in vari luoghi della città per l ’anniversario dei trag ici fatti di Acca Larentia . Un raduno anche quello, come purtroppo abbiamo reg istrato ogni anno, in cui vengono messi in pratica gesti e azioni che v iolano il Codice pena le. Ma g ià nei g iorni scorsi ne abbiamo av uto un cenno: il cimitero del Verano è stato chiuso per motiv i di sicurezza perché una cinquantina di militanti di Casa Pound, in occasione del centesimo anniversario della marcia su Roma, hanno deposto una corona di fiori per ricordare i morti di via Acca Larentia. E sempre a proposito di priorità e contraddittorietà c’è ancora una volta il v ice premier e ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Matteo Sa lv ini, che ha contattato i governatori di Ca labria e Sicilia per organizzare un incontro a l dicastero di Porta Pia per fare il punto della situazione con particolare riferimento a l progetto del Ponte su llo Stretto. A nche volendo fare quest’opera miliardaria, si prevedono tempi lunghissimi per la fattibilità del vecchio progetto o di un nuovo che verrà. Mi chiedo se Sa lv ini, oppure il neo governatore siciliano, hanno mai pensato di percorrere l ’autostrada Pa lermo-Catania (che come dice Rosario Fiorello è il posto in cui si a llenano i concorrenti della Parig i-Dakar) o ancora la Pa lermo-Messina, o se hanno mai ragg iunto Rag usa o Trapani. Viagg i dell ’av ventura . Per non parlare della rete ferrov iaria . Quindi, il ponte a una o due campate che senso av rebbe se poi in Sicilia non puoi facilmente v iagg iare? Questo è lo scollamento fra rea ltà e la politica del dire.
Studenti del Liceo scientifico sportivo Torricelli di Milano
on mi hanno rinnovato il contratto», la voce di Gaia trema. Sono passati cinque mesi da quando l’azienda di moda l’ ha sostituita «con una stagista neppure retribuita», ma ancora non si dà pace. Per lei, che ha 25 anni, quel tirocinio era il riscatto di una vita di sacrifici. I suoi sacrifici, certo, ma soprattutto quelli della madre, cassiera in un supermercato di Cormano, periferia Nord di Milano. Andrea di anni ne ha 17, vive a Tor Bella Monaca, frazione di Roma, c’è un’associazione che sta provando a coinvolgerlo in un progetto teatrale, per riportarlo a scuola. Ma in quale scuola se il quartiere ha tassi di dispersione scolastica da record? Poi c’è Fatima, 33 anni, eritrea d’origine, ha tre figli, parla poco italiano, non esce quasi mai di casa e al lavoro neanche ci pensa. Gaia, Andrea e Fatima non hanno granché in comune. Gaia ha in tasca una laurea triennale e a lavorare c’ ha provato, anche se l’essere stata respinta alla prima occasione l’ ha demoralizzata; Andrea pensa che la strada sarà la sua scuola e fa spavento perché lì comanda un microcosmo autarchico in mano alla rete criminale dello spaccio; Fatima non ha mai sognato un futuro per davvero, guarda il mondo dalla finestra di una casa popolare di Verona. In comune hanno l’emarginazione dalla società, della scuola, dal lavoro. Il che li rende identificabili fra i tre milioni di Neet italiani, acronimo di Not engaged in education, employment or training. Tradotto: essere uno dei tanti che in quel momento non studia, né lavora, né riceve una formazione. Persone dette per l’appunto “né-né”. Il Censis le fotografa come
Nuna marea crescente: hanno fra i 15 e i 34 anni, più donne che uomini, in preda ad agorafobia, depressione, disagio. Dopo la Turchia, il Montenegro e la Macedonia, l’Italia è il Paese con il maggior tasso di né-né in Europa, attorno al 25 per cento, incidenza che raddoppia al Sud ed è più frequente fra figli di migranti e donne. Ma continuare a considerarli un’unica omogenea degenerazione della società non serve granché. Lo hanno capito Action Aid e Cgil che presenteranno l’8 novembre il dossier “Ai margini del fenomeno Neet”, qui anticipato da L’Espresso, nel quale il comitato scientifico - le sociologhe Chiara Saraceno e Giuliana Orientale Caputo e il demografo Alessandro Rosina - hanno per la prima volta scattato una nitida fotografia di chi sono i Neet per sfatare alcuni luoghi comuni (tipo che se ne starebbero tutti sul divano, ingrassati dal reddito di cittadinanza), arrivando a stroncare l’unica misura che le istituzioni dal 2016 a oggi hanno messo in campo per aiutarli, Garanzia giovani, che «non ha scalfito il fenomeno e ha lasciato indietro i più vulnerabili, quelli che ne avrebbero avuto più bisogno», si legge nel report. Un testo che dovrebbe aiutare il governo a meglio indirizzare le misure a sostegno dei giovani, specialmente quelle del Pnrr. Pec-
UN GIOVANE SU TRE NELLA FASCIA TRA I 25 E I 35 ANNI NON HA ALCUNA PROSPETTIVA PER IL FUTURO, AVVERTONO ACTION AID E CGIL. E GARANZIA GIOVANI SI RIVELA UN FLOP
Gloria Riva Giornalista




cato che il governo Meloni abbia così a cuore la situazione dei giovani italiani da aver affidato il tema ad Andrea Abodi, ovvero il nuovo ministro dello Sport e dei giovani (per l’appunto), uno con un curriculum lunghissimo ma nel mondo del calcio e del Coni. Eppure il problema dell’Italia non è il calcio, piuttosto il fatto che un giovane su tre, che ha tra i 25 e i 35 anni non ha uno straccio di futuro, come avvertono Action Aid e Cgil: «Più si cresce con l’età, più aumenta la loro quota. «La maggioranza, il 42,2 per cento, ha un diploma di maturità, i laureati sono più di uno su dieci, mentre chi ha la licenza media è il 35 per cento», dice il rapporto, che per la prima volta dimostra come Gaia, Andrea e Fatima sono per l’Italia tre problemi diversi e come tali vanno affrontati, ministro permettendo. I GIOVANISSIMI FUORI DA SCUOL A «Qui le chiamano scuole parcheggio. Si iscrivono quelli che finiscono le medie senza le idee chiare. Sono istituti di periferia, hanno scarsa presa sui ragazzi che si sentono insoddisfatti, prima bigiano qualche lezione e nel giro di poco finiscono per abbandonare definitivamente. È un copione visto e stravisto», a parlare è Alessandro Bongiardina, psicologo di strada del grupPERIFERIE
Le foto di questo servizio sono state realizzate da Rocco Rorandelli per WeWorld che ha attivato S.p.a.c.e. acronimo di Studenti pendolari acquisiscono competenze educative, un progetto che sostiene i ragazzi e le ragazze delle periferie in Liguria, Piemonte, Abruzzo, Campania, Sardegna e Lombardia. A sinistra, la "piana" di via Boifava a Milano. Qui a destra, il Bar Central di Avezzano, uno dei luoghi di ritrovo nella città abruzzese. In alto, i preparativi per un'esibizione in occasione della giornata internazionale della donna presso l’Istituto superiore “Gaetano Filangieri” di Frattamaggiore, Napoli po Abele che bazzica i quartieri torinesi Barriera di Milano, Vallette, Borgo Vittoria: «Si buttano nel contesto di quartiere, gironzolano coi più grandi, per noia fanno qualche crimine. Raggiungerli è difficile». A Torino come a Roma: «I clan che nella capitale spadroneggiano hanno gioco facile ad affiliare i più giovani, sfiduciati e consapevoli che il merito, l’impegno, lo studio non li porteranno da nessuna parte. Laddove non arriva lo Stato e l’istruzione, in quelle zone grigie, si infila la mafia. I giovani stanno sul divano? Magari. I più vengono assoldati dal crimine», avverte Giuseppe De Marzo, portavoce della Rete dei numeri pari. Sono i giovanissimi fuori da scuola, hanno fra i 15 e i 19 anni e il report di Action Aid e Cgil li descrive come ragazzi in cerca di nulla, tanto meno di un primo impiego, trasversali a tutto il Paese, vivono con la famiglia, non ricevono alcun sostegno economico dallo Stato, sono dimenticati dalla scuola e non ancora intercettati dai servizi sociali. Se, per fortuna, qualche associazione del terzo settore prova a rimetterli in carreggiata, non è detto che ci riesca.
ALL A RICERCA DEL PRIMO IMPIEGO Vivono al Sud, hanno fra i 20 e i 24 anni, hanno un diploma. Spesso vivono in
Fine delle lezioni al Turismo del Filangieri. A destra, esercizi organizzati dagli educatori di strada di WeWorld ad Avezzano

città metropolitane con un solo genitore e sono per lo più maschi. Con entusiasmo scemante cercano il primo impiego: «È il gruppo più numeroso e mette ancora una volta in luce la fragilità del mercato del lavoro del Sud, dove nonostante le azioni di ricerca e l’immediata disponibilità al lavoro, i giovani hanno difficoltà ad introdursi per la prima volta nel mercato occupazionale. Sarebbe interessante approfondire quanto influisca il lavoro sommerso, molto diffuso nel Meridione», si legge nel report. La condizione di sfiducia, l’assenza di prospettive, il rancore assumono le sembianze della violenza, dice Salvatore Inguì, assistente sociale di Palermo: «Pestaggi, estorsioni, sequestri, lesioni anche dentro casa. Sono fenomeni coerenti con i modelli diffusi dalla società. Però c’è anche voglia di offrire solidarietà, di partecipare a processi di trasformazione, di migliorare lo stato delle cose. È lì che bisogna insistere per evitare che una generazione affondi nella disperazione e nella rabbia perché si è resa conto che non ha più margini di riscatto». EX OCCUPATI IN CERCA Al terzo girone si incontrano i giovani dai 25 ai 29 anni, che hanno perso o abbandonato un lavoro e ne stanno cercando uno nuovo. Sono principalmente maschi, con un alto livello di istruzione, vivono isolati e percepiscono un sussidio di disoccupazione. Vivono nel Centro Italia e sono i meno numerosi, soprattutto perché chi ha buone carte da giocare trova presto una nuova opportunità, spesso all’estero, gli altri sprofondano verso la quarta categoria dei né-né, gli scoraggiati. GLI SCORAGGIATI Sono i cosiddetti giovani adulti, hanno fra i 30 e i 34 anni. Per un po’ hanno lavorato, poi sono stati messi alla porta. Vivono al Nord, non in città ma in periferia o in provincia. Sono donne, senza figli, una buona quota ha un passaporto straniero. Sono i più numerosi. Non hanno un diploma per reagire hanno perso qualsiasi fiducia
3MILIONI
I NEET in Italia, di cui 1,7 milioni sono donne. Hanno tra i 15 e i 34 anni.
Sono il 25%
della loro generazione

I TITOLI DI STUDIO DEI NEET
13,2% 35,2%
Ha una laurea
Ha una licenza media
42,2%
Ha un diploma di maturità
nel futuro. «Se i 15enni si affacciano al mondo del lavoro senza formazione ed esperienza, i 30enni hanno sviluppato una relazione diversa con il mondo dell’occupazione. I primi sono privi di orientamento, i secondi saprebbero come muoversi ma hanno perso la speranza», si legge nel report di Action Aid e Cgil, che prosegue: «Questa consapevolezza ci permette di sostenere che è necessario sviluppare e immaginare politiche di reinserimento lavorativo e scolastico diverse a seconda del target e della fascia d’età dei Neet a cui si rivolgono». Tutto il contrario di quanto fatto finora.
