5 minute read

NELLO SPAZIO AL RIPARO DAI RAGGI COSMICI

Next Article
SPACE MARKETS

SPACE MARKETS

SPACE ECONOMY

DI MATTEO MASSICCI*

Advertisement

RIPERCUSSIONI BIOLOGICHE DEI FUTURI VIAGGI SPAZIALI E STRATEGIE PER AFFRONTARLE: UN NUOVO SETTORE DI RICERCA IN CUI L’ITALIA ECCELLE

Nella lista dei 30 fattori in grado di compromettere la salute e le performance degli equipaggi spaziali stilata dallo Human Health and Performance (Hhp), il direttorato della Nasa preposto alla valutazione e alla mitigazione dei rischi fisici e psicologici associati alle missioni di lunga durata, una particolare posizione è occupata dai raggi cosmici, l’incessante flusso di particelle cariche ad alta energia che permea lo spazio intero. Sulle ripercussioni biologiche, ancora poco comprese, causate dalla lunga esposizione a simili forme di radiazione e sull’individuazione di soluzioni per

la schermatura e la protezione degli

astronauti si stanno concentrando da qualche anno specifiche attività interdisciplinari stimolate e finanziate delle agenzie spaziali. È un nuovo settore di ricerca che, grazie alle riconosciute competenze scientifiche, tecnologiche e industriali italiane, vede il nostro Paese impegnato in prima linea, come dimostrano tre progetti dell’Università di Bologna Iris, Aphrodite e Hype, selezionati alla fine del 2021 nell’ambito dell’indagine di mercato indetta dall’Agenzia spaziale italiana per le ricerche e i dimostratori tecnologici per la Iss, che, a parità di requisiti, ha premiato le proposte connesse alla futura esplorazione umana dello spazio. Come insegna la trentennale storia di progresso tecnologico di cui è stata incubatrice la Stazione spaziale internazionale, miniaturizzazione, incremento dell’efficienza energetica e semplificazione funzionale sono criteri di riferimento nella progettazione degli strumenti dedicati al supporto delle attività umane in orbita terrestre. L’ottimizzazione di questi aspetti diventa tuttavia ancor più imprescindibile in previsione dei voli e delle missioni lunari o marziane. È proprio in questa direzione che si muove Iris, progetto nato all’interno del TTlab, laboratorio per il trasferimento tecnologico dell’Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) in Emilia-Romagna, che si svolgerà in collaborazione con l’Università di Bologna e l’azienda Kayser Italia. Iris si avvarrà delle competenze dell’Infn nel campo dello sviluppo di rivelatori di particelle per la realizzazione di dispositivi ultraleggeri e indossabili in grado di determinare in tempo reale il livello di esposizione di ogni singolo astronauta a radiazioni ionizzanti pericolose. In particolare, a rendere estremamente innovativi i dosimetri di Iris, sarà il metodo di stampa a getto di inchiostro mediante il quale saranno fabbricati. “Il procedimento”, spiega Beatrice Fraboni, ricercatrice Infn e responsabile scientifica di Iris, “prevede l’impiego, a temperatura ambiente, di soluzioni composte da semiconduttori a matrice organica o perovskiti (gruppo di minerali composti da titanato di calcio, ndr.) in sostituzione del classico inchiostro per la realizzazione di circuiti con uno spessore che non supera le centinaia di nanometri. Un sistema che garantirà una notevole riduzione del peso e dei costi di produzione, nonché una diminuzione del consumo energetico, in quanto i sensori saranno contraddistinti da una tensione operativa molto bassa”. Al fine di predisporre misure per il trattamento e la prevenzione di disfunzioni patologiche associate alla possibile azione mutagenica delle radiazioni cosmiche e ai fattori di rischio tipici del volo spaziale rappresentati dall’assenza

*MATTEO MASSICCI DIVULGATORE SCIENTIFICO, È UN AUTORE TELEVISIVO SPECIALIZZATO IN AEROSPAZIO.

» Sopra: le particelle cariche di alta energia emesse dai brillamenti solari sono le più pericolose per la salute degli astronauti (Nasa).

A sinistra: Paolo Nespoli, nel corso della missione Vita, effettua dei test con Perseo, giacca concepita per schermare gli organi vitali degli astronauti dai raggi cosmici grazie all’acqua contenuta al suo interno (Nasa).

di peso e dai cambiamenti nella dieta e nello stile di vita degli astronauti, sarà di fondamentale importanza dotare gli equipaggi di sistemi diagnostici di semplice utilizzo per il monitoraggio in tempo reale del loro stato di salute. Questo il proposito del progetto Aphrodite, coordinato e gestito dal Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna, in collaborazione con la

Scuola di Ingegneria Aerospaziale della Sapienza Università di Roma

e di Kayser Italia. Aphrodite mira alla progettazione e alla realizzazione di una piattaforma integrata per indagini diagnostiche. “Il dispositivo che vogliamo sviluppare”, illustra Mara Mirasoli, docente del dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamician” e responsabile scientifica del progetto, “sarà composto da una piattaforma miniaturizzata che, utilizzando nanotecnologie, riconoscerà le molecole per la quantificazione dei biomarcatori di interesse. La presenza di questi ultimi, che darà luogo a un segnale luminoso, sarà misurata grazie un sistema di fotosensori integrati di piccole dimensioni, gestiti attraverso una interfaccia di immediato utilizzo, che consentirà agli astronauti di essere autonomi dal punto di vista clinicodiagnostico e di intervenire in modo tempestivo in caso di necessità”. Per quanto avveniristico, lo scenario che prevede il rallentamento

indotto, chimicamente o mediante

ipotermia, delle funzioni metaboliche per proteggere gli astronauti dagli effetti biologici causati dalle radiazioni cosmiche si sta dimostrando, sulla base di campagne sperimentali finora condotte dalle agenzie spaziali, particolarmente efficace. Ulteriori conferme in tal senso potrebbero provenire da appositi studi con modelli in vitro da svolgersi a bordo Iss, come proposto dal progetto Hype della sezione Infn di Bologna, che

SPACE ECONOMY

vedrà la partecipazione della torinese Argotec. Per verificare la capacità delle basse temperature di favorire la radioresistenza biologica, Hype prevede di monitorare e confrontare all’interno di un bioreattore il comportamento di due gruppi di cellule di retina, uno dei quali mantenuto in ipotermia. “La scelta di utilizzare cellule di retina”, chiarisce Matteo Cerri, responsabile di Hype, professore del Dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie dell’Università di Bologna (di cui è possibile leggere un contributo sull’argomento anche a pagina 20), “è giustificata dal loro alto consumo energetico, che le rende adatte a simulare il funzionamento di un organismo complesso. Un ulteriore controllo sulla protezione che uno stato di ipotermia potrebbe garantire al modello, sarà inoltre svolta sulla Terra attraverso due esperimenti per verificare sia la risposta delle cellule ibernate alla gravità terrestre che alla combinazione tra quest’ultima e la radiazione prodotta da un acceleratore di particelle”. L’alto contenuto tecnologico e di innovazione di Iris, Aphrodite e Hype, che disporranno di un budget complessivo di circa 400mila euro ciascuno, come previsto dal tetto massimo di spesa imposto dal bando Asi di riferimento (Vus3: Iss Exploration), testimoniano come l’Italia sia in possesso delle capacità scientifiche e industriali necessarie per essere protagonista della prossima fase dell’esplorazione umana dello spazio. Nel frattempo, possiamo accontentarci di seguire lo sviluppo di questi tre progetti, che sebbene non siano stati assegnati ancora a nessuna missione, potrebbero volare a breve verso la Iss.

This article is from: