Anno LXXXVIII 12 maggio 2025
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura
edizione
20
MONDO MIGROS
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SOCIETÀ
ATTUALITÀ
CULTURA
TEMPO LIBERO
Intervista al professor Nello Cristianini autore di una trilogia sull’avvento dell’IA
Cerchiamo di definire cos’è l’Europa anche se forse come soggetto geopolitico non esiste
Al Centre Pompidou di Parigi Suzanne Valadon, artista femminile fuori dagli schemi
Quando la risata diventa oggetto sonoro, poi strumento di massa: storia di un contagio registrato
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Keystone
Le sfide che attendono Leone
Giorgio Bernardelli
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Il ruggito del nuovo Papa Carlo Silini
L’aria è bonaria, diresti timidamente sorridente, ma Robert Francis Prevost, il nuovo Papa della Chiesa cattolica, si è scelto un nome che promette battaglia: Leone XIV. Si pone così in linea di continuità con l’autore della prima enciclica sociale, la Rerum Novarum, uscita dalla penna di un allora ottantunenne Leone XIII nel 1891, portando la Chiesa cattolica a riscoprire i suoi «nuovi poveri», che a quei tempi si chiamavano «proletari», vittime di «immeritata miseria», ritenute «ingente moltitudine cui un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto un giogo quasi schiavistico», «uomini soli e indifesi in balia della cupidigia dei padroni e d’una sfrenata concorrenza». A Washington il presidente Usa Donald Trump sarà anche molto fiero di avere un connazionale sul soglio di San Pietro, visto che lui nei panni immacolati del pontefice può mettersi solo per
burla credendosi perfino divertente. Ma se mai rileggerà il testo di Leone XIII non dovrebbe metterci troppo a capire che le idee che ispirano il nuovo Papa lo collocano dalla parte degli «straricchi» fautori di una «sfrenata concorrenza» che, a naso, è piuttosto lontana dalla misericordia cristiana. No, a Robert Francis Prevost non interessa far l’America di nuovo grande («Make America Great Again») escludendo i poveri e gli ultimi, perché, come scriveva il 3 febbraio sul «National Catholic Reporter», «JD Vance si sbaglia: Gesù non ci chiede di fare una classifica nel nostro amore verso gli altri». L’allora cardinale Prevost polemizzava con le dichiarazioni del vicepresidente Usa che in un'intervista a «Fox News» sosteneva: «Esiste un concetto cristiano secondo cui si ama la propria famiglia, poi si ama il prossimo, poi si ama la propria comunità, poi si ama
il proprio concittadino e poi si dà priorità al resto del mondo». Toccherà comunque a Leone XIV, americano di sangue europeo e d’adozione peruviana, cercare di tirare dalla parte di una fede pratica e sociale i cattolici Usa che all’ultima tornata hanno votato in massa per Trump. Strana cosa, la Chiesa cattolica statunitense. Fino alla metà degli anni Novanta era palesemente «liberal», a immagine e somiglianza dell’arcivescovo Joseph Bernardin, fra i predecessori di Prevost alla guida della Diocesi di Chicago. Ma da lì in avanti, proprio mentre esplodevano clamorosi casi di pedofilia nel clero (da cui è stato lambito lo stesso Prevost, con accuse di insabbiamenti), l’episcopato Usa ha cambiato rotta, spingendosi a destra, rivendicando «valori non negoziabili» e partecipando in massa alle marce per la vita. Una generazione di «guerrieri culturali» guidati da leader come il cardinal Ray-
mond Burke, anch’egli tra i votanti all’ultimo conclave, gran sostenitore della Messa in latino e critico feroce delle riforme di papa Francesco, da lui ritenuto poco meno che eretico. Oltre a ricucire i legami con la parte più conservatrice (non solo in America) del cattolicesimo, lui che è aperto sui divorziati risposati, ma non sugli omosessuali e sul sacerdozio femminile, Leone si è subito posto in assoluta e, se possibile, ancora più marcata continuità col predecessore Francesco riguardo alla questione della pace. Commovente che le sue prime parole da Papa siano state «la pace sia con voi» in un momento in cui si apre improvviso un nuovo fronte di guerra fra India e Pakistan, la popolazione di Gaza viene scientificamente affamata dal Governo israeliano e ogni tre per due Putin si premura di ricordare al pianeta che ha una bella scorta di bombe atomiche in cantina.