Segno_n03-11

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Poste Italiane S.p.A - Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 2, CNS/AC Roma Segno nel mondo â‚Ź 1,70

Marzo 2011

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nel mondo

n.

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Anno del volontariato

Dare una mano con il sorriso


DA PASQUA A PENTECOSTE OGNUNO DI NOI HA BISOGNO DI INCROCIARE QUOTIDIANITÀ E PREGHIERA, OCCUPAZIONI E RIFLESSIONI. CI AIUTANO, GIORNO PER GIORNO, LE MEDITAZIONI PRESENTI IN QUESTO LIBRO DELL’ASSISTENTE GENERALE DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA PP.128 €5,00 QUARESIMA E PASQUA Il maestro è qui, ti chiama

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Fatti

parole di Maria Graziano e Paolo Trionfini

Verso l’Assemblea.

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Dare corpo alla speranza

Il percorso assembleare è in piena effervescenza: dopo le realtà parrocchiali, ora è la volta delle associazioni diocesane, che con modalità differenti, segno del legame inscindibile con le sfaccettate dimensioni dei territori, stanno celebrando le assemblee. A chi vive, ancor di più che nell’ordinario, l’esperienza unica di percorrere l’Italia “in lungo e in largo” partecipando a tali momenti di elaborazione di percorsi di fede e di cultura, di relazioni che s’intrecciano e si vivificano reciprocamente, si affaccia uno scenario meraviglioso: gli stessi ideali, proclamati e vissuti, circolano nei vari ambienti e promuovono forme diverse di impegno a seconda delle esigenze e delle sensibilità locali. Persone e territori. Episodi indimenticabili di amore evangelico restano impressi nel cuore e nella

mente: l’accoglienza premurosa e calda delle presidenze diocesane uscenti; la bontà paterna dei pastori che presiedono i momenti di preghiera o partecipano a tutta l’assemblea, ascoltando e incoraggiando; il sorriso affettuoso di qualcuno di loro che conforta e sostiene premurosamente l’operato di chi si spende generosamente nell’esercizio non facile di barcamenarsi tra impegni personali, familiari, professionali, associativi...; magnifici assistenti che conciliano l’inconciliabile e si spendono rispettosi e attenti di un laicato che, alla luce delle sue esperienze maturate nella vita di tutti i giorni, dibatte sull’accompagnamento spirituale, sulla corresponsabilità ecclesiale, sulla formazione dei responsabili, sui gruppi e sulle varie forme di testimonianza espresse e da esprimere nel territorio in vista del bene comune... C’è un’Italia che cresce: in un tempo in cui tutti prefiguriamo sciagura, l’Azione cattolica italiana canta e celebra la speranza. Non si è ingenui o ciechi di fronte alla durezza della vita, se si è profondamente e seriamente grati ai tanti giovani e adulti, educatori e responsabili, che vediamo spendersi, gratuitamente e nella semplicità, perché il paese cambi dal di dentro. Stiamo vivendo la scadenza triennale come un tempo in cui verifichiamo la scelta democratica, che passa attraverso l’elezione dei nostri responsabili a tutti i livelli. In questi giorni intendiamo ribadire che i luoghi della corresponsabilità associativi rappresentano la possibilità concreta di interpretare le esigenze delle persone e dei territori, avanzando proposte e rilanciando nuove sfide, perché la nostra struttura partecipativa dà a ogni socio la possibilità di operare scelte di linee progettuali e di persone; l’associazione, infatti, non ha leader che ne garantiscano il carisma, ma piuttosto il suo “carisma” è il legame, la rete di relazioni che essa promuove. Vorremmo condividere anche il modo in cui questi

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fatti e parole

[ Nelle foto alcuni momenti dell’incontro nazionale del 30 ottobre scorso con Benedetto XVI

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appuntamenti sono stati organizzati: in alcuni casi, l’assemblea è stata preceduta da un momento di approfondimento, che ha avuto di volta in volta il carattere di preparazione interna più distesa o di apertura pubblica più provocante. In altri, lo spazio di confronto è stato più compresso ma non meno significativo. Anche sotto questo profilo, la ricchezza diversificata delle proposte richiama la vivacità del tessuto associativo, che si è potuto esprimere secondo registri diversi, tesi, comunque, all’unisono a manifestare l’intenzione profonda dell’Azione cattolica di rigenerarsi continuamente nella fedeltà a una tradizione viva. La scelta educativa. Questa tensione si esplicita in forma tangibile nell’assumere – anche in questo caso con una declinazione al plurale – il documento programmatico assembleare come riferimento pregnante: si tratta di un’attenzione non estemporanea per riaffermare i legami dell’unica associazio-

ne, che si articola, arricchendosi, nei contesti in cui opera. Il documento, mediato, ricalibrato e rilanciato per la peculiare realtà delle associazioni diocesane, funge da filo conduttore del percorso assembleare, secondo un apparente paradosso: sollecitando a ripensare l’identità associativa nella natura propria di un’assemblea, spinge ad assumere «fino in fondo, anzi fino in cima» la soggettività dell’Azione cattolica, che non può che essere estroversa nel servizio alla missione evangelizzatrice della Chiesa. In quest’ottica, il documento programmatico compie una precisa scelta di campo, proiettando le prospettive associative sullo sfondo degli orientamenti pastorali del decennio Educare alla vita buona del Vangelo. Nel ribadire, infatti, la centralità della scelta educativa, attraverso la quale l’Ac accompagna, nella solidarietà intergenerazionale, la vita ordinaria delle persone in ogni età, e condizione, se ne richiamano le potenziali ricadute per il


vissuto delle chiese locali e delle comusvolgerà a Roma dal 6 nità civili nelle quali è all’8 maggio 2011. radicata: «In questa In questo articolo i due logica missionaria è vice presidenti per il importante, dunque, settore Adulti riscoprire la profezia sottolineano di uno stile formativo l’esperienza delle [...] quale strumento assemblee parrocchiali di annuncio, ricerca, e diocesane, i riscoperta, crescita contenuti del nella fede attraverso Documento e il senso l’ordinarietà della vita del titolo - Vivere la associativa, il servizio fede amare la vita - di e la dedizione alla un percorso che sta Chiesa, la responsacoinvolgendo centinaia bilità verso la città e il di migliaia di soci in creato, la profondità ogni angolo del paese di un cammino personale e spirituale per ogni socio, la capacità di vivere, attraverso la sapienza evangelica, la vocazione laicale come chiamata alla santità». È bello rilevare la vivacità delle esperienze formative che non fanno notizia e che promuovono una fede che cambia la vita, che genera scelte. Nei gruppi di Ac non si dà per scontato l’essere credenti e ci si educa a estromettersi: l’esercizio di responsabilità che ogni tre anni si chiede a un socio diventa l’occasione per qualcuno di accogliere di più, di amare di più, di capirsi di più. Il responsabile è chiamato a riconoscere «l’Oltre nell’altro», a vedere il tutto nel frammento, nelle tante esperienze e iniziative che annota nell’agenda. Si sente chiamato a raccontare la fede, non a vincere o a convincere; si sente abilitato a parlare del Signore perché lo segue lungo la Sua strada che porta a Gerusalemme, consapevole che tanti sembrano andare dietro a Gesù ma poi seguono la proprie strade. Il responsabile di Ac è un amico cui raccontare il sogno di vita piena che la XIV Assemblea

nazionale che si

porti con te, perché è in grado di interpretarlo, in quanto sperimenta ogni giorno come il Signore gli cambia la vita. Insomma «responsabili non si nasce, ma neppure ci si improvvisa»! Il bene comune oggi. Ogni socio, tutti i responsabili si sentono chiamati ad aprirsi a un’attenzione suppletiva nei confronti del bene comune, sottolineando l’impegno prioritario «affinché la Dottrina sociale della Chiesa cattolica sia incarnata in prassi ed esperienze di valore pastorale, civile e culturale». L’Ac afferma, pertanto, il valore aggiunto degli «stili di vita personali e comunitari» nell’aprire «nuovi orizzonti profetici», che interpellano come sfida aperta il paese non meno che il mondo intero. È a questo livello, infatti, che si gioca – come incisivamente ricorda Educare alla vita buona del Vangelo – la «credibilità del testimone». La proiezione va fatta in una realtà in profondo cambiamento, che sollecita risposte sempre diversificate rispetto al concreto tessuto ecclesiale, culturale e sociale per il «bene comune possibile». Il criterio decisivo rimane la partecipe vicinanza alla vita delle persone, per «ridire loro con gioia la bellezza dell’incontro con il Signore risorto». All’interno di questo orizzonte, emerge con ancora più vigore la soggettività associativa, che si fonda su un’imprescindibile dimensione vocazionale: è di qui che passa la vita dei soci, che esprimono in forma condivisa questo ideale attraverso l’adesione. Nel rafforzare l’attenzione a questo segno, dunque, si vuole ricordare l’importanza del carattere educativo che riveste l’assunzione di responsabilità. Solamente se si dilata questa tensione, l’Ac saprà essere sempre più «per tutti e di tutti», avendo a cuore le «domande di vita degli uomini» e «sforzandosi di incontrarli e di parlare la lingua delle loro fatiche e delle loro gioie». È questa la strada della popolarità, che non a caso nel documento programmatico è contrapposta all’autoreferenzialità. Sono queste, in fondo, le strade per vivere la fede e g amare la vita. ■

fatti e parole

L’Azione cattolica italiana procede verso

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la copertina

sommario

Nell’anno europeo dedicato al volontariato, il mondo del terzo settore e l’associazionismo fanno i conti con una società in continua trasformazione. Nel dossier spazio a coloro che prestano mani e volti al volontariato e una riflessione articolata sul senso più genuino della parola “gratuità”

le altre notizie fatti e parole

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Dall’Italia e dal mondo

economia e lavoro

sotto i riflettori

Verso l’Assemblea. Dare corpo alla speranza di Maria Graziano e Paolo Trionfini

sotto i riflettori

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Volontariato: non solo welfare di Paola Springhetti

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16 Il sottile filo della responsabilità civica di Antonio Mastantuono

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tempi moderni

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28 Piedi per terra ma voliamo altro

Così la crisi fa meno paura

intervista con

di Silvio Mengotto

Giuseppina Mengano Amarelli

«Mi ha cambiato la vita»

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di Paola De Lena

Lezioni di piano

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intervista con Simone Scazzocchio

Verso l’ombelico del mondo

di Alessandro Nizegorodcew

di Francesco Rossi

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di Gianni Di Santo

Protagoniste per il bene del paese intervista con

Fantasia e carità, binomio inscindibile

Susanna Camusso di Chiara Santomiero

di Vittorio Nozza

33

13

«Il sì ha vinto, ma...»

Insieme si cresce di P. S.

cittadini e palazzo

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Serve un nuovo umanesimo

Un nuovo Risorgimento culturale

intervista con

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Francesca Danese di Gianni Di Santo nel mondo

n.3

marzo2011

Mensile dell’Azione Cattolica Italiana Direttore Franco Miano Direttore Responsabile Giovanni Borsa g.borsa@azionecattolica.it In Redazione Gianni Di Santo g.disanto@azionecattolica.it e-mail Redazione segno@azionecattolica.it Tel. 06.661321 (centr.) Fax 06.6620207

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Hanno collaborato a questo numero: Paolo Acanfora, Giorgia Cozza, Paola De Lena, Chiara Finocchietti, Alessandra Gaetani, Antonella Gaetani, Maria Graziano, Antonio Mastantuono, Silvio Mengotto,Paolo Mira, Alessandro Nizegorodcew, Vittorio Nozza, Francesco Rossi, Chiara Santomiero, Ada Serra, Domenico Sorrentino, Paola Springhetti, Paolo Trionfini, Ugo Ughi, Fabio Zavattaro Editrice Fondazione Apostolicam Actuositatem Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma Direzione e Amministrazione Via Aurelia, 481 - 00165 Roma

Grafica e impaginazione: Giuliano D’Orsi, Veronica Fusco Stampa Mediagraf S.p.a. Viale della Navigazione Interna, 89 - 35027 Noventa Padovana - PD Reg. al Trib. di Roma n. 13146/1970 del 02/01/1970 Per le immagini si è fatto ricorso alle agenzie Olycom, SIR e Romano Siciliani Chiuso in redazione l’11 febbraio 2011 Pubblicazione associata all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana)

di Paolo Acanfora

Abb.to annuale (10 num.) € 20 Per versamenti: ccp n.78136116 intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Riviste - Via Aurelia, 481 – 00165 Roma Fax 06.6620207 (causale “Abbonamento a SegnoPer”) Banca: Credito Artigiano - sede di Roma IBAN: IT88R0351203200000000011967 cod. Bic Swift Arti itM2 intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Via Aurelia, 481 - 00165 Roma Tiratura 151.800 copie


famiglia oggi

38 Un decalogo per i bambini nati prima

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di Giorgia Cozza

40 Pregare in cucina o attorno alla tv di G. B.

i titoloni

quale Chiesa

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42 Beato il Papa amato dai giovani

I vizi, i soldi... le profezie

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spazio aperto

ieri e domani

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60

Le lettere

Un innamorato del Concilio di giadis

di Fabio Zavattaro

Educare, nuovi strumenti dall’Ac

sulle strade della fede

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44

56

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Memoria e futuro, per un paese migliore

Un colpo d’ala per i cattolici

Recensioni

L’abbazia di donna Olimpia

di Domenico Sorrentino

di Antonella Gaetani

di Paola Acanfora

di Paolo Mira

perché credere

46 Vamos a Madrid!

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di Chiara Finocchietti

Vi farò pescatori di uomini di Ugo Ughi

senza confini

la foto

48

64

L’energia a quattromila metri

C’è sempre bisogno di profeti

di Ada Serra

faccia a faccia

50 La storia dell’uomo nel piccolo schermo intervista con Alberto Angela di Alessandra Gaetani

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sotto i riflettori

Volontariato: non solo welfare di Paola Springhetti

empre più amato, ma sempre meno sostenuto; sempre legato alla propria identità, ma sempre pronto ad adeguarsi ai tempi; sempre più indispensabile, ma poco riconosciuto. Il volontariato è una strana cosa, per sua natura fragile e forte nello stesso tempo, che ha saputo affrontare anche la crisi economica in corso, senza lasciarsi travolgere, e anzi crescendo. Su questo, veramente, non tutti sono d’accordo. In assenza di ricerche ampie e sistematiche (i dati Istat sono fermi al 2005, e anche quelli della Fondazione italiana per il volontariato sono ormai datati), nell’ultimo anno si sono moltiplicati i sondaggi e le ricerche su specifici aspetti, spesso in contraddizione tra loro. Pessimisti sono, ad esempio, Astra ricerche, secondo il quale negli ultimi 3 anni ci sarebbe stato un calo dei volontari (del 10%) Nell’anno europeo dedicato al volontariato, il mondo del “terzo e delle donazioni; e l’Istituto italiano per la settore”, dell’associazionismo e del servizio gratuito al prossimo donazione, cui risulta che il 36% delle orgafanno i conti con una società in nizzazioni non profit rapida trasformazione. abbia risentito della Cambiano le esigenze, crisi perché sono calate ma anche le attese. Il “fare” del volontariato, oggi, è qualcosa le donazioni, soprattutdi sempre più complesso, perché to da parte dei privati. Viceversa, per Eurinon si limita all’“assistenza” spes, tra 2008 e 2009 ma si impegna anche nella non sono calati né le “promozione”. donazioni né i volontari, Inoltre “educa” divulgando e anche il Barometro la cultura e la prassi della della Solidarietà consolidarietà, sensibilizzando i cittadini a conoscere i problemi. ferma che gli italiani continuano a essere Purché non sia utilizzato per solidali. Un dato aggiortappare i buchi del welfare

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nato e affidabile è fornito dal Coordinamento dei centri di Servizio del volontariato, che ha sistematizzato le banche dati dei 72 Centri aderenti: le organizzazioni di volontariato sono 42mila (di cui 27.000 iscritte ai registri), contro le 21mila del 2.005. In cinque anni sono quindi raddoppiate. Si può allora dire che quantitativamente il volontariato non è in crisi, anche se attraversa un periodo in cui è costretto a confrontarsi con una situazione complessa. Da una parte c’è un welfare all’interno del quale il pubblico si ritira ogni giorno di più, le risorse scarseggiano e gli enti locali sono costretti, in genere, a tagliare le spese e a chiamare i cittadini a una maggiore “compartecipazione” economica ai servizi; dall’altra c’è il potere di acquisto delle famiglie che cala, il precariato che abbassa i redditi; la disoccupazione che crea povertà; le fragilità familiari che aumentano. In mezzo c’è il volontariato, che è sempre stato considerato il pezzo più fragile del terzo settore, perché costituito soprattutto da organizzazioni piccole; basato sulla gratuità e quindi poco professionalizzato; frammentato e quindi senza un sistema di rappresentanza forte. Per questo, periodicamente, c’è chi ci si pone il problema: ha ancora senso il volontariato? Non sarebbe meglio, per il nostro paese, puntare sulle imprese sociali, sulle cooperative, sulle fondazioni... insomma, su tutte quelle realtà non profit più strutturate e professionalizzate, e quindi più in grado di rispondere ai bisogni vecchi e nuovi? Eppure, intanto, negli ultimi due anni il 38% delle organizzazioni dichiara di aver ampliato la propria offerta di servizi, mentre il 28% ha programmato di farlo prossimamente. Il dato è preso dall’analisi qualitativa condotta da Renato Frisanco di Fondazione RomaTerzo settore su dati del 2008, che fa il

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sotto i riflettori

Nelle foto: le mense della Caritas, le case famiglia, l’assistenza ai malati e agli anziani, il servizio civile, senza dimenticare i senza tetto, i rom, i centri di accoglienza per stranieri. Il volontariato è vicino alla nostra vita di ogni giorno

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punto sull’identità e sui principali problemi del volontariato. La sua principale ragion d’essere sta nel farsi carico dei bisogni e dei diritti della popolazione più svantaggiata e marginale nella società (vale per il 51% delle organizzazioni): l’intervento di aiuto è quindi connesso a quello di advocacy e di promozione sociale delle persone. Un terzo delle organizzazioni, poi, nasce per farsi carico della qualità della vita e della sicurezza dei cittadini nelle comunità locali:: si occupa quindi di beni comuni come la sicurezza, la legalità, la salute, lo sport per tutti, l’istruzione e l’educazione permanente, la qualità dell’ambiente, la cultura e i beni culturali. Le altre organizzazioni (14%) sono espressione della diretta partecipazione dei soggetti segnati da problemi: si tratta di realtà di autotutela, che aggregano familiari di malati psichici, anziani affetti da Alzheimer eccetera; oppure di auto mutuo aiuto, che si pongono come luoghi anche terapeutici, in settori come la dipendenza da sostanze (alcoolismo in particolare). Tradizionalmente, il volontariato nasce dal basso, da gruppi di cittadini che si organizzano per affrontare un problema del territorio: è semmai in un secondo momento che si collegano o si affiliano a

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strutture regionali o nazionali. È per questo che, nella maggior parte dei casi, si tratta di realtà piccole:: il 50% aggrega non più di dieci volontari, che si impegnano continuativamente, e nel 2007 il 54% di esse ha incamerato non più di 10 mila euro. È per questo, anche, che il volontariato negli ultimi anni, diventa sempre più aconfessionale: sono la mission e gli obiettivi operativi, che fanno da collante, e che riescono a far collaborare persone di matrici culturali diverse. Ed è per questo, infine, che il territorio su cui le organizzazioni di volontariato lavorano è in genere piccolo: zonale o provinciale (48,5%), o anche microterritoriale o comunale (36,6%). Questo, che può sembrare un elemento di fragilità, è in realtà un elemento di forza: il volontariato è fortemente radicato, nasce dal territorio e ci resta ancorato, e quindi lo conosce bene ed è in grado di leggerne i bisogni, ma anche le potenzialità. Le attività del volontariato si svolgono in ogni campo della vita sociale, ma si possono raccogliere in due macrosettori: quello del welfare (62% delle organizzazioni) e quello della partecipazione civica (cioè della presenza nei campi dell’educazione permanente e formazione, protezione civile, cultura,


ambiente), che è in forte crescita. Il “fare” del volontariato, in ogni caso, è qualcosa di sempre più complesso, perché non si limita all’““assistenza”, ma si impegna anche nella “promozione”, cioè cerca di valorizzare le potenzialità dei soggetti in stato di bisogno e i cittadini, perché siano sempre più in grado di affrontare i propri problemi con maggiore forza e competenza (empowerment). Inoltre, il volontariato “educa”, nel senso che divulga la cultura e la prassi della solidarietà, sensibilizza, porta i cittadini a conoscere i problemi. Secondo l’indagine di Fondazione RomaTerzo settore, i volontari identificano il loro impegno con due parole: “solidarietà” (scelta da 66 volontari su 100) e “utilità sociale” (62%). Questo secondo termine conduce al valore aggiunto che il volontariato porta con sé, e attorno al quale da molto tempo sociologi, economisti ed esperti i vario tipo vanno ragionando. Il volontariato non è solo “fare”, e la sua importanza non sta solo nei servizi. È forse più importante il fatto che produce capitale sociale: quel patrimonio, cioè, di relazioni, di fiducia, di coesione che oggi viene considerato uno dei presupposti indispensabili non solo per lo sviluppo sociale di un paese, ma anche per il suo sviluppo economico.

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sotto i riflettori

Il volontariato fa non pochi sforzi per adeguarsi ai tempi. Pur essendo basato sulla gratuità, aumenta il numero di persone remunerate e la professionalità; cerca di diversificare le fonti di finanziamento, tra pubblico e privato; investe molto in formazione; si sforza di rinnovarsi

Piccolo è bello, insomma? Sì, quando non vuol dire essere sprovveduti. Il dato più positivo dell’evoluzione del volontariato non è quello quantitativo, ma che ha imparato a lavorare in rete, ad essere presente nelle consulte, ad avere rapporti con le pubbliche amministrazioni, anche se questi rapporti restano spesso frustranti, perché il volontariato non riesce ancora a farsi riconoscere come un partner, portatore di esperienza e di saperi, capace di proposte oltre che di critica. Continua piuttosto a essere relegato ai ruoli di cliente o di esecutore di scelte politiche fatte da altri. Insomma, il volontariato fa non pochi sforzi per adeguarsi ai tempi. Pur essendo basato sulla gratuità, aumenta il numero di persone remunerate (le organizzazioni composte di soli volontari sono diminuite del 18% dal ’97) e la professionalità; cerca di diversificare le fonti di finanziamento, tra pubblico e privato; investe molto in formazione; si sforza di rinnovarsi. Per rispondere alla crescente domanda di aiuto, le organizzazioni dicono di avere bisogno di più volontari (77%), di coinvolgere maggiormente i giovani (75/); di avere più finanziamenti (70,4%), di operatori specializzati (62,4%), di una sede (57%). Ma nel solo 2010 governo e amministrazioni hanno risposto abolendo le tariffe postali agevolate, dimezzando il servizio civile, rimettendo in discussione il 5 per mille, rarefacendo i bandi, aumentando il numero degli albi e dei registri a cui è necessario iscriversi, le linee-guida e gli adempimenti burocratico-amministrativi. Perché sarà anche vero che il volontariato produce fiducia, ma le istituzioni del volontariato sembrano non fidarsi, anche se lo usano per tappare i buchi g del welfare. ■

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sotto i riflettori

Fantasia e carità, binomio inscindibile di Vittorio Nozza*

e istituzioni sono chiamate, all’interno di un territorio, a prendersi cura di ogni cittadino, in modo particolare di chi sta in difficoltà, in emarginazione e povertà. Ma questa solidarietà ha bisogno della sussidiarietà e dei contributi di ogni cittadino nelle forme dovute per garantire il bene comune e nelle forme che nascono dalla gratuità di quei cittadini che sanno cogliere i bisogni materiali, relazionali, di senso e significato da dare alla vita. È proprio la conoscenza delle varie situazioni di povertà, generata da una costante osservazione dei volti e delle storie di vita, che provoca e apre alla gratuità, alla presenza, al dono e al servizio, attraverso quelle variegate forme di volontariato che ancora caratterizzano le nostre società.

L

Trasformazioni e difficoltà Il fenomeno del volontariato in questi ultimi anni ha subito profonde trasformazioni e nel cambiamento sta anche attraversando un momento di difficoltà. Ne risente per lo più il volontariato spicciolo, quotidiano, della solidarietà praticata di casa in casa, di servizio in servizio, fra i malati, gli anziani, le persone sole, i poveri in emarginazione. Il volontariato strutturato, riconosciuto, in qualche modo centrato sulla prestazione, resiste; l’altro quello della relazione, dell’ascolto, della presenza ripetuta nel tempo, di compagnia e accompagnamento, si sta con-

La povertà di oggi non è quella dieci o venti anni fa. A un mendicante poteva anche bastare la mensa, ma a una famiglia in precarietà non si può proporre di frequentare solo un centro di accoglienza. Ecco perché ai giovani volontari di oggi la Chiesa chiede la formazione, per un accompagnamento educativo che indichi la strada della gratuità e dell’impegno 10

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traendo, anche perché chiede un investimento personale e non solo una prestazione di servizi. Oggi la precarietà è generalizzata, i problemi e le preoccupazioni sono così pressanti che è più difficile assumere nuovi carichi, impegnarsi nel costruire e mantenere nel tempo una relazione con chi è in difficoltà. Come con i bambini di un doposcuola: non si tratta solo di dedicare alcune ore la settimana, ma è il coinvolgimento nel loro futuro. Invece, con la prestazione di un servizio, anche gratuita, tutto si conclude lì. Ma questo sa più di una bella azione di protezione civile che di presenza volontaria nella vita delle persone in difficoltà. C’è da dire anche, a riguardo dei giovani, che la penuria di giovani volontari non dipende dalla fine della leva e quindi del servizio civile degli obiettori di coscienza. Ogni anno, in questi dieci anni di servizio civile per scelta volontaria, i giovani e le ragazze disponibili ad attuare servizio civile si aggirano attorno ai centomila, ma la possibilità che viene data loro è andata diminuendo negli anni sempre più arrivando a offrire la possibilità solo a quindici/ventimila. È questione di scelte che la politica deve attuare mettendo a disposizione le opportune risorse perché sempre più giovani e ragazze possano fare esperienza di servizio volontario che risulta essere vera scuola di vita. La contrazione dell’investimento nella solidarietà di base da parte delle istituzioni e l’aumento di situazioni di poveri e di ampie precarietà soprattutto per i nuclei familiari, sta portando sempre più a scaricare sulle spalle del volontariato, che è sempre stata una importante e significativa rete sociale, le situazioni ordinarie di bisogno, ma anche le molteplici situazioni di emergenza e disperazione sociale dei nostri territori. Dentro questa situazione lo stesso volontariato, pressato dal contrarsi della solidarietà dovuta, rischia di snaturarsi e di sconfinare nell’as-


sotto i riflettori A sinistra il direttore di Caritas italiana, Vittorio Nozza

sistenzialismo dimenticando e facendo passare in secondo piano quello che invece è sempre stato e deve essere il ruolo di denuncia, di profezia, di partecipazione attiva e propositiva alla formulazioni di politiche e servizi sociali adeguati ai tempi e ai bisogni delle persone in povertà ed emarginazione. Inoltre va considerato che per la vera sussidiarietà, per far scattare la disponibilità alla gratuità, per individuare tempi e spazio di gratuità nel volontariato serve una conoscenza continuata dei bisogni, serve favorire e moltiplicare le relazioni diffuse e continuative, serve l’appartenere responsabilmente a un preciso territorio. Solo così è possibile far crescere gratuità che costruisce e costituisce l’humus del vivere solidale. Oggi invece la vita è sempre più sradicata dal territorio di appartenenza, che può essere il paese come il quartiere. Lontani per studio

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o per lavoro oppure pendolari, si è molto meno presenti in modo continuativo nel proprio territorio. La mancanza di lavoro o un lavoro precario, l’impossibilità a costruire e consolidare la propria famiglia e altro non crea le condizioni di alzare lo sguardo e vedere il bisogno altrui, provoca anche lo sfilacciamento e la frantumazione delle relazioni rendendo così i territori meno coesi e solidali per tutti. Il ruolo della Caritas L’esserci delle Caritas nelle Chiese e nei territori di appartenenza ha una duplice valenza: da una parte intercettare i bisogni da vicino, considerarli e leggerli in modo continuativo e farsene carico incominciando a dare e garantire le opportune risposte; dall’altra parte l’esserci è finalizzato a richiamare opportunamente le istituzioni perché non manchino

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sotto i riflettori

di garantire le giuste e dovute risposte ma anche a favorire e provocare il più ampio coinvolgimento della socialità perché tutta si faccia responsabile dei bisogni di ogni persona: bisogni materiali, relazionali, di senso e dignità. La presenza radicata nel territorio, da parte delle Caritas diocesane e parrocchiali, soprattutto con i servizi di ascolto, di osservazione e di accoglienza, le rende capaci di farsi carico dei bisogni delle povertà antiche ma anche di intercettare per tempo e di considerare i nuovi volti dei poveri anticipando sia la loro conoscenza e comprensione sia l’individuazione e la sperimentazione di risposte secondo quella «fantasia della carità» suggerita da Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte. Per esserci in modo gratuito ci vogliono sia la testa che il cuore. Bisogna capire che la povertà di oggi non è quella dieci o venti anni fa. A un mendicante, a un alcolista, poteva anche bastare la mensa, un luogo di accoglienza e umane relazioni, ma a una famiglia in precarietà, e numerose sono sempre più al giorno d’oggi, non si può proporre di frequentare una mensa o un centro di accoglienza. Molteplici e

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variegate sono le risposte messe in atto negli anni: alcune molto in chiave sperimentale e altre che col tempo si vanno sempre più strutturando e diventano garanzia di risposte continuate e di arricchimento solidale dei territori. In questa storia di carità e gratuità non possono mancare, da parte delle Chiese e delle istituzioni, ai giovani e alle ragazze proposte serie, diversificate e garantite nel tempo capaci di far vivere in modo esperienziale e con accompagnamento formativo il gratuito servizio consegnato in modo particolare a una molteplicità di volti e di storie di povertà che diventano per i giovani scuola di vita capace di provocare in loro stili, scelte e impegni che segneranno il loro futuro nella famiglia, nella professione, nell’impegno politico alla ricerca e promozione del bene comune. È questo l’auspicio contenuto negli Orientamenti pastorali per il nuovo decennio che i vescovi hanno consegnato alle Chiese locali perché favoriscano la crescita dell’azione educativa alla vita buona del vangelo di tutta la comunità e società in modo particog lare dei giovani e delle ragazze. ■ * direttore di Caritas italiana


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Insieme si cresce ivolgiti al volontariato» è diventata la formula magica, che si dice a chi ha bisogno d’aiuto. È una frase che da una parte esprime la grande fiducia che i cittadini nutrono nell’efficacia dell’impegno gratuito e del dono, dall’altra fornisce a molti l’alibi per non mettersi in gioco, scaricando su altri il compito di prendersi in carico le persone e di aiutarle. Cosa pensa la gente del volontariato? Che cosa si aspetta? Ci sono alcune fonti che possono aiutare a rispondere. Le prime due sono Eurobarometro ed Eurispes, che concordano nel dire che volontariato e Terzo settore riscuotono una grande fiducia tra gli italiani, che si fidano di essi più che delle istituzioni, delle forze dell’ordine, della politica e della stessa Chiesa: vale per il 73% dei cittadini secondo Eurobarometro, per l’82% secondo Eurispes. Il motivo, fondamentalmente, sta nel fatto che si considera il volontariato come I cittadini si fidano una realtà che agisce non per proprio più del volontariato interesse o per logiche di potere, ma che delle istituzioni. perché fondato sulla cultura del dono. È Esso è più sviluppato la gratuità, prima ancora che l’efficacia ed efficiente nelle dei servizi, la dimensione che suscita regioni in cui ce n’è fiducia. meno bisogno e dove I cittadini, però, hanno una visione del i servizi pubblici volontariato che non sempre corrisponfunzionano meglio: de alla realtà, o che sicuramente non Toscana, corrisponde all’immagine che le orgaEmilia Romagna, nizzazioni vogliono dare di sé. Lo dimoLombardia, Trentino stra un passaggio di un’indagine realizzata nel 2010 dal Censis per il Comitato di gestione dei Centri di servizio del Lazio. Risulta infatti che un terzo degli abitanti della regione dice di non essere in grado di definire quale sia il ruolo del volontariato nella società. Lo dice anche un’altra indagine del 2010, svolta da Laura Solito e Carlo Sorrentino per il Centro di servizi della Toscana: Il volontariato: immagini, percezioni e stereotipi. Emerge che del volontariato i cittadini vedono solo ciò che fa (i servizi), e non la dimensione culturale e politica, l’impegno cioè a superare la logica del puro assi-

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stenzialismo, creando le condizioni e il contesto necessari perché ogni soggetto debole possa conquistare la propria autonomia. Di conseguenza, i cittadini vedono le organizzazioni volontaristiche come subordinate agli enti locali e ai poteri pubblici in generale, e non ne percepiscono la battaglia per essere riconosciute come partner libere e autonome. La fiducia, da una parte, e lo stereotipo secondo il quale il pragmatismo del volontariato gli permette di affrontare qualunque problema e qualunque emergenza, rischiano di diventare una trappola. Le aspettative, da parte della società, sono altissime. Sarà che il Lazio è una regione in cui la sanità e l’assistenza sono particolarmente carenti, ma la citata ricerca del Censis dice che i cittadini si aspettano di tutto: l’umanizzazione degli ospedali, assistenza per gli anziani non autosufficienti, supporto alle famiglie problematiche, educazione degli adolescenti, tutela dei minori, attenzione all’ambiente e così via. Si aspettano perfino che crei posti di lavoro per i giovani e che renda le amministrazioni e le istituzioni più trasparenti. Inoltre, il fatto che i cittadini si fidino più del volontariato che delle istituzioni, non dovrebbe essere accolto con gioia dalle organizzazioni. Un po’ perché si ritrovano continuamente ricacciate in un ruolo assistenzialistico e costrette ad accollarsi compiti che spetterebbero ad altri soggetti, e molto perché, tranne che nei rari casi in cui si fa prendere dal delirio di onnipotenza, il volontariato sa che ottiene i risultati migliori laddove può lavorare in reti, in cui ciascuno svolge il proprio ruolo. Una società complessa che si ispira alla sussidiarietà, ha tre gambe: pubblico, privato e società civile. Se una zoppica, tutta la società rischia di cadere e farsi male. Non è un caso che il volontariato è più sviluppato ed efficiente nelle regioni in cui, in teoria, ce n’è meno bisogno: quelle cioè in cui anche i servizi pubblici funzionano meglio: Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Trentino e il Nord in genere. È insieme, g [P.S.] che si cresce. ■

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sotto i riflettori intervista con Francesca Danese di Gianni Di Santo

Serve un nuovo umanesimo n palazzo antico nel cuore di Roma. E tanti giovani che si agitano dietro le scrivanie. Giornali, pc, telefoni e un allegro “parlottio” che trasmette passione, gratuità. Capisci subito che non sei in un’azienda qualunque, ma nella sede del Centro di servizio per il volontariato del Lazio (Cesv). Qui si contano numeri, si annodano speranze, ci si arrovella tra carte e burocrazia nella convinzione che anche dietro le “procedure standard” si riesca, anzi, si debba restituire professionalità e stima di sé al vasto mondo del volontariato. Ci accoglie la presidente del Cesv, Francesca Danese, una quarantacinquenne abruzzese che fa salti mortali per mettere insieme vita privata e impegno nel volontariato. «Il Cesv del Lazio ha 40 dipendenti, tutti contrattualizzati – racconta a Segno –; in tempi di crisi come oggi, è dura. I soldi non arrivano più. La situazione governativa e istituzionale poi non aiuta. Eppure del volontariato non se ne può fare a meno, per un paese che crede ancora a parole come solidarietà e dignità umana». Una vita passata nel servizio agli altri. Aids, dipendenze, carcere, Organizzazione mondiale della sanità, e fondatrice nel 1997 del Cesv fino a diventarne nel 2008 “la” presidente.

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«I cittadini si aspettano dal volontariato che prima umanizzi le strutture pubbliche e poi si occupi di quello che lo Stato non riesce a fare. A noi il compito di recepire queste istanze». La presidente del Cesv-Lazio racconta a Segno vizi e virtù di una legislazione che andrebbe ridiscussa con occhi nuovi 14

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Forse non tutti conoscono il Cesv. Di che si tratta? Istituiti con la legge 266/91 sul volontariato, i Cesv sono strutture operative che forniscono servizi gratuiti alle organizzazione di volontariato. Una sorta di federazione? Praticamente sì. I Cesv promuovono la cultura della solidarietà e il volontariato attivo, agevolano e

sostengono l’azione delle organizzazioni attraverso servizi di consulenza, assistenza, formazione e informazione. Presenti in tutta Italia sono finanziati con 1/15 dei proventi delle fondazioni di origine bancaria attraverso il Fondo speciale per il volontariato, costituito in ogni regione. Soldi che non arrivano più. La crisi si sente dappertutto. Figuriamoci per le banche e le loro fondazioni che di fronte a “questa” crisi hanno ritirato il portafoglio. La situazione è più pesante ovviamente al Sud dove ci sono meno fondazioni bancarie. Ma il volontariato è una risorsa per tutta la collettività, se non si capisce questo è dura andare avanti. E pensare che siamo l’unico paese europeo ad avere una legge sul volontariato, la 266. Ma bisogna farla funzionare. E soldi che arrivano forse da troppe parti… Sì. Al Cesv sono iscritte solo le organizzazioni “regolari”, quelle riconosciute dallo Stato. Statuto, atto costitutivo, Iva, tutto regolare insomma. A oggi siamo duemila solo nel Lazio. Poi però ci sono innumerevoli esperienze, dalle cooperative alle onlus non riconosciute, che magari riescono a vincere bandi di concorso pubblici emanati da regioni, province e municipi. Chi è in regola spesso fa più fatica a vivere: la burocrazia ti strangola. È il solito problema tutto italiano. Intendiamoci. Se non ci fossero le migliaia di cooperative che nascono spontaneamente dai cittadini che operano nei quartieri, nei piccoli paesi, non esisterebbe il volontariato. Queste esperienze conoscono bene il territorio. Spesso il volontariato “in loco” ha inventato solidarietà, nuovi modelli di assistenza, perché risponde immediatamente ai bisogni del territorio.


sotto i riflettori Volontari “al lavoro” durante il recente terremoto in Abruzzo

Come risolvere l’intreccio burocrazia-libertà? Noi oggi abbiamo a disposizione circa mezzo euro per abitante nel Lazio. Praticamente niente. E andiamo incontro a un rischio: i ribassi d’asta. Fatti su servizi fondamentali, come il disagio mentale, l’alzheimer. Le cooperative fanno a gara, pur di aggiudicarsi il bando, a diminuire il prezzo. Quelle del Nord, per ragioni ovvie di maggiore economicità e gestione “aziendale”, sono le più adatte a proporre servizi a prezzi stracciati. Ma è chiaro che così si va in un vicolo cieco. Credo che la sfida sia culturale. Unicamente culturale. Formazione degli operatori, orientamento degli stessi, promozione di reti tematiche ed europee, consulenze e sostegno alla progettazione e tanta informazione. Un dato che dà il senso del problema: l’80% dei soldi spesi dalle organizzazioni del volontariato se ne va per gli affitti delle sedi. Ma noi abbiamo città che hanno a disposizione locali inutilizzati. Penso a Roma, con tutte le caserme ormai dismesse. Perché alcuni spazi non vengono dati alla comunità? E poi ancora: l’Iva

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piena, la sicurezza, la privacy. Non è uno scherzo amministrare una risorsa come quella di un’organizzazione di volontariato. Una parola di speranza? Eccome. Abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo. E il mondo del volontariato ha bisogno di questa nuova iniezione di fiducia. Un nuovo umanesimo che ricollochi il volontariato per quello che è: una risorsa di gratuità e servizio che la comunità tutta sente quanto sia importante. Gli ultimi dati della ricerca Censis ci dicono cose sì impegnative ma anche allarmanti: i cittadini si aspettano dal volontariato che prima umanizzi le strutture pubbliche e poi si occupi di quello che lo Stato non riesce a fare, dai centri diurni alle mense per i poveri. Insomma, tutto e il contrario di tutto. A noi il compito di recepire queste istanze. Di dar loro spazio e dignità. Perché solo dalla rinascita culturale del “pianeta volontariato” si potrà uscire dalle secche di una burocrazia che qualche g volta ha convertito la gratuità in business. ■

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Il sottile filo della responsabilità civica di Antonio Mastantuono

i deve e si può parlare di volontariato là dove c’è una tensione continua alla ricerca del bene per l’altro, dove l’altro non è più solo il singolo ma la comunità; si parla di volontariato dove c’è una attenzione e una libertà di pensiero che permettano di leggere i reali bisogni, di essere anticipatori di idee, servizi, interventi, di andare oltre gli interessi parziali o di singoli. Si può parlare di volontariato dove ci sono persone al passo con i tempi, che non temono il cambiamento, che si mettono in gioco per una scelta. «Nell’era in cui le persone chiudono gli occhi per non guardare, il gesto rivoluzionario è guardarsi attorno»: il volontario è colui che sa leggere il presente e sa adattare se stesso per una scelta gratuita. In questa capacità di lettura s’inserisce, anche, la scelta formativa: pensare che sia necessario preparare le persone a svolgere l’attività volontaria, ritenendo la formazione un punto fermo e irrinunciabile del lavoro e della crescita di chi fa tale scelta è acquisizione contestuale alla nascita stessa del volontariato. Parlare di formazione vuol dire perciò tornare alle radici del volontariato e delle sue scelte, è l’occasione di rivederle, condividerle, crescere insieme. Monsignor Nervo ci ricorda che «per saper assumere efficacemente i propri ruoli di anticipazione nella riposta ai bisoNon basta “saper fare” gni emergenti, di integrazione e il volontario per essere dei bravi volontari, come supplemento d’anima ai servizi non basta essere dei bravi esistenti, di stimolo delle istituzioni e delle politiche sociali, di promovolontari per far sì che zione di una diffusa solidarietà di l’organizzazione base, il volontariato ha bisogno di funzioni. Occorre una seria e continua [...] formaziola formazione, che ne: sia formazione di base sul dà senso ai gesti di significato, sulle motivazioni, sui gratuità e favorisce ruoli dell’attuale società; sia foril pensare e l’agire etico

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mazione operativa per essere in grado di fare bene i servizi che va a compiere, formazione che va differenziata secondo i campi in cui deve operare; sia formazione permanente sul campo, riflettendo con l’aiuto di esperti sulle esperienze per valutarle e migliorarle; sia formazione sociopolitica per sapersi rapportare in modo coerente, libero ed efficace con la società e le sue istituzioni a tutela del bene pubblico, dei diritti dei più deboli, dell’ambiente» (G. Nervo, Ha un futuro il volontariato?, Edb, Bologna, 2007). Non basta – come sappiamo – “saper fare” il volontario per essere dei bravi volontari, come non basta essere dei bravi volontari per far sì che l’organizzazione funzioni, che si riesca a lavorare bene, far lavorare tutti e raggiungere gli obiettivi. Si entra così nell’universo dei bisogni formativi, che hanno a che fare con le motivazioni, con il senso più ampio, con gli aspetti ideali del proprio agire volontario. Si entra anche nel complesso universo che riguarda le dinamiche interattive di un gruppo di volontariato, la sua storia evolutiva, la sua capacità di interrogarsi, rinnovarsi, riprogettarsi, creare appartenenze e mantenere la libertà di confronto e di messa in discussione. Caratteristiche e valori La formazione che produce o promuove il mondo del volontariato deve, comunque, prima di tutto, rispondere a una serie di caratteristiche valoriali ed etiche. Deve in primo luogo favorire il pensare e l’agire etico. Promuovere lo sviluppo di una responsabilità sociale nelle persone significa che i singoli e le organizzazioni sono guidati a farsi carico di dove sta andando la società, il proprio quartiere, il proprio comune, la propria regione. La formazione deve poi valorizzare le diversità. L’azione formativa deve riuscire a generare una cultu-


sotto i riflettori generativa. Ancora: la formazione dev’essere tesa a costruire cambiamento. Cambiamento personale e dei gruppi. Cambiamento nel contesto sociale, nelle prassi operative negative, nel modo di porsi delle persone ma anche delle organizzazioni verso culture dominanti non condivisibili. La formazione a costruire il cambiamento implica il coraggio e la fatica di individuare dei punti strategici del quadro sociale cha appaiono non soddisfacenti e di definire una loro alternativa. La formazione deve tendere all’accompagnamento. Essa non può più essere un intervento sporadico, ma deve trovare i modi per seguire le persone nel loro percorso, nelle attività quotidiane; Non da ultimo, deve avere tra le attenzioni principali la capacità di valutare l’azione, i metodi, i processi.

L’autore dell’articolo, sacerdote della diocesi di Termoli-Larino, è assistente nazionale del Mieac. Docente di Teologia pastorale presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, sez. San Luigi, è presidente dell’associazione di volontariato «Centro sociale Il Melograno»

ra di pace, di costruzione, di cooperazione; ma anche essere luogo di esperienza di apertura, ascolto, dialogo, collegamento, rete. Ogni intervento di formazione deve valorizzare le differenze e dare occasione per confrontarle. Altro punto: la formazione è intesa a sviluppare un pensiero e un’azione liberi. La libertà può essere considerata come la capacità, la forza, il coraggio di pensare in proprio senza omologarsi. Anche su questo il volontariato è sempre stato diverso, la libertà lo ha contraddistinto, la libertà creativa e

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Il volontariato nella formazione Il processo formativo – qui accennato – accompagna un’associazione di volontariato e la rende esperienza che aiuta a maturare anche a livello personale. Nell’attuale contesto di “crisi educativa”, sembra, perciò, a buon diritto, che un’esperienza di volontariato possa porsi come “luogo educativo” nell’ambito dei percorsi di crescita personale in particolare per i giovani e gli studenti. Soprattutto in queste situazioni biografiche, il volontariato ha il senso di un’occasione di consolidamento della propria identità posta in relazione con persone che non appartengono alla cerchia familiare e amicale e di messa alla prova in contesti che comportano un certo grado di impegno, di

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responsabilità, di confronto con situazioni nuove e talvolta impreviste. Particolarmente per dei giovani – abituati normalmente a interagire su un piano di parità con i coetanei, ma sostanzialmente estranei al mondo adulto – prendere parte all’attività di un’associazione di volontariato è un’occasione per confrontarsi con persone più mature, conoscendole, affiancandole e imparando a lavorare con loro. La vita associativa, con i rituali, le complicanze e gli inevitabili conflitti che comporta, offre ai giovani preziose opportunità per allenarsi al confronto, alla formazione discorsiva delle decisioni, alla ricerca, talvolta faticosa, di accordi e intese soddisfacenti. Usando una categoria alta, ma forse non troppo

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enfatica, può essere vista come una palestra di democrazia, in cui gli ideali entusiasmanti devono fare i conti con i vincoli delle risorse disponibili, con le opinioni diverse e talora dissonanti dei partecipanti, con i tempi di maturazione di un soggetto collettivo e composito come un’associazione, ove occorre motivare e persuadere, a volte dilazionare il raggiungimento degli obiettivi, a volte accettare soluzioni non ottimali ma condivise, a volte anche contarsi e scontrarsi, secondo le regole della democrazia interna. Oltre questa dimensione, legata alla vita associativa, la partecipazione ad associazioni di volontariato implica una scelta di servizio verso l’esterno, nella


maggior parte dei casi rivolto a persone che manifestano bisogni, carenze, difficoltà di vario genere. Per molti giovani questa scelta si traduce in un’assunzione di responsabilità verso terzi, forse per la prima volta nella vita. L’ingresso nel volontariato conduce a scoprire ambienti e situazioni di debolezza sociale, a incontrare gli “altri” in carne ed ossa. Per i più giovani, può essere una via per superare il narcisismo adolescenziale, sviluppando capacità di ascolto e di condivisione verso le persone che si incontrano e a cui ci si accosta con l’intento di aiutarle. Forse molti fra loro dovranno imparare a gestire le proprie emozioni, a confrontarsi con la sofferenza, a comprendere quanto possono effettivamente dare, senza nutrire sensi di colpa o presunzioni di onnipotenza, a decidere quanto sia giusto lasciarsi coinvolgere e quale sia il sottile equilibrio da perseguire, tra empatia e distacco. Anche quando i giovani si dedicano a forme di

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L’impegno nel volontariato, benché possa essere percepito e a volte vissuto come un’alternativa alla politica e una conseguenza della disaffezione all’impegno politico, è in realtà, soprattutto per i giovani, una strada da percorrere per sviluppare reali forme di partecipazione attiva e per cominciare a sperimentare il sottile filo della responsabilità civica

volontariato che non si rivolgono a categorie specifiche di beneficiari, ma alla comunità nel suo complesso (come nel caso del volontariato ambientale o di tutela del patrimonio artistico e culturale), si tratta sempre di esperienze di apertura e di esercizio di responsabilità verso altri, che rendono più solida e consapevole la formazione civile dei partecipanti, orientandola nel senso di una “cittadinanza attiva” nella società adulta. L’impegno nel volontariato, benché possa essere percepito e a volte vissuto come un’alternativa alla politica e una conseguenza della disaffezione all’impegno politico, è in realtà, soprattutto per i giovani, una strada da percorrere per sviluppare reali forme di partecipazione attiva e per cominciare a sperimentare il sottile filo della responsabilità civica. Di qui, all’impegno politico, cioè all’impegno per g la polis, il passo può essere breve. ■

2011 Anno europeo

NUMEROSE INIZIATIVE E IL SOSTEGNO PARTICOLARE DELL’UE olontari! Facciamo la differenza!: è lo slogan per l’Anno europeo del volontariato, che si sta celebrando con numerose iniziative in tutti gli Stati aderenti all’Unione europea. Dopo aver messo in luce il problema, attualissimo, della povertà (cui era dedicato il 2010), l’Ue ora vuole puntare i riflettori sulle attività che vengono rivolte “al prossimo” o alla propria comunità oppure al “bene comune”, sotto molteplici forme e differenti obiettivi, in ogni angolo del vecchio continente. La Commissione europea calcola, a questo proposito, che non meno di 100 milioni di cittadini siano impegnati in qualche forma di attività a favore di altre persone, nel campo assistenziale e sociale, per la tutela dei minori, degli anziani o dei migranti, per la promozione della cultura, dello sport o delle tradizioni del proprio paese, per difendere la natura… Il volontariato deve quindi essere sostenuto, promosso, esteso al maggior numero possibile di persone. «Ciascuno di noi ha dentro di sé la capacità di farsi avanti e assistere chi si trova in difficoltà», ha dichiarato la vice presidente dell’Esecutivo, Viviane Reding. Il volontariato «rafforza inoltre i nostri valori europei fondamentali: la solidarietà e la coesione sociale». L’Anno europeo 2011 persegue quattro obiettivi principali: ridurre gli ostacoli al volontariato nell’Ue; conferire autonomia e responsabilità alle organizzazioni di volontariato e migliorare la qualità del volontariato; premiare e riconoscere le attività in essere; sensibilizzare al valore e all’importanza del volontariato. Ampio il programma delineato in sede Ue e in accordo con gli Stati aderenti: tutte le informazioni sono sul sito www.europa.eu/volunteering.

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«Mi ha cambiato la vita» di Paola De Lena

a come faccio a raccontare la mia esperienza di servizio civile in poche righe? Mi ha cambiato la vita, ci vorrebbe un libro!». Esordisce così Cristiana, 28 anni, quando le chiedo di raccontare la sua esperienza svolta nel progetto Porte aperte per te della Caritas diocesana di Termoli-Larino occupandosi dell’accoglienza dei senza fissa dimora e di persone, giovani e adulte, in difficoltà economiche, ma prima ancora familiari o sociali. Le fa eco Annamaria, 25 anni: «È stato tutto al di sopra delle mie aspettative, mi ha permesso di essere ciò che sono oggi. Sono andata via con la

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A marzo l’VIII incontro nazionale dei giovani in servizio civile promosso dal Tavolo ecclesiale sul servizio civile. Occasione per riflettere su un’esperienza in un momento di difficoltà 20

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consapevolezza di aver lasciato qualcosa agli altri e di far parte di un gruppo. Oggi torno in Caritas come volontaria e mi sento a casa, so di poter dare il mio contributo e di trovare persone su cui contare». E di casa parla anche Cristiana quando, riuscendo a sintetizzare il turbinio di emozioni, racconta di una presa di contatto con situazioni dolorose, di emarginazione, esclusione e solitudine che non pensava potessero esistere davvero. «Ho conosciuto – racconta a Segno – un ambiente nel quale coloro che attraversano un periodo critico dell’esistenza sono accolti e trovano quel calore umano che li fa sentire a casa: perché che cos’è la casa se non il posto in cui non si sente freddo?». Ed è a Cristiana, Annamaria e ai tanti volontari in servizio civile, oggi sempre meno a causa dei drastici tagli previsti dalla legge finanziaria, che si rivolge l’VIII incontro nazionale dei giovani in servizio civile promosso dal Tavolo ecclesiale sul servizio civile. Come da tradizione, l’incontro si svolge il 12 marzo (quest’anno a Roma presso la Domus pacis Torre rossa Park hotel), giorno in cui la Chiesa ricorda san Massimiliano, martire per obiezione di coscienza. Duplice la pista di riflessione: la mattinata, infatti, si aprirà con la relazione di mons. Crociata, Segretario generale della Conferenza episcopale italiana, sul tema La Chiesa italiana e l’educazione dei giovani alla pace e al servizio e continuerà con una tavola rotonda in cui interverranno il sociologo Maurizio Ambrosini, Domenico Ricca della Scs/Cnos, Andrea Olivero del Forum nazionale del terzo settore e Carlo Di Cicco, vice direttore de L’Osservatore romano e già obiettore di coscienza. Tema della tavola rotonda, dal titolo 30 + 10 anni di difesa della patria e moderata da Alberto Chiara, giornalista di Famiglia Cristiana, è la riflessione sull’obiezione di coscienza e sul servizio civile a dieci g anni dalla sua istituzione con la legge 64/2001. ■


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Verso l’ombelico del mondo di Gianni Di Santo

l volontariato? A me ha cambiato la vita». Gabriele Pinca, vicepresidente dei giovani di Ac della diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, è un fiume in piena. Ha 25 anni, e solo da poco si è iscritto alla facoltà di Scienze politiche, indirizzo Relazioni industriali. «Lavoravo come programmatore tessile, avevo uno stipendio buono – continua Gabriele –. Però mi stava tutto stretto. E così approfittai del pellegrinaggio che i giovani di Ac, insieme al Fiac, fecero in Terra Santa nel 2007». La goccia che fece traboccare il vaso. Non passa tanto tempo che nell’estate del 2008 «tirai fuori il mio sogno nel cassetto. La Caritas diocesana si occupava di Gabriele Pinca, attuale una missione nella diocesi di Kigoma, in Tanzania, al confine con il Burundi. vice presidente dei giovani di Ac di Assisi, Ho fatto i bagagli e sono partito. Un mese, da solo. Insieme a due ragazze è innamorato dei sud del pianeta. E di chi sta che lì prestavano il servizio civile internazionale. Un’esperienza importante peggio di noi. A Segno per la mia vita, perché sono entrato in racconta la sua storia stretto contatto con la realtà locale. Ho visitato ospedali, ho mangiato sempre fagioli e riso, ogni giorno, ho aiutato la missione nei lavori manuali, ho giocato con i bambini poverissimi del luogo, sono stato in orfanotrofio. Insomma, mi sono dato da fare. Ma soprattutto mi sono fatto una domanda: perché i giovani di qui, una volta arrivati al diploma, sognano ancora di fare chissà ché nella vita, e non hanno niente. E io? Io che nella mia comoda Assisi ho tutto, perché ho avuto fino ad adesso paura di sognare? È andata così. Sono tornato a casa e mi sono licenziato dal lavoro. Mi sono subito iscritto all’università e ho cominciato a coltivare intensamente i miei interessi per le relazioni internazionali». Gabriele è in scadenza di mandato come vicepresidente. Non vede l’ora che avvenga, così può riparti-

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re di nuovo. L’ultima esperienza, anche questa, importante per la su formazione di giovane cattolico impegnato. Nel 2009 partecipa a un progetto del Fiac in Terra Santa e si stabilisce un mese a Betlemme. Suorine del Verbo incarnato, supporto al Grest, un’esperienza di campo estivo per i ragazzi, e altri lavoretti. Il tempo per fare qualcosa c’è sempre. «Sì – conclude Gabriele – in Terra Santa mi sento a casa. Anche quando bisognava tornare la sera dentro la “città fortificata”, all’interno delle mura. In fondo il volontariato mi ha fatto diventare un’altra persona. E poi ho incontrato in giro per il mondo persone stupende. Che vuoi di più dalla g vita?» ■

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le altre notizie

IN PREPARAZIONE AL PROSSIMO CONGRESSO EUCARISTICO NAZIONALE

Signore, da chi andremo? In compagnia del Risorto iscoprendo e custodendo la centralità dell’Eucaristia e la stessa celebrazione eucaristica come il “culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù”, le nostre Chiese particolari potranno diventare autentiche comunità di testimoni del Risorto». È un passaggio del Messaggio d’invito al XXV Congresso eucaristico nazionale (Ancona, 3-11 settembre 2011) reso noto a inizio febbraio dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Il testo presenta l’icona biblica che ispira il cammino verso questo Congresso, Signore, da chi andremo? (Gv, 6,68), esortando a «ripartire sempre dalla salvezza cristiana nel suo preminente carattere di avvenimento, che è l’incontro con il Risorto».

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Dopo aver ricordato quanto «i cristiani siano riconosciuti e apprezzati come uomini e donne di carità, esperti di umanità», i vescovi indicano un collegamento tra il Congresso eucaristico e il decennio pastorale sull’educazione. «L’agire pastorale – sottolineano – deve concorrere a suscitare nella coscienza dei credenti l’unità delle esperienze della vita quotidiana, spesso frammentate e disperse, in vista di ricostruire l’identità della persona. Essa, infatti, si realizza non solo con strategie di benessere individuale e sociale, ma con percorsi di vita buona, capaci di stabilire una feconda alleanza tra famiglia, comunità ecclesiale e società, promuovendo tra i laici nuove figure educative, aperte alla dimensione vocag zionale della vita». ■ Sir

LE INCONGRUENZE DEL DECRETO FLUSSI

Stranieri, è sempre una sanatoria possibile per una colf, una badante o anche un muratore extracomunitari venire a lavorare in Italia rispettando tutte le regole? Di fatto è pressoché un miraggio: si passa attraverso la clandestinità, “crimine” oggi sanzionato dal nostro ordinamento, finché non vengono aperte le porte con un decreto flussi o una sanatoria. Ma anche qui non sempre tutto fila liscio. L’ultimo esempio di una norma che sarebbe più sensato chiamare “lotteria” l’abbiamo avuto con il recente decreto flussi: 98 mila i posti in palio e per ottenerli bisognava fare domanda a partire da una data prestabilita (in tre fasi a seconda del paese d’appartenenza e del tipo di permesso richiesto). Alle 8 di mattina del 31 gennaio si sono aperti i cancelli virtuali e pochi millesimi di secondo hanno fatto la differenza tra l’essere dentro e il restare fuori. Solo per la prima tranche, in poche ore il Viminale ha registrato 300 mila domande a fronte di 52 mila posti disponibili. Questa è la prima incongruenza della normativa, soprattutto se si considera che le richieste

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riguardano persone che un lavoro regolare già l’avrebbero (la domanda, infatti, viene inoltrata dal potenziale datore di lavoro). Chi “vince” in poco più di un anno può entrare regolarmente nel nostro paese. Agli altri non resta che aspettare il prossimo decreto. Altra incongruenza è la richiesta nominativa: in via teorica, il datore di lavoro dovrebbe chiamare una persona e farle un contratto senza averla mai conosciuta, né vista lavorare. Bizzarro, quantomeno. Se poi pensiamo al vasto mondo dell’assistenza alla persona (il 10% delle famiglie italiane ha un o una badante) è lampante come tutto questo abbia aspetti grotteschi. Chi ne ha avuto esperienza sa bene che, quando si manifesta la necessità, non si può certo aspettare settimane per cercare un badante. Eppure, se si volessero seguire le vie “legali” e non ve ne fossero disponibili già con permesso di soggiorno, bisognerebbe attendere il decreto, poi richiederli. E dopo qualche anno arrivano... g quando magari è troppo tardi e non ve n’è più bisogno. ■ Francesco Rossi


E le famiglie sono più povere, in tutta la penisola e famiglie italiane sono più povere. Il grido d’allarme è stato lanciato dall’Istat con le rilevazioni relative al loro reddito disponibile, «passato da un incremento del 3,5% nel 2006 a una flessione del 2,7% per cento nel 2009, la prima dal 1995». I conteggi dell’istituto di statistica prendono in considerazione i redditi da lavoro (autonomo e dipendente) e da capitale, sottraggono tasse e contributi e aggiungono le prestazioni sociali. Il totale presenta il conto della crisi economica, e a essere particolarmente colpite sono le regioni del Nord (dove si concentra, d’altra parte, la maggior parte del reddito

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disponibile delle famiglie, il 53% del totale, contro un 26% al Sud e un 21% al Centro). Il motivo della cattiva performance del Nord è legato in massima parte alle due grosse regioni del Nord Ovest, «Piemonte e Lombardia, che da sole – ricorda l’Istat – rappresentano il 90% del reddito disponibile della circoscrizione. In Piemonte, infatti, si è verificata una forte contrazione dell’input di lavoro dipendente e, di conseguenza, dei relativi redditi da lavoro; la Lombardia sconta, invece, la battuta d’arresto degli utili distribuiti dalle imprese a seguito della g diminuzione del valore aggiunto». ■

ALTRI MORTI IN UN CAMPO ROM A ROMA

Card.Vallini: «Lacomunitàcristiananonpuòrimanereindifferente» na stufa a legna per scaldarsi, o una candela per far luce. Basta un attimo e il tepore si trasforma in un rogo, la flebile luce nel bagliore delle fiamme che bruciano, e uccidono. Così sono morti, domenica 6 febbraio, Sebastian, Elena Patrizia, Raoul ed Eldeban. Quattro bambini dei quali il più grande aveva 11 anni, il più piccino 3. Vivevano in un piccolo accampamento rom sull’Appia nuova, a Roma. Abusivo, diranno poi. «E ora aiutateci!», chiedono Liliana e Mirko Mircea, i genitori delle

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vittime, che hanno altri quattro figli e al momento del rogo si erano allontanati per andare a comprare da mangiare. Allontanati poco più di un anno fa dall’insediamento della Caffarella, i Mircea avevano già chiesto aiuto, anche se pare avessero rifiutato un alloggio in un residence. Ma ora poco importa, perché tragedie di questo genere avvengono con una triste frequenza. Solo sei mesi prima, in piena estate, alla Muratella era morto in un rogo un bimbo di tre anni, Mario. Anche lì pianti e polemiche, poi tutto è tornato come prima, nell’indifferenza generale. Ma «davanti a questo nuovo tragico fatto la comunità cristiana non può rimanere indifferente», ha esortato il card. Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, incoraggiando «le autorità a proseguire nell’impegno intrapreso a realizzare campi attrezzati dove siano assicurate ai nomadi condizioni di vita dignitose e sicure». Sicurezza, per evitare di dover piangere in continuazione tragedie che si possono e si devono evitare; dignità, perché non si può intervenire senza rispetto delle persone, dei loro legami, delle loro tradizioni. Entrambe vanno garantite ed è questa l’unica, vera risposta di una comug nità che sia veramente civile. ■

le altre notizie

L’ISTAT FOTOGRAFA UN PAESE IN CRISI

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tempi moderni di Silvio Mengotto

l paese sta attraversando una delle crisi economiche più devastanti dal dopoguerra e uno tra i periodi più bui per il presente e il futuro dei lavoratori e delle famiglie. Nel gennaio 2010 Benedetto XVI aveva affermato: «Se l’attuare adeguate politiche economiche e sociali è compito dello Stato, la Chiesa, alla luce della sua dottrina sociale, è chiamata a dare il suo apporto stimolando la riflessione e formando le coscienze dei fedeli e di tutti i cittadini di buona volontà. Penso qui alle famiglie, soprattutto a quelle con figli piccoli che hanno diritto a un avvenire sereno, e agli anziani, penso all’emergenza abitativa, alla carenza di lavoro e alla disoccupazione giovanile». Negli ultimi tempi la Chiesa italiana, anche in relazione agli effetti della recessione, ha sviluppato e moltiplicato i servizi per far fronte alla povertà economica. Iniziative sintetizzabili in tre “aree”: l’istituzione nazionale del Prestito della speranza della Cei, vari Fondi di solidarietà, progetti di microcredito per sostenere famiglie e piccole imprese. Segnaliamo alcune tra le esperienze sparse nella penisola. Prestito della speranza. Con l’accordo fra l’Associazione bancaria italiana e la Conferenza episcopale italiana (Cei) nella primavera del 2009 nasce il Prestito della speranza. Si rivolge alle famiglie che hanno subìto nella crisi un impoverimento materiale e il reddito disponibile non consente più di sostenersi, spesso in seguito alla perdita di lavoro. Dal febbraio 2011 si è aperta una nuova fase dell’iniziativa per famiglie e imprese. La Chiesa italiana, «Per far fronte al perseverare delle anche attraverso difficoltà economiche – si legge nel le iniziative diocesane, sito www.prestitodellasperanza.it – la sta moltiplicando Cei ha istituito un fondo nazionale gli interventi a favore delle persone che hanno straordinario orientato a garantire prestiti bancari da concedere alle perso il lavoro, dei famiglie a un tasso agevolato». La giovani disoccupati, dotazione patrimoniale, «apportata delle famiglie con un reddito insufficiente. Un anche con il contributo di soggetti priviaggio diverso dal solito vati e istituzionali, è costituita da 30 milioni di euro, di cui 25 milioni destiattraverso il Belpaese, nati a garantire il microcredito sociale da Como all’Umbria, da Reggio Emilia a Matera, e 5 milioni destinati a sostenere il passando per la Sardegna microcredito alle imprese». La costi-

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Così la crisi fa meno paura tuzione del fondo di garanzia con il moltiplicatore «genera un meccanismo virtuoso di solidarietà perpetuabile nel tempo; il moltiplicatore aumenta notevolmente la capacità di intervento rispetto al fondo perduto, dando la possibilità di aiutare nel tempo un numero sempre crescente di persone. Infatti, con la restituzione di un prestito la garanzia torna di nuovo disponibile per un altro intervento». La Cei ha così messo in atto un’azione pastorale di carattere nazionale capace di avviare un dialogo con le istituzioni finanziarie e le banche «in vista di un’economia solidale in grado di superare l’unicità della massimizzazione del profitto, aprendosi al mondo bancario, lungo le linee della responsabilità sociale e dell’economia solidale, elementi propri dell’insegnamento della Chiesa» (In caduta libera, Rapporto 2010 Caritas Italiana - Fondazione Zancan, Il Mulino, p. 269). Fondi di solidarietà. Nel Natale 2008 il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi annuncia la costituzione del Fondo famiglia-lavoro con lo scopo di sostenere chi si troverà nell’indigenza a seguito della perdita dell’occupazione. In due anni di attività sono 4.700 le famiglie sostenute. Circa 5mila coloro, che da privati, hanno contribuito al Fondo più le offerte pervenute da enti e da oltre 570 parrocchie coinvolte. Tra le domande sinora raccolte (oltre 6mila) si registrano tragedie, spesso nascoste, e che in misura paritaria arrivano da italiani e immigrati. Tra le persone richiedenti l’aiuto della diocesi si sono affacciate anche figure inaspettate come insegnanti, impiegati e dirigenti. A maggio 2009 un’analoga


tempi moderni Nella foto: l’home page del progetto “Prestito della speranza”

iniziativa a quella ambrosiana nasce nella diocesi di Como su indicazione del vescovo, mons. Diego Coletti. Il Fondo si rivolge in particolare a quelle famiglie o singoli che a causa della crisi e della conseguente perdita del lavoro si sono ritrovati in difficoltà. Nel Natale 2010 l’obiettivo è stato quello di rilanciare l’iniziativa per rispondere alle richieste in aumento. Dona un’ora di salario a chi ha perso il lavoro: questa è l’iniziativa lanciata da Caritas veronese per sostenere quanti hanno perso l’impiego. Il progetto si innesta nell’ambito della raccolta per sostenere il Fondo straordinario di solidarietà aperto dalla diocesi per fronteggiare la difficile situazione economica che ha messo in ginocchio decine di famiglie a Verona e provincia. Lo stesso invito è rivolto ai datori di lavoro affinché devolvano l’equivalente di un’ora di salario di ogni loro dipendente. Nel gennaio 2009 il vescovo di Savona Vittorio Lupi ha versato una somma consistente destinata al Fondo emergenza famiglie promosso dalla Caritas diocesana. Dal 1° luglio 2009 è attivo il Fondo di solidarietà famiglia e lavoro che la diocesi di Reggio

Ozieri

CON LE MANI DEGLI ULTIMI el 2010 la Caritas diocesana di Ozieri, in Sardegna, ha realizzato il progetto Con le mani degli ultimi e finanziato attraverso i fondi 8 per mille. «Il progetto prevede l’acquisizione dei macchinari per la produzione di pane tipico locale (spianata) da un laboratorio ancora in attività, i cui proprietari, a causa dell’età avanzata, hanno deciso di lasciare. Il laboratorio vanta un’esperienza pluridecennale e un patrimonio di clienti consolidato. I proprietari stessi hanno sostenuto l’iniziativa della Caritas diocesana fornendo le attrezzature a un prezzo accessibile e l’assistenza per la formazione dei giovani disoccupati che prenderanno in mano l’attività».

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Emilia-Guastalla ha messo a disposizione dei nuclei familiari. Nel marzo 2009 le Chiese dell’Umbria hanno dato una risposta corale con la creazione di un Fondo di solidarietà regionale, presentato con una nota pastorale dei vescovi Le Chiese umbre di fronte alla crisi, con il quale si intende aiutare le famiglie monoreddito con figli, con capo famiglia che abbia perduto il lavoro e non sia sufficientemente garantito da ammortizzatori sociali. Progetti di microcredito. Il microcredito è uno strumento di sviluppo economico, che permette alle persone in situazione di povertà ed emarginazione di aver accesso a servizi finanziari. Consente a giovani che vogliono avviare attività imprenditoriali di avere a disposizione prestiti funzionali al proprio progetto di sviluppo personale e lavorativo, da restituire secondo tempi e modalità condivise. La Caritas diocesana di Brescia offre un sostegno attraverso l’attività di “Mano fraterna”, che include cinque risposte alla crisi economica-finanziaria. Nel Molise il Progetto Senapa diocesano ha due linee di credito: impresa e socio assistenziale. Il Progetto Conto Sos emergenza è un servizio della Caritas diocesana di Termoli-Larino, con l’intento di sostenere le famiglie che vivono situazioni di disagio sia economico che sociale. Nell’arcidioecesi di Matera-Irsinia è aperto un microcredito a servizio della piccola impresa. Particolare riguardo viene dato ai giovani dai 18 ai 36 anni, cooperative sociali, immigrati regolari, portatori di handicap, perdenti lavoro non tutelati per l’avvio di attività a forte contenuto sociale. Altre diocesi, come Benevento e Gorizia, hanno inaugurato “market della solidarietà” a favore di famiglie non abbienti e per sostenere quanti incontrano difficoltà anche per alimentarsi. Tra i tanti progetti (per quello di Ozieri si veda il box) si può segnalare quello denominato Ponti, della Caritas di Bologna, oppure la Banca solidale della Caritas diocesana di Canpobasso-Boiano, ma anche il Fondo di solidarietà per le famiglie e Sostegno e accompagnamento delle persone vittime di usura della Caritas diocesana di Frosinone-Veroli-Ferentino. Un Fondo di solidarietà per famiglie è stato istituito – sempre per fare alcuni dei numerosi esempi g possibili – dalla Caritas diocesana di Caserta. ■

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tempi moderni intervista con Simone Scazzocchio di Alessandro Nizegorodcew

Lezioni di piano imone Scazzocchio è un artista. Un pianista, un direttore d’orchestra, un musicista vero, che sta trovando una meritata consacrazione a Boston, dopo aver studiato nel prestigioso Berklee college of music. Scazzocchio, che ad aprile compirà 30 anni, ha ben tre lauree: in musicologia (Roma, 2006), in composizione classica e in musica per film (Boston, 2010). Attualmente sta lavorando come compositore e orchestratore nelle aree di Boston e Los Angeles. Con Segno chiacchiera un po’ di tutto e racconta la sua storia.