IL FLOP GARANZIA GIOVANI Nata nel 2016 con l’obiettivo di attivare i né-né grazie a una dote da 1,3 miliardi di euro, i risultati di Garanzia giovani stanno a zero, visto che il numero di Neet - tre milioni - negli ultimi sei anni è andato aumentando. Oggi i giovani registrati al progetto sono 1,7 milioni, ma quelli contattati dai centri per l’impiego sono 1,4 milioni e le Regioni in cui i Neet sono più numerosi - Lombardia, Campania, Sicilia, Puglia – sono quelle in cui il servizio è più debole. «Dai dati si capisce che uno dei limiti di Garanzia giovani è la difficoltà di raggiungere i più vulnerabili, i più svantaggiati che sarebbero dovuti essere i primi beneficiari del servizio», dicono Action Aid e Cgil. Solo alla metà dei ragazzi registrati è
stata fatta una proposta - un tirocinio, un corso di formazione, un incentivo occupazionale - e al termine dell’intervento sono 540mila gli occupati: in sintesi un terzo di chi si affida a Garanzia giovani ce la fa. Eppure la voglia di riuscirci è tanta se si considera che il 92 per cento dei ragazzi a cui è stata fatta una proposta ha concluso l’intero percorso. Parte del flop viene dalla tendenza a utilizzare per lo
di LUDOVICO ALBERT Se g re g a zi o n e s c o l a sti c a
L’Europa intende ridurre al nove per cento la dispersione scolastica entro il 2030. In Italia il miglioramento è indiscutibile: dal 19,6 per cento di dispersi nel 2008, al 12,7 del 2021. Un buon risultato considerato però che quando le percentuali si riducono, gli allievi a rischio vivono situazioni di marginalità più radicata ed è difficile accompagnarli al successo scolastico. È tuttavia troppo poco, sia per gli standard europei, sia perché parliamo di grandi numeri, 517mila giovani. E, come suggerisce Invalsi, più di un allievo su cinque arriva al diploma con risultati deludenti, privi di un bagaglio di conoscenze e competenze utili per affrontare con sicurezza le sfide della vita e del lavoro, per l’esercizio di una cittadinanza colta, riflessiva. Un percorso scolastico verso l’esclusione, nel corso del quale molto spesso si è accumulata sfiducia nelle proprie potenzialità, è la premessa dello zoccolo duro e più difficile da trattare.
Le medie statistiche nascondono realtà molto diverse, con disuguaglianze che il Covid-19 ha accresciuto. Differenze geografiche con il Nord Est già in linea con gli obiettivi europei, mentre, all’opposto, la Sicilia si avvicina al doppio della media nazionale. Insieme ai fattori di contesto oggi l’attenzione
DOPO TURCHIA, MONTENEGRO E MACEDONIA, L’ITALIA È IL PAESE CON IL MAGGIOR TASSO IN EUROPA: IL 25 PER CENTO, CON PUNTE DEL DOPPIO AL SUD E RECORD FRA FIGLI DI MIGRANTI E DONNE
più il tirocinio, che «non funziona per chi ha bassi titoli di studio e chi è più scoraggiato nella ricerca di lavoro», dice il report, che parla anche di un effetto San Matteo perché Garanzia giovani finanzia politiche che funzionano per chi è meno svantaggiato, condannando all’invisibilità i più fragili. I suggerimenti per invertire la rotta ci sono: creazione di misure ad hoc per i quattro gruppi di Neet, maggiore presa sui territori, investimenti su scuole, politiche attive e sociali, nuove politiche del lavoro, meno precarietà e più riqualificazione professionale, progetti innovativi per dedicare gran parte dei fondi del Pnrr a quei giovani che continuano a essere una risorsa sprecata per l’Italia, che senza i suoi ragazzi rischia di invecchiare veramente troppo rapidamente.
L’area esterna del Filangieri
va però centrata anche sul fenomeno emergente, non solo in Italia, della segregazione scolastica. Le scuole, anche le elementari, sono in competizione per accaparrarsi gli allievi migliori che possono scegliere, anche fuori dal bacino di residenza, di frequentare quelle di migliore qualità. È un fenomeno poco studiato dai pedagogisti, che preoccupa chi ha responsabilità nella programmazione urbana: molto del traffico che imbottiglia gli automobilisti nelle prime ore del mattino ha infatti a che fare con le mamme che portano i loro bambini in scuole lontane da casa. Un bello studio di Costanzo Ranci del Politecnico di Milano stima che nella sua città ben il 60 per cento delle famiglie fin dalla prima elementare sceglie di frequentare una scuola non di zona. Un fenomeno che, seppure in proporzioni meno elevate, caratterizza un po’ tutte le grandi città e che, soprattutto al Sud si realizza anche nella variante della scelta del plesso o della sezione migliore della stessa scuola. La possibilità di scegliere crea tra le scuole, e talvolta nelle scuole, una composizione degli allievi socialmente molto più polarizzata di quanto non lo sia quella del quartiere di residenza. Nelle scuole scelte dagli allievi “migliori” si genera un circolo virtuoso per cui i dirigenti e gli insegnanti sono più stabili in modo tale che, nonostante i meccanismi di allocazione delle risorse - insegnanti e laboratori - siano formalmente gli stessi, esse riescono a garantire maggiore qualità e alti valori aggiunti agli allievi che le frequentano. Al polo opposto le scuole, tendenzialmente di periferia, che raccolgono i figli di quanti non hanno la possibilità (talvolta anche solo culturale) di scegliere, sono frequentate da allievi i cui genitori hanno titoli di studio più bassi, spesso sono di origine straniera, e in generale esprimono una domanda meno solida di istruzione, più finalizzata al titolo, al pezzo di carta, che non al possesso di competenze. In queste situazioni il circolo si inverte, gli insegnanti sono spesso precari, gli ambienti di apprendimento più fatiscenti e anche le pur cospicue risorse dei Pon non hanno dimostrato nel corso di questi anni di produrre miglioramenti significativi.
Il tema della dispersione resta quindi sicuramente ancorato al contesto sociale e culturale che nel nostro Paese sconta un passato di bassa scolarità, ma sempre di più si fa centrale il modo in cui le scuole che di più sono in difficoltà possano essere accompagnate in un percorso di miglioramento che consenta anche a loro di valorizzare i talenti degli allievi che sono loro affidati.

TAGLIO ALTO MAURO BIANI

di CHIARA SARACENO Fl e s si bi li t à n o n pre c a r i a to Ci r c ui to p er ver s o d a sp ezz a re
INeet sono una popolazione eterogenea. Se non avere un’occupazione è un fattore di v ulnerabilità per tutti, c’è poco in comune tra un laureato alla ricerca del primo lavoro, un suo coetaneo che ha lasciato precocemente gli studi e ha smesso di cercare un’occupazione, una giovane uscita dal mercato del lavoro all ’arrivo del primo figlio. Così come c’è poco in comune tra un giovane senza occupazione in un contesto dinamico e uno che deve fare i conti con un mercato del lavoro caratterizzato da poca domanda qualificata. Questa eterogeneità nelle circostanze per cui un giovane può trovarsi nella categoria Neet non può essere trattata allo stesso modo. Chi è nel processo di transizione dalla scuola al lavoro e in cerca del primo impiego, ha bisogno di essere accompagnato, possibilmente già prima del termine degli studi tramite la collaborazione tra scuola e università, da servizi per l’impiego efficaci, per orientarsi nel mercato del lavoro a trovare le opportunità più corrispondenti alla propria formazione e possibilità di apprendimento. Ha anche bisogno di aziende capaci di attrarre e valorizzare giovani senza esperienza ma formati e disposti ad apprendere, imprese capaci di investire sul capitale umano all’ingresso e nel corso della vita lavorativa. Vale per i laureati e i diplomati. Richiede strategie imprenditoriali lungimiranti, orientate all’innovazione e alla cura del capitale umano, ancora troppo rare e che, per questo, non riescono a essere competitive. Lo scarso investimento nel capitale umano, che si traduce in sequenze di lavori precari senza futuro, spiega perché il numero dei Neet aumenta con l’aumento dell’età, a differenza di quanto succede in altri Paesi. È vero, infatti, che la temporaneità dei contratti di lavoro non è un fenomeno solo italiano. La flexicurity è stata inventata in Danimarca, dove la mobilità occupazionale è elevata in un mercato del lavoro dinamico. In Italia, più che presentarsi come l’occasione di esplorare il mercato del lavoro e fare esperienza, si presenta come una serie di occupazioni brevi per costrizione, spesso sotto-qualificate rispetto alle competenze e profili acquisiti. Più complessa è la situazione dei giovani a bassa istruzione che, oltre ad un rafforzamento delle loro qualifiche, specie se scoraggiati, richiedono un accompagnamento personalizzato che coinvolga anche le aziende nella costruzione di percorsi lavorativi che restituiscano motivazione e fiducia. Altra è la situazione delle giovani mamme che abbandonano il lavoro non solo in aderenza a stereotipi di genere e maternità rigidi, ma perché è difficile conciliare un’occupazione, tanto più se a bassa remunerazione, con la presenza di bimbi piccoli, specie in assenza di servizi. Per uscire dal paradosso di un Paese che combina scarsità di giovani e alta disoccupazione giovanile, scarsità di laureati e sotto-utilizzo degli stessi, alta disoccupazione giovanile e difficoltà delle aziende a coprire i posti vacanti, occorre cambiare la prospettiva: piuttosto che colpevolizzare i giovani (e la scuola), occorrono politiche attive del lavoro che li valorizzino e accompagnino, aziende che investano nel capitale umano e servizi sociali ed educativi che aiutino le donne a non dover scegliere tra maternità e lavoro. Lo sviluppo non è una precondizione perché ciò avvenga, ne è l’esito.

Le Vele di Scampia
L’ It a li a e l a p o liti ca COLLOQUIO CON FABRIZIO BARCA E STEFANO DISEGNI DI EMANUELE COEN IL SONNO DELLA SATIRA

a che mondo è mondo, la destra al potere offre È un’eruzione spontanea».D grandi opportunità alla satira. È così anche sotto il governo Meloni? Nel 1994, all’epoca del trionfo di Silvio Berlusconi e Forza Italia alle elezioni politiche, Altan pubblicò una vignetta profetica: due vecchietti seduti sulla Fabrizio Barca: «Mi domando se l’assenza di scuole sia un altro segno dell’impoverimento del nostro Paese. Ma c’è anche un’altra cosa che non capisco: esistono momenti della Storia in cui gli autoritarismi sono compatibili con la satira, penso all’Unione Sovietica degli anni Settanta e Ottanpanca con il basco di traverso. «Ci tocca vedere un’altra volta ta, in cui esisteva una satira interessante, organizzata, per i fasci al governo», fa il primo. L’altro replica: «La vita è troppo certi versi quasi tollerata. A volte la satira viene tollerata lunga, ecco il dramma». Davvero lunga, verrebbe da dire. Per dai regimi purché non travalichi certi limiti, è uno sfogatomisurare lo stato di salute della satira abbiamo coinvolto Ste- io. Ma giro la domanda a Stefano: quel gruppo di disegnatofano Disegni, disegnatore satirico di lungo corso e autore di ri che a Bologna si è cimentato a difesa della Costituzione programmi tv, e Fabrizio Barca, un tempo voce critica del Pd, rappresenta un’eccezione?». già ministro per la Coesione territoriale del governo Monti (oggi non ha incarichi politici), attuale coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità. L’occasione: le sei vignette sul tema delle diseguaglianze firmate da
Disegni e completate con una battuta di un sostenitore del Forum, a favore della campagna di raccolta fondi “Insieme per la giustizia sociale e ambientale” sulla piattaforma Produzioni dal Basso, pubblicate nelle scorse settimane su L’Espresso, sul sito e sui canali social del Forum. Disegni: «Sarò pessimista, ma temo sia un’eccezione. Tut-
Barca, Disegni, qual è lo stato di salute della satira? tavia mi pongo un’altra domanda: quanta richiesta di sati-
Stefano Disegni: «È una domanda che torna ciclicamente. ra c’è in un Paese addormentato? Una fetta d’Italia la vuole,
Più che di satira, però, parlerei di autori di satira. La gettata un’altra se ne frega allegramente». che tirò fuori gente come me, Vincino, Vau- Non sarà che la politica, con i suoi eccessi, ha superato la ro, non si è ripetuta. Questo non toglie che parodia? oggi esistono figure di altissimo livello co- Disegni: «In effetti, quando Berlusconi dice una cazzata, me Zerocalcare. Ma il punto è un altro. uno pensa: “Come farò a superarlo?”. L’autore capace inveQuesto è un Paese in cui in edicola non tro- ce sfrutta a proprio vantaggio anche le “autosatirizzazioni” vi un giornale di satira, dal punto di vista dei personaggi per tirare fuori delle maschere in commeculturale è grave. Oggi le scuderie sono spa- dia. Anzi, non c’è niente di meglio della gente che sprolo-
Emanuele rite, in questo senso la satira è in crisi. Ma quia. Sul Fatto Quotidiano disegno una striscia che si intiCoen gli autori resistono, la satira esiste dai tem- tola “Monsters & Co.”, in cui ho messo insieme i cinque
Giornalista pi di Tito Maccio Plauto ed esisterà sempre. personaggi del momento: la signora un po’ coatta, il fasci-
OGGI GLI AUTORI RESISTONO, SOSTIENE IL CELEBRE DISEGNATORE. MA MANCANO LE SCUOLE. E IN UN PAESE ADDORMENTATO QUANTI CHIEDONO ANCORA DI GRAFFIARE IL POTERE?


