Azione 8 del 17 febbraio 2025

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Noti qualche differenza?

4.60

5.95

Il tuo portafoglio sì.

MONDO MIGROS

Pagine 4 / 6 – 7

SOCIETÀ Pagina 5

Dopo la settimana del Festival di Sanremo al Caffé dei genitori si parla di musica e di educazione

Intervista a Norma BargetziHorisberger delle Anziane per il clima Svizzera: «Bisogna agire!»

ATTUALITÀ Pagina 13

Serve un patto tra sognatori

Nel passaggio tra il 2024 e il 2025 la Chiesa cattolica ha avviato un nuovo Giubileo «della speranza», evento che nell’arco di un anno riverserà su Roma, secondo le stime, 32 milioni di pellegrini. Rispetto al Giubileo wojtyliano del Duemila, che riempiva le prime pagine dei giornali, la maggior parte dei media è molto più concentrata sull’uragano Trump che sulle aperture delle Porte Sante o sulle declinazioni a tappe della remissione dei peccati, concetto faro di ogni Giubileo cattolico. Può darsi che il disinteresse dipenda da un generalizzato calo di consensi attorno alle chiese (non solo quella cattolica), come attestano i dati dell’anno scorso sugli abbandoni in Svizzera delle comunità religiose d’origine. O forse dall’idea «folle» di celebrare la speranza mentre il pianeta viaggia in direzione contraria, quella della disperazione programmata, delle guerre visibili e invisibili, delle paci indecenti, delle vittime predestinate a restare tali, e dell’uso del ricatto militare, economico e politico come strumento sistematico di (mal)governo.

Sarebbe una buona ragione per prestare qualche laica attenzione a un evento religioso che fa di questa virtù, la speranza, un faro nelle tenebre del presente. Che si sia credenti o meno – infatti – sperare è una scelta controcorrente, un atto di ribellione al cinismo che accompagna la caduta di civiltà a cui stiamo assistendo. Forse solo una religione che crede nell’aldilà può permettersi il lusso, oggi, di indicare questa strada al mondo disilluso dell’«aldiqua». Eppure, non mancano, nella società civile, movimenti convinti che «un altro mondo è possibile», come si gridava nei cortei all’inizio del millennio. Ci vorrebbe un patto tra sognatori, credenti e non credenti, tra tutte le forze di resistenza alla presunta ineluttabilità della legge del più forte. Ci vorrebbe che le voci dell’utopia si

moltiplicassero, che non ci fosse solo Papa Francesco a fare il controcanto del potere maiuscolo dei nuovi padroni del mondo. Tra i «grandi» della Terra, la sua è rimasta una delle pochissime, forse l’unica contro-narrazione della realtà. Come quando, scrivendo ai vescovi statunitensi, ha usato argomenti al vetriolo sul programma trumpiano di deportazione di massa di immigrati e rifugiati clandestini: «Un autentico Stato di diritto – ha scritto – si verifica nel trattamento dignitoso che meritano tutte le persone, soprattutto le più povere ed emarginate (…). La coscienza rettamente formata non può che esprimere un giudizio critico e manifestare il proprio dissenso verso qualsiasi provvedimento che identifichi, tacitamente o esplicitamente, la condizione irregolare di alcuni migranti con la criminalità». «Ciò che si costruisce sulla base della forza e non sulla verità, sulla pari dignità di ogni essere umano – conclude – inizia male e finirà male».

La nuova Amministrazione Usa, per bocca del funzionario addetto all’immigrazione Tom Homan, si è sentita in dovere di chiedere al Papa di starsene zitto. Dovrebbe «concentrarsi sulla Chiesa cattolica e lasciare che ci occupiamo noi dei confini (…). Ha un muro attorno al Vaticano, giusto? (…) E noi non possiamo avere un muro attorno agli Stati Uniti?». Come se fosse stato Papa Francesco a farlo costruire l’altro ieri e non Leone IV, quasi 1200 anni fa, per proteggere la Curia romana dalle scorrerie dei saraceni. Si potrebbe obiettare che, per quanto ignoranti, quelle di Tom Homan siano solo battute. Vero, se non ci fosse di mezzo il futuro dell’umanità ormai divisa tra gli «yes men» del nuovo bombastico corso delle cose e il piccolo resto di braccia e cervelli che ancora sognano un’inversione di rotta. Scommettendo, controvento, sulla forza trasformatrice della speranza.

Che

CULTURA Pagina 17

Dalla TV al wrestling, Andy Kaufman ridefinì la comicità con performance provocatorie e surreali

Schweizer, allenatrice nazionale, ci guida alla scoperta del curling in carrozzella a livello paralimpico

TEMPO LIBERO Pagina 27

Una «pax» trumpiana per l’Ucraina

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Lucio Caracciolo – Pagina 11
Carlo Silini

Un negozio simpatico e vicino alla gente

Info Migros ◆ A poche settimane dall’apertura di un nuovo VOI a Lugano, abbiamo tracciato un bilancio dei due negozi già esistenti a Viganello e Sementina

ze della clientela, offrendo un buon assortimento di prodotti Migros, tra cui generi alimentari freschi e a lunga scadenza, combinati a una serie di prodotti non presenti in Migros, alimentari e non, a una selezione di bevande alcoliche, tabacchi e a servizi come il Toto-Lotto».

Se un tempo per tanti il sabato era dedicato alla «spesa grande», oggi si preferisce dedicare quelle ore ad altre attività, suddividendo i propri acquisti sull’arco di più giorni. È questo il principio alla base dei supermercati di quartiere in franchising VOI, molto diffusi nel resto della Svizzera (ce n'è una settantina), e a quota due nel nostro cantone, dove il 1. settembre del 2022 è stato inaugurato il VOI di Viganello (Via alla Chiesa 2) e nell’aprile del 2024 quello di Sementina (Via al Ticino 28).

A poche settimane dall’apertura di un terzo punto vendita VOI a Lugano (Via Sorengo 25), ne parliamo con Michele Pisani, responsabile VOI Migros Partner per Migros Ticino, e con Massimo Abrignani e Fidan Kelmendi, il primo, responsabile della filiale sottocenerina di VOI, il secondo di quella sopracenerina.

«È vero», racconta Michele Pisani, «le abitudini degli avventori sono cambiate, la gente non ha voglia né di passare molto tempo al supermercato, né di correre da un posto all’altro per fare una spesa completa. In questo senso i supermercati VOI rispondono perfettamente alle esigen-

La clientela sembra apprezzare molto la possibilità di fare acquisti sotto casa, conferma Massimo Abrignani: «A distanza di poco più di due anni siamo davvero soddisfatti. Possiamo contare su circa cinquecento clienti al giorno, che raddoppiano la domenica (da marzo a ottobre)». Un negozio di quartiere, a differenza di un grosso centro, infatti, favorisce la nascita di legami tra clienti e dipendenti, continua Abrignani «Ormai conosco per nome molte persone del quartiere. Ci sono alcuni clienti che passano una volta al giorno. Se si tratta di persone che hanno difficoltà a deambulare, siamo sempre pronti ad accompagnarle a casa o a portare per loro le merci più pesanti. Questo scambio è molto arricchente. L’apertura domenicale ci ha ulteriormente agevolato, come dimostra il gran numero di clienti presenti in quella giornata». Fidan Kelmendi conferma: «Per la filosofia dei VOI è fondamentale conoscere la clientela: io, mia sorella Albiona e mio fratello Adnan siamo cresciuti poco lontano dal nostro supermercato, per cui la gente ci conosce, si ricorda di noi. Anche i nostri clienti apprezzano la possibilità di scambiare due parole con noi o

con chi c'è in negozio – che si è trasformato in un punto di ritrovo – e alcuni ci chiedono addirittura di aiutarli con piccole faccende domestiche, co-

me cambiare una lampadina, e noi lo facciamo di buon grado».

Circa il 15% dell’assortimento è a discrezione del gestore/partner della filiale del supermercato VOI in collaborazione con Migros Ticino. Michele Pisani e il reparto acquisti valutano le idee marketing che vengono proposte, prendendo in considerazione eventuali estensioni di gamma. «A noi è successo che a fronte di richieste specifiche riguardanti l’assortimento, abbiamo potuto valutare alcuni inserimenti assieme a Migros Ticino e soddisfare così i desideri della nostra clientela», racconta Kelmendi. Continua Abrignani: «Noi a Viganello teniamo in assortimento le birre Broken City, Matta, Gottardo e San Martino e, come a Sementina, abbiamo un apprezzato assortimento di prodotti balcanici».

Con VOI succede quindi che dei piccoli imprenditori del territorio ora si trovino contenti del loro investimento. Lo conferma Fidan Kelmendi: «Se c'é una componente di rischio imprenditoriale, c'é anche il sostegno di Migros nelle varie fasi, dall'allestimento della filiale, alla formazione preliminare, all'accompagnamento attento anche durante il primo anno di attività».

E i feedback della clientela come

Quando è questione di pochi minuti

sono? Secondo Massimo Abrignani «i numeri parlano chiaro: nonostante ci troviamo nel mezzo di una specie di triangolo composto da altri tre supermercati, siamo riusciti a conquistare la fiducia dei nostri clienti. È una gratificazione importante. Il cliente per noi viene sempre al primo posto, e siamo felici quando riusciamo ad accontentarlo». Fidan Kelmendi aggiunge: «È vero, con il tempo si diventa un punto di riferimento del quartiere, e per noi è prioritario che la gente si senta a proprio agio. Siamo sempre disposti ad ascoltare i nostri clienti, accompagnandoli e agevolando la loro spesa». Una nuova sfida attende ora Fidan Kelmendi: la filiale VOI di Sementina verrà ripresa dal fratello Adnan col resto della famiglia e con l’aiuto di un neo assunto, mentre lui investirà le sue energie a Lugano, in Via Sorengo 25, dove il 13 marzo aprirà il terzo punto vendita VOI nel nostro cantone. Una prova cui Fidan guarda con fiducia, e senza nascondere un grande entusiasmo: «Ci sono dei treni che nella vita passano una volta sola, e se non si prendono al volo, si rischia di perderli per sempre. Ovviamente questo impegno comporta dei rischi e grandi sacrifici, ma quando vedi i risultati, capisci che ne è valsa la pena». / Red.

Salute ◆ L’importanza di avere a portata di mano un defibrillatore; anche in un supermercato dove un’emergenza può sempre capitare

Un «Apparecchio elettrico munito di due elettrodi, che viene utilizzato in medicina quando compaiono gravi alterazioni del ritmo cardiaco in condizioni di emergenza», così definisce il «defibrillatore» la Treccani. In realtà, nonostante la precisione dell’espressione, quello che questa definizione non dice è quanto si possa raggiungere, migliorare, o agevolare una situazione di crisi cardiaca grazie a un defibrillatore, e quanto, in fondo, sia possibile per tutti imparare a utilizzarlo, anche per i non professionisti della salute. Lo ha dimostrato un recente caso, avvenuto fuori da un supermercato di Migros Ticino, tra quelli con un defibrillatore in loco. L’uso immediato dell’apparecchio elettrico, seguito dal rapido intervento dell’ambulanza, ha contribuito in misura importante all’esito positivo del problema cardiaco del/la paziente. Come spiega Silvio Vassalli (responsabile di sicurezza sul lavoro), a oggi Migros Ticino dispone di sei defibrillatori, situati a Bellinzona, Losone, S. Antonino Centro MMM, S. Antoni-

no Centrale, Lugano e Agno, grazie alla buona collaborazione tra l’azienda e la Fondazione Ticino Cuore, che permette il noleggio dei defibrillatori provvedendo al contempo alla loro manutenzione. Per ampliare il potenziale raggio d’azione, Migros Ticino può spostare i propri defibrillatori all’esterno delle superfici di vendita. La Fondazione Ticino Cuore, costituita nel 2005 su iniziativa della Federazione Cantonale Ticinese Servizi Autoambulanze (FCTSA) e del Cardiocentro Ticino ha quale scopo principale l’aumento della sopravvivenza delle persone colpite da arresto cardiaco improvviso. Ne parliamo con il suo direttore, Claudio Benvenuti.

In un recente caso da lei segnalatoci, un defibrillatore ha permesso un «inizio precoce della rianimazione», grazie anche all’intervento dei First Responder (FR). Potrebbe spiegare a chi non lo conosce come funziona questo sistema di primo intervento?

E chi sono i First Responder? L’arresto cardiaco improvviso col-

pisce ogni anno in Ticino circa 350 persone. La maggior parte di questi eventi avviene a domicilio e in misura minore in altri luoghi come centri commerciali, sportivi / ricreativi e professionali. La sopravvivenza di queste persone è strettamente legata all’inizio della rianimazione cardiopolmonare (massaggio cardiaco e utilizzo degli apparecchi defibrillatori) da parte delle persone che assistono all’evento oppure da persone – i First Responder – che si trovano nelle immediate vicinanze allertate da Ticino Soccorso 144 tramite una specifica applicazione per smartphone. In attesa dell’arrivo dei soccorritori professionisti sono in grado di prestare le prime cure fondamentali per mantenere le funzioni vitali del paziente e permettere quindi una migliore continuità della presa a carico pre-ospedaliera e ospedaliera. La rete è composta da oltre 6000 persone e ne fanno parte anche tutte le istituzioni partner del soccorso quali la polizia cantonale, le polizie comunali, i corpi pompieri e le guardie di confine.

Il Ticino a vostro avviso dispone di una rete sufficiente di defibrillatori?

Sul territorio cantonale sono presenti circa 1800 defibrillatori. Un terzo di questi è collocato all’interno di aziende, centri commerciali o sportivi; un altro terzo è posizionato in luoghi pubblici ed è accessibile da qualsiasi cittadino 24 ore du 24 e

un restante terzo è messo a disposizione dalla nostra Fondazione agli enti partner che hanno aderito alla rete di First Responder. Si tratta comunque di un numero importante di apparecchi, per questa ragione quando veniamo interpellati per dei nuovi defibrillatori cerchiamo sempre di analizzare la situazione attuale e condividere con il richiedente i suoi bisogni la reale necessità di un nuovo apparecchio.

Cosa devono fare un’azienda o un comune che se ne vogliono dotare? Ticino Cuore prevede la possibilità di noleggiare un apparecchio garantendone, grazie alla collaborazione e alla disponibilità dei servizi ambulanza presenti sul territorio, la regolare manutenzione e controllo, il ripristino dopo un utilizzo, la stesura del dossier clinico e, molto importante visto il forte impatto emotivo che un evento di arresto cardiaco può comportare, garantendo il sostegno psicologico per tutte le persone che hanno assistito all’evento. / Si.Sa.

VOI, un supermercato di quartiere; sotto, a sin., Massimo Abrignani, a Viganello, a destra, i fratelli Adnan e Fidan Kelmendi a Sementina.
Michele Pisani responsabile VOI Migros Partner per Migros Ticino
Occhio a questi armadietti col simbolo del cuore: possono salvare vite. (foto Fondazione Ticino Cuore)

SOCIETÀ

La politica è un gioco... serio

Gli allievi di una quarta media di Camignolo raccontano la loro esperienza a Berna dove hanno partecipato a un gioco di simulazione diventando consiglieri nazionali

Mondoanimale: il naso dei cani

La scienza ha scoperto che il «tartufo» dei cani permette di identificare i singoli individui, un po’ come se fosse la loro impronta digitale

La musica deve essere educativa?

Il caffè dei genitori ◆ La settimana del Festival di Sanremo offre una buona occasione per riflettere sul ruolo della musica e sui testi misogini e violenti tipici di molti rapper

Al penultimo anno di liceo la mia figlia 16enne Clotilde e i suoi compagni di classe alle prese con lo studio di Alessandro Manzoni, convinto che l’arte deve avere «l’utile per iscopo», ossia l’educazione civile e morale, sono invitati dalla prof di italiano a fare un dibattito: la musica deve essere educativa? Il modello è il debate all’americana: due gruppi di studenti si confrontano sull’argomento tramite delle dissertazioni a tempo limitato, divisi in squadra Pro e squadra Contro. Il pensiero del Manzoni viene calato nell’attualità: l’occasione la offrono le polemiche su Tony Effe, escluso dal Concertone di Capodanno dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri per i testi violenti e misogini delle sue canzoni. Martedì scorso, il rapper ha debuttato al Festival di Sanremo, l’evento di musica nazional-popolare di Rai 1 da 10 milioni di telespettatori, e l’interrogativo rimbalza con forza a Il caffè dei genitori: la musica deve essere educativa?

Alcuni di noi i testi delle canzoni di Tony Effe & C. già li conoscono, altri si mettono ad ascoltarli dopo la bufera che si è sollevata; persino più di un insegnante ci racconta di essersi ritrovato in auto alla fine delle lezioni a cercarli su Spotify per essere in grado di discuterne con gli studenti; a metà gennaio sulla questione intervengono anche dei pediatri (come PediatraCarla, mezzo milione di follower). Il loro video su Instagram, che totalizza in pochi giorni quasi un milione di visualizzazioni, è la rappresentazione dell’atteggiamento di noi boomer (tutti o quasi) – confermato anche dalle lettere di lettori che scrivono a Il caffè dei genitori e a Le parole dei figli – davanti alla musica trap. Risuonano le parole de La Cura di Franco Battiato «Perché sei un essere speciale. Ed io, avrò cura di te»; mentre in sovraimpressione – e in contrapposizione – appaiono le frasi di Doc 2 di VillaBanks, Tony Effe e Guè «La scopo talmente forte che perderà il mio bambino (forte). Dieci tipe in fila indiana, non so più a chi dare i resti (okay). Le mando a mio fratello chiuso in casa agli arresti (seh)». Almeno tu nell’universo di Mia Martina «Tu, tu che sei diverso. Almeno tu nell’universo. Un punto sei, che non ruota mai intorno a me. Un sole che splende per me soltanto. Come un diamante in mezzo al cuore tu» contro Mi piace di Sfera Ebbasta e Tony Effe «Lei la comando con un joystick. Non mi piace quando parla troppo (troppo). Le tappo la bocca e me la fott* (shh)». Sei nell’anima di Gianna Nannini «E lì ti lascio per sempre. Sospeso. Immobile. Fermo immagine. Un segno che non passa mai» contro Straight Rydah di Emis

Killa (che avrebbe dovuto essere anche lui sul palco dell’Ariston, ma si è ritirato dopo essere stato indagato per associazione a delinquere nell’ambito di un’inchiesta sugli ultrà del Milan) «Piscio sopra queste bitches. In rubrica ho più battone che a Sin City. Champagne a litri nel privè, Chardonnay, Moët, queste bestie tornano a casa con me, Noè». Più bella cosa di Eros Ramazzotti «Più bella cosa non c’è. Più bella cosa di te. Unica come sei. Immensa quando vuoi. Grazie di esistere…» contro TVTB di Dark Polo Gang (ex band di Tony Effe) e Fedez «Mangio queste tipe come M&M’s (M&M’s)».

Gli adulti mettono sotto accusa i rapper per i testi delle loro canzoni, un punto di vista considerato cringe, cioè imbarazzante, dai giovanissimi

Se, come diceva Vassily Kandinsky, «l’artista è la mano che suona, toccando un tasto o l’altro, per provocare vibrazioni nell’anima», l’obiettivo dei pediatri è evidenziare il contrasto tra i valori trasmessi. L’essenziale di Marco Mengoni, «Mentre il mondo cade a pezzi io compongo nuovi spazi e desideri che appartengono anche a te che da sempre sei per me l’essenziale», contro Non è easy di

Shiva, «Se la tipa non vuole farlo, se la scopano i miei. Gli va male perché dopo se la scopano in sei». E tu di Claudio Baglioni «In un sospiro, tu. In ogni mio pensiero, tu. Ed io… restavo zitto, io per non sciupare tutto, io. E baciarti le labbra con un filo d’erba e scoprirti più bella coi capelli in su. E mi piaci di più. E mi piaci di più. Forse sei l’amore», contro Doc 4 di Villabanks, Emis Killa, Ernia e Niky Savage: «Lei su di me s’allena, bagna tutto, si scatena (Spingere). E giriamo un’altra scena mañana se lo fai bene (T***a)». Non c’è dubbio, però, che questa contrapposizione venga considerata a dir poco cringe (imbarazzante) dagli Gen Z che sono i nostri figli. Loro sono sintonizzati su un’altra lunghezza d’onda che è quella espressa dai rapper Emis killa e Massimo Pericolo in Nel male e nel bene: «Non ho responsabilità verso i fan. Che ci pensi il padre, non chi fa la trap (skrrt, skrrt, skrrt)». Nerissima Serpe dice: «Sento la responsabilità delle cose che scrivo? Io non sono un educatore, non sono un politico. Il mio compito non è educare». Papa V: «Sono i dottori che salvano la vita della gente, non i cantanti. Io ho sempre ascoltato i Dogo e non sono finito a farmi le botte di coca in bagno perché loro raccontavano quel mondo. La musica è una cosa, la realtà e la vita sono un’altra. Sono i genitori e la scuola che devono edu-

care, non i rapper». In sintesi: noi genitori mettiamo sotto accusa i rapper per i testi delle loro canzoni? L’attacco ci torna indietro come un boomerang ricordandoci che il compito di educare è il nostro! A Il caffè dei genitori ci viene da dire (anche se non tutti sono d’accordo) che un po’ di ragione ce l’hanno anche loro. Del resto, davvero i brani dei nostri tempi ci ispiravano l’amore romantico, e quelli trap rischiano di crescere Gen Z con modelli sballati?

Per dircela tutta, non è che negli anni Ottanta-Novanta, durante la nostra adolescenza, fossero tutte rose e fiori. In Colpa di Alfredo Vasco se la prende con «la t***a che è andata a casa con il negro!»: «E lei invece non ha perso tempo. Ha preso subito la palla al balzo. L’ho vista uscire, mano nella mano, con quell’africano che non parla neanche bene l’italiano, ma si vede che si fa capire bene quando vuole? Tutte le sere ne accompagna a casa una diversa, chissà che cosa le racconta, per me è la macchina che c’ha che conta!». Per Riccardo Cocciante è Bella senz’anima, per Marco Masini è una Brutta stronza. Nulla in confronto ai brani di oggi?