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C’è un giovane italiano, musicista compositore e direttore d’orchestra, che è sbarcato a Boston e sta facendo fortuna. Ecco come e perché è possibile farcela 26

Partiamo dal le u lti me n ovità. Ha inizi ato u n a c o l l a b o r a z i o n e c on l a B o s t on S y m phony Hall... Il mio rapporto con la Symphony hall di Boston, meravigliosa sala da concerti, nasce da due progetti separati. Il primo riguarda il compositore italiano Silvio Amato, per il quale sto lavorando come orchestratore. Silvio sta scrivendo una cantata per orchestra, coro e solisti. La cantata sarà eseguita per l’undici settembre 2011 e farà parte di una commemorazione alla quale parteciperà il sindaco di Boston insieme ad altre figure politiche e religiose. Il mio compito è quello di arrangiare e orchestrare i pezzi e preparare le partiture. L’altro progetto è chiamato Rhythm of the universe e il mio ruolo è quello di direttore musicale, direttore d’orchestra e orchestratore. Il progetto debutterà ufficialmente il primo di aprile come parte di un programma organizzato dal dipartimento di Film scoring di Berklee college of music. L’evento sarà aperto da Rhythm of the universe, segui-

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to dalla Video game orchestra, che sarà diretta per un paio di pezzi da Alan Silvestri in persona (Forrest gump e Ritorno al futuro). La emoziona rappresentare l’Italia all’estero? Lavorare qui da italiano mi sta spingendo a fare del mio meglio non solo per me, ma anche per cercare, nel mio piccolo, di rimediare a qualche stereotipo che ormai ci perseguita da parecchio tempo. Torniamo per un momento indietro nel tempo. Come è avvicinato alla musica? Ho iniziato suonando il flauto in prima elementare. Un pomeriggio mia madre mi colse mentre stavo cercando di ritrovare al pianoforte le melodie che avevo imparato. Negli anni ho toccato i generi più disparati, dalla musica rinascimentale al metal, passando per il rock/pop a tutto il linguaggio classico in genere. Il rapporto con la musica muta continuamente e in realtà è proprio questo l’equilibrio. Mi sono reso conto con gli anni che la musica può essere connessa a tutto; questo ha sviluppato una passione che mi ha portato verso un lungo e intenso percorso di studio. La musica è il linguaggio più potente che possediamo. Personalmente è lo specchio di me stesso e nell’ambito lavorativo diventa una sfida per cercare di capire, ogni giorno, come comunicare quella determinata sensazione tramite un determinato strumento. Qual è stato il momento in cui ha capito che il suo rapporto con la musica si era evoluto? Ricordo nitidamente il giorno in cui ho capito che mi era possibile mettere in musica, nel dettaglio, ciò che balenava nei miei pensieri. Da quel momento è cambiato praticamente tutto e in maniera meravigliosa. La crescita personale porta poi ad avere “di più da dire” e rende l’attuale preparazione tecnica e teorica immediatamente obsoleta. Ma è un processo che diventa estremamente creativo, perché porta a nuovi obiettivi. Come compositore sto cercando di ritrovare costantemente quell’equilibrio, non solo con il pianoforte, ma con tutti gli strumenti. Lei si è trasferito alcuni anni fa a Boston. Come mai questa scelta?


tempi moderni Sono a Boston ormai da 4 anni. Berklee è stata per me una meta sin da quando ero adolescente. Ho preso dall’Italia la cultura umanistica, che abbiamo molto forte, e poi ho voluto vedere cosa succede dall’altra parte del mondo, dove esiste una laurea in musica per film o un corso di 5 mesi sulla scrittura dei jingle televisivi!

Nelle foto: l’artista Simone Scazzocchio

Non possiamo negar e che la retta uni ver sitar ia di Berklee sia piuttosto cara. Crede che al giorno d’oggi, se si ha un sogno, ci sia modo di superare anche i problemi economici? La barriera economica è sicuramente rilevante, ma ho sentito tante persone dare troppa importanza a questo fattore, senza conoscerlo davvero. Qui a Boston esiste un discorso di meritocrazia, che porta ragazzi con grande determinazione a far sentire la propria voce. Al mio secondo anno a Berklee sono andato a vedere il concerto di benvenuto per i nuovi studenti. L’ospite era uno ragazzo africano, che ha semplicemente raccontato la sua storia. Il suo grande sogno era la musica, e Berklee. Ma per compilare l’application online ci vuole una somma che la maggior parte di noi spende facendo un paio di pieni di benzina (intorno ai 100 dollari). Lui ha lavorato un anno per metterli da parte. I 100 dollari servono solamente per inviare la richiesta e chiedere un’audizione. Fatta l’audizione questo ragazzo è riuscito a vincere una borsa di studio per coprire l’intera somma; ma ancora non aveva idea di come pagare l’affitto e le altre spese. A quel punto la

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comunità stessa è intervenuta, tra studenti, professori e dipartimenti. Sono stati accumulati fondi per aiutarlo e, con un lavoro stabile all’interno del campus, questo ragazzo è riuscito a prendere ben due lauree in Music business e performance. Si sarà fatto un’idea del perché in Italia si fa così fatica a emergere nella musica e nell’arte in generale... Credo che il motivo principale sia che siamo rimasti indietro: la tecnologia, l’intrattenimento, tutto l’ambito dei media si è evoluto molto velocemente negli ultimi 20 anni. E noi abbiamo programmi educativi che sono formalmente nuovi, ma che in America sono obsoleti da 15 anni. Negli Stati Uniti la gente esce dalle università avendo una preparazione pratica che poi si esprime nell’ambito lavorativo, mentre noi ci limitiamo a importare i prodotti Americani già finiti e a doppiarli in italiano: la musica è già fatta, il format è quello, le trasmissioni e i programmi sono delineati, quindi non c’è necessità di una produzione più veloce e professionale. È un grosso circolo vizioso. Per conclud ere, qual i sono i suoi progetti e quali i suoi sogni? Continuerò a lavorare su progetti che trovo stimolanti o educativi come compositore, orchestratore e direttore. Ne sto seguendo 4-5 in ambiti diversi. Il sogno è quello di vivere in uno stato di creatività e quindi felicità, senza dimenticare mai i sogni che g ho già realizzato. ■

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economia e lavoro

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Piedi per terra ma voliamo alto

intervista con Giuseppina Mengano Amarelli di Francesco Rossi

onna e Sud. Un binomio che a qualcuno può sembrare agli antipodi dell’imprenditoria: nel Mezzogiorno è difficile lavorare e ancor più fare impresa, mentre essere donna, in campo lavorativo, è sovente percepito come uno svantaggio. Luoghi comuni, questi, che l’esperienza di Giuseppina Mengano Amarelli contribuisce a sfatare. Lei, 65 anni, originaria di Napoli, è oggi alla testa della più nota industria di liquirizia, la Amarelli sas, con sede a Rossano, in provincia di Cosenza, e una storia che affonda le radici nel lontano 1731. Un’impresa familiare che si tramanda di generazione in generazione nel luogo dove, parola di Giuseppina Mengano, «si produce la migliore liquirizia al mondo». E lei in quest’avventura è entrata quarant’anni fa, sposando un Amarelli. «Ho cominciato a lavorare nell’azienda – racconta a Segno – affascinata dalla sua storia. Mi sono occupata della comunicazione, dando un’immagine più moderna per essere competitiÈ alla guida di una grande vi, ma al tempo stesso ancorati impresa calabrese che da alla tradizione. Da qui, per secoli produce ed esporta esempio, le confezioni in metalliquirizia. E afferma: lo con le vecchie immagini per «Negli anni il ruolo e la mantenere un legame con la riconoscibilità femminile storia nel puntare al futuro». nel mondo del lavoro sono

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indubbiamente cambiati, merito proprio delle donne che hanno creduto nelle loro capacità» 28

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U na do n n a c h e v o gl i a f a r e impresa incontra particolari difficoltà?

Guardando alla mia esperienza direi di no. L’importante, per noi donne, è non avere complessi d’inferiorità; poi serve una preparazione adeguata e tanta, tanta passione per ciò che si fa. Personalmente sono contenta di aver sviluppato, soprattutto in Calabria, un’ondata di fiducia da parte delle donne e spero che possano moltiplicarsi i casi d’imprenditoria femminile, specialmente al Sud. Lei come è entrata nel mondo del lavoro, e dell’imprenditoria? Mi iscrissi all’università nel 1966 a giurisprudenza. Erano gli anni in cui alle donne non era ancora permesso, ad esempio, entrare in magistratura, ma ciò non mi distolse dal fare gli studi che mi piacevano. Poi, dopo il matrimonio, ho scelto di dedicarmi all’azienda. C’è da riconoscere che negli anni il ruolo e la riconoscibilità femminile nel mondo del lavoro sono indubbiamente cambiati, merito proprio delle donne che hanno creduto nelle loro capacità. Cosa significa “non avere complessi d’inferiorità”? Per avere “successo”, la donna si deve comportare come un uomo? No, la specificità di genere è necessaria. E, in alcune circostanze, direi che questo è addirittura un vantaggio. Le donne hanno maggiore capacità di adattamento e flessibilità, e questo è un privilegio soprattutto quando si tratta di affrontare momenti di crisi. Siamo persone che apparentemente volano meno alto, ma che tenendo i piedi per terra sanno adeguarsi alla realtà. Essere donna al Sud, magari in un piccolo paese, è più difficile che esserlo in una grande città del Centro-Nord Italia? Nelle grandi città non c’è mai stata una grande differenza tra Nord, Centro e Sud. C’è poi da riconoscere


economia e lavoro Sicuramente la conciliazione dei tempi è un problema molto complicato, che richiede una notevole organizzazione familiare. Bisogna avere elasticità tanto da parte dell’azienda, quanto dai lavoratori per venirsi incontro, riconoscendo le reciproche esigenze. Vedo però con piacere che, tra le nuove generazioni, padri e madri riescono a dividersi molto bene i loro compiti all’interno della famiglia. Ma, a sostegno dei loro sforzi, manca una rete di aiuti da parte dello Stato. Servono leggi, o misure concrete, che favoriscano la famiglia, e quindi anche le donne, sulle quali inevitabilmente cade il maggior carico familiare? Sì, ci vorrebbe una maggiore organizzazione a favore della famiglia. Penso agli asili nido dove portare i bambini, permettendo alle mamme di lavorare. Oggi A sinistra: quasi ovunque sono insufficienti, e così a volte – se Giuseppina Mengano Amarelli È possibile conciliare i tempi della famiglia con quelli non ci sono nonni in grado di occuparsi dei nipoti – si e, sopra, il museo del lavoro? Come? ricorre a baby sitter o asili privati sacrificando gran della liquirizia parte dello stipendio. O Identikit ancora, si rinuncia a lavoUN’AZIENDA FLORIDA COSTRUITA SULLA “RADICE DOLCE” rare. Altro problema è l’asna storia radicata nei secoli, in una famiglia, gli Amarelli, e in un territorio specifico, la sistenza agli anziani: pure Calabria. Fin dal 1500 venivano commercializzati i rami sotterranei della “radice dolce”, il qui ci vuole una maggiore nome scientifico (glycyrrhiza glabra) della liquirizia, che cresceva in abbondanza nel latifondo attenzione da parte del della famiglia calabrese. Nel 1731, per valorizzare l’impiego del prodotto, venne inaugurato il primo impianto proto-industriale, detto “concio”, per trasformare in succo le radici di questa welfare. Poiché è una pianta. Nasce così la produzione industriale della liquirizia, che oggi si traduce in liquirizia pura realtà diffusa e che coine gommosa, confetti e sassolini, gelati, cioccolatini, grappa e liquori. Per raccontare questo pervolge tante famiglie italiacorso nella sede storica dell’azienda a Rossano, in contrada Amarelli, nel luglio 2001 è stato inaugurato il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli” (www.museodellaliquirizia.it). L’azienda ne. E nella quale, ancora ancora oggi è a gestione familiare: presidente è Giuseppina Mengano Amarelli, docente univer- una volta, a porre rimedio sitario, avvocato e pubblicista, nonché cavaliere del lavoro dal 2006, mentre amministratore sono le donne. ■ g che, per quanto riguarda la Calabria, nell’emancipazione femminile ha sicuramente contributo l’arrivo dell’Università, negli anni Settanta: le ragazze hanno avuto così a portata di mano la possibilità di accedere alla cultura e agli studi accademici.