sta col braccio legato perché sennò gli si alza come il dottor Stranamore, Salvini che sta sempre col telefonino in mano, un signore anziano un po’ rincoglionito e un fanatico religioso che vorrebbe riportarci al Medioevo. Questa striscia sta riscuotendo molto successo, non me l’aspettavo. Non è un problema se i politici sono comici, anzi. Il guaio è quando il personaggio è opaco, Vincenzo Visco o Giulio Tremonti per capirci. Aspetto che Barca ricopra qualche incarico importante, è molto caricaturabile». Barca: «È un punto interessante. I tecnici che dominano la politica da moltissimo tempo sono meno attaccabili, sono rimasto molto colpito da quanto poco sia stato sfrugugliato Draghi. I tecnici dicono cose oggettive, sono impermeabili alle critiche, non possono essere ridicolizzati. È un altro
Sopra, da sinistra, Stefano Disegni e Fabrizio Barca. Di lato e nella pagina seguente, alcune vignette firmate da Disegni e completate da sostenitori del Forum Disuguaglianze e Diversità, pubblicate su L’Espresso
segno della vittoria del neoliberismo sulla politica». Oggi i politici si offendono di più rispetto al passato? Disegni: «Tutti questi politici offesi non me li ricordo. Il politico ha un chilo e mezzo di pelo sullo stomaco, ha a che fare più con magistrati e carabinieri che con i satirici. Alla maggior parte di loro la vignetta può dare fastidio, ma poi se ne fregano, alcuni la considerano una medaglia. Ma il punto è un altro: lavoro per una rivista di cinema, la gente di spettacolo se la prende molto più dei politici. Le querele più pesanti le ho ricevute da Giulio Tremonti e da personaggi del mondo spettacolo, perché lavorano con la faccia». Barca : «La difficoltà di intaccare i tecnici attraverso la satira probabilmente è legata al fatto che sono venuti meno i laboratori. Facevate politica, tu Stefano fai politica anche adesso, ma la fai da solo, manca il confronto con gli altri proprio nel momento in cui sarebbe necessario. I personaggi che esercitano il potere lo fanno sotto uno scudo potente della tecnica, manca una comunità in grado di attaccarli». Da un lato il politicamente corretto, dall’altro la volgarità, il razzismo, la violenza di genere. Come si destreggia la satira tra questi due estremi? Barca: «Viviamo nell’epoca della fine dell’ipocrisia, che è un freno importante della natura umana. Ipocrisia vuol dire essere consapevoli che certe cose non vanno dette. Sulle donne, sugli omosessuali, sui migranti. Si capisce che le pensi, ma il fatto che tu non le dica produce due risultati. Primo: eviti di affermare cose orrende. Secondo: ti offri alla satira. Chi ti prende in giro può grattare nella frase na-



vono esserci: se milioni di persone hanno un credo e scelgono un simbolo, ad esempio un crocefisso, prenderli in giro equivale a insultarli». In una intervista con Il Venerdì di Repubblica, Altan ha detto che alle elezioni ha votato per il Pd perché «non vuole buttare il voto». Voi per chi avete votato? Disegni: «Per Ilaria Cucchi, ho votato Sinistra Italiana. Faceva parte di una coalizione che volevo sostenere e poi ho voluto sostenere lei come persona. Se c’era Barca votavo per lui». Barca: «Faccio come ha fatto mio padre dopo lo scioglimento del Partito Comunista Italiano, che non ha mai detto per chi ha votato». Una delle ultime vignette firmate da Disegni ha come protagonista Giorgia Meloni. «Ogni mattina Giorgia si sveglia sapendo che dovrà correre a tappare la bocca al rincojonito». «Che artro cazzo avrà