«Sparo a un figlio di puttana in un minuto. Trovo un bel pezzo di f**a e ci entro dentro. Quindi se sei a uno spettacolo in prima fila ti chiamerò t***a o t***a sporca. Probabilmente ti arrabbierai come una t***a dovrebbe

fare. Ma questo mi dimostra, sgualdrina, che non sei contraria»: è il 10 luglio 1988 quando esce Straight Outta Compton degli N.W.A, inseriti dalla rivista Rolling Stone nella classifica dei 100 artisti musicali più importanti di sempre e annoverati tra i principali ispiratori del gangsta rap o g-rap, caratterizzato da testi esplicitamente violenti ispirati allo stile di vita di strada delle bande dei ghetti americani. Droghe, armi e misoginia: insomma, i trapper italiani non si sono inventati nulla.

Forse, dunque, come mamme e papà, più che confidare su una «musica educativa», dobbiamo continuare ad interrogarci sul mondo misogino che può produrre quel tipo di testi e ad aiutare i figli a sviluppare un senso critico. A tal proposito quello che ci sorprende più di tutto a Il caffè dei genitori è una sorta di contraddizione della Generazione Z, in particolare delle adolescenti. Sempre più attente al linguaggio inclusivo e pronte a scagliarsi contro il coetaneo che fa jokes (battute) sessiste, considerandole giustamente delle red flags (ossia dei campanelli di allarme) su una persona da cui è meglio stare alla larga. E poi cantano i brani di Tony Effe & C.? A giustificarli basta il fatto che raccontano la loro realtà, in nome dell’arte libera in cui ognuno ha il diritto di esprimersi e ognuno può ascoltare quello che vuole? Chi lo sa!

Tony Effe durante la prima serata del Festival di Sanremo martedì scorso (Keystone)
Simona Ravizza
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Una tisana dal profumo di stella alpina

Attualità ◆ La tisana Monte Generoso si è recentemente posizionata al 5° posto in occasione del «Premio BancaStato per la Sostenibilità Aziendale». Un prodotto locale di elevata qualità che merita di essere assaggiato

Non c’è niente di meglio di una fumante tisana per riscaldarsi e tonificarsi durante la stagione invernale. Grazie alla tisana Monte Generoso dei Nostrani del Ticino non solo l’effetto salutare è assicurato, ma sorseggiandola si fa del bene anche al nostro bellissimo territorio. Questo innovativo prodotto, infatti, è risultato finalista lo scorso mese di novembre del «Premio BancaStato per la Sostenibilità Aziendale», aggiudicandosi il quinto posto tra una cinquantina di candidature presentate. Questa iniziativa, lanciata dall’Istituto cantonale, aveva lo scopo di premiare progetti cantonali capaci di contribuire allo sviluppo sostenibile del territorio, dal punto di vista economico, sociale e ambientale.

A base di erbe officinali biologiche ticinesi quali menta piperita, menta romana, melissa, menta citrata, fiordalisi e stella alpina, la tisana Monte Generoso è frutto della virtuosa collaborazione tra Erbe Ticino Cofti.ch Sa, Azienda Agricola Bianchi e la Ferrovia Monte Generoso. La selezione di erbe esclusive include come ingrediente principale la regina delle Alpi, la stella alpina appunto, iconico fiore famoso universalmente per la sua bellezza e resistenza agli ambienti più difficili. Le piante sono coltivate sulla vetta del Monte Generoso, storica destinazione turistica dai panorami mozzafiato. La tisana possiede riconosciute proprietà benefiche sul nostro organismo, nella fattispecie aiuta la digestione e ha un’azione rinfrescante, stimolante e rinvigorente.

Tisana Monte Generoso 10 bustine Fr. 7.10

In vendita nelle maggiori filiali Migros

Flavia Leuenberger

La tradizione nel piatto

Attualità ◆ L’arrosto di vitello è una specialità senza tempo che accontenta tutti

Quando si parla di piatti conviviali, non c’è niente di meglio di un gustoso arrosto, capace di riunire i commensali attorno al tavolo e soddisfare anche i palati più esigenti. Una preparazione che si distingue per la sua versatilità, dal momento che può essere preparata in differenti modi, impiegando gli ingredienti più disparati e servita con contorni sfiziosi come verdure, patate arrosto, insalate o risotti. Per quanto riguarda la scelta degli ingredienti giusti, è tuttavia anche importante optare per dei prodotti di elevata qualità, come per esempio la carne di vitello IP-SUISSE, che proviene da bovini allevati in Svizzera secondo alti standard

Azione 20%

Arrosto collo di vitello arrotolato IP-SUISSE

Per 100 g, in self-service Fr. 3.60 invece di 4.55 dal 18.2 al 24.2.2025

La ricetta Arrosto di vitello con verdure invernali

Piatto principale per 4 persone

• 1,5 kg di collo di vitello, legato

• 2 cucchiaini di sale

• pepe

• paprica

• ½ mazzetto di rosmarino

• 1 cipolla

• 150 g di carote

• 150 g di porri

• 150 g di pastinache

• 2 cucchiai di burro per arrostire

• 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro

• 3 dl di vino rosso

• 4 dl di fondo bruno

Preparazione

Scalda il forno statico a 190 °C. Condisci la carne con sale, pepe e paprica. Infila la metà dei rametti

di rosmarino sotto lo spago. Taglia la cipolla a fette, le verdure restanti a pezzetti grossolani. Scalda il burro per arrostire in una brasiera. Rosola la carne da ogni lato per ca. 5 minuti. Unisci le verdure, il resto del rosmarino, il concentrato di pomodoro e continua la rosolatura per ca. 5 minuti. Bagna con il vino e il fondo, copri e trasferisci al centro del forno. Cuoci per ca. 70 minuti, finché la temperatura interna della carne avrà raggiunto 75 °C. Dopo 30 minuti di cottura, togli il coperchio della brasiera. Bagna di tanto in tanto la carne con il sugo. A fine cottura, estrai la carne dal sugo e tienila in caldo per 10 minuti. Condisci la salsa con sale e pepe. Affetta la carne e servila con il sugo e le verdure. Accompagna l’arrosto con purè di patate.

di benessere animale. Così facendo, ognuno potrà apprezzare appieno tutta la bontà del vitello, una carne delicata, ricca di materie gelatinose
che la rendono particolarmente tenera. Insomma, un’ottima scelta per portare in tavola un piatto raffinato perfetto per ogni occasione.

Trattamento quotidiano per capelli splendidi

Novità ◆ La nuova linea Goovi Nourish & Flourish con oltre il 94% di ingredienti di origine naturale aiuta a mantenere i capelli sani e forti

Il celebre marchio Goovi, brand ideato in collaborazione con Michelle Hunziker, già presente alla Migros con una serie di prodotti per la cura delicata del corpo, presenta la nuova linea Nourish & Flourish, composta da sei prodotti per la cura delicata dei capelli formulati con ingredienti di origine naturale. Il primo passo della haircare routine è lo scrub purificante arricchito con microgranuli di jojoba, appositamente studiato per esfoliare delicatamente il cuoio capelluto eliminando cellule morte, eccessi di sebo e forfora. La cute risulterà purificata e riequilibrata, pronta per gli step successivi della routine. Lo shampoo setificante nutriente dall’effetto gloss dalla formula senza siliconi arricchita con avocado, biotina e 11 amminoacidi, nutre e deterge i capelli rendendoli morbidi, lucenti, sani, senza appesantirli. Adatto ad un uso frequente, ha una profumazione fiorita e fruttata. La maschera capelli multinutriente ristruttura e nutre i capelli in profondità, in particolare nei punti di maggiore stress come le punte. Ideale per l’utilizzo dopo lo shampoo, per una chioma forte, sana, lucente e facile da pettinare. Lo spray districante senza risciacquo con il 98,4% di origine naturale migliora la pettinabilità dei capelli, aiutando al contempo a rinforzarli, rigenerarli e ripararli, senza appesantirli. Dona lucentezza e li lascia piacevol-

mente morbidi e profumati. Riparare e rinforzare il capello in profondità è facile con il siero ristrutturante già efficace dal primo utilizzo, grazie alla sua formula arricchita con avocado, biotina, 11 amminoacidi e un polimero naturale. Rende i capelli fino a 4 volte più elastici rispetto ai capelli non trattati (test ex vivo), esercitando un’azione ricostruttiva sulle lunghezze e nei punti maggiormente stressati. Arricchito con oli essenziali di rosmarino e lemongrass, il trattamento cute energizzante senza risciacquo e a rapido assorbimento, rivitalizza e idrata il cuoio capelluto per capelli visibilmente sani e vitali senza appesantirli.

Nuova linea Goovi Nourish & Flourish

Shampoo setificante

240 ml Fr. 14.95*

Maschera multinutriente

200 ml Fr. 15.95

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100 ml Fr. 16.95

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100 ml Fr. 16.95

Scrub purificante 150 ml Fr. 14.95

In vendita nelle maggiori filiali Migros

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Dall’aula scolastica alla sala del Consiglio nazionale

Educazione civica ◆ L’esperienza a Berna di una classe di quarta media di Camignolo che ha partecipato a «Gioca alla politica!»

Fondare un partito, dibattere al suo interno su temi di interesse generale, promuovere un’iniziativa popolare da presentare al Consiglio federale (che la commenterà in un Messaggio), andare a Berna e diventare un deputato che partecipa ai lavori di una Commissione e a una sessione del Consiglio nazionale a Palazzo federale. È questa in estrema sintesi l’esperienza che hanno vissuto i ragazzi di una classe di quarta media dell’istituto scolastico di Camignolo. Me la raccontano due giorni dopo il loro rientro in Ticino, sono ancora stanchi per la trasferta, che si è svolta il 4 e 5 febbraio, ma si percepisce che hanno voglia di condividerla e che ne vanno, giustamente, orgogliosi. A coinvolgerli è stata Valentina Schenkel, la loro insegnante di italiano e storia (oltre che docente di classe) che, in accordo con la direzione, ha iscritto la classe al gioco di simulazione «Gioca alla politica!» ideato dall’associazione «Scuole a Berna» e reso possibile dalla collaborazione con il Zentrum für Demokratie di Aarau. Il progetto mira a promuovere l’educazione civica e approfondire le conoscenze dei processi democratici degli alunni, consentendo loro di sperimentare dal vi

lavoro è stato molto impegnativo e in questa fase preparatoria è stato anche invitato a scuola il deputato Alex Farinelli, membro della Commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni che li ha aiutati a capire alcuni dettagli piuttosto complicati legati agli accordi bilaterali. Un incontro molto proficuo, racconta Valentina Schenkel, «raramente ho visto i miei allievi così impegnati a prendere appunti e coinvolti da un interlocutore».

Assicurare l’approvvigionamento delle merci, in base alle esigenze della filiale e nel rispetto delle disposizioni di OBI; Partecipare al raggiungimento dei risultati quali cifra d’affari, differenze inventario, costi merce, ribassi prezzo, margini e rotazione merce; Organizzare i compiti e attività in relazione alla gestione del lavoro in negozio; Interagire con fornitori interni ed esterni partecipando anche a incontri nazionali;

Requisiti

Formazione nel commercio (AFC o superiore) Esperienza nella gestione delle merci e/o nel commercio al dettaglio

Lingue italiano e tedesco (parlato e scritto) come criterio indispensabile

Buone doti di pianificazione e organizzazione

Rapidità nell’apprendere nuove nozioni

Capacità di operare autonomamente

NOTA: l’attività prevede un impiego in prevalenza dal lunedì al venerdì

Candidature

Da inoltrare collegandosi al sito www.migrosticino.ch, sezione «Lavora con noi» - «Posizioni disponibili».

Una volta giunti nella capitale i ragazzi della scuola di Camignolo hanno incontrato gli allievi dell’altra classe che partecipava alla stessa sessione. Questi ultimi provenivano da una scuola privata del Canton Argovia e proponevano un’iniziativa per regolare l’inizio dell’orario scolastico per le scuole secondarie di primo grado alle 9.00 del mattino (posticipandolo insomma di mezz’ora o poco più).

Come detto le due iniziative sono state discusse in due commissioni dove i giovani si sono confrontati. In entrambi i casi hanno elaborato un controprogetto da presentare al Consiglio

Ma che cosa è piaciuto di più ai ragazzi della due giorni a Berna? C’è chi non esita a rispondermi. Ad Ardi ad esempio è particolarmente piaciuta la visita guidata a Palazzo federale, «ero stupito dalla struttura architettonica e poi ogni scultura e ogni dipinto aveva una storia da raccontare», a Enrico e Devin è piaciuto «mettersi in gioco parlando davanti a molte persone nella sala del Consiglio nazionale». Più di un ragazzo mi conferma di aver apprezzato «l’organizzazione perfetta, era tutto previsto per facilitarci, perfino i mezzi di trasporto pubblici, tutto molto efficace», Aurora valuta positivamente la possibilità di «parlare con gli altri partecipanti, capire cosa pensano» e c’è chi più prosaicamente ma molto genuinamente ha apprezzato andare in giro per Berna con gli amici. Sul fatto che l’organizzazione fosse perfetta nessuno ha dubbi, neanche la professoressa Schenkel che si dice soddisfatta per l’opportunità data ai ragazzi di avere a loro disposizione due interpreti per superare lo scoglio linguistico, per il coinvolgimento del

consigliere nazionale Simon Stadler (rappresentante del Canton Uri a Berna) che ha fatto le veci del Consiglio federale durante la sessione e di Samuel Bärtschi, rappresentante dell’associazione «Schweiz debattiert», che ha aperto la sessione e ha ricoperto la carica di presidente. Il resto lo hanno fatto gli allievi, tra di loro hanno dovuto scegliere uno scrutatore e la maggior parte sono intervenuti con le loro osservazioni parlando dal pulpito. Per molti è stato emozionante, confidano, ma si erano preparati accuratamente e tutto è filato liscio, e anche chi di solito è piuttosto reticente o timido nell’esprimersi a scuola, a Berna ha «rotto il ghiaccio». L’unico rammarico espresso dai ragazzi è quello di aver avuto poco tempo libero per esplorare la città, un giorno in più a Berna avrebbe fatto piacere a tutti, inoltre avere più tempo avrebbe aiutato la socializzazione con i ragazzi del canton Argovia.

E tutto sommato i giovanissimi cosa ne pensano del lavoro dei politici? «Pesante» mi dice schietto Enrico, David lo trova un po’ «snervante, perché nonostante avessimo discusso a lungo con i membri dell’altra classe che sembravano convinti delle nostre ragioni, alla fine loro sono rimasti della loro opinione». Aurora osserva anche che «i politici hanno una grande responsabilità perché prendono delle decisioni che toccheranno la vita di altre persone», per Ardi con questa esperienza si sono resi conto che «c’è un grande lavoro da parte dei politici per mantenere la Svizzera stabile e democratica». Tornati a casa gli allievi di Camignolo si rimettono i panni dei «normali cittadini», che presto saranno chiamati al voto su alcune delle iniziative presentate nelle cinque sessioni previste dal gioco. In tutto «Gioca alla politica!» ha coinvolto una ventina di classi provenienti da tutta la Svizzera, per ora niente è trapelato sugli argomenti che saranno in votazione.

Ma i ragazzi dopo questa esperienza cosa pensano dell’andare a votare? Lo faranno quando avranno 18 anni? Aurora mi dice che «questa esperienza mi ha fatto capire che se voglio votare

devo essere informata sull’argomento, dunque prendermi del tempo per capire e formarmi un’opinione», David invece osserva «che con questo progetto abbiamo capito quanto quello che voti va ad influenzare la tua vita». E del diritto di voto ai 16enni? Loro che lo saranno l’anno prossimo sembrano titubanti, secondo David «se venisse trattata la politica un po’ di più nelle scuole, si potrebbe anche votare a 16 anni, se invece non hai mai affrontato temi politici potresti sentirti impreparato», per Aurora invece «a 16 anni è un po’ presto, è un’età in cui si è appena usciti dalle scuole medie, voteremmo su argomenti basandoci sulla nostra esperienza che ovviamente è limitata». Molti 16enni poi, mi dicono, non sono interessati alla politica perché hanno altre preoccupazioni come trovare un posto di tirocinio o una formazione che li soddisfi. Il bilancio molto positivo che trapela dalle parole dei ragazzi è condiviso anche dalla professoressa Schenkel e dalla direttrice dell’Istituto, Claudia De Gasparo. Da un lato sottolineano come il gioco sia un modello ideale e stimolante per affrontare l’insegnamento della civica e per migliorare competenze richieste nel quarto anno delle medie come la capacità argomentativa e la scrittura, dall’altro è certamente un modo per i ragazzi di mettersi in gioco in situazioni diverse che richiedono responsabilità, abilità diplomatiche e oratorie, coinvolgimento emotivo. L’Istituto ha già deciso che l’esperienza sarà riproposta anche l’anno prossimo sempre con una quarta media, come ci conferma la direttrice che nella valutazione complessiva non può fare a meno di tenere conto anche dei costi molto contenuti del progetto, «oggi con i previsti tagli dei finanziamenti cantonali, ogni istituto di scuola media è confrontato con un budget ridotto circa del 20% per le attività culturali, purtroppo tutti saremo sempre più in difficoltà nel proporre attività extra scolastiche anche se di grande valenza didattica».

I ragazzi della IV D della Scuola media di Camignolo nella sala del Consiglio nazionale a Palazzo federale accompagnati dagli insegnanti Valentina Schenkel e Luca Groppi e dalla direttrice Claudia De Gasparo. (Foto Lukas Buser, @Lukas Buser)
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Il naso del cane è la sua impronta digitale

Mondoanimale ◆ La scienza conferma l’unicità della superficie del «tartufo» canino che permette di identificare i singoli esemplari

Possiede fino a 300 milioni di recettori olfattivi, contro i circa sei milioni di noi umani, e la parte del suo cervello che analizza ed elabora i profumi è, in proporzione, quaranta volte superiore alla nostra: è il naso del cane (detto tartufo) la cui capacità olfattiva straordinaria che permette di identificare e discriminare gli odori è fino a centomila volte superiore a quella dell’essere umano. È certificato che i suoi recettori riescono a percepire circa mezzo milione di composti odorosi, anche se presenti in concentrazioni molto basse e impercettibili al nostro naso.

Il naso dei nostri cani è molto più di un semplice organo che permette di respirare e annusare: si tratta di uno strumento sensoriale molto sofisticato grazie al quale i cani, appositamente addestrati, sarebbero pure in grado di fiutare una serie di malattie umane, o comunque partecipare al rilevamento dei loro sintomi. Il tartufo canino è uno strumento sensoriale risultato di una lunga evoluzione che lo ha reso uno dei più potenti e precisi di tutto il regno animale.

La pelle del naso dei cani presenta una rete di strutture poligonali che mantengono il naso umido e facilitano la raccolta di molecole odorose e feromoni

Ciò che oggi la scienza ha dimostrato è che ogni cane ha un naso diverso dagli altri, dato che possiede una conformazione unica di linee e creste che vanno a creare una vera e propria «impronta digitale» di ciascun animale. Queste le conclusioni a cui è giunto un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Genetica ed Evoluzione della Facoltà di Scienze dell’UNIGE che, capitanato dal professor Michel Milinkovitch, ha studiato la pelle del naso di molti mammiferi (cani, furet-

Viale dei ciliegi

Gionata Bernasconi

Oceano

Einaudi Ragazzi (Da 11 anni)

«Anche Alice chiuse gli occhi, e i suoi pensieri volarono via risucchiati dall’immensità del cielo. Da lassù vide i loro corpi rannicchiati al centro del canotto. Poi due sagome, sempre più piccole e insignificanti. Infine, vide solo due puntini in mezzo all’Oceano». Uno zoom all’indietro, verso l’alto, apre e chiude questo romanzo, conferendogli una struttura circolare e quasi estatica – due fratellini alla deriva a confronto con l’infinito – perfetta per racchiudere con grande intensità il racconto di quattro giornate. Quattro giornate in mezzo all’oceano (anzi all’«Oceano», con la o maiuscola, perché anch’esso ha la forza di un personaggio), su un canotto, lottando per sopravvivere. La nave su cui viaggiavano si era incendiata, il padre, marinaio, aveva fatto appena in tempo a metterli su un canotto con poche provviste, affidandoli alle onde prima dell’esplosione: un tentativo disperato di dare ai propri figli una chance di sopravvivere. Di sopravvivenza parla infatti questa storia, facendoci vivere e sentire ogni dettaglio: il sapore del sangue sulle labbra riarse e spacca-

ti e mucche). Avvalendosi di tecniche di imaging e simulazioni al computer, il gruppo di ricerca ha analizzato in dettaglio la pelle del naso di molti mammiferi, scoprendo che contiene solchi formanti una moltitudine di poligoni. Nello specifico del cane: «La crescita irregolare dei diversi strati di tessuto porta alla formazione di cupole, sostenute dai vasi sanguigni sottostanti. Questo nostro lavoro descrive per la prima volta il processo di morfogenesi (ndr: comparsa di forme durante lo sviluppo embrionale) e potrebbe aiutare a spiegare la formazione di altre strutture biologiche associate ai vasi sanguigni».

Partiti dallo studio delle diversità di alcune specie animali e vegetali, gli scienziati si sono concentrati sempre più sull’unicità specifica del naso del cane: «Tutti gli esseri viventi hanno forme notevoli, alcune delle quali possono essere identificate dalla loro colorazione o dal loro disegno. Le zebre e i ghepardi si riconoscono per le ripetizioni geometriche del loro manto, mentre le pigne possono essere identificate per i loro motivi a spirale regolari. Alcune di queste forme sono il risultato di vincoli meccanici: la corteccia forma delle pieghe perché cresce più velocemente dello stato più profondo a cui è attaccata, ad esempio». Nello studiare l’evoluzione dei meccanismi di sviluppo alla base della complessità e della diversità delle specie, all’UNIGE si è quindi individuata la meraviglia che permea il naso del migliore amico dell’uomo, spiega il professor Michel Milinkovitch: «Trovare esempi per studiare la bellezza dei modelli negli esseri viventi è facile. Basta guardarsi intorno! Il nostro ultimo studio si concentra però sul naso del cane, la cui pelle presenta una rete unica di strutture poligonali».

Egli spiega che la pelle senza peli del rhinarium (naso) di molte specie di mammiferi presenta una rete di poligoni formati da scanalature nella

pelle, e nel cane sono particolarmente sviluppate: «Trattenendo i fluidi fisiologici, questi solchi mantengono il naso umido e, tra le altre cose, facilitano la raccolta di molecole odorose e feromoni». Ciò a conferma del fatto che il naso umido del cane è indice di salute: «In buone condizioni di salute, il naso del cane appare generalmente umido e fresco, la sua superficie umida svolge un’importante funzione termoregolatrice: il rhinarium si raffredda naturalmente, aiutando l’animale a dissipare il calore e contribuendo a mantenere stabile la temperatura corporea, elemento fondamentale dato che i cani non sudano. Inoltre, l’umidità di tutta questa rete di strutture poligonali che aumentano sensibilmente la superficie nasale serve a cat-

turare le particelle odorose nell’aria, migliorando la percezione olfattiva». Una raffinata ed enorme superficie: «Grazie a un’area detta “organo di Jacobson” essa è specializzata nel rilevamento di feromoni che permettono ai cani non solo di comunicare fra loro, ma anche di riconoscere segnali di altri animali, valutare lo stato emotivo di altri cani e riconoscere potenziali partner».

L’équipe del professore ha lavorato in collaborazione con l’Università Paris-Saclay, con l’école Nationale Vétérinaire d’Alford e l’Institut de Neurosciences de San Juan de Alicante, scoprendo che «durantel’embriogenesi compaiono reti poligonali di pieghe nell’epidermide (ndr: lo strato esterno della pelle) che si so-

vrappongono sistematicamente a una rete sottostante di vasi sanguigni rigidi situati nel derma (ndr: lo strato profondo della pelle)». La ricercatrice Paule Dagenais riassume: «Questo grande lavoro di formazione del naso avviene nello sviluppo embrionale e mostra che lo stress meccanico generato dalla crescita eccessiva dell’epidermide si concentra nelle posizioni dei vasi, a formare punti di appoggio rigidi. Gli strati epidermici vengono quindi spinti verso l’esterno, formando cupole». Milinkovitch conclude: «Questi risultati ci spiegano l’unicità, la complessità e l’individualità del naso canino, e aiuteranno a capire la formazione di altre strutture biologiche associate alla presenza di vasi sanguigni».

te dal sole, la fatica di procurarsi del pesce, e di mangiarlo crudo, il percepirsi prede, e predatori, l’affrontare la tempesta, il tenere a bada la vertigine cupa dei pensieri. Ma non è solo una storia di sopravvivenza, questo romanzo in cui lo scrittore ticinese Gionata Bernasconi dà prova di una scrittura vigorosa e matura, condotta con accurata essenzialità: oltre alla dimensione avventurosa, di sopravvivenza, è percepibile in filigrana anche una profonda dimensione simbolica. Alice e Milo, dentro il perimetro di quel canotto, devono diventare grandi, da soli. Il padre non può più pro-

teggerli, ora la navigazione è la loro. Ad avere il duro compito di guidare quella navigazione è Alice, personaggio interessante e drammatico di adolescente che non ha più l’ingenuo candore infantile che contraddistingue il fratellino Milo, ma che quel candore si trova a tratti – quando è confrontata con l’angoscia disperante della loro situazione – a rimpiangere. Alice deve indurire il suo cuore, e lottare anche per il fratellino: lo farà in modo pratico e risoluto, con azioni incisive per non soccombere, ma lo farà anche con la tenerezza del gioco, quel gioco simbolico del «facciamo che eravamo», per prendersi cura del fratellino, proteggendolo, con le risorse dell’immaginario, dalla brutalità del reale. Facciamo che eravamo pirati, facciamo che ci salveremo. E questo accudimento farà percepire al piccolo Milo, ma anche ad Alice, commovente personaggio di ragazzina che assume su di sé il dolore, e anche a noi lettori, quanto sia grande la forza dell’amore.

Eleonora Fornasari

Il barattolo dei desideri

Il Castoro (Da 8 anni)

«La magia è dentro di voi. Quando trasformate i desideri in sogni e i sogni in realtà». Sull’importanza di riconoscere i propri desideri, e sul coraggio di perseguirli, s’impernia questo romanzo, e non è il primo, certamente, ma anch’esso si guadagna un posto d’onore nel novero di storie su questo tema: prima di tutto perché è rivolto non agli adolescenti – fascia d’età per la quale il tema è maggiormente declinato – ma ai bambini della scuola elementare, poi perché la vivace scrittura di Eleonora Fornasari ci rende molto credibile il piccolo Lollo, Lorenzo Cecconi, detto Cecco con spregio dal compagno di classe Martino, che lo bullizza, diremmo, perché Lollo balbetta, perché Lollo arrossisce, perché Lollo non è di quelli che Martino inviterebbe alle sue feste. Peccato che di mezzo ci si mettano i genitori, così Martino è obbligato a invitare Lollo, complicando ulteriormente le cose. Lollo può contare tuttavia su Margherita, la ragazzina forte e decisa appena arrivata in classe, e sul maestro Gabriele, che lo capisce e lo valorizza, ancorché osteggiato dalla rigida preside. Una storia di quotidianità scolastica e familiare, con guizzi quasi surreali quando le giornate di Lollo, temibili prima di affrontarle, diventano invece «giornate wow»… Al centro di tutto c’è un barattolo dei desideri che Lollo vince a una pesca di beneficenza. I desideri esprimibili sono tre, Lollo ne formula due, e lascia generosamente il terzo a Martino. Perché anche i «bulli» hanno una sofferenza, nascosta da qualche parte. E anche i grandi, genitori e maestri compresi. L’importante è avere fiducia in se stessi e nel fatto che i propri desideri possano diventare realtà, qualunque sia il barattolo dei desideri che abbiamo tra le mani, anche il meno «magico», o il più ammaccato. Mai dire mai.

di Letizia Bolzani

L’altropologo

Trent’anni di solitudine

Avevo conosciuto Chorowura Dramani nel 1983, quando era il capo del villaggio di Jang e primus inter pares fra i Grandi Elettori del Re di Gonja, la più grande formazione politica tradizionale del Nord del Ghana. Jang era la capitale di una sorta di regione autonoma dal potere del re proprio in quanto sede istituzionale del presidente del consiglio dei capi che nominava il Re. Jang è l’insediamento più antico di una regione che era allora conosciuta negli ambienti missionari come overseas, «oltremare», perché durante la stagione delle piogge rimaneva tagliata fuori dal resto del mondo da fiumi in piena e acquitrini. Quattro-cinque mesi che peraltro lasciavano poi emergere dalle acque piste impossibili: nella stagione secca occorrevano quattro-cinque ore di motocicletta per coprire i sessanta chilometri di selva che separavano Jang dalla strada principale. Insomma, un incubo per arri-

vare ad un villaggio isolato, sul confine del più grande parco nazionale del Ghana. Dei due anni che avrei passato a Jang ricordo le notti sdraiato sotto la zanzariera sul tetto della casa di fango che mi ospitava a guardare le stelle in cielo che mi sembrava ancora più immenso dell’universo. In lontananza le risate delle iene. Un angolo di mondo fuori dal mondo, Jang: anni intensi per il giovane Altropologo che alloggiava a casa di Kanitty, il figlio maggiore di Chorowura che abitava a fianco di suo padre. In quei due anni avevo avuto modo di conoscere Chorowura Dramani piuttosto bene. Era la personificazione esemplare di quanto uno si aspetti da un leader che sia un Capo. Aveva allora, forse, una cinquantina d’anni. Taglia media, asciutto e muscoloso. A differenza degli altri capi divisionali che si atteggiavano a giudici severi e guerrieri implacabili, lo sguardo di Chorowu-

La stanza del dialogo

ra restava impresso perché era mite e profondo, pensoso e quasi malinconico, specchio di un carattere pacifico e riflessivo. Sempre ultimo a parlare –e poco – nel consiglio degli anziani, era rispettato in tutta la regione. La sua casa era meta di quanti affrontavano il lungo cammino nella selva per chiedergli un giudizio e un consiglio. Chorowura Dramani era generoso, grande lavoratore sui suoi campi che coltivava personalmente ebbe a dirmi un giorno: «Vedi, io sono povero perché tutto ciò che mi resta, dopo che ho distribuito quel che ho alle mie quattro mogli, lo do a chi ne ha bisogno. Così – aveva concluso con un sorriso e gli occhi che brillavano (il ricordo mi è chiaro) – tutti sono in debito con me e mi vogliono bene». Non ero più tornato a Jang. Ma quando quest’anno venni a sapere che il Capo era ancora vivo – a centouno anni – decisi di andare compiere la litur-

«Nostro nipote non ci aiuta, siamo disorientati»

Gentile professoressa, non sono più giovane: ho 82 anni. Sono figlia unica e per tutta l’infanzia ho sofferto di solitudine perché i miei genitori, nonostante avessero fratelli e sorelle, dopo lunghe, penose cause per la suddivisione delle eredità, non sono più riusciti a stabilire rapporti affettuosi, anche se abitiamo tutti nella stessa città. Ho sempre invidiato chi aveva cugini perché tra parenti la relazione può essere più frequente e continua rispetto a quelle con le amiche.

Per molti anni l’affetto di mio marito, di due figli e tre nipoti mi è bastato. Abbiamo trascorso anni felici. D’estate portavamo con noi i nipotini al mare e in montagna, d’inverno sulla neve a sciare. Il pranzo della domenica dai nonni era una sicurezza. Eravamo sempre disponibili, anche per richieste all’ultimo minuto. La nostra casa è piena di foto e ricordi di quella bella stagione della vita. Ora il nucleo familiare si è un po’ dis-

solto: nostro figlio abita a Londra con la bambina e ci vediamo solo alle feste comandate. La figlia invece è cambiata e, da affettuosa è diventata sempre più nervosa e preoccupata che graviamo sul nipote, ventenne, che abita nella nostra stessa casa. Tanto che quando abbiamo chiesto al ragazzo di aiutarci a organizzare la festa per gli ottant’anni del nonno ci ha risposto che doveva studiare. Siamo disorientati e le chiediamo un aiuto per capire. Grazie. / Enza

Cara Enza, non sei sola. Siamo molti a essere disorientati. Sono innumerevoli le pubblicazioni che inneggiano alla vecchiaia e alla «nonnità», come fossero una festa. Io stessa ho raccolto testimonianze di nonne e nonni felici (con qualche eccezione) nel mio libro Nuovi nonni per nuovi nipoti: La gioia di un incontro. Ma, come sapevano i nostri antenati, i periodi della

La nutrizionista

vecchiaia sono due: il primo è quello della vecchiaia vissuta in autonomia, attività, donatività. Nell’Ottocento finiva a settant’anni, ora le cose sono cambiate. Uno stile di vita più sano, lo sport, le cure farmacologiche ci permettono di prolungare la nostra autonomia sino agli ottant’anni e oltre.

Ma, ad un certo punto cambia la condizione esistenziale, subentra una sorta di «quanta età» in cui si fa avanti, sempre più rapidamente, un bisogno di attenzione e di accudimento. A questa domanda possono rispondere le istituzioni sanitarie e i supporti privati, come le badanti, ma per quanto la risposta sia efficace, manca sempre qualche cosa: l’affetto dei familiari, la loro riconoscenza. Nel vostro caso avete chiesto al nipote, che abita nella vostra stessa casa, non cure fisiche o materiali, ma di aiutarvi a organizzare la festa per il complean-

Si può essere allergici ai funghi?

Buongiorno Laura, temo di essere allergica ai funghi perché sto male quando li mangio. Mi vengono crampi alla pancia e nausea, e ho spesso il raffreddore e il naso che cola. Anche quando vado nei boschi spesso starnutisco. Mi chiedo se possa essere possibile essere allergici ai funghi perché non l’ho mai sentito, e soprattutto mi chiedo a cosa potrei prestare attenzione. La ringrazio e saluto cordialmente. / Marzia

Buongiorno Marzia, in generale posso dirle che l’allergia ai funghi è rara ma può colpire chiunque, indipendentemente dall’età e dall’ambiente in cui si trova. Tuttavia, alcuni fattori possono aumentare la probabilità di sviluppare l’allergia, questi includono una storia familiare di allergie, allergie alimentari esistenti o una predisposizione a condizioni allergiche come asma, eczema o allergia alle muf-

fe a causa della potenziale reattività incrociata tra proteine di funghi e muffe.

Quando un individuo sensibile ingerisce, inala o tocca i funghi, il suo sistema immunitario lo identifica erroneamente come una sostanza nociva, portando a una reazione allergica. I sintomi possono comparire poco dopo aver consumato funghi o aver inalato le spore di funghi e possono variare a seconda dell’individuo e della gravità dell’allergia. Ad alcune persone possono manifestarsi come prurito, orticaria, gonfiore delle labbra, viso o gola e disagio gastrointestinale come nausea, vomito o diarrea ad altre invece un’inalazione di spore di funghi nell’aria può portare a un’allergia respiratoria, causando sintomi come starnuti, tosse, respiro sibilante e mancanza di respiro. Questi sintomi possono essere particolarmente problematici se si hanno condizioni

gia del Saluto al Capo proprio come, ormai sono cinquant’anni, facevo tutte le mattine. Le strade sono migliorate e i sessanta chilometri di pista si coprono in quaranta minuti di piacevole percorso. Poi la sorpresa: il villaggio di Jang, che ricordavo popoloso, con frotte di bambini, era quasi deserto. Fra le rovine delle tradizionali case locali spiccavano qua e là le orribili, malsane casette di cemento e lamiera stile cinese che hanno distrutto l’anima del tessuto abitativo indigeno. Un paio di giovani che non conosco e mi guardano curiosi mi accompagnano alla nuova casa del Capo («il Palazzo» – lo chiamano). Un orrendo bungalow senza stile e senza concetto, nella hall cavernosa e buia dove Chorowura Dramani già allertato mi attendeva. «Il Capo è cieco, dunque stiamo al buio»: così Gince, l’unica ancora vivente delle quattro mogli. Unica persona che ho avuto modo di vede-

re in un villaggio deserto. Un incontro emozionante. Il Capo mi abbraccia – impensabile allora – e mi palpa per assicurarsi che… «Sì, sei proprio tu! Lo stesso naso lungo… la barba… la voce… E anche gli occhiali!». Sul muro, in cornice (cinese, pacchiana) un attestato di stima e riconoscimento per i servizi resi alla Corona in mezzo secolo bla…bla… scritto in un’inglese pomposo come solo in Ghana e firmato dal Re di Gonja. Mi viene il magone… «Vedi, il Governo trent’anni fa ha sistemato la strada. Volevano fermare la fuga dai villaggi rurali. Quello che è successo è stato invece che i giovani sono andati via tutti. Vanno a cercare lavoro al Sud. Tornano in pochi e non trovano mogli da sposare perché sono andate via anche le donne. Allora ripartono. Io sono rimasto da solo. E cieco. Gince ed io. In questa casa. Vedi?». Nel viaggio di ritorno avevo le lacrime agli occhi.

no del nonno. La sua indisponibilità ha costituito per voi una frustrazione.

L’ingratitudine fa male. Ma, credo, sia diverso il modo di reagire. I nonni, forse perché hanno dato meno, se ne fanno una ragione e si rassegnano, le nonne invece si tormentano e si chiedono «perché?».

Le motivazioni sono tante. Innanzitutto la fretta che caratterizza la nostra società, ma ad essa aggiungerei il narcisismo, un investimento di energie su se stessi. Si tratta di un ripiegamento indotto da rapporti sociali sempre più aridi. Circola poco amore nelle vene della nostra società.

Dopo gli anni magici dell’infanzia, i ragazzi si trovano ad affrontare percorsi di studi sempre più anonimi e impersonali, relazioni di lavoro basate sull’efficienza senza empatia, su una competitività che non prevede affettività. Vostro nipote non vi aiuta, non vi comprende, non perché sia

cattivo, ma perché è figlio dei suoi tempi, tempi che richiedono: memoria corta e buona salute. Non so, cara Enza, se questa analisi possa mitigare il suo disorientamento. Si possono realizzare, in ogni caso, mosse riparative come partecipare ad associazioni, quali Ava Eva, rivolte alla terza nonché alla… quarta età, adatte a condividere gioie e dolori. In fondo la vecchiaia è un privilegio, confermato, nel suo caso, dalla presenza di un marito che ha ancora voglia di festeggiare. Congratulazioni e auguri a entrambi.

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni

a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a info@azione.ch (oggetto «La stanza del dialogo»)

respiratorie preesistenti come l’asma. In casi rari un’allergia ai funghi può portare all’anafilassi, una reazione allergica grave e potenzialmente pericolosa per la vita. I sintomi dell’anafilassi includono difficoltà respiratorie, un polso rapido o debole, vertigini e perdita di coscienza. L’anafilassi richiede un’attenzione medica immediata, in quanto può rapidamente diventare fatale se non trattata tempestivamente. Se dovesse risultare allergica ai funghi dovrebbe innanzitutto evitare di consumare o di entrare in contatto con i funghi commestibili e le loro spore. È quindi buona prassi leggere attentamente le etichette degli alimenti perché essendo un allergene raro non c’è ancora nessuna legislazione con l’indicazione di segnalare i funghi e quindi non è messo in grassetto. È inoltre buona prassi pulire bene frutta e verdura ed evitare di ingerire alimenti

che sono palesemente andati a male. Alcuni studi indicano che anche alimenti come il Quorn potrebbero dare una allergia crociata essendo esso un alimento a base di micoproteina (proteina del fungo) e pure alimenti fermentati coi funghi potrebbero dare sintomi, come formaggi con muffa o alimenti asiatici come miso, tempeh perché derivati da funghi che fermentano la soia. Una reazione ai lieviti si è vista solo se c’era un’allergia alla muffa. Poiché le spore fungine, come i pollini, possono essere trasportate dal vento anche a grande distanza, si possono prendere anche degli accorgimenti generali per limitare l’esposizione all’aperto, meglio quindi evitare di frequentare soprattutto in autunno le aree boschive e le località con abbondante fogliame in decomposizione e di rastrellare le foglie secche e di restare a lungo all’interno di

serre. A casa è consigliabile mantenere il frigorifero pulito e ventilare regolarmente i locali. Per concludere, personalmente non posso dirle se sia allergica o meno, le consiglio di rivolgersi ad un allergologo così che possa effettivamente fare una diagnosi precisa e può anche vedere se ha una reattività crociata tra funghi e muffe. Le consiglio però di scrivere un diario alimentare dove riportare tutto quello che beve e mangia e i sintomi che potrebbero manifestarsi. Questo potrà essere d’aiuto al suo medico e anche a sé stessa per capire meglio quali alimenti riesce a tollerare e quali no.

Informazioni

Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a info@azione.ch (oggetto «La nutrizionista»)

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ATTUALITÀ

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La fine dell’Europa americana

Guerra in Ucraina ◆ Mentre si prospetta una trattativa diretta tra Russia e Stati Uniti cerchiamo di capire qual è la posta in gioco Lucio Caracciolo

Nessuno può stabilire ora come finirà il negoziato che dovrà imporre un cessate-il-fuoco (non la pace) in Ucraina, ma fin d’ora se ne possono intravvedere le due caratteristiche essenziali. Primo, sarà una trattativa diretta fra Russia e Stati Uniti, con gli ucraini in posizione ricevente o poco più. Secondo, gli europei della Nato, che insistono ad essere presi in considerazione, non lo saranno che pro forma. Questo significa che se il negoziato a due fallirà, la guerra continuerà più aspra di prima, almeno finché l’Ucraina avrà la forza di resistere e la Russia voglia di combattere. Ma quel che conta è soprattutto la riduzione del fianco europeo della Nato a comparsa, in un conflitto che si svolge ai suoi confini e nel quale i maggiori Paesi dell’Ue/Nato hanno molto investito sotto il profilo militare e propagandistico. Una lezione da studiare.

Si conferma qui, nella guerra che ci tocca più da vicino, la svolta trumpiana. Ovvero «America First». Con il corollario Europeans distant partners. Gli americani non hanno intenzione di mettere gli stivali sul terreno ucraino per proteggere la tregua even-

tuale. Sarà quindi molto difficile che ce li possano mettere gli europei della Nato, che senza l’appoggio americano hanno capacità operative molto limitate. E che rischierebbero di essere coinvolti nel conflitto senza copertura statunitense/Nato.

Ma c’è molto di più. Questa guerra ha evidenziato i limiti della potenza militare russa. Per quanto gli europei, soprattutto le avanguardia antirusse scandinave, baltiche e polacche insistano sul pericolo che Mosca voglia tornare a occupare parte del Continente, è evidente che Putin non ne ha né i mezzi né la voglia. Se vuole tenere insieme la Russia deve rimettere in piedi l’economia e riaffermare un grado di sovranità contro il rischio di scadere a junior partner della Cina. Se questa analisi è corretta – e per gli americani lo è – ne derivano importanti conseguenze strategiche.

Primo: per Washington scade la necessità di difendere il proprio impero europeo, incardinato nella Nato, contro la Russia. In ogni caso l’opinione pubblica americana non accetterebbe mai di avallare un nuovo sbarco in Normandia. Ne consegue che la

Nato non verrà smantellata, ma perderà di senso. Le grandi strutture resistono spesso all’esaurimento della propria missione. Probabilmente questa legge varrà anche per la struttura militare dell’Alleanza atlantica, che sopravvivrà a sé stessa. Da ente inutile, o quasi.

L’unità dell’Occidente, già latitante prima, oggi appare una figura dell’irrealtà

Secondo: per gli europei, come sempre divisi, si tratterà di dotarsi di un minimo di credibilità militare, ovvero deterrenza, che possa surrogare la scaduta cambiale americana. Questo perché in ogni caso continueremo a confinare con la Russia, che significa in buona misura – vista la debolezza russa – assistere alla crescente penetrazione della Cina attorno e dentro il nostro spazio. Compito per il quale siamo culturalmente impreparati, dopo decenni di devoluzione al Grande fratello a stelle e strisce della nostra sicurezza.

Terzo: l’Ucraina senza protezione americana sarà sempre esposta all’in-

fluenza russa, a meno che la Federazione russa non imploda (nel qual caso fronteggerebbe insieme caos e Cina). Quando Trump osserva che prima o poi l’Ucraina potrebbe tornare tutta sotto Mosca, fotografa questa minaccia con crudo realismo. D’altronde, vista da Washington, la questione ucraina è poco più di una nota a piè di pagina. Il lettore noterà che nel giro di un paio di settimane tutta la retorica che ha accompagnato l’approccio occidentale alla difesa dell’Ucraina contro l’aggressione russa è scaduta a lontano ricordo. Niente Kiev nella Nato, niente intangibilità dei confini ucraini del 1991, niente battaglia di civiltà, scontro fra democrazia e autocrazia eccetera. Come mai? Gli storici diranno. Noi oggi possiamo solo osservare che la nostra retorica non era sostenuta da una forza né da una volontà credibili. La premessa logica e fattuale del nostro approccio era l’unità dell’Occidente. Già latitante prima, oggi appare una figura dell’irrealtà. Con l’America preoccupata anzitutto di sanare la sua crisi di identità e gli europei strutturalmente divisi, privi di leadership, di

forze armate efficienti e di disponibilità a battersi, l’Occidente scade a categoria dello spirito. In termini strategici, non esiste più. Probabilmente ha cessato di esistere con la vittoria sull’Unione sovietica, nel 1991, che però derivava dal suicidio sovietico, non dalla nostra volontà e capacità di gestire lo spazio continentale in assenza di un Nemico unificante. In ogni caso, la guerra di Ucraina, comunque finisca, illustra la fine dell’America europea. Quindi anche dell’Europa americana.

Tutto questo cadrà anzitutto sulle spalle degli ucraini. Due volte vittime: dell’aggressione russa e della nostra ipocrisia. Purtroppo lo scenario che si profila segue un vecchio schema, il cui ultimo esempio è stato quello afghano. Gli occidentali, ovvero l’America più qualche europeo, promettono a un popolo in lotta contro i loro nemici –siano essi jihadisti, imperialisti russi o che altro – che lo sosterranno fino alla fine. Poi le cose si mettono male, sicché scoprono che in fondo per quel popolo non hanno sufficiente passione per rischiare le proprie vite preziose, quindi salutano. Con tanti auguri.

Nessuno può stabilire come finirà il negoziato.
Si tratterà di una trattativa fra Russia e Stati Uniti, con gli ucraini in posizione ricevente o poco più. Gli europei della Nato saranno presi in considerazione solo pro forma. (Keystone)

Uno spazio di libero pensiero in tempi bui

Medio Oriente ◆ Il caso dell’Educational bookshop di Gerusalemme – che vende testi letterari, di cultura palestinese e sulla storia del conflitto – vittima di rappresaglie della polizia israeliana e la recensione di Tre mondi. Memorie di un arabo-ebreo di Avi Shlaim

Sarah Parenzo

Mentre il primo ministro Netanyahu è stato nuovamente chiamato al banco dei testimoni al processo di corruzione a suo carico, gli israeliani hanno trascorso la settimana con il fiato sospeso a causa del vacillare del fragile accordo sulla restituzione degli ostaggi e il cessate-il-fuoco, messo a repentaglio anche dalle minacce di Trump e dal suo nuovo inquietante piano su Gaza. Ovvero: gli Usa dovrebbero prendere il controllo della Striscia e i circa due milioni di persone palestinesi che ci vivono dovrebbero andarsene.

Gli israeliani hanno trascorso la settimana con il fiato sospeso a causa del vacillare del fragile accordo sulla restituzione degli ostaggi e il cessate-il-fuoco

Contemporaneamente i riflettori dei media sono stati puntati sull’Educational bookshop (Eb) di Gerusalemme est dopo che, domenica 9 febbraio, è stato oggetto di un violento raid della polizia israeliana. Ultimamente dedita alla caccia alle streghe, quest’ultima ha fatto irruzione nella libreria (che ha tre sedi vicine) seminando scompiglio, confiscando materiale e arrestando i gestori Mahmoud e Ahmad Muna, rispettivamente zio e nipote, sospettati di vendere testi di istigazione e sostegno al terrorismo.

Fondato nel 1984 l’Eb è una vera e propria istituzione per ogni diplomatico, giornalista, attivista o ricercatore che si trovi a passare in via Salah Al Din, o a risiedere nell’hotel American Colony, dove hanno sede i negozi che offrono una vasta gamma di testi letterari, di cultura palestinese e sulla storia del conflitto in tutte le lingue. La presenza sugli scaffali delle maggiori opere di letteratura e saggistica ebraica e israeliana è inoltre indice dell’indiscutibile atmosfera di tolleranza e convivenza che consente ai frequentatori palestinesi, israeliani e internazionali di incontrarsi e dialogare, scambiando idee e allargando le prospettive. Non solo, ma i membri della famiglia Muna sono a loro volta intellettuali preparati e, per esperienza personale, posso testimoniare che sanno essere anche preziosi consiglieri quando si tratta di orientarsi nella scelta dei testi.

Così, mentre a Mahmoud e Ahmad è fatto divieto di recarsi in libreria per non «ostacolare le indagini in corso», mi auguro di onorare il loro lavoro recensendo uno degli ultimi libri da me acquistati all’Educational bookshop: Three worlds. Memories of an Arab-Jew (in italiano Tre mondi. Memorie di un arabo-ebreo) dello storico del Medio Oriente Avi Shlaim, che sfida la narrazione sionista sulle reali cause della massiccia emigrazione in Israele dei profughi iracheni in quella che è stata definita la Nakba ebraica o la Grande Aliyà. Il memo-

riale politico e personale di Shlaim è strutturato come un viaggio geografico e culturale che ha luogo nel corso dei suoi primi diciotto anni trascorsi in tre città: l’irachena Baghdad, l’israeliana Ramat Gan e l’inglese Londra. La prima parte, dedicata alla vita in Iraq, dove la sua famiglia privilegiata conduceva uno stile di vita molto agiato contornata da personale di servizio, risuona come un inno nostalgico e struggente: «Eravamo ebrei arabi. Vivevamo a Baghdad ed eravamo ben integrati nella società irachena. Parlavamo arabo a casa, i nostri costumi sociali erano arabi, il nostro stile di vita era arabo, la nostra cuci-

na era squisitamente mediorientale e la musica dei miei genitori era un’attraente miscela di arabo ed ebraico… Noi della comunità ebraica avevamo molto più in comune, linguisticamente e culturalmente, con i nostri compatrioti iracheni che con i nostri correligionari europei».

La discendenza ebraica in Mesopotamia risale addirittura all’epoca babilonese, anticipando di un millennio l’ascesa dell’Islam. Negli anni 80 dell’Ottocento a Baghdad si contavano 55 sinagoghe e, di tutte le comunità ebraiche nell’Impero Ottomano, quella irachena era la più integrata nella società locale, e la sua influenza era evidente in ogni ramo della cultura e dell’economia, grazie ad una tradizione cosmopolita di rispetto reciproco e cooperazione, lontana dai ghetti e dalle persecuzioni cristiano-europei. In seguito alla fondazione dello Stato d’Israele, tuttavia, benché il Consiglio generale della comunità avesse inviato un telegramma all’Onu opponendosi alla risoluzione di spartizione e alla creazione di uno Stato ebraico, gli ebrei iracheni erano ormai ampiamente sospettati di essere sostenitori del sionismo che nel luglio 1948 si tradusse reato. Tale ondata di ostilità ebbe immediati risvolti economici che spinsero molti ebrei ad abbandonare il Paese, fino all’esodo di massa degli anni 1950/1951. Shlaim tuttavia sostiene che l’Iraq fu delibe-

ratamente reso insicuro per gli ebrei dopo il 1948 affinché emigrassero in Israele per svolgere i lavori più umili, per sostenere lo sviluppo industriale e agricolo, e ingrossare le fila dell’esercito. A favorire la partenza sarebbe stata un’ondata di cinque bombardamenti di obiettivi ebraici a Baghdad, tre dei quali, secondo gli esami dello storico, opera degli stessi ebrei sionisti iracheni.

All’arrivo in Israele gli ebrei orientali venivano irrorati con pesticidi DDT e poi condotti in campi di transito squallidi e insalubri

Le critiche di Shlaim all’establishment ashkenazita proseguono con la descrizione dell’ingresso in Israele che dipinge come una discesa economica, sociale e identitaria. Già all’arrivo in aeroporto gli ebrei orientali venivano irrorati con pesticidi DDT e successivamente condotti in campi di transito squallidi e insalubri, circondati da filo spinato e sorvegliati dalla polizia. Da lì le famiglie venivano costrette a stabilirsi in zone periferiche desertiche o di confine per rimpiazzare la popolazione palestinese cacciata dai propri villaggi. Giunto in Israele nel 1950, all’età di 5 anni, lo storico racconta di aver sofferto per la discriminazione e la denigrazione della

sua lingua e di essere stato sottoposto ad un violento lavaggio del cervello per conformarsi al modello europeo. Terminato il servizio militare, Shlaim si trasferirà a studiare in Inghilterra anche grazie alla lungimiranza della madre, straordinaria coprotagonista del racconto, che aveva compreso la sua infelicità e il suo disagio. Gli studi e le testimonianze sulla sostanziale integrazione degli ebrei nei Paesi arabi fino 1948 mettono in discussione l’abuso della simmetria tra il destino dei mizrahim, gli ebrei orientali, e quello dei palestinesi, che dipinge gli ebrei come vittime della persecuzione araba endemica e Israele come rifugio salvifico. Non solo, ma allo stato attuale della crisi, il contributo di Shlaim e di altri come lui costituisce anche uno dei migliori modelli di cui disponiamo per immaginare un futuro migliore per israeliani e palestinesi, e coltivare così uno spiraglio di speranza. Da qui l’importanza di proteggere dalla censura del totalitarismo una libreria che, consentendo la circolazione di voci critiche silenziate, simboleggia uno spazio di libero pensiero, democratico, non gerarchico e soprattutto consolatorio per le anime che attraversano tempi bui loro malgrado.

Bibliografia

Avi Shlaim, Three worlds. Memories of an Arab-Jew, Oneworld Publications, 2023. azione

Redazione Carlo Silini (redattore responsabile)

Simona Sala

Barbara Manzoni

Manuela Mazzi

Romina Borla Ivan Leoni

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI)

Telefono tel + 41 91 922 77

«La Svizzera deve impegnarsi di più»

Riscaldamento globale ◆ Secondo Norma Bargetzi-Horisberger delle Anziane per il clima è necessario ascoltare gli scienziati con maggiore attenzione, stabilire un bilancio di CO2 realistico e adottare in fretta misure concrete per salvare il pianeta

Il 9 aprile 2024 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha decretato che, non impegnandosi abbastanza per contrastare il riscaldamento globale, la Svizzera viola i diritti delle persone anziane. In particolare l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo o CEDU (diritto al rispetto della propria vita privata e familiare). Il tribunale internazionale ha dunque riconosciuto lo status di vittima all’associazione Anziane per il clima che, sostenuta da Greenpeace, l’aveva interpellato. Una vittoria storica per le attiviste: era la prima volta che Strasburgo sosteneva esplicitamente il diritto alla protezione del clima. Ma cos’è successo da allora? «I giochi restano aperti», afferma Norma Bargetzi-Horisberger, classe 1955, nel comitato di Anziane per il clima dal 2020 quale rappresentante della Svizzera italiana. «Dopo la sentenza che ci ha dato ragione c’è stata una forte reazione da parte della politica. Alcuni hanno addirittura chiesto alla Confederazione di abbandonare il Consiglio d’Europa: i giudici si sarebbero fatti manipolare... Sono state interpellate le Commissioni giuridiche delle due Camere del Parlamento e, a dominare, è stata la volontà di negare il monito di Strasburgo. Siamo pertanto costernate. La Corte europea dei diritti dell’uomo è l’istanza superiore a cui chiunque può rivolgersi, dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, in caso di violazione della CEDU che – lo ricordo – è stata ratificata dalla Svizzera nel 1974. Le sue sentenze sono definitive e vincolanti. Non dar loro seguito significa violare lo stato di diritto».

Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sono definitive e vincolanti. Non dar loro seguito significa violare lo stato di diritto

In pratica, Berna ha stilato un rapporto sulla sentenza, sottolineando i passi compiuti sulla questione climatica e chiedendo sostanzialmente di «chiudere il caso». Il documento verrà esaminato a inizio marzo dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa (organo con la funzione appunto di garantire che i 46 Stati membri diano esecuzione alle sentenze della Corte). Ma, secondo Anziane per il clima e una trentina di altre Ong, la Svizzera è ben lungi dall’avere posto rimedio alla violazione dell’articolo 8 della CEDU: «Le modifiche legislative apportate dopo la sentenza – e indipendentemente dalla sentenza – non soddisfano i requisiti per una protezione del clima rispettosa dei diritti umani». Come dovrebbe muoversi, quindi, la Svizzera? «In primo luogo considerare più seriamente cosa dice la scienza», osserva Bargetzi-Horisberger. «I dati sono allarmanti». Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e il primo a oltrepassare la soglia di +1,5°C rispetto all’era preindustriale, ha dichiarato il Servizio europeo sui cambiamenti climatici di Copernicus. Secondo i suoi calcoli, l’aumento è stato di circa 1,6°C. La soglia di 1,5°C è stata superata anche nel biennio 2023-2024, a dimostrazione di un riscaldamento che non ha precedenti nella storia moderna. Se non si pone rimedio, sostiene l’Emission Gap Report 2024 delle Nazioni unite, la cre-

scita della temperatura potrebbe essere di 2,6-3,1°C entro questo secolo. L’umanità è stata avvertita, hanno osservato diversi esperti, tra cui Johan Rockström, direttore dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico: «Abbiamo avuto un primo assaggio di un mondo oltre la soglia di 1,5°C, con sofferenze senza precedenti per le persone e costi notevoli per l’economia globale legati all’aumento degli eventi meteorologici estremi». Ovvero ondate di calore, alluvioni, uragani, incendi ecc. Tornando a Bargetzi-Horisberger: «In questo contesto legiferare non basta. I tempi di attuazione delle nuove norme sono troppo lenti. Bisogna mettere in atto azioni e strategie efficaci il più in fretta possibile. Non ci si può permettere di aspettare». Altro elemento da con-

siderare, per l’intervistata, è la sostenibilità dei progetti in cui la Svizzera, le sue banche e le assicurazioni investono: «Non si può chiudere gli occhi per questioni di mero interesse». Sappiamo che le emissioni di gas serra dovute alle attività umane (dall’energia ai trasporti, dall’industria agli allevamenti) stanno contribuendo al riscaldamento globale a livelli che minacciano l’equilibrio del nostro pianeta, continua la nostra interlocutrice. «La Svizzera deve definire tempestivamente sia un carbon budget (bilancio di CO2) compatibile con l’idea di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, come auspica l’Accordo di Parigi sul clima, sia un corrispondente adeguamento degli obiettivi climatici. E il suddetto bilancio

deve essere realistico, deve cioè comprendere sia le emissioni entro i confini nazionali sia quelle necessarie a produrre ciò che importiamo».

Trump e l’Accordo di Parigi

Intanto dal mondo arrivano notizie poco rassicuranti. Un esempio: con l’ordine esecutivo firmato nel giorno del suo ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha portato gli Stati Uniti – il secondo maggior produttore mondiale di emissioni di gas serra, dopo la Cina – fuori dall’Accordo di Parigi contro il cambiamento climatico. Ha inoltre abolito molti dei limiti e degli incentivi per ridurre l’uso dei combustibili fossili. Per tornare nella Confederazione: lo scorso 9 febbraio

L’obiettivo della Svizzera: ridurre le emissioni del 65% entro il 2035

Intanto, nella sua seduta del 29 gennaio scorso, il Consiglio federale ha approvato il nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni nell’ambito dell’Accordo di Parigi (dopo l’entrata in vigore il 1° gennaio della Legge sul clima e l’innovazione). Entro il 2035 la Svizzera vuole ridurre le proprie emissioni di gas serra di almeno il 65% rispetto al valore del 1990, in media del 59% negli anni 2031-2035, principalmente attraverso misure nazionali. In linea con l’Accordo di Parigi, i nuovi obiettivi sono stati inaspriti rispetto al periodo precedente 20212030: riduzione delle emissioni di almeno il 30% tramite misure attuate in Svizzera, mentre il rimanente 20% può essere ottenuto median -

te riduzioni delle emissioni all’estero. La Legge sul clima e sull’innovazione – approvata dal popolo nel 2023 – definisce il quadro della politica climatica elvetica e comprende obiettivi intermedi per la riduzione delle emissioni di gas serra nei principali settori: edifici, trasporti e industria. «La Confederazione e i Cantoni devono assumere un ruolo esemplare – si legge sul sito del Dipartimento federale dell’ambiente – e, se possibile, presentare un saldo netto delle emissioni pari a zero già nel 2040. A questo scopo sono previsti due strumenti di promozione a tempo determinato. Beneficiano di un sostegno finanziario la sostituzione di impianti di riscaldamento alimentati da vettori energetici fossili con si -

l’iniziativa «per la responsabilità ambientale» promossa dai Giovani Verdi è stata respinta dal 69,8% della popolazione; una decina di giorni prima il Consiglio federale ha affossato il fondo per il clima… «Quando si tratta di individuare delle misure concrete la popolazione ha paura», afferma Bargetzi-Horisberger. «Non piace l’idea di dover fare delle rinunce. Si punta alla crescita economica senza limiti. L’interesse domina il discorso politico, ha priorità assoluta. Ho l’impressione che ci sia molta rassegnazione: “Cogliamo quel che si può e del futuro saranno altri ad occuparsene”. Molti non hanno capito che non si tratta di rinunciare a qualcosa, ma di cambiare paradigma rispetto ai propri atteggiamenti di consumo, per contrastare quello che di terribile sta avvenendo e non è ancora stato colto. Non vogliamo di certo tornare all’età della pietra, ma sviluppare progetti di lavoro, sviluppo e creatività sostenibili e innovativi. Si può insomma far funzionare l’economia – e bene – in un altro modo!».

Non piace l’idea di dover fare delle rinunce. Si punta alla crescita economica senza limiti. L’interesse domina il discorso politico, ha priorità assoluta

stemi rispettosi del clima e le imprese che utilizzano tecnologie innovative e rispettose dell’ambiente». Le ulteriori misure per il raggiungimento degli obiettivi climatici e per il potenziamento delle energie rinnovabili vengono messe in campo in leggi separate, come ad esempio la Legge sul CO2 (che non si basa su divieti ma su incentivi economici, investimenti nella protezione del clima e progresso tecnologico) e la Legge sull’energia (che ha tra gli scopi «promuovere l’impiego parsimonioso ed efficiente dell’energia; favorire il passaggio a un approvvigionamento energetico basato maggiormente sull’impiego delle energie rinnovabili, in particolare indigene»).

Questo discorso non è promosso solo dalle Anziane per il clima ma da molti altri movimenti e tanti giovani che si rimboccano le maniche per far capire anche ai «grandi» la necessità di agire in fretta. I segnali ci sono anche in Ticino e, da un paio di anni a questa parte, si sono fatti più forti, dice l’intervistata. Qualche esempio? «Si parla Verde alle giornate autogestite nelle scuole, a Bellinzona si svolge il Greenday, un’iniziativa in collaborazione con la Società ticinese di scienze naturali per approfondire il tema della sostenibilità e della conservazione della natura. A Lugano si tengono regolarmente dei Caffè climatici, incontri con il fine di sensibilizzare la popolazione e mettere in rete persone sensibili al tema (su Instagram trovate le informazioni). Promotore un docente in pensione, attivista di Extinction Rebellion. Il prossimo primo aprile organizzeremo a Comano una serata di sensibilizzazione insieme a IAMCLIMATE, associazione di giovani fondata nel 2022, impegnata nella difesa e protezione ambientale». «È necessario fornire informazioni, invitare le persone al dibattito e sensibilizzare le giovani generazioni», conclude Bargetzi-Horisberger. «Solo cambiando mentalità si possono cambiare i comportamenti. La natura ha una forza incredibile: bisogna imparare ad osservarla e rispettarla partendo da piccoli gesti quotidiani. Come chiudere i rubinetti per tempo o spegnere la luce quando non serve, riscaldare gli ambienti domestici a 21°C massimo, optare per i mezzi di trasporto pubblici, prestare attenzione a come sono fatti e confezionati i prodotti che si acquistano. Senza dimenticare di allargare lo sguardo, entrando nel campo della giustizia climatica: un approccio all’azione per il clima che si concentra sugli impatti ineguali dei cambiamenti climatici sulle popolazioni più o meno vulnerabili. Già, perché oltre alla natura bisogna rispettare le persone».

Tra le conseguenze del riscaldamento globale – dicono molti esperti – anche l’aumento degli eventi meteorologici estremi: alluvioni, ondate di calore, uragani, incendi ecc. (Keystone)

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Quella Svizzera felicemente neutrale

Prospettive ◆ Il saggio di Maurizio Binaghi è ricco di osservazioni e passaggi poco noti che potrebbero dispiacere ai «veri patrioti»

Ha fatto più che bene l’editore Laterza ad accogliere nella collana Fact Checking, la Storia alla prova dei fatti un volume sulla Svizzera, Paese neutrale (e felice), opera di Maurizio Binaghi, docente al Liceo 1 di Lugano nonché presidente dell’Associazione ticinese degli insegnanti di storia.

La collana in cui è inserito il saggio persegue l’intento di smascherare i luoghi comuni, gli usi strumentali del passato, le falsificazioni e mistificazioni inoculate come tossine nel dibattito politico. Questa la prima intenzione. Ma ce n’è, in questo caso, anche un’altra, e riguarda la volontà di colmare il deficit di conoscenza che ancora circonda questo strano Paese nel cuore dell’Europa, misterioso quanto complicato.

Certo, un titolo del genere può ingenerare qualche equivoco in chi non conosce lo spirito della collana. Potrebbe pensare ad un intervento apologetico, nel solco dei libri del francese François Garçon (La Svizzera, il Paese più felice del mondo). Non è questo il proposito che ha ispirato la ricostruzione di Binaghi, attento alle più recenti acquisizioni della storiografia d’oltralpe, indirizzi finalmente slegati dall’oleografia trasmessaci dalla storia patria. Studi come quelli di Maissen e Holenstein (disponibili anche in italiano), il Dizionario storico della Svizzera, i quindici volumi delle Sfide della Svizzera curati da Oscar Mazzoleni per l’editore Dadò e infine le iniziative dei Musei nazionali (Zurigo, Svitto, Prangins) hanno provveduto a svecchiare una narrazione che per troppo tempo è rimasta inchiodata agli schemi della difesa spirituale. La polverosa ripetitività che ne derivava non sembrava disturbare più di tanto: anzi, poteva tornare utile per non portare alla luce episodi che era meglio lasciare nell’ombra, come appunto il dogma della neutralità, i conflitti sociali, i lati oscuri delle vicende umane.

La neutralità si è rivelata funzionale all’azione politica e anche all’espansione della piazza finanziaria

Due aggettivi: neutrale e felice. Il primo è una categoria etico-politica; il secondo evoca uno stato d’animo. Come ha fatto, questo Staterello alpino, ad avvicinarli e ad accordarli, creando un gemellaggio concettuale che tuttora resiste, perlomeno in ampi strati dell’opinione pubblica? La neutralità, come Binaghi illustra ampiamente, non ha avuto vita facile nel concerto delle Nazioni. Per affermarsi e per infine elevarsi a divinità protettrice ha dovuto fare i conti con l’ostilità dei vicini, evitare di cadere in clamorose contraddizioni, dar prova di duttilità senza rinnegare il principio che la ispira. L’impresa non è sempre andata a buon fine, specialmente durante l’era napoleonica e le due spaventose guerre mondiali che hanno insanguinato il Novecento. Ciò nonostante la neutralità è rimasta infissa nella memoria collettiva come caposaldo irrinunciabile, anche perché si è rivelata funzionale all’azione politica, sia interna che esterna. Funzionale anche all’espansione della piazza finanziaria, intesa come oasi in cui era possibile svolgere operazioni bancarie in un contesto discreto, privo di interferenze e dietro impenetrabili conti cifrati. Anche in questo ambito

la Svizzera ha saputo istituire un’armonia tra la neutralità e la tutela della sfera privata: legame che ha retto a lungo, fino all’abbandono del segreto bancario su pressione degli Stati Uniti e del Congresso ebraico mondiale. Felicità: anche qui siamo al cospetto di un percorso plurisecolare, che prende forma nel Settecento, il secolo dei lumi. I «philosophes» francesi dell’Enciclopedia sono tra i primi a riconoscere questo carattere eccezionale e a descriverlo. Scrive l’autore della voce “Suisse”, le Chavalier de Jaucourt: «So che la natura, altrove così generosa [libéral], non ha fatto nulla per questa contrada, eppure gli abitanti ci vivono felici; le solide ricchezze derivanti dalla coltivazione della terra sono raccolte da mani sagge e laboriose». Da quel momento quel popolo alpino, prima sprezzato nelle corti reali europee come generatore di rozzi vaccari e feroci alabardieri, assurge a figura esemplare, umile e proba, pronta a radunarsi sotto le fronde di una quercia quando si tratta di sbrigare gli affari che riguardano l’intera comunità. L’«homo alpinus» disdegna il lusso, odia lo sfarzo e non cade nei vizi che tanto ammorbano la vita nelle città.

Associare la felicità agli umori di un popolo può risultare azzardato.

E tuttavia anche questa associazione dà i suoi frutti nelle formule ufficia li dell’autorappresentazione. Funzio na a lungo, finché nel secondo dopo guerra alcuni intellettuali (scrittori come Max Frisch, filosofi come Ar nold Künzli, giuristi come Max Im boden, storici come Otto Marchi) iniziano a decostruire alcuni radicati miti, sia quelli originari (le presunte gesta eroiche di Tell), sia quelli pro dotti da un’acritica celebrazione delle virtù elvetiche. Si parla di «malaise», di disagio, di dittatura del patriotti smo, di un Paese retto da una ristretta élite civile e militare, autoreferenzia le e poco trasparente. Perfino un mo derato come Rudolf von Salis invita a comprendere le ragioni dei nascen ti movimenti giovanili di protesta che poi sfoceranno nei moti del 68. Il libro di Binaghi è ricco di in formazioni, di passaggi poco noti, di osservazioni che magari dispiaceran no ai «veri patrioti». Non è una vera e propria contro-storia della Svizze ra, ma un’esposizione piana fondata su una larga conoscenza delle ricerche finora prodotte dagli studiosi confe derati di lingua tedesca e francese. È curioso, ma dopo il 1969 (l’anno in cui escono i due tomi di Calgari-Agliati), nessun altro storico ticinese ha osato cimentarsi con un lavoro di sintesi.

e S. Antonino, cerchiamo

Responsabile Team

(f/m/d)

(settori: amministrazione/casse, do it, giardinaggio, logistica)

Tasso occupazionale

80/100%

Data di inizio Da convenire

Mansioni

Responsabilità e gestione organizzativa del settore attribuito; Collaborazione ed interazione con gli altri responsabili e settori del punto vendita; Servizio diretto alla clientela compresi casi complessi e servizio post-vendita; Partecipazione al raggiungimento degli obiettivi della filiale; Mantenimento degli standard di vendita con focus sul servizio al cliente; Conduzione del personale compreso sviluppo «on the job» del proprio team; Verifica ed applicazione processi filiale, gestione merce e sicurezza; Mantenimento dei contatti con i referenti della centrale amministrativa.

Requisiti

Formazione nel ramo (AFC o superiore) o esperienza equivalente; Esperienza di conduzione o coordinamento di un team; Buone conoscenze degli applicativi informatici standard; Lingua italiana ottima e tedesco parlato e scritto almeno B1 (livello europeo); Attitudine al lavoro di gruppo e all’organizzazione delle attività; Facilità nei rapporti interpersonali con clienti e colleghi; Gestione strutturata delle priorità e spirito d’iniziativa; Buona resistenza a forti carichi lavorativi.

Candidature Da inoltrare collegandosi al sito www.migrosticino.ch, sezione «Lavora con noi» - «Posizioni disponibili».

Jon Hoefer / Pixabay
Per i Centri OBI di Agno
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CULTURA

I deliri filosofici di Thomas Bernhard L’autore austriaco, ripubblicato da Adelphi, ci racconta personaggi ossessionati da idee maniacali e destini votati alla sconfitta, tra farneticazioni e genialità

Il fascino senza tempo del New England Cape Ann, gioiello del Massachusetts, ha attratto artisti grazie alla sua luce straordinaria e alla storia legata alla pesca, con luoghi magici come Gloucester

Il trasformista dell’assurdo

Vite da ridere (o quasi) ◆ Con le sue provocazioni, Andy Kaufman ha ridefinito il concetto stesso di comicità, lasciando un’eredità unica e controversa

«Lo sketch più audace del programma ha come protagonista il comico Andy Kaufman, che mise in scena una performance bizzarra. Andy, visibilmente a disagio, avvia un fonografo che riproduce il tema musicale del cartone animato The Mighty Mouse. Rimane immobile fino alla terza riga del testo, quando Mighty Mouse ruggisce: “Here I come to save the day! ” (“Eccomi qui per salvare la situazione!”). A quel punto, Andy si risveglia dalla sua trance e mima quella battuta, sorridendo, piegando le ginocchia e fendendo l’aria con la mano. Poi si placa di nuovo, camminando nervosamente, abbassando lo sguardo con aria timida e versandosi tremolante un bicchiere d’acqua mentre la canzone continua. Il segmento, della durata di due minuti, avrebbe per sempre differenziato il Saturday Night Live dal resto del panorama televisivo». Così il premio Pulitzer Daniel De Visé (nel suo libro pluripremiato The Blues Brothers) descrive il primo vero e proprio debutto di questo anti-comico sulla TV nazionale americana.

Dalla TV al wrestling, dal comico timido al personaggio irriverente, Kaufman può essere considerato l’artista che ha ridefinito il concetto di performance

Che Kaufman fosse qualcosa di completamente diverso lo stava dimostrando già da alcuni anni, nei club newyorchesi prima e losangelini poi. L’ambiguità delle sue interpretazioni cominciò ad avere un’eco in particolare quando giunse nell’epico night club The Improv di New York: di volta in volta il pubblico poteva assistere a lui che mangiava un gelato (e basta!) o che leggeva (davvero!) Il Grande Gatsby… e quando la tensione arrivava al limite (ci è o ci fa?) – e qualcuno direbbe anche un po’ oltre – eccolo tramutarsi in un incredibile Elvis Presley o ne «Lo Straniero», il suo personaggio più amato, un amabile e goffo comico dalla voce acuta che fa ridere perché non c’è proprio modo che riesca a far ridere. Per Andy l’anno della svolta fu il 1978 quando ottenne dalla rete televisiva ABC il ruolo del maldestro meccanico Latka Gravas nella sitcom Taxi, praticamente la trasposizione televisiva del suo «Straniero». La serie fu un grande successo e coinvolse Andy per i cinque anni a seguire. Ma rimase sempre tenacemente un outsider : ottenne di poter essere sul set solo due giorni a setti-

mana, per poter accettare altri lavori. Quali? Decise di servire ai tavoli in una gastronomia di Hollywood dove poteva anche «esibirsi» ogni lunedì, e dove godeva della preziosa opportunità di rimanere sempre «ancorato alla realtà», l’unico ambito che voleva esplorare. Un incontro fondamentale – che però non sapremo mai se fu reale o albergò solo nella sua fantasia – fu quello con un crooner (cantante melodico) di Las Vegas. Come una specie di «muta-forma» Andy ne assorbì le caratteristiche, tramutandosi a partire dagli inizi del ’77 in «Tony Clifton», un personaggio sboccato e fastidioso – e tragicamente stonato – che a poco a poco si trasformò in una sorta di pappone. «Clifton» è la nemesi de «Lo Straniero»: tanto innocente il secondo, quanto odioso il primo. Ma è proprio l’«arrivo» dello «Clifton» a far superare a Andy la labile linea tra caratterizzazione e alienazione. Per rendere credibile questo personaggio, alimentò volutamente il dubbio se fosse davvero un’altra persona ri-

spetto a lui, facendolo salire contemporaneamente a lui sul palco, sfruttando la complicità di un Bob Zmuda – il suo storico braccio destro – travestito ad hoc.

Per ingraziarsi Andy, la produzione decise di assumere Clifton come guest star in 4 episodi, facendogli sottoscrivere un contratto separato. Tony Clifton, il cantante volgare e irriverente creato da Kaufman, era l’esatto opposto del suo goffo e tenero Latka Gravas di Taxi

Ovviamente Andy-Clifton fu un disastro e fu lo stesso Andy-Andy a chiederne il licenziamento! Questa multi-polarità del suo estro artistico la portò anche sul palco dal vivo: «Clifton», «Lo Straniero» ed Andy – con la complicità di Robin Williams nei panni di sua nonna (avrebbe mai potuto interpretare sé stesso?), una Mrs Doubtfire ante litteram – il 26 aprile 1979 incendiarono il palco

della Carnegie Hall con uno spettacolo che sarà considerato l’apice della sua carriera e la massima epifania della sua poetica, fatta di idee, inganni e illusioni.

Ma proprio all’apice della sua popolarità, con la critica che lo segue confusa ma sedotta, decise di alzare un po’ troppo l’asticella: seguendo un suo sogno di gioventù, per la sua successiva incarnazione optò per quella di un wrestler in pantaloncini neri da boxeur e un inguardabile completo bianco lanoso. «Volevo far rivivere i vecchi tempi delle fiere dove i lottatori andavano di città in città e offrivano cinquecento dollari a qualsiasi uomo che potesse durare sul ring con loro per tre minuti», dichiarò Kaufman. «Ma non potevo sfidare degli uomini perché sarei stato battuto subito. Con una donna della mia stessa stazza avrei avuto invece buone possibilità».

Se nei suoi spettacoli precedenti, giocava con il suo pubblico portandolo al limite dell’irritazione per poi riconquistarlo con le risate, la provoca-

zione per la provocazione diventò da quel momento il suo unico interesse. Quando iniziò a indossare la cintura di Campione del Mondo Inter-Genere, anche i suoi amici – Robin Williams in testa – cominciarono a capire che qualcosa non andava. Non pago, Andy allora organizzò un ultimo inganno: la sua morte. Il 26 maggio del 1984 a soli 35 anni arrivò la notizia della sua dipartita per un cancro ai polmoni. Al funerale arrivò un mucchio di gente convinta che fosse un altro dei suoi scherzi attendendosi che da un momento all’altro sarebbe sbucato fuori. Anche Carol Kane, che interpretava Simka in Taxi, ne era convinta e, avvicinandosi alla bara aperta gli diede un colpetto, convinta che Andy le avrebbe risposto con un cenno. Quel che è certo è che un anno dopo il suo funerale Tony Clifton tenne un concerto al Comedy Store per cantare in memoria di Andy. Dietro la sua maschera c’era ancora Bob Zmuda o era Andy, redivivo? Chi siamo noi per uccidere la speranza?

Andy Kaufman su Saturday Night Live nel 1975 mentre esegue la sigla di The Mighty Mouse. (Leonardo Rodriguez)
Carlo Amatetti
Pagine 20-21
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Fierezza e inconciliabilità con il mondo borghese

Pubblicazioni ◆ Le riedizioni Adelphi delle opere di Thomas Bernhard risvegliano il fascino intransigente di un autore che trasforma l’inquietudine in lotta e la sconfitta in arte

Rileggendo i romanzi dell’austriaco Thomas Bernhard, che l’editore Adelphi ora ripropone, ci si avventura in una dimensione che non ha perso nulla della sua originalità e del suo contrastante fascino, che non mancherà di coinvolgere anche i lettori più giovani. È impossibile resistere alla seduzione di una scrittura in cui si alternano caustica ironia, estrosa maniacalità, paradossi e provocazioni a non finire. Una scrittura ritmica e musicale che dal drammatico sconfina nell’umoristico, tanto da indurre, a suo tempo, Italo Calvino a definire Bernhard il più interessante romanziere europeo vivente.

Bernhard è stato un maestro nel far emergere monologhi disperati e deliri esistenziali contro ogni convenzione narrativa

Ma non è facile avvicinarsi a personaggi spesso confinati nella loro paranoia che vivono l’esistenza come un’eterna sconfitta tra sproloqui inconcludenti. Già nel suo primo romanzo, Gelo, pubblicato poco più che trentenne nel 1963, un giovane studente di medicina si accompagna a un anziano signore isolatosi in un paesino di montagna che lo disorienta con lunghi monologhi fra deliri e allucinazioni, confessioni autobiografiche e verità filosofiche. E tuttavia il protagonista sa volgere lo sguardo anche altrove: verso il mondo arcaico del villaggio e i suoi rustici abitanti.

Più tardi invece la realtà si svigorisce in una sorta di finzione e i personaggi inseguono progetti insensati. Come nel caso di Konrad, protagonista del romanzo La fornace, isolato in un «luogo di tenebra», dove cerca invano di scrivere il suo saggio su L’u-

dito, o come Rudolf in Cemento che non riesce a realizzare il suo studio su Mendelssohn Bartholdy. E che dire del docente Roithamer che nel romanzo Correzione costruisce un’abitazione conica per la sorella nel bel mezzo di una foresta perfezionando l’idea in migliaia di pagine di appunti fino all’autodistruzione? Destini che sembrano esorcizzare la morte con vane farneticazioni o estrosi progetti votati alla sconfitta, in cui tuttavia la vita s’impegna in una perpetua lotta. Basta rileggere i cinque libri che compongono la sua autobiografia, riproposta ora da Adelphi, per cogliere questa tensione presente fin dagli anni giovanili. L’adolescente di allora, nato nel 1931, figlio illegittimo che non conobbe mai suo padre, ebbe una guida nella figura del nonno materno, lo scrittore Johannes Freumbichler. Nonostante le molte difficoltà a scuola, che frequentò per un certo tempo anche in Germania, dove si sentiva discriminato in quanto austriaco, e il crescente conflitto con la madre, Bernhard riesce col tempo a trasformare la propria fatale resistenza al mondo in ostinazione artistica, nella consapevolezza dell’assurdo, che richiama Kafka e Beckett, e in una costante indignazione contro vita, istituzioni e ordine borghese. I libri di ricordi (L’origine, La cantina, Il respiro, Il freddo, Un bambino) sono in effetti storie di liberazione dalla repressione pedagogica, dalla fabbrica dell’ottusità identificata con il ginnasio, dalla malattia, che lo costrinse a trascorrere periodi in sanatorio, e dalle disinvolte terapie di medici distratti, sicché il ruolo che spetta al soggetto è, alla fine, piuttosto marginale. Gli resta però la fierezza della inconciliabilità con il mondo borghese, del disaccordo, praticati e realizzati sulla propria pelle: il mondo visto

dal basso, da chi è escluso o si emargina. Così paradossalmente la letteratura sfida la vita e lo scrittore cerca una salvezza lungo l’intera durata narrativa. Non a caso questi testi autobiografici non hanno un solo a capo come per evitare soste e pause che possano spalancare al soggetto il baratro del nulla. Ma al tempo stesso essi evocano l’incantesimo della scrittura che è allontanamento, commiato da ogni illusione e certezza, strumento di attesa e di resistenza. Forse anche nella prospettiva di Max Frisch che nel romanzo Montauk scrisse: «Vivere è noioso, io faccio esperienze solo quando scrivo».

Osservando il mondo dal suo so-

litario rifugio intellettuale Bernhard affina con gli anni il suo spirito polemico e lancia invettive ai quattro venti non senza spunti ironici, come ricordò l’amico Karl Hennetmair, commerciante di suini e agente immobiliare: contro la casa editrice Suhrkamp, il regista Peymann, grande interprete del suo teatro, le accademie, i premi letterari, Salisburgo e Vienna, i politici a destra e sinistra. E poi i colleghi: Böll terribile, Johnson arrogante; mentre la morte di Doderer lo esalta: «Ora la strada è libera –dichiara – ora tocca a me».

E non ebbe esitazioni, anche in campo teatrale, iniziando con la scena scarna, quasi metafisica di Una fe-

Gli inquietanti artifici del predatore

sta per Boris fino all’ultima contestata pièce del 1988, l’anno prima della morte, Piazza degli eroi. Testi che affascinano ancora oggi, aperti, come tutta la sua opera, su uno spazio di dissacrazione e di libertà, una sorta di metafora della stessa esistenza, quel breve e incerto spettacolo che vorrebbe annunciare una speranza sospesa sul vuoto.

Bibliografia

Thomas Bernhard, Autobiografia Adelphi, 2024, pp. 574. Traduzioni di: Eugenio Bernardi (La cantina ), Renata Colorni (Un bambino ), Umberto Gandini (L’origine ) e Anna Ruchat (Il respiro e Il freddo )

Cinema ◆ Presentato al Museo del Malcantone, Il lupo di Curio, primo film svizzero interamente realizzato con l’intelligenza artificiale Max Borg

Da qualche anno, in ambito artistico in generale e audiovisivo nello specifico, è molto acceso il dibattito sull’uso dell’intelligenza artificiale, questione che ha raggiunto il suo apice quasi due anni fa con il duplice sciopero di attori e sceneggiatori a Hollywood, un moto di protesta che aveva, tra le cause scatenanti, proprio l’applicazione indiscriminata delle nuove tecnologie.

Simbolo di forza e mistero, nel cortometraggio del Generative Center il lupo diventa ponte tra tradizione mitologica e innovazione tecnologica

In particolare, e questo è un discorso affrontato in questi giorni anche nel contesto elvetico, con una lettera aperta scritta dall’animatore Marcel Barelli, ci si interroga su quanto si possa ancora parlare d’arte quando c’è di mezzo l’intelligenza artificiale. A questo cerca di rispondere, in parte, il Generative Center di Lugano (per l’esattezza situato a Besso), che nella

promozione dei propri progetti parla dell’implementazione di arte generativa. Tra questi lavori ce n’è uno presentato ieri, 16 febbraio, al Museo del Malcantone: Il lupo di Curio è di fatto il primo film svizzero realizzato interamente con l’IA e progetto pilota di un’iniziativa più ampia chiamata L’eco delle leggende, che si propone di portare sullo schermo pezzi di folclore elvetico usando queste nuove tecnologie.

Il cortometraggio, della durata di un quarto d’ora circa, si presenta come qualcosa di serio e ambizioso, realizzato da persone e non solo da macchine, come si può leggere nei titoli di coda: ci sono dietro tre sceneggiatori/registi, Kevin Merz, Artur Schmidt e Felix A. Bachmann; le immagini sono state montate da Alberto Bernard e il sonoro da Marco Viale; la voce narrante è di Patrizia Salmoiraghi, nota al pubblico nostrano come speaker televisiva per la RSI, e nel cast c’è anche un veterano come Marco Balzarotti, storico doppiatore italiano di Batman nella maggior parte dei prodotti animati e videoludici usciti dal 1992 in poi. Vanno poi citati

L’occhio del lupo di Curio in un fotogramma tratto dal film.

coloro che hanno partecipato a livello produttivo: la RSI e più ampiamente il servizio pubblico con il suo Patto dell’audiovisivo. Insomma, si tratta di un’opera dove, sulla carta, i modelli generativi fungono da strumento al servizio dell’istinto creativo umano, e non da espediente per sostituire in toto l’apporto artistico di cast e troupe.

In tal senso, è stata felice l’intuizione del formato breve, così come quella di un lavoro sequenziale dove le singole inquadrature tendono a non essere particolarmente lunghe, stratagemma utile per scongiurare l’effetto straniante che tende a generare il prodotto visivo realizzato con queste tecnologie. E puntando su miti e

leggende i tre autori possono dare vita a quello che è un altro mondo, parzialmente separato dal nostro, non del tutto ancorato ai princìpi della verosimiglianza a tutti i costi.

Una sinergia ponderata

Se sul piano etico siamo dalle parti di una sinergia ponderata tra uomo e macchina, tra passato, presente e futuro (il mito, le persone dietro le quinte e la tecnologia generativa), su quello tecnico la strada è ancora lunga: c’è un’evidente cura nell’immagine, che lascia intendere che la sceneggiatura fosse ricca di dettagli per arrivare a un risultato il più preciso possibile, ma il fotorealismo scivola occasionalmente in quello che gli americani chiamano uncanny valley, replicando la realtà ma senza riuscire a nascondere completamente l’artificio di base (a seconda delle inquadrature, soprattutto i paesaggi ostentano un’estetica a volte troppo riconoscibilmente virtuale), e i dialoghi non aderiscono sempre perfettamente ai labiali dei personaggi.

La foto della copertina mostra Thomas Bernhard in bicicletta ritratto da Michael Horowitz nel 1972. (Einaudi)

Cape Ann, per le fughe d’amore,

Reportage

C’è un luogo incantato sulla costa nordorientale degli Usa che è abbracciato dai venti del Canada e dalle gelide acque dell’Atlantico. Si tratta del New England, la Nuova Inghilterra in cui nel XVII secolo i padri pellegrini in fuga dalla madrepatria scrissero il primo capitolo della storia di questa nazione.

Non sbaglia chi definisce magica la regione che include ben Sei stati, ovvero New Hampshire, Maine, Vermont, Massachusetts, Rhode Island e Connecticut. Un’area attraversata, sì, dalla maestosità degli Appalachi, ma addolcita da colline, laghi, parchi, coste frastagliate e affacci mozzafiato sull’oceano. A imprimere carattere al territorio sono decine di villaggi che sembrano essere riusciti a fermare il tempo. Qui, sorsero le colonie britanniche da cui sarebbe poi scaturita la federazione che oggi chiamiamo Stati Uniti d’America.

Hopper era solito affermare che «tutto quello che ho sempre voluto fare è dipingere la luce del sole sulla parete di una casa»

Nell’infinita varietà di climi e paesaggi, quel che rende il New England così speciale è la presenza di quattro distinte stagioni, con i propri colori caratteristici. Certo, l’incognita maggiore in un’avventura in questi luoghi è sicuramente legata alla mutevolezza delle condizioni meteorologiche. Un vecchio adagio popolare del posto, attribuito a Mark Twain, recita: «Non ti piace il tempo? Aspetta qualche minuto». Se l’estate è generalmente stabile, così non è per autunno, inverno e primavera.

In particolare, la stagione invernale tende a essere parecchio rigida a causa dei venti provenienti dall’At-

lantico. Ma la neve e il gelo con la gamma di colori argentei che li segue, non fanno che vestire di mistero questa terra. Il periodo più amato, però, è senza dubbio quello del «foliage» (da fine settembre a dicembre) che dona infinite gradazioni d’arancio alle foglie degli alberi di pino, acero, betulla, olmo, quercia e cicuta. Una gioia per gli occhi e per le fotocamere degli smartphone.

Il fascino europeo del New England

Incastonata nel fascino europeo del New England, c’è una perla di rara armonia: la penisola rocciosa di Cape Ann, a nord-est del Massachusetts. Bastano poco più di cinquanta chilometri di auto da Boston sulla Route 128, per immergersi nello charme delle sue pittoresche città marinare. Cape Ann è oggi la destinazione prediletta soprattutto dai turisti nazionali che la scelgono per le loro fughe d’amore, gite avventurose, ma anche per le vacanze in famiglia. Per goder-

si appieno la bellezza della sua costa frastagliata, è essenziale concedersi una lenta traversata della Essex Coastal Scenic Byway che regala la vista di paesaggi naturali, cottage retrò e vivaci comunità costiere. Tra esse, la menzione d’onore spetta a Gloucester e Manchester-by-the-Sea: due cittadine che negli anni hanno attirato non solo turisti in cerca di relax, ma anche artisti desiderosi di trovare ispirazione.

«Sin dall’inizio del XX secolo, gli artisti americani sono stati sedotti dal fascino di Cape Ann per un motivo speciale, ovvero la luce che questi posti riescono a riflettere, dall’alba al tramonto. La luminosità è incredibile. Crea soggetti meravigliosi da catturare e dipingere». È così che Oliver Barker, direttore del Museo di Cape Ann nella cittadina di Gloucester, ci descrive l’unicità dei luoghi.

«Sono australiano. Prima di venire qui, ho visto i dipinti che tanti artisti hanno realizzato a Cape Ann durante i miei anni di formazione alla scuola d’arte. Mi sembravano perfetti, troppo belli», racconta il di-

rettore. «Quando sono arrivato qui e ho visto il tramonto a Gloucester, mi sono reso conto di quanto quei quadri fossero accurati. I colori filtrati dalla luce sono semplicemente spettacolari».

Merito del granito – presente praticamente ovunque nelle costruzioni – che rifrange la luce in maniera unica. Nel periodo di massimo splendore, si parla degli anni Novanta del XIX secolo, Gloucester ospitava il più grande porto d’America dedicato alla pesca commerciale. La cittadina ha celebrato lo scorso anno il quattrocentesimo anniversario dalla fondazione del porto marittimo che ancora oggi è quello in attività più antico degli Stati Uniti.

La Gloucester del Ventesimo era un crogiuolo di culture, risultato della consistente presenza di immigrati arrivati in gran parte dall’Italia e dal Portogallo in cerca di lavoro, soprattutto nel settore della pesca. «Al tempo c’era un’enorme immigrazione dall’Europa in cerca di lavoro. Ma c’erano anche tanti artisti, ispirati dai paesaggi e dal basso costo della vita».

Le luci e le ombre di Hopper

Tra i più noti, stregati dalla penisola, c’era sicuramente il celebre pittore americano Edward Hopper (1882 – 1967), che con i suoi giochi di luci e ombre riuscì a raccontare la solitudine della modernità, fermando su tela l’epica della «pastorale americana» e la più autentica solitudine urbana. Pur essendo nato a Nyack, nello Stato di New York, Hopper scelse Cape Ann e in particolare il villaggio di Gloucester come suo luogo dell’anima. Nel 2023 una straordinaria mostra allestita presso il museo cittadino ha celebrato i suoi viaggi a Gloucester. La retrospettiva del Cape Ann Museum si è avvalsa, tra le altre risorse, di un prestito senza precedenti di ventotto opere del Whitney Museum of American Art. In tutto sessantacinque dipinti, disegni e stampe provenienti anche dal Brooklyn Museum e il Museum of Fine Arts di Boston. Un tributo alla fascinazione di Hopper per la tranquillità marittima della città, che si tradusse in

Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni, testo e foto

le gite e l’ispirazione artistica

sua singolare luminosità: tra i più noti, anche

Edward Hopper

disegni di case, navi a vela, pontili e barche da pesca. Il pittore arrivò qui nel 1912. Per Hopper fu il buen retiro che gli permise di immergersi nella pittura senza altre distrazioni. Ci tornò nel 1923 con Josephine «Jo» Nivison, che poi diventò sua moglie, un incontro che gli cambiò la vita. La giovane pittrice e attrice incontrata proprio quell’anno nel circolo artistico bohémien del West Village, a New York, non solo fu compagna di vita, ma anche la più fidata confidente e il più essenziale punto di riferimento artistico. Edward e Jo vissero in varie case di Gloucester. Entrambi amarono soggetti come il porto e il quartiere italiano. Ma adorarono soprattutto Nostra Signora del Buon Viaggio, la chiesa portoghese, ancora oggi uno dei luoghi più eleganti della cittadina. I due campanili bianchi sono tra i monumenti più fotografati dai turisti in visita in città.

Molte delle case che Hopper dipinse, al di là di qualche ristrutturazione, sono ancora riconoscibili tra quelle di Gloucester

I lavori legati al periodo di Gloucester sembrano quasi restituire la brezza marina che avvolge le case dei pescatori e dei capitani dei pescherecci. Hopper ne rimase ammaliato, spiega Barker, perché «l’architettura locale era molto simile a quella con cui era cresciuto a Nyack». D’altra parte, l’artista diceva: «Tutto quello che ho sempre voluto fare è dipingere la luce del sole sulla parete di una casa». E a Gloucester riuscì a farlo, tornandoci numerose volte fino al 1928.

Una passeggiata per i vicoli del villaggio regala al viaggiatore la sensazione surreale di farsi strada in una tela. E non si tratta di una forzatura lirica. Il bianco predomina, accompagnato da infinite variazioni di panna e ocra. Le villette monofamiliari prediligono colori tenui, mai accesi o eccessivamente vistosi: grigi traslucidi, verdi timidissimi, azzurri appena accennati. «Molte delle case che Hopper dipinse sono ancora qui e sono abbastanza riconoscibili. Alcune sono state ristrutturate, altre hanno subito qualche modifica nel tempo, come il dislocamento delle finestre, ad esempio. Ma per la maggior parte le abitazioni sono ancora intatte», assicura il direttore del museo, Barker. A pochi passi dal Cape Ann Museum, si allunga la vibrante Main Street – il viale principale che attraversa il centro storico – punteggiata di negozietti, boutique, caffè e ristoranti. La cittadina continua a rispettare la sua vocazione artistica ospitando diverse gallerie d’arte in cui i turisti potranno trovare, a prezzi non sempre accessibilissimi, oggettistica e stampe dedicate alla magia di Cape Ann, incluse le riproduzioni delle opere di Hopper concepite in questa terra.

Quando l’oceano non è ostile, dalle spiagge locali si possono osservare tramonti tra i più belli di Cape Ann. La Good Harbour Beach, ad esempio, è nota per la sabbia bianca e sottile. Passeggiando sulla battigia, si ammirano in lontananza i due fari della vicina Thacher Island, costruiti sull’isolotto nel 1861.

A competere per il podio del litorale più incantevole c’è la vicina co-

si

è

munità balneare di Manchester-bythe-Sea, che sorge una manciata di chilometri a sud di Gloucester, lungo la North Shore, ovvero la costa del nord che collega Boston allo stato del New Hampshire. La cittadina è nota per la sua Singing Beach, la spiaggia che canta. Il nome, assai poetico, è legato al delicato suono che sprigiona la sabbia quando viene calpestata a piedi nudi. D’estate, il lido richiama centinaia di visitatori, attirati anche dal promontorio Eagle Head, perfetto per le arrampicate sportive ed escursioni. Ma è forse l’inverno la stagio-

ne più suggestiva per far gorgheggiare sotto i propri passi la renella cangiante, quando il lungomare è deserto e la città è popolata dai soli locali che si godono in tranquillità le altre sei meravigliose spiagge e le numerose aree protette come il Masconomo Park. Con una popolazione di poco più di cinquemila anime, Manchesterby-the-Sea è esplorabile a piedi. Solitamente la passeggiata inizia partendo dalla Trask House, l’edificio che oggi è sede dell’Historical Museum. La pinacoteca celebra l’evoluzione della cittadina. Se sin dalla fonda-

La penisola raccontata al cinema

La fascia costiera di Cape Ann non attira solo frotte di turisti alla ricerca di un tramonto da sogno in riva al mare. Negli anni, l’industria del cinema ha scelto le quattro cittadine della penisola – Gloucester, Rockport, Essex e Manchester-By-The-Sea – come scenografie per decine di pellicole. Produttori e registi di Hollywood si sono lasciati stregare dalla perfezione europea di questi villaggi marinari. Trai i film più noti vi è sicuramente Manchester-by-the-Sea del 2016, diretto da Kenneth Lonergan e interpretato da Casey Affleck e Michelle Williams; considerato uno dei capolavori cinematografici del Ventunesimo secolo, valse un Oscar come migliore attore al protagonista maschile. No -

nostante la trama assai drammatica, il film è un tributo alla magia della penisola d’inverno. A Gloucester, invece, è ambientato La tempesta perfetta, film del 2000 del regista Wolfgang Petersen con George Clooney, Mark Wahlberg e Diane Lane. La pellicola racconta la storia vera del peschereccio commerciale Andrea Gail inghiottito dall’oceano durante l’Uragano Grace nel 1991. Il grande successo al botteghino si è riversato anche sulla cittadina. Il Crow’s Nest, il bar di pescatori ritratto nel film, è oggi meta dei pellegrinaggi di tanti appassionati di cinema. Tra le location più belle si annoverano i moli lungo il porto di Gloucester, la sede del comune e la chiesa di Sant’Anna.

zione (nel 1645 con un atto del Commonwealth) la cittadina basava la sua economia sulla pesca, a metà dell’Ottocento fu scoperta per il suo fascino e divenne la destinazione preferita del jet-set bostoniano ma anche newyorkese (la Grande Mela dista meno di quattro ore) che durante la cosiddetta Gilded Age, l’età dell’oro, qui edificò mansion e case vacanze. Gradualmente mutò in una colonia estiva popolata da celebrità, artisti e industriali che ne cambiarono il volto. Alle radici storiche di Manchester-by-theSea sono dedicati numerosi scaffali

È invece del 2009 la commedia romantica Ricatto d’amore (The Proposal) con Sandra Bullock e Ryan Reynolds. Alcune delle scene di navigazione in mare aperto sono state girate a Manchester-by-the-Sea. Tra gli ultimi lavori, invece, c’è I segni del cuore (CODA) del 2021, pellicola drammatica diretta da Sian Heder. Il film racconta la storia della giovane Ruby Rossi, impiegata sul peschereccio del padre e unica udente in una famiglia di sordi. Per garantire un effetto il più possibile realistico, la produzione ha affittato la barca di un pescatore locale di Gloucester che ha anche svolto un lavoro di consulente per garantire la massima accuratezza.

sia della biblioteca cittadina sia della libreria poco distante, Manchester-by-the-Book, una miniera per tutti gli amanti della lettura. Una gita in città non può non includere il porticciolo che accoglie lussuosi yacht e pescherecci. L’area è ben servita da un sostanzioso numero di ristoranti che propongono i piatti tipici della tradizione soprattutto a base di pesce. Al Cala’s di Beach Street, una trattoria molto amata dai locali, si ritrovano spesso i pescatori della zona che ancora oggi continuano a prendere il largo ogni giorno. Seduti al bancone ci sono Alfred e i suoi due colleghi. Sorseggiano la birra che accompagna il loro panino – semplice ma saporitissimo – farcito con aragosta sbollentata, maionese e burro. Indosso hanno ancora gli abiti da lavoro. «Non siamo più così tanti come un tempo qui a Cape Ann. Quella dei marinai resta una vita dura, nonostante oggi le attività pescherecce possano contare su strutture industrializzate». Il pescatore confessa il suo rammarico per un’arte che piano piano sta scomparendo anche a causa del disinteresse dei più giovani. «Non capisco come non si possa amare questo mestiere» dice perplesso. Alfred e i suoi amici non rinuncerebbero mai alla gioia di respirare dalle loro barche la brezza

Informazioni

Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

salata dell’Atlantico.
La Singing Beach, ovvero la spiaggia che canta, è il posto preferito per lunghe passeggiate in riva al mare; sotto da sinistra a destra: una casa costruita sul promontorio che
affaccia su Singing Beach. L’area
perfetta per escursioni ed arrampicate.

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In fin della fiera

«Chiamatemi Ismaele»… o se preferite ChatGPT

È colpa degli studenti. All’inizio della storia c’è una boutique su tre grandi sale, aperta da mio nonno materno nel 1950, in un quartiere abitato da famiglie di media e piccola borghesia. Una lunga tradizione che io, arrivato alla terza generazione, sono costretto a chiudere. Qui vicino è nato un Campus universitario. Ospita le facoltà umanistiche, quelle che ti garantiscono un futuro da disoccupato: lettere, discipline delle arti, della musica e dello spettacolo, cinema, storia dell’arte, sociologia, eccetera.

Le famiglie del quartiere si sono trasferite altrove, le altre si sono improvvisate affittacamere. Gli studenti che sciamano in queste strade hanno tanto tempo libero ma non sono interessati a cordoni, fiocchi, guarnizioni, merletti, ricami. Vanno alla ricerca di bar, pizzerie, discoteche, birrerie. Meglio metterci una pietra sopra e chiudere prima che sia troppo tardi.

Voti d’aria

Così, ogni giorno, per tre mesi, sono stato seduto al tavolino del bar di fronte al negozio con il cartello «Vendesi locali» appeso alla vetrina senza che nessuno si facesse vivo. Finché due tra i miei più cari amici hanno avuto l’idea vincente: perché non apriamo una scuola di scrittura creativa? Adesso vanno di moda. Bastano una cattedra e una dozzina di banchi.

Abbiamo chiesto consiglio a ChatGPT che ha suggerito di farla nascere come associazione culturale, è sufficiente redigere uno statuto e iscriverla presso l’Agenzia delle Entrate. Chi vuole frequentarla deve associarsi pagando una quota. Detto fatto. Ma serviva un nome. Il giorno dell’inaugurazione ci siamo fatti un selfie, schierati davanti all’insegna: «Scuola di scrittura creativa Chiamatemi Ismaele». Tre giorni e tre notti di discussioni per scegliere l’incipit di Moby Dick. All’inizio eravamo d’accordo su un

solo punto: il nome doveva alludere alla grande letteratura americana. Nei risvolti dei romanzi americani la biografia dell’autore termina quasi sempre con la frase: «Insegna scrittura creativa nell’università di…». ChatGPT ci ha fornito l’elenco delle scuole statunitensi che avessero nell’insegna il nome di un personaggio o di un autore della letteratura americana. Il responso: «Il calamaio di Twain», «Il Forum di Fitzgerald», «Gatsby Academy», «Huckleberry House», «Ishmael Institute», «Bartleby Writers Retreat», «Tom Sawyer Academy». Due sono stati ispirati da Francis Scott Fitzgerald e due da Herman Melville. Scelto quest’ultimo, bisognava decidersi fra Moby Dick e Bartleby. Questi è uno scrivano il quale, ogni volta che gli affidano un compito, pronuncia una frase diventata proverbiale: «I would prefer not to», ovvero «Preferirei di no». Ha vinto Ismaele.

Dopo un mese ho iniziato a fare pratica con tre anziane signore, aspiranti scrittrici iscritte alla scuola: seguono e si annotano tutto. Il nostro punto di partenza: i libri non li legge più nessuno, perciò la massima attenzione va dedicata a quelli che Gérard Genette, nel suo Soglie chiama «I dintorni del testo». Per esempio l’epigrafe, una citazione sotto il titolo prima dell’inizio della narrazione. Deve dare un suono alto, aristocratico, generato da tre o quattro versi di una poesia. È bene che non c’entri niente con il testo della narrazione. Qualche esempio. Da Preghiera alla vita di Sergio Solmi: «[…] tregua non darmi, mia vita, / lasciami l’umiliata povertà, / le nere insonnie, le cure ed i mali». Ancora, da Le figlie dell’impiccato di Dino Campana: «Due forme ho già visto aggirarsi / Sotto la forca dell’impiccato / Ed una geme e piange / E l’altra bramisce e impreca».

Scatenare l’inferno, progetti di un patriota moderno

Incoraggiato dai tempi che corrono, ho pensato che sarebbe utile affittare una nave e mandare in Albania il mio vecchio vicino di casa (tiene il volume della tv troppo alto), un paio di tifosi della Fiorentina (io sono dell’Inter), i due favoriti del prossimo premio Strega (vorrei vincerlo io), i favoriti del premio Campiello e del premio Viareggio (vorrei vincerli io), tutti i cantanti del Festival di Sanremo (non mi piace), i mangiatori di sushi (non mi piace), i piccioni che vengono a posarsi sul balcone (non mi piacciono e sporcano), i fumatori che non si tengono a debita distanza (mi intossicano), i bevitori di vino (minacciano la sicurezza sulle strade), i venditori senegalesi di giornali (intralciano il passaggio della gente sui marciapiedi), i ragazzi sul monopattino (rischiano di travolgermi), il Papa

(è contro le espulsioni mentre io sono a favore). Se la magistratura me lo impedisce, scriverò su TikTok e dichiarerò in tutte le reti televisive che la magistratura è politicizzata (voto 1 alla magistratura).

Incoraggiato dai tempi che corrono, scatenerò l’inferno contro i miei condomini (-2) se al mattino troverò per l’ennesima volta l’ascensore occupato. Scatenerò l’inferno contro la Corte dell’Aja se aprirà un fascicolo contro di me (7+ a me). Scatenerò l’inferno contro chi si oppone a me (7+) e a Trump (idem) che vuole scatenare l’inferno se salta la tregua tra Israele e Hamas. Incoraggiato dai tempi che corrono, bombarderò le case di tutti i parenti del ladruncolo (-1) che la settimana scorsa, sulla metropolitana, mi ha sfilato il portafogli dalla giacca. Per

A video spento

Il tradimento della Silicon Valley

È finito il mito della Silicon Valley? È finita quell’onda che prometteva un mondo interconnesso e felice, esteticamente impeccabile, politicamente progressista e umanitario? Sognavamo un mondo bello come un iPhone, racchiuso in un palmo di mano e invece scopriamo che era tutta una favola. La Silicon Valley, una zona nel nord della California che si estende a sud di San Francisco e comprende le città di San Josè, Sunnyvale e Palo Alto, è diventata decisiva negli anni Settanta come sede delle più famose aziende tecnologiche. Quell’area geografica un tempo si chiamava Santa Clara Valley, ed era famosa per la coltivazione delle prugne (Santa Clara Plums). Da Apple a Facebook e Google sono tante le start up che hanno trovato fortuna nella «valle del silicio», dal nome del componente necessario per realizzare i chip dei computer. Eppure, dopo decenni, molte ditte tech stanno lasciando lo Stato della California. Perché?

La storia di quella valle è anche la storia della cosiddetta controcultura nata negli anni Sessanta. Personaggi come John Perry Barlow passeranno dalla scrittura dei testi dei Grateful Dead alla stesura della dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio, mentre altre figure centrali come Steward Brand (fondatore della storica rivista «Whole Earth Catalog») rappresenteranno il filo rosso che unisce la cultura psichedelica al nascente movimento hacker, influenzando il giovane Steve Jobs. Il fondatore della Apple ha lasciato un segno indelebile sotto il profilo tecnologico, ma anche sociologico. Un segno di grande eleganza ma che era anche un sogno: una tecnologia a portata di tutti, più democratica ed etica, capace di rendere gli uomini se non utopicamente tutti uguali tra loro almeno consapevoli di vivere in un medesimo luogo, in cui ognuno avesse diritti e dignità. Ecco, quel sogno si è interrotto bruscamente.

sicurezza bombarderò delicatamente anche i suoi vicini di casa (-12). Bombarderò la famiglia del professore di matematica se insiste a dare l’insufficienza a mia figlia (che merita almeno la sufficienza). Manderò un drone per incenerire il televisore di casa mia se mia moglie (2 di scoraggiamento) si ostina a seguire Sanremo (ho già detto che non mi piace, e mi sembra di essere stato piuttosto chiaro). Incoraggiato dai tempi che corrono, imporrò un dazio agli amici o ai conoscenti prima di invitarli a pranzo o a cena a casa mia per diffidarli a priori dall’accettare l’invito. Bombarderò i cani che circolano senza guinzaglio (6 ai guinzagli) e i loro padroni. Scatenerò l’inferno sui giovani conviventi o sposi che pretendono di stare insieme senza mettere al mondo almeno un paio di eredi: forse in Albania ci

ripenserebbero o troverebbero il modo e il tempo per figliare. Incoraggiato dallo spirito dei tempi, sposterò in Ruanda tutti i soggetti devianti, sperando in una conversione (6+ ai convertiti): omosessuali, transessuali, bisessuali, trisessuali, transgender, tossicodipendenti, vandali, anoressici, obesi, depressi, bipolari e tripolari (voto cumulativo: inclassificabile). Bombarderò gli uomini che esercitano sport femminili e, viceversa, le donne che esercitano sport maschili. Ognuno faccia lo sport che gli compete senza sconfinare. Bombarderò i messicani a prescindere, perché amano sconfinare. Scatenerò l’inferno sui campus universitari che professino l’ideologia woke (-7), cancellerò con un missile la cancel culture (0). Incoraggiato dallo spirito dei tempi, mi annetterò l’appartamento del mio vici-

La massima attenzione va posta nella stesura della quarta di copertina, perché è l’unica cosa che leggono i clienti prima di decidersi ad acquistare il libro, non per leggerlo, per carità, ma per regalarlo. Un grande aiuto lo fornisce ChatGPT. Gli chiedo la quarta de I promessi sposi: «Un amore ostacolato, un’epoca di oppressioni e ingiustizie, una storia intramontabile. Ambientato nella Lombardia del XVII secolo. Tra fughe, inganni e incontri con personaggi indimenticabili, dall’umile padre Cristoforo al terrificante Innominato, dalla dolce Monaca di Monza al cinico Azzeccagarbugli, i protagonisti affrontano le sfide di un’epoca seguita da fame, peste e violenza. Una lettura imprescindibile per chi vuole comprendere non solo la storia d’Italia ma anche il cuore umano nei suoi travagli e trionfi». ChatGPT ha capito tutto, infatti non cita i noiosissimi Renzo, Lucia e don Abbondio.

no dopo averlo caricato sulla nave in rotta per l’Albania. Sappiate che non sono ricattabile e non mi lascio intimidire (7+a me). Mi chiedete come farò a rispettare i miei programmi di bombardamento, di annientamento, di annessione, di dazio, di scatenamento dell’inferno, di deportazione? Mi chiedete chi mi credo di essere? Ebbene, sono un cittadino comune (6), un patriota (7+) che aderisce allo spirito del tempo e sa che lo spirito del tempo aderirà ai suoi modesti propositi mettendolo in condizione di realizzarli al meglio, senza sforzo e senza violenza. E poi, a dire la verità (-1 alla verità), molti di quei propositi sono stati già ampiamente soddisfatti, ma ripeterli non guasta. Per gli altri che ancora non si sono compiuti, non resta che aspettare con pazienza. Il vicino è avvertito, i piccioni pure.

«Credo che il mito della Silicon Valley fosse giustificato» sostiene Luciano Floridi, professore di Filosofia ed etica dell’informazione alla Oxford University e docente di Sociologia della cultura e della comunicazione all’Università di Bologna. Ha appena pubblicato un libro, Filosofia dell’informazione (Raffaello Cortina Editore) e alla rivista «Wired» ha dichiarato: «La Silicon Valley è stata capace di attrarre curiosità, talenti, finanziamenti, che via via si sono specializzati in settori ad alta qualità tecnologica, con una sinergia invidiabile. È stata un polo che ha radunato alcune delle menti migliori del pianeta. È però illusorio credere che quel modello sia ripetibile, il che non esclude esistano possibilità di competizione alternativa. Penso al Texas, verso il quale oggi c’è un costante flusso migratorio di aziende e personale “digitale”, alla zona di New York, a Boston, ma anche a Singapore o a quanto tentiamo di fare oggi a Bologna: stiamo arrivando

a vedere sistemi più distribuiti, in cui è probabile che non sarà più vero che una regione che vince, vince tutto». Due, le cause principali del tramonto della Silicon Valley: uno economico e l’altro politico. Facebook, Twitter (X) e Instagram, dopo essere stati travolti da una marea di scandali a base di fake news, abusi della privacy, troll russi e altro, stanno invecchiando e sono stati spodestati, o quasi, da un social network creato in Cina come TikTok. Aziende un tempo rivoluzionarie come Amazon o Google si sono ormai trasformate in oligopoli accusati di soffocare la concorrenza, mentre le ultime scommesse tecnologiche del metaverso e del web3 si sono rivelate, almeno per il momento, più che altro delle grandi trovate di marketing. Si calcola che negli ultimi due anni almeno 120mila dipendenti del settore tech abbiano perso il lavoro. Il mito della controcultura si è così sfaldato miseramente, travolto da interessi economici e insospettabili at-

trazioni politiche. Elon Musk è diventato una sorta di vice Donald Trump e le sue ultime sortite sono sconcertanti. Ma anche i grandi amministratori delle Big Tech sono andati a baciare la pantofola di Trump. Zuckerberg, per esempio, è stato in passato un sostenitore delle politiche del Partito Democratico. Ma nel tempo si è reso conto che per continuare a fare business è meglio non esporsi. Parabola simile quella di Sam Altman. Appena otto anni fa il Ceo di OpenAI, casa madre di ChatGPT sosteneva: «I programmi di Trump sono un’inaccettabile minaccia per l’America». Nel dicembre del 2024 le cose sono cambiate: «Il presidente Trump guiderà il nostro Paese nell’era dell’intelligenza artificiale e sono intenzionato a sostenere i suoi sforzi per garantire che l’America rimanga all’avanguardia». Aveva capito tutto Emil Cioran ne La caduta nel tempo, 1964: «Una civiltà esordisce col mito e termina nel dubbio».

di Bruno Gambarotta
di Paolo Di Stefano
di Aldo Grasso

GUSTO

Tex-Mex

Come rendere ancora più buoni

guacamole, fajitas e nachos

Consigli di Meret Badertscher, che gestisce un ristorante tex-mex a Frauenfeld.

Testo: Barbara Scherer

1. Scegliere la carne giusta

Per i piatti tex-mex, i tipi di carne più adatti sono il manzo e il pollo. «Ma per le fajitas si può anche usare la carne macinata», dice Meret Badertscher, responsabile di settore del ristorante US-Mex di Frauenfeld. Con questi tre tipi di carne parti da un’ottima base.

2. Non dimenticare le spezie

Nella cucina tex-mex, le spezie sono particolarmente importanti. La paprica e il peperoncino in polvere, il cumino, l’aglio e le

erbe aromatiche fresche non possono mancare. «Le mie preferite sono il timo, l’origano e il coriandolo, anche se quest’ultimo non piace a tutti», precisa Badertscher. Esistono anche molte miscele di spezie già pronte per la cucina tex-mex che garantiscono un sapore autentico.

3. Le verdure e i legumi giusti

Tradizionalmente si utilizzano peperoni, fagioli e mais. «Nei piatti messicani si usano anche i fagioli pinto, ma molte persone non ne vanno matte, quindi consiglio i fagioli rossi. Sono anche più facili da preparare», informa l’esperta, che comunque non ha una visione così rigida: con i piatti tex-mex non vi sarebbero limiti alla fantasia, per esempio si possono aggiungere anche le carote o i porri.

4. Un po’ di piccante è d’obbligo «Aggiungerei sempre un po’ di peperoncino», consiglia Meret Badertscher. Se il piccante non è gradito da tutti i commensali, suggerisce di servire il peperoncino in una ciotola a parte. Così ognuno lo può dosare da sé.

5. Le migliori fajitas vegetariane

Naturalmente, chi è vegetariano può semplicemente lasciare via la carne. Se ritieni che le verdure da sole siano un po’ monotone, puoi optare per i prodotti sostitutivi della carne. «I più adatti sono i sostituti del pollame», dichiara l’esperta. Per le fajitas, puoi anche arrostire del tofu.

6. Santo guacamole!

La salsa di avocado è parte integrante della cucina tex-mex. Una volta tagliato a pezzi un avocado maturo, aggiungi dei pomodori tagliati finemente o del concentrato di pomodoro, oltre a sale, pepe ed erbe fresche. Puoi scegliere se frullare l’avocado o schiacciarlo con la forchetta. «La consistenza è una questione di gusti», afferma Meret Badertscher. Si possono aggiungere anche aglio, cipolla e peperoncino, «ma non troppo, altrimenti annullano il sapore dell’avocado». Infine, aggiungi una spruzzata di limetta fresca.

7. Del formaggio nella fajita?

Diversamente dalla cucina messicana, in molti piatti tex-mex si mette il formaggio. «Ma deve essere fuso, non va aggiunto alla fajita freddo», sostiene Badertscher. È meglio far sciogliere brevemente il formaggio sulla carne e poi aggiungere il tutto alla fajita.

8. Scaldare le tortillas

La preparazione delle tortillas richiede molto tempo, quindi è consigliabile acquistare quelle

GUSTO

Tex-Mex

già pronte, che vanno riscaldate in forno per circa 5 minuti a 150 gradi o messe brevemente nel microonde. In ogni caso non riscaldarle troppo a lungo, altrimenti diventeranno secche e dure. «L’importante è coprirle dopo averle scaldate». Mettile in un cestino del pane e coprile con un asciugapiatti per mantenerle morbide e calde.

9. Arrotolare le fajitas

Qual è la giusta tecnica per evitare un pasticcio? «Bisogna evitare di metterci troppo cibo», raccomanda l’esperta. Dopodiché piega la tortilla prima dal basso verso l’alto e poi sui due lati, in modo da creare un pratico sacchettino. «Così la salsa non può uscire dal fondo».

10. Riempire i tacos

Se preferisci i tacos – i gusci croccanti fatti di mais – assicurati che non ci sia troppa salsa. Inoltre, i tacos devono essere mangiati rapidamente una volta serviti. «Se si aspetta troppo, diventano velocemente mollicci», spiega Badertscher.

11. Cosa bere?

Molte bevande coprono troppo il sapore del cibo tex-mex. Ecco perché il margarita e la tequila, ad esempio, si gustano piuttosto prima o dopo il pasto. L’esperta sconsiglia anche le bevande dolci, come la cola: «Preferisco l’acqua con un po’ di succo di limetta. Oppure un vino rosso corposo».

12. La chicca: la limetta

«Il mio consiglio da insider! Alla fine spruzzo sempre un po’ di succo di limetta sul cibo per dare un tocco di freschezza», rivela Meret Badertscher.

Le spezie adatte
Cape Herbs & Spices
Chili Chipotle 80 g, Fr. 4.90
Taco Mix Fiesta del Sol 28 g, Fr. –.95
Cajun Spice Latin Cook 45 g, Fr. 4.50
Meret Badertscher

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Voci dai sentieri delle Alpi Albanesi

Un pastore di Valbona racconta la sua vita isolata, mentre la valle accoglie un flusso di escursionisti sempre più numeroso

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Coloratissimo piatto vegetariano Successo garantito a tavola se offriamo Rösti croccanti, serviti con cremosa burrata e un’acidula insalata di cavolo rosso

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Black Ops 6, l’azione si reinventa Il sistema «omni-movement» e una campagna intensa riportano velocità e fluidità al centro dell’esperienza di gioco nel nuovo Call of Duty

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Il curling paralimpico di casa guarda al futuro

Altri campioni ◆ L’allenatrice della nazionale Katja Schweizer si concentra sui giovani e sul rafforzamento dei club locali in Svizzera

L’appuntamento con l’allenatrice nazionale Katja Schweizer è presso la pista di ghiaccio di Sursee, nel Canton Lucerna. Un luogo simbolico per parlare del curling in carrozzella. È infatti qui che nel 2002 si è tenuto il primo Campionato mondiale di curling paralimpico. Una disciplina ancora poco nota e praticata in Ticino, diventata sport per atleti con disabilità ai Giochi invernali di Torino nel 2026.

Ed è proprio Katja Schweizer a spiegarci in poche parole questo sport: «Il Curling paralimpico è una variante del curling adattata agli atleti in particolare con difficoltà motorie agli arti inferiori. Si gioca sul ghiaccio con squadre miste di quattro giocatori. A differenza del curling per atleti normodotati, nel curling giocato in carrozzella non esiste la fase dello sweeping, ossia lo spazzolamento del ghiaccio per far scivolare la pietra dopo ogni lancio. Gli atleti spingono le pietre da fermi, direttamente dalla sedia a rotelle, attraverso una speciale asta di lancio. In questa fase, per ottenere una maggiore stabilità, il giocatore che lancia la pietra può farsi tenere ferma la carrozzella da un compagno di squadra. L’obiettivo è di avvicinare le proprie pietre il più possibile al centro del bersaglio».

Con competenza e passione, Katja Schweizer illustra le peculiarità tecniche e strategiche di questa disciplina

Rimaniamo nelle regole e nei tecnicismi, e approfondiamo alcune informazioni in merito al curling adattato: «Ci sono due differenze significative rispetto al curling classico», aggiunge Schweizer. «Mentre il pedone parte da una sorta di blocco di partenza per scivolare verso il bersaglio con la pietra, il giocatore su sedia a rotelle rimane fisso in una posizione seduta. Nel primo caso circa il 90% della velocità della pietra proviene dalla gamba del pedone e solo il 10% dal braccio. Il giocatore in sedia a rotelle spinge il sasso in avanti con la sola forza del braccio. È quindi più difficile per lui calibrare con precisione i movimenti di spinta». Una volta che la pietra è stata giocata, non è più possibile correggere nulla in quanto, come già detto, non esiste la fase di spazzolamento.

Queste particolarità richiedono un’impostazione degli allenamenti, dove l’aspetto di rafforzamento e stabilizzazione degli arti superiori e dei muscoli del tronco assume un ruolo centrale. Inoltre, una componente molto importante è l’allenamento tattico e mentale.

Capacità, queste, che Katja sa tra-

smettere nel migliore dei modi grazie al suo bagaglio professionale. Vediamolo: Schweizer, 46 anni, inizia la sua carriera in questo ambito come responsabile dello sviluppo dell’Associazione tedesca di curling durante il suo periodo di attività come giocatrice e soldato sportivo. Durante questo periodo, avvia il curling in carrozzella in Germania e costruisce la prima squadra nazionale attorno al famoso skip Jens Jäger. Come allenatrice nazionale guida per sei anni la Germania e per quattro anni l’Austria, sia a livello juniores sia élite, portando le due nazioni ai Campionati europei e mondiali. Nel 2017, Schweizer torna nuovamente agli sport in carrozzella e accompagna la squadra tedesca alle Paralimpiadi di Pyeongchang come co-allenatore insieme al padre Bernd Weisser. Dall’agosto 2024 lavora come allenatrice della nazionale paralimpica presso l’Associazione svizzera dei paraplegici.

E fra un anno andranno in scena i Giochi paralimpici di Milano Cortina. Un’occasione persa per la nazionale rossocrociata: «Purtroppo, la Svizzera negli ultimi tre Campionati del mondo non ha ottenuto nessun punto. Non si è quindi qualificata per i prossimi Giochi», spiega Schweizer.

La parola d’ordine utilizzata dall’allenatrice è quindi ricostruire: «Abbiamo molto lavoro davanti a noi. Come prima cosa stiamo cercando di capire il motivo della debacle ai tornei di qualificazione. Si dovrà ricostruire un’infrastruttura solida in cui potranno allenarsi e crescere nuovi atleti, con l’idea di dare alla nazionale una nuova prospettiva. Al momento, oltre che a concentrarmi sulla prima squadra, sto lavorando per rafforzare i club esistenti, con i quali mi incontro regolarmente per gli allenamenti in varie piste di curling della Svizzera».

E a questo proposito, chissà che fra un anno il nuovo palazzetto dello sport attualmente in costruzione a Sigirino, in cui è previsto anche uno spazio dedicato al Curling, il tutto inserito in una struttura completamente accessibile anche alle persone in carrozzella, possa diventare uno dei centri di riferimento per la nazionale rossocrociata? Lo scopriremo nei prossimi mesi. Ma curling paralimpico non significa necessariamente sport di competizione. Ne sa qualcosa Vroni Forrer. La quarantaduenne di Coira si è infatti avvicinata quasi per caso a questo sport nel 2009, in occasione di una giornata di sensibilizzazione tenutasi a Wetzikon: «Ciò che mi piace particolarmente di questo sport – spiega Forrer – è la combinazione del gioco con la tattica e la capacità di pensare in anticipo. Inoltre, mi piace giocare in una squadra e farne parte. Si impara a conoscere i punti di forza e

di debolezza dei compagni. Mi piace anche il fatto che posso rafforzare la mia testa mentalmente per mantenere la concentrazione il più a lungo possibile. Un aiuto, questo, per affrontare la vittoria e la sconfitta nel gioco e, fuori dal campo, per affrontare con maggiore forza le numerose sfide di tutti i giorni con le quali noi persone in carrozzella siamo costantemente confrontate. Infine, trovo che scivolare in carrozzella sul ghiaccio sia liberatorio; è una sensazione che a parte quando andiamo a sciare con il monosci, difficilmente riusciamo a rivivere».

Sensazione e desideri: «Voglio divertirmi il più a lungo possibile. Un obiettivo è quello di entrare nei quadri. Ci sto pensando, ma non ho ancora deciso; il mondo del curling resta aperto per me».

E chissà che nel frattempo, nella nuova squadra nazionale possa accedere anche qualche giocatore ticinese.

Vroni Forrer in nero e in piedi l’allenatrice Katja Schweizer. (Sport svizzero in carrozzella)
Davide Bogiani

Momenti frizzanti con Coca-Cola Zero Zuccheri Zero Caffeina –a ogni ora del giorno

Tutti conosciamo la sensazione: dopo una giornata intensa e ricca di avvenimenti, si desidera solo tuffarsi nell’accogliente atmosfera della propria casa e gustare una deliziosa cena. È forse troppo tardi per una Coca-Cola? Assolutamente no! Con Coca-Cola Zero Zuccheri Zero Caffeina, una rinfrescante variante della tanto apprezzata Coca-Cola Zero Zuccheri, i buongustai possono concedersi la loro bevanda preferita anche la sera dopo il lavoro, dopo lo sport o a cena tardi con gli amici, deliziando il palato con l’inimitabile gusto Coca-Cola, ma senza caffeina.

Piccoli momenti di piacere a ogni ora del giorno Non tutti amano le bevande contenenti caffeina oppure le evitano volutamente la sera. Marco Manzo, Senior Manager Marketing di Coca-Cola Svizzera, spiega: «Coca-Cola Zero Zuccheri Zero Caffeina è la scelta ideale in ogni momento della giornata e in particolare la sera a cena. Perché questa Coca-Cola si può gustare a ogni ora senza problemi.»

Ulteriori informazioni su: www.coca-cola.com

L’anima rurale delle Alpi Albanesi

Reportage ◆ A Valbona, nel nord del Paese, pastori, ospitalità genuina e l’invasione silenziosa dei turisti

Lisa Maddalena, testo e foto

Përshëndetje! Chi l’avrebbe mai detto che l’albanese fosse una lingua così complicata? Volevo solo imparare il saluto locale: ora mi ritrovo a rileggere le mie note tre volte al giorno per ricordarmi la traduzione di un semplice «salve!». Non ho fortuna neanche con «grazie»: se presa alla sprovvista, mi scappa un banale thank you , perché ci metto troppo a ricordare la parola giusta: faleminderit!

Eppure, l’Albania dista meno di ottanta chilometri dall’Italia nel suo punto più vicino. Alcune somiglianze linguistiche con l’italiano ci sono, tuttavia molte volte per farsi capire bisogna affidarsi all’inglese, ai gesti oppure ad applicazioni online di traduzione.

Proprio con quest’ultimo strumento riusciamo a «conversare» con un uomo del posto: ci troviamo nel nord dell’Albania, nelle cosiddette Alpi Albanesi. Besnik è un pastore di pecore, e ha appena evitato che i suoi cani ci aggredissero mentre passeggiavamo per le montagne. Non è arrabbiato che l’abbiamo distratto dal suo lavoro (chissà dove sono scappate nel frattempo le sue bestiole…), anzi: entusiasta ci mostra alcune foto della sua famiglia e un video di sua figlia mentre canta canzoni popolari durante la festa della scuola.

Per ora, l’isolamento di questa valle mantiene intatti i costumi e le tradizioni del luogo, nonostante l’arrivo di sempre più numerosi escursionisti

Con l’aiuto del cellulare ci scambiamo qualche frase: ha cento pecore e di solito passa con loro le notti in montagna. Scende ogni tanto a valle per rifornirsi di provviste, che i suoi due cavalli portano in groppa. Passa molto tempo da solo, per questo siamo i benvenuti nella sua giornata solitaria, anche se durante la nostra «chiacchierata» le pecore si sono date alla fuga.

L’incontro con Besnik rappresenta uno spaccato autentico della vita nelle Alpi Albanesi, una realtà che coesiste con l’arrivo sempre più massiccio di escursionisti. L’Albania si è aperta al turismo già da qualche anno, dopo il lungo isolamento sotto la dittatura di Enver Hoxha. Se dal 1991 a oggi molte città del Paese hanno conosciuto un boom turistico, ci sono ancora luoghi sconosciuti ai più. Non si può dire che il paesino di Valbona, situato nell’omonima valle, sia tra questi: anche se per raggiungerlo ci si mette una giornata intera dalla città più vicina, questo paese nella stagione estiva è visi-

tato (o meglio, transitato, visto che solo in pochi si fermano per più di una notte) da centinaia di turisti ogni giorno. Ciò soprattutto a causa del famoso trekking tra Valbona e Theth, tappa obbligata di molti di coloro

che scelgono come meta l’Albania. La maggior attrazione è certamente la vista mozzafiato sulle cime calcaree della valle! Meglio, tuttavia, sarebbe fermarsi qualche giorno in più per esplorare anche le passeg-

giate meno famose. Di pensioni per passare la notte, o bujtina in albanese, ce ne sono in abbondanza. Come quella di Dritan e Arjeta che hanno ampliato la loro casa per ospitare dei turisti, offrendo un’accoglienza casa-

linga. Arjeta è un’abilissima cuoca: in men che non si dica ci troviamo davanti ottimi byrek (torta salata di formaggio, spinaci o carne macinata) fatta in casa, carne e insalata greca. I Paesi vicini hanno influenzato molto la tradizione culinaria albanese: anche qui, come in altri luoghi balcanici, i byrek e le grigliate di carne sono pressoché onnipresenti. Pure l’insalata greca, così come gyros e souvlaki (spiedi e spiedini) si trovano molto spesso sul menù: la Grecia, infatti, non è lontana.

A Valbona, negli ultimi anni le bujtine sono spuntate come funghi: in un Paese dove il salario medio mensile non raggiunge i 100mila lek (circa mille euro), ospitare turisti per un minimo di trenta euro a notte è un buon affare.

Nonostante l’inaccessibilità, dunque Valbona è riuscita a diventare uno dei villaggi albanesi più frequentati dai turisti. Tuttavia, anche con questo viavai, la vita in valle scorre ancora al ritmo lento di una volta: ogni famiglia ha la propria mucca, con il cui latte qualcuno della famiglia produce formaggini simili alla feta. Le mucche pascolano libere per il paese, fornendo un servizio di tagliaerba gratuito a chi dimentica di chiudere il cancello del proprio giardino. Nelle alture troviamo anche veri e propri alpeggi, dove la gente passa l’estate con i propri animali per produrre formaggio, proprio come sugli alpeggi svizzeri. In Albania, spesso nei ristoranti e negozi dei luoghi turistici troviamo ragazzini a dare una mano con i turisti, anche perché i giovani imparano l’inglese a scuola, mentre le generazioni precedenti molte volte non lo sanno parlare e si trovano in difficoltà con gli stranieri.

Nonostante le difficoltà linguistiche, la curiosità e la voglia di chiacchierare della gente del posto supera ogni barriera

Per chi si ferma qualche giorno a Valbona, un salto al negozietto di paese (in realtà una baracca da cantiere a cui si è data una seconda vita) per rifornirsi di provviste è d’obbligo: è gestito da un tredicenne con un caratterino imprevedibile, che decide i prezzi in base al suo umore e alla simpatia per i clienti del momento. Noi abbiamo fortuna: il ragazzino sembra essere di buonumore, ci fa un buon prezzo e ci regala pure un grappolo d’uva.

Solo alcuni dettagli ci riportano alla realtà di questa comunità di montagna: la scuola, che vista dall’esterno sembra cadere a pezzi; o la perenne spazzatura, che, in mancanza di adeguati sistemi di smaltimento, viene semplicemente buttata nei fiumi, per farsi portare via dalla prossima alluvione. Insomma, salvo alcuni dettagli, la valle di Valbona potrebbe assomigliare alla Val Bavona di cent’anni or sono. Tuttavia, alcuni imprenditori hanno già iniziato a fiutare gli affari, costruendo hotel e resort immensi se paragonati alle piccole bujtine familiari. Forse non pensando al fatto che tanti dei turisti sono proprio attratti dall’Albania rurale e tradizionale, che potrebbe scomparire se lo sviluppo continuerà in maniera incontrollata.

Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

Medaglioni di rösti con cavolo rosso e burrata

● Ingredienti

Piatto principale

Ingredienti per 4 persone

400 g di cavolo rosso

2 mele acidule

3 c di olio di girasole

2 c di aceto di mele sale

pepe

1 kg di patate resistenti alla cottura

30 g di farina

1 uovo

3 c di burro per arrostire

2 burrate di 125 g ciascuna

40 g d’insalata, ad esempio crescione d’acqua

Preparazione

1. Affettate finemente il cavolo rosso con una mandolina. Tagliate le mele a bastoncino fine. Mescolate entrambi con l’olio e l’aceto e condite con sale e pepe. Lasciate quindi riposare per circa 30 minuti.

2. Nel frattempo, pelate le patate e grattugiatele con la grattugia per rösti. Conditele con poco sale e lasciatele riposare per circa 10 minuti. Strizzate bene con le mani la massa di patate.

3. Mescolate le patate con la farina e l’uovo. Condite la massa con sale e pepe. Scaldate il forno statico a 80 °C.

4. Scaldate un po’ di burro in una padella antiaderente. Con circa 2 cucchiai di patate formate con le mani dei medaglioni grandi come il palmo di una mano. Dorateli da entrambi i lati in poco burro per arrostire per circa 5 minuti, poi teneteli in caldo in forno.

5. Dimezzate le burrate. Servite i medaglioni con il cavolo rosso e la burrata. Guarnite con foglie di crescione d’acqua.

Preparazione: circa 40 minuti; riposo: circa 30 minuti + 10 minuti

Per persona: circa 14 g di proteine, 32 g di grassi, 59 g di carboidrati, 590 kcal

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L’evoluzione del movimento che cambia il gioco

Videogiochi

◆ Nel nuovo Call of Duty: Black Ops 6, meccaniche spettacolari e una campagna sorprendente, ma il multiplayer resta nella comfort zone

Dopo due anni consecutivi con la saga di Modern Warfare, Activision ha finalmente deciso di cambiare rotta: è arrivato il momento di riprendere a giocare con la serie di Black Ops. Queste due saghe si sono sempre distinte nel panorama di Call of Duty, ma per qualche ragione, Activision ci ha fatto attendere ben quattro anni prima di poter mettere mano sul sequel di Black Ops Cold War

Partiamo subito con quella che è la più grande innovazione introdotta con questo titolo: ovvero, il nuovo sistema di movimento chiamato «omni-movement»: immaginate un salto alla Max Payne in qualsiasi direzione, armi spianate, per poi atterrare al suolo nel modo più spettacolare possibile. Questo meccanismo mira a offrire una giocabilità super fluida e veloce, premiando i giocatori che riusciranno a padroneggiare al meglio la tecnica. Evitare di essere colpiti e massimizzare la mira dopo essersi esposti sono elementi chiave per vincere i combattimenti su Call of Duty. La notevole introduzione spinge i giocatori a diventare delle vere e proprie macchine da guerra.

Abbiamo passato centinaia di ore a giocare a Modern Warfare 3, un gioco carino, per carità, ma niente di eccezionale. Dopo pochi giorni su Black Ops 6, non riusciamo nemme-

no a immaginare di tornare indietro, e il merito è proprio di questo nuovo «movement», che rende il gioco estremamente divertente.

Al di là della nuova meccanica di movimento, questo titolo ha molto altro da offrire. A nostro avviso, Activision ha ascoltato la community fino in fondo questa volta, proponendo un videogioco basato sulla velocità e l’azione sfrenata, grazie ai salti sulle superfici aumentati, la ricarica delle armi che non rallenta più la corsa e il passaggio da un’arma all’altra pressoché istantaneo.

Black Ops 6 introduce il rivoluzionario «omnimovement», rendendo la giocabilità super fluida, veloce e divertente

Per non parlare di una serie eccellente di missioni che offrono varietà e flessibilità unite per creare la migliore campagna di Call of Duty da molti, moltissimi anni. Black Ops 6 è un fantastico ritorno in grande stile per la serie, tenendo il videogiocatore col fiato sospeso a ogni svolta. La campagna di questo titolo riesce a rendere ogni capitolo distinto dagli altri, pur mantenendo un elevato livello di qualità su tutta la linea. Con una sto-

Giochi e passatempi

Cruciverba

Spesso il piumaggio interno delle ali degli uccelli è chiaro, questo permette loro di…

Trova il resto della frase a soluzione ultimata leggendo nelle caselle evidenziate.

(Frase: 11, 3, 5, 1, 8, 3, 9)

ORIZZONTALI

1. Calcolo aritmetico

6. Capitale accantonato per uno scopo

11. Tesoro pubblico

13. Monte di Gerusalemme

14. Quelli pasquali sono uova e colombe

16. Levante

17. Simbolo chimico del cloro

19. Dio egizio

21. Si conserva nella pisside

23. Può esserlo la quota

25. Le iniziali dell’Alfieri

27. Dipartimento francese e anagramma di gres

29. Può sposarla anche

chi è già sposato

31. Le iniziali di una nota Pivetti

32. La coppia in arrivo

33. Nome femminile

34. Il bis di Totò

35. Cittadina della Francia centrale e anagramma di mori VERTICALI

1. Il soprannome del poeta Angiolieri

2. Oppure ... a Liverpool

3. Un rintocco di campana al contrario

4. Particolari... sedili

5. Antica lingua francese

7. Bocca in latino

8. Gli si oppone tutto

ria avvincente che migliora man mano si prosegue, supera le aspettative per quanto riguarda il level design e la creatività, dimostrando che, quando viene dato il tempo di realizzarle adeguatamente, le campagne di Call of Duty hanno ancora tutte le carte in regola per competere con i migliori sparatutto in prima persona.

Tutto ciò – insieme al gunplay storicamente spettacolare – rende Call of Duty: Black Ops 6 un titolo della saga destinato a essere ricordato a lungo. È vero, potremmo analizzare tutte le piccole cose che altri giochi fanno meglio, ma di fronte a un livello di divertimento così elevato, le altre imperfezioni sembrano insignificanti. Per onore della cronaca vanno comunque menzionate.

Sia dal punto di vista grafico sia da quello sonoro, ad esempio, il nuovo titolo rimane pressoché invariato rispetto al suo predecessore Modern Warfare 3, non riuscendo a offrire nulla di significativamente migliorativo. Anzi, per quanto riguarda l’audio di gioco, abbiamo sempre questo fastidiosissimo problema con i passi dei nemici, che non si capisce mai da dove arrivino.

Anche il comparto multiplayer non offre nulla di particolarmente innovativo sotto questo punto di vista; infatti, come in ogni titolo della saga,

9. Due spagnoli

10. Si lavavano con il sangue

12. Lo è Ciccio di Walt Disney

15. Andata alla latina

18. Le iniziali dello scrittore e patriota Settembrini

20. Nome femminile

22. Gli antichi padri

24. Infecondo

26. Comune Bresciano e orda capovolta

28. E-mail indesiderate

30. Il... trilussiano

33. Pronome poetico

si compete contro altri videogiocatori online su una serie di mappe che permetteranno di grindare (potenziare tramite accumulo di missioni) le armi e i perk (vantaggi), lungo i 55 livelli disponibili (esclusi i prestigi). Anche le modalità sono più o meno sempre le stesse, ovvero: deathmatch a squadre, quartier generale, postazione, cerca e distruggi e via dicendo. E in questo senso non sarebbe stato un male svecchiare la solita offerta che si ripete di anno in anno.

Nota di merito, invece, è l’introduzione immediata della «modalità classificata», cioè una modalità competitiva in cui i giocatori possono sa-

lire di livello o classificarsi in base alle loro prestazioni; e il ritorno di Nuketown, mappa iconica e molto amata della serie Black Ops. Per concludere, Call of Duty: Black Ops 6 porta l’iconica esperienza di Call of Duty a nuove vette di divertimento. Vorremmo che ci fossero più modalità nuove e innovative da esplorare, ma questa è praticamente l’unica cosa che ci lascia un po’ perplessi. Nel complesso, Call of Duty: Black Ops 6 brilla perché, pur giocando sul sicuro in molte cose, esegue i fondamentali del combattimento multiplayer in un modo che sembra il migliore da molto tempo. Voto: 8/10

Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

Soluzione della settimana precedente DANNOSI BUONGUSTAI – I tarli preferiscono mangiare la parte esterna del legno quello vicino alla corteccia che si chiama… Resto della frase: … ALBURNO ED È

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato

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Settimana Migros

1.75

Prezzo basso

Già 500 prodotti di largo consumo a prezzo basso permanente

3.50 Prosciutto crudo Serrano M-Classic Spagna, per 100 g, in self-service

4.95 Cura della protesi dentaria Kukident Super Bonding Cream 47 g, (100 g = 10.53)

1.30 Candeggina Potz Nature 2 litri, (1 l = 0.65)

2.40 Party Sticks Malbuner Svizzera, 40 g, in self-service, (100 g = 6.00)

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Lattuga cappuccio con cuore Anna's Best 230 g, (100 g = 1.00)

2.80

Corona croccante IP-SUISSE

400 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.70)

2.25

2.70 Mezza panna UHT Valflora, IP-SUISSE

500 ml, (100 ml = 0.54)

3.95 Mezza panna Valflora, in bomboletta senza zuccheri aggiunti, 250 ml, (100 ml = 1.58)

Insalata del giardiniere Anna's Best

350 g, (100 g = 0.64)

–.55 Yogurt al cioccolato M-Classic denso, 200 g, (100 g = 0.28)

Fresco o surgelato, come peschi, peschi bene

9.95

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Orata reale M-Classic, ASC d'allevamento, Turchia, 2 pezzi, 720 g, in self-service, (100 g = 1.38) 31%

9.95

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Filetti di salmone con pelle Migros Bio d'allevamento, Irlanda, 300 g, in self-service, (100 g = 3.32) 26%

9.95

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Gamberetti sbollentati e sgusciati M-Classic, ASC d’allevamento, Ecuador, 450 g, in self-service, (100 g = 3.10)

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI

Per evitare che la pelle dell'orata si laceri in modo scomposto, conviene fare tre incisioni per lato leggermente in obliquo in direzione della coda. Poi si farcisce il ventre con limone e timo, si sala il pesce dentro e fuori e lo si inforna a 200 gradi per circa 25 minuti.

6.55

invece di 8.20 Bastoncini di merluzzo Pelican, MSC prodotto surgelato, 2 x 300 g, (100 g = 1.09)

100% filetto di merluzzo

Tanto bio, tante vitamine, tanti

Tutto l'assortimento Demeter per es. mele, Svizzera, al kg, 5.56 invece di 6.95 20%

3.15

invece di 3.95 Champignon Migros Bio marroni e bianchi, Svizzera/Paesi Bassi, vaschetta da 250 g, (100 g = 1.26) 20%

LO SAPEVI?

3.75 invece di 4.95

Patate Amandine Svizzera, sacchetto da 1,5 kg, (100 g = 0.25) 24%

1.90 invece di 2.55

Lattuga mini Spagna, vaschetta con 6 pezzi, 375 g, (100 g = 0.51) 25%

1.20 Extra Kiwi Gold Nuova Zelanda/Italia, al pezzo

Demeter è un marchio di qualità valido in tutto il mondo per alimenti da agricoltura biologica e biodinamica. È il più antico marco bio e quello con le direttive più severe. Chi acquista gli alimenti Demeter sa che questo marchio è sinonimo di un'agricoltura e una lavorazione rigorosamente rispettose della natura e sostenibili.

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Bacche miste Marocco/Spagna, 2 x 250 g, confezionate

Migros Ticino

Tagli succosi, affumicati, raffinati

3.60 invece di 4.55

e dal delicatoaffumicatoaroma affumicato

3.20

invece di 4.–Lonza affumicata Quick bio Svizzera, per 100 g, in self-service 20%

Spalletta, prosciutto di noce, lingua di manzo e prosciuttino di coscia arrotolato normale o mini, M-Classic Svizzera, per es. prosciuttino di coscia arrotolato mini, per 100 g, 1.90 invece di 3.20, in self-service 40%

8.50 invece di 12.–

5.90

invece di 7.40

Carne secca di manzo Migros Bio Svizzera, 100 g, in self-service 20%

3.20

invece di 4.–

Prosciutto cotto Puccini Rapelli Svizzera, per 100 g, in self-service 20%

6.60 invece di 8.25 Piatto misto di affettati ticinesi prodotto in Ticino, 150 g, in self-service, (100 g = 4.40) 20% 8.50 invece di 11.50

Migros Ticino

Tanto gusto a poco prezzo

Uova svizzere Demeter da allevamento all'aperto 6 x 53 g+ 20%

5.56 invece di 6.95

1.40

Appenzeller dolce per 100 g, prodotto confezionato 20%

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15.25

invece di 19.10

Fondue moitié-moitié

Caquelon Noir, AOP 2 x 400 g, (100 g = 1.91)

2.36

Le Gruyère piccante Migros Bio, AOP circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 20%

invece di 2.95

2.60

San Gottardo Prealpi per 100 g, prodotto confezionato 20%

invece di 3.25

Gorgonzola Selezione Reale DOP per es. dolce, 200 g, 4.05 invece di 4.50, (100 g = 2.03) 10%

Migros Ticino

conf. da 2 –.40 di riduzione

7.50

invece di 7.90 Il Burro 2 x 250 g, (100 g = 0.50)

conf. da 2 15%

5.95

invece di 7.–

Dal sapore intenso ed equilibrato

Formaggio Cave d'Or

Le Gruyère AOP, Emmentaler e raclette bio a fette, per 100 g, per es. Le Gruyère AOP, per 100 g, 2.44 invece di 3.05, prodotto confezionato 20%

Una

conf. da 4 16%

Panna intera UHT Valflora, IP-SUISSE 2 x 500 ml, (100 ml = 0.60)

2.–

invece di 2.40

Quark alla frutta M-Classic lampone, fragola o albicocca, 4 x 125 g, (100 g = 0.40)

porzione al giorno aiuta

la digestione

1.75 invece di 2.10

Formaggella ticinese 1/4 grassa per 100 g, prodotto confezionato 16%

Tutti gli yogurt e i drink, Bifidus per es. drink alla fragola, 500 ml, 1.57 invece di 1.85, (100 ml = 0.31) 15%

Migros Ticino

Prodotti

Bontà subito pronte?

Pasta Migros Bio, refrigerata tortelloni ricotta e spinaci, fettuccine o spätzli, in confezioni multiple, per es. tortelloni, 3 x 250 g, 8.40 invece di 10.50, (100 g = 1.12)

Fatte

in

Svizzera con ingredienti

da 2 pezzi 30% Tutte le zuppe refrigerate Migros Bio per es. zuppa di zucca, 500 ml, 3.96 invece di 4.95, (100 ml = 0.79) 20%

Tutti gli hummus, gli antipasti e le olive, Anna's Best per es. hummus nature, 200 g, 2.66 invece di 3.80, (100 g = 1.33)

bio Snack o menu, Anna's Best Dim Sum Sea Treasure, Vegetable Spring Rolls o Chicken Satay, per es. Dim Sum Sea Treasure, 2 x 250 g, 11.– invece di 13.80, (100 g = 2.20)

3.44 invece di 4.30

Tofu nature bio Demeter 200 g 20%

Chi croccante, chi cremoso, ma tutti irresistibili

Ripieni di delicata crema alla vaniglia

2.70

invece di 3.20

360 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.75) –.50 di riduzione

Twister chiaro cotto su pietra Migros Bio

Berliner con ripieno di crema in conf. speciale, 4 pezzi, 400 g, (100 g = 1.25) 28%

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5.60

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Fagottini di spelta alle pere Migros Bio 2 x 225 g, (100 g = 1.24)

Tutti i rotoli e i mini rotoli non refrigerati, Petit Bonheur per es. rotolo ai lamponi, 330 g, 3.44 invece di 4.30, prodotto confezionato, (100 g = 1.04) 20%

Di qui si entra in un goloso paradiso!

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di cioccolato Frey Tourist al latte o Noir Special 72%, 10 x 100 g

Risoletto Frey in confezioni speciali e multiple, per es. minis al latte, 840 g, 15.40 invece di 19.80, (100 g = 1.83) 22%

Ovomaltine

disponibile in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. Ovo Rocks, 2 x 120 g, 6.60 invece di 8.30, (100 g = 2.75)

Coaties o Crunchy Clouds, Frey disponibili in diverse varietà e confezioni speciali, per es. Coaties Original, 1 kg, 11.– invece di 13.90, (100 g = 1.10)

da 2

a partire da 2 pezzi 20%

Pastiglie per la gola 220 g e 110 g, per es. Cassis, sacchetto da 220 g, 4.64 invece di 5.80, (100 g = 2.11)

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Tutti i biscotti Créa d'Or per es. Florentin, 100 g, 3.20 invece di 3.80

raucedine e mal di gola

Tutti i gelati Crème d'Or in vaschetta da 500 ml e 1000 ml prodotto surgelato, per es. vaniglia Bourbon, 1000 ml, 8.76 invece di 10.95, (100 ml = 0.88) a partire da 2 pezzi 20%

le bevande

SAPEVI?

Tutti gli ingredienti dei succhi Biotta provengono da coltivazioni biologiche. E in più questi prodotti non contengono additivi né zucchero cristallizzato aggiunto. Sono quindi l'ideale per fare una cura dei succhi, che può essere l'inizio di un'alimentazione più sana e consapevole. Questa cura infatti alleggerisce il corpo e gli offre una benefica pausa di recupero.

Snacketti

Grande scelta, piccoli prezzi

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Tutti i cereali e i semi, Migros Bio (prodotti Alnatura e sfusi esclusi), per es. fiocchi d'avena svizzeri, fini, 400 g, 1.44 invece di 1.80, (100 g = 0.36)

Tutto l'assortimento di caffè Migros Bio in chicchi, macinato e istantaneo, per es. macinato, Fairtrade, 500 g, 7.36 invece di 9.20, (100 g = 1.47) 20%

da 2 20%

12.–

invece di 15.–

Tortine al formaggio M-Classic prodotto surgelato, 2 x 12 pezzi, 2 x 840 g, (100 g = 0.71)

partire da 2 pezzi 20%

Tutti i tipi di confetture e di miele, Migros Bio per es. confettura extra di fragole, 350 g, 3.16 invece di 3.95, (100 g = 0.90)

da 2 20%

9.50

invece di 11.90

Sofficini M-Classic prodotti surgelati, al formaggio, agli spinaci o ai funghi, 2 x 8 pezzi, 960 g, (100 g = 0.99)

conf.
a
conf.
Pizze

Chioma fluente o rasatura perfetta?

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Rasoi usa e getta Gillette Blue II o Blue 3, in confezioni speciali, per es. Blu II, 20 pezzi, 8.95 invece di 11.20, (1 pz. = 0.45) 20%

Per pulire, asciugare e stampare

Tutto l'assortimento Demeter (latte Pre e latte di tipo 1 esclusi), per es. pappa di carote bio Holle, 125 g, 1.28 invece di 1.60, (100 g = 1.02)

Calze per bebè disponibili in diversi colori, numeri 10/14–23/26

Clogs da donna in pelle disponibili in bianco o nero, taglie 36–40, il paio

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disponibile in diverse varietà, 6 x 1,5 litri, 6 x 1 litro e 6 x 500 ml, per es. frizzante, 6 x 1,5 litri, 3.20 invece di 6.40, (100 ml = 0.04), offerta valida dal 20.2 al 23.2.2025

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5.95 invece di 8.80

Prosciutto crudo dei Grigioni Spécialité Suisse, IP-SUISSE affettato finemente, 160 g, in self-service, (100 g = 3.72), offerta valida dal 20.2 al 23.2.2025

40%

Tutti i pannolini Pampers (confezioni multiple escluse), per es. Premium Protection, tg. 1, 24 pezzi, 5.85 invece di 9.75, (1 pz. = 0.24), offerta valida dal 20.2 al 23.2.2025 a partire da 2 pezzi

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