detto, li mortacci sua!», dice lei. «Amore, sono le cinque…», replica il suo scosta, nella dichiarazione in cui non credi. Può far emer- compagno. Il sottotitolo è «Resistiamo, forse durano pogere la contraddizione». co». Il nuovo governo resterà in carica a lungo? Disegni: «Svelare le ipocrisie dovrebbe essere una delle Barca: «Quella battuta mi è piaciuta molto, ci ho visto missioni primarie della satira. Personalmente, il concetto quella stranissima inconfessabile simpatia per Meloni che di “politically correct” me lo tengo stretto perché non vor- molti di noi hanno. Forse non tu, Stefano». rei vedere spalancare le porte a volgarità, insulti e satira di Disegni: «Ti concedo comprensione, simpatia ci devo labassissima qualità. Devo poter chiamare negro un nero vorare». perché altrimenti sono politicamente corretto? In nome Barca: «Fai un’operazione intimista senza armarti dell’ardella libertà di parola passano i luoghi comuni più beceri. madillo, visto che hai citato Zerocalcare. Non hai l’armadilAll’estremo opposto, quello che non accetto del politica- lo ma stai “armadillando” Meloni. Non mi convince invece mente corretto è che diventa una posa, la mania di cercare la tua battuta di commento: essendo io un inguaribile veteil pelo nell’uovo. Una vocale che da “o” diventa “a” perché è rocomunista, contrario al tanto peggio tanto meglio, mi necessario, ma poi la parola fa schifo. Direttora al posto di auguro che riescano a governare. Per un motivo banale: direttore mi pare una cacofonia». Si usa dire che non è lecito porre limiti alla satira. Vale anche per i simboli religiosi? ENTRO CERTI LIMITI ANCHE I REGIMI Disegni: «Ho disegnato cardinali travestiti da donna, da transessuali che tra loro si TOLLERANO PARODIE E CARICATURE. chiamano Loretta e Donatella. Ho parlato di NON ESISTE, INVECE, UNA COMUNITÀ pedofilia nella Chiesa, attaccato il loro potere economico. Cristo è nato in una mangia- CAPACE DI ATTACCARE CHI GOVERNA toia e loro hanno miliardi alle Cayman. Però esito davanti alla ricerca che qualsiasi indi- DIETRO LO SCUDO DELLA TECNICA viduo compie nel corso della sua esistenza. E non mi sento di prendere in giro nessuno: né gli islamici, dobbiamo vedere quello che fanno, temo che la fragilità né gli ebrei, né i cristiani, né gli atei. Non sono credente, per mostrata in Senato dia luogo non a una opposizione matucerti aspetti mi reputo cristiano. Non so se Cristo sia esistito, ra, ma a un “paciugo” di centro irraccontabile. E questo il certi valori però li condivido e, se fossero applicati, avremmo Paese non lo merita». meno guerre. Se invece le religioni producono potere, dena- Disegni: «Ammetto che quella battuta è più di pancia che ro o follia omicida bisogna picchiare duro perché è irrispet- di testa. Non sono così ottimista che durino poco, l’ ho scrittoso per la dignità dell’uomo. Lo vediamo anche in Iran». to, ma ho un punto interrogativo anche io». Barca: «La sacralità è intoccabile, non necessariamente Barca: «Ci vorrebbe un’opposizione di sinistra…». quella religiosa. Un conto è prendere per i fondelli, mostra- Disegni: «Di cosa? Non ho capito la parola… Opposizione re le contraddizioni di ricchi signori, indipendentemente di che?». dal fatto che siano ebrei, cattolici, protestanti. Un altro è Barca: «Ci vorrebbe una opposizione di sinistra, ma richierappresentarli con il naso adunco e far intravedere dietro i de un po’ di tempo, visti i chiari di luna». simboli dell’ebraismo o magari del comunismo. I limiti de-