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delegato è il nipote Fortunato Amarelli.

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intervista con Susanna Camusso di Chiara Santomiero

ei suoi occhi azzurri si è scritto molto. Pare che, in fase di trattativa con la Fiat nel 1995, in versione “gelida”, abbiano intimidito anche Cesare Romiti. Oggi però sorride, mentre accende una sigaretta sotto lo sguardo di Di Vittorio, il leggendario segretario generale della Cgil immortalato da Carlo Levi in un quadro dietro la scrivania del suo primo successore donna: Susanna Camusso, eletta nel novembre scorso con il 79,1% dei consensi. Una straordinaria affermazione in un sindacato che ha più di un secolo di vita e 6 milioni di iscritti tra La neo segretaria generale lavoratori e pensionati. Una delle poche donne che sono riuscite a della Cgil riflette – in sfondare il “soffitto di cristallo”, occasione della Giornata la barriera invisibile che ancora internazionale – sul ruolo ostacola l’accesso alle posizioni della donna nell’economia di responsabilità. e nella società di oggi.

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«Reagire al machismo che ci propina la tv; sì a un ruolo Cominciamo dall’imbarazzo nei termini: segretario o segretaria? di primo piano» per costruire un’Italia migliore C’è stato un dibattito e si è deci30

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so per “segretario”. In continuità con la tradizione della Cgil e perché attribuiamo al termine una funzione di ufficio e non di direzione. La dizione formale della carta intestata sarà quindi “segretario” generale, come è sempre stata, ma forse pian piano si riuscirà a cambiare il linguaggio e le abitudini. Sono percorsi lenti perché c’è una stratificazione alle spalle per cui un incarico politico è sempre maschile, è difficile che venga letto al femminile. Come si arriva alla guida di una donna in una struttura prevalentemente maschile come il sindacato? Quando ho cominciato il sindacato era – e i metalmeccanici ancor di più – un settore e un’organizzazione molto maschile. Tuttavia era anche la stagione in cui le donne cominciavano a autorganizzarsi. Poi la Cgil si è abituata a pensarsi come un’organizzazione di uomini e donne, aiutata da una norma antidiscriminatoria introdotta molti anni fa che prevede che nessuno dei due generi possa essere inferiore al 40% negli organismi direttivi. L’ultima segreteria nazionale era paritaria tra uomini e donne.


Un po’ come l’Azione cattolica, dove i responsabili a vari livelli devono essere per statuto donne e uomini. Se non proprio “quote rosa”, occorrono norme che educhino a pensare alla rappresentanza sia maschile che femminile? Il dibattito sulle quote ha attraversato a lungo il movimento delle donne, per il rischio di diventare un’“area protetta”. Credo che alla luce dell’esperienza le quote servano, ma devono essere utilizzate per rompere un meccanismo culturale e costruire un’abitudine diversa.

Nella foto: Susanna Camusso, la prima donna a guidare la Cgil

Lei a capo della Cgil, Emma Marcegaglia alla guida dell a Confind ustria: un ri sul tato molto positivo per tutte le donne. Ma qual è, in generale, il rapporto tra donne e lavoro in Italia? In Italia siamo molto in ritardo rispetto agli obiettivi di Lisbona (definiti in sede di Unione europea, ndr.) che prevedono un tasso del 60% di occupazione femminile. La crisi ha portato a un arretramento anche in regioni come la Lombardia e l’Emilia che a questo traguardo erano molto vicine. A ciò si aggiunge il

grande divario tra il nord e il sud del paese dove i tassi di occupazione delle donne sono molto inferiori. E se al sud un giovane su quattro è disoccupato, per le giovani donne il dato è molto più pesante. È evidente che il nostro paese non ha ancora assunto l’idea che il lavoro femminile è un fattore di crescita generale. Inoltre il lavoro femminile è “povero”, meno soldi e meno ore, come fosse integrazione del reddito familiare. E rimane il pregiudizio in tante imprese secondo il quale una lavoratrice non sia del tutto impegnata nel lavoro perché deve pensare ai figli e alla famiglia. Rispetto all a concil iazione tra l avor o e famig lia, le donne stanno andando indietro o avanti? Il taglio delle risorse per le amministrazioni locali ha messo in pericolo la qualità e la quantità dei servizi. Uno studio condotto in Lombardia tempo fa ha evidenziato un alto tasso di occupazione femminile, ma con due picchi in basso in coincidenza della nascita del primo figlio e poi intorno ai 45-50 anni. Se mancano politiche sociali e sanitarie, e ci si affida solo a voucher e assegni, e una lavoratrice guadagna poco, alla fine sceglie di stare a casa. Tutto ciò, però, penalizza il paese e la lavoratrice che deve rinunciare alla sua realizzazione. Il welfare invece deve incentivare l’occupazione femminile, in particolare nel Mezzogiorno, dove oggi purtroppo le donne stanno rinunciando addirittura alla ricerca del lavoro. Lei si è occupata molto di immigrazione: le lavoratrici ital ian e son o pr onte a ri conoscere n ell e d onne immigrate delle pari portatrici di diritti? C’è una difficoltà nel considerare le persone che lavorano in casa e si occupano di cura – le cosiddette badanti – come delle lavoratrici. Anche “collaboratrici domestiche” è una dizione ambigua. Occorre instaurare dei normali rapporti di lavoro: non si può considerarle fintamente parte della famiglia, magari per pagarle meno e non dare loro tempo libero. E non aiuta neppure il carattere repressivo delle politiche migratorie per cui si tende a nascondere il migrante piuttosto che costruire un effettivo rappor-

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Protagoniste per il bene del paese

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to di lavoro. C’è poi la tutela della libertà delle donne. Gli studi della Caritas avvisano che nelle grandi città sono mediamente presenti da 140 a 170 nazionalità diverse, con religioni, culture, tradizioni anche molto differenti rispetto a questioni per noi scontate come la parità tra uomini e donne. È chiaro che la libertà che rivendichiamo per noi dovrebbe essere libertà riconosciuta a tutti. Un malinteso multiculturalismo porta invece a costruire mondi paralleli: il nostro con le nostre regole e l’altro. Finché esplodono le contraddizioni. Per esempio, perché la conoscenza della lingua è richiesta solo agli uomini in funzione del lavoro e non alle donne che sono arrivate con loro in Italia? Al cun i scand al i r ecenti hanno riproposto un’imma gi ne n eg a t iv a d el m o n d o fe m m i n i l e , s ’è t or na t o a p a rl ar e di Identikit

ESPERTA DI CONTRATTI E DEL LAVORO IN FABBRICA usanna Camusso nasce a Milano il 14 agosto 1955, ultima di 4 sorelle. Incontra il sindacato a vent’anni studentessa di archeologia alla Statale, coordinando le attività per i corsi delle 150 ore della Federazione lavoratori metalmeccanici (Flm), allora categoria unitaria di Cgil, Cisl e Uil. Dal 1977 al 1997 dirige la Federazione impiegati operai metallurgici (Fiom) milanese, poi quella lombarda e infine passa alla segreteria nazionale, responsabile del settore auto prima e poi della siderurgia. Alla fine del 1997 viene eletta segretario generale della Flai (agroalimentari Cgil) in Lombardia. Nel 2001 nuova elezione a segretario generale della Cgil Lombardia. Nel 2008 arriva a Roma nella Segreteria confederale di Epifani, con delega ai settori produttivi. Dopo il congresso nazionale del maggio 2010 è vice segretario generale e il 3 novembre viene eletta, prima donna nella storia del sindacato, segretario generale della Cgil. Ha una figlia di 22 anni, Alice, studentessa alla Normale di Pisa

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d o n n a - og g et t o. I l n o s t r o p a e s e r i s c h i a d i t o r n a r e indietro nel tempo circa la dignità della donna? Dobbiamo smettere di guardare al paese che ci viene rappresentato e non a quello reale, nel quale le ragazze studiano e hanno dei progetti di vita e dove in genere le donne hanno famiglia, lavorano, partecipano e decidono... C’è chi cerca delle facili scorciatoie. Ma io ma non credo che sia un modello diffuso, anche se la televisione sembra imporlo. Piuttosto bisogna parlare delle responsabilità della politica che dovrebbe essere al servizio del bene comune. Non puoi dare l’immagine che metà del tuo paese – e le donne sono più della metà degli italiani – sia costituita da oggetti e non da persone, con storie, coscienza, speranze. Anche la celebrazione dell’8 marzo in questo contesto deve essere all’insegna delle donne vere e non delle donne che ci vengono rappresentate da questo ritorno al peggior machismo. Q u a l è l a s u a p r eo cc u p a z i on e p i ù g r an d e c om e segretario? È che troppi giovani non vedono alcun futuro, giovani uomini e giovani donne. Hanno una profonda sfiducia in questo paese e l’idea che la politica, le istituzioni, lo stesso sindacato non stiano pensando a loro. Credo che bisogna invertire questa modalità di essere sempre nel presente, anzi nel secondo, nel minuto secondo, per agire in un presente un po’ allargato e sapere che il presente determina il futuro. E cominciare a progettare quello. N o n m a n c a n o l e r ag az z e c h e d ec i d o n o d i a n d a r e a l l ’ e s t e r o p e r t r o va r e u n l a v o r o c h e l e s o d d i s f i e m ag ar i r i s p on d a a l p r o p r i o p e r c o r s o d i s t u d i , a g l i i n t e r e s s i p e r s o na li . L e i c o s a c o n s i gl i a : a n da r e o restare? Ci sono donne che hanno deciso di andare all’estero e hanno oggi posizioni professionali straordinarie, realizzando il sogno per il quale avevano studiato. So che dicendo «rimanete qui» probabilmente si prospetta loro un avvenire carico di difficoltà, però io – proprio perché penso che questo paese è migliore di come viene rappresentato e che si può cambiarlo – g sono per dire «restate». ■


economia e lavoro

«Il sì ha vinto, ma...» a Fiat sempre e ancora in prima pagina. L’azienda automobilistica che è stata uno dei simboli del boom economico italiano nel secondo dopoguerra è passata poi attraverso mille vicende: dai successi aziendali alle difficoltà nel reggere la competizione internazionale, dalle lotte operaie alle rivendicazioni degli impiegati e dei quadri. In questa fase si parla ovviamente dei rapporti tra Torino e la Chrysler. A febbraio, infatti, Sergio Marchionne, top manager del Lingotto, aveva affermato pubblicamente: «Fiat e Chrysler potrebbero diventare fra due o tre anni un’azienda sola, e quest’azienda potrebbe avere sede negli Usa». Ne sono ovviamente seguito polemiche incandescenti. Non meno preoccupante era stata la vicenda del referendum di metà gennaio fra i lavoratori di Mirafiori per il via libera all’accordo con l’azienda. Il “sì” aveva prevalso con 2.735 voti, pari al 54%, mentre a votare “no” erano stati 2.325 (46%). L’economista Stefano Zamagni, docente all’Università di Bologna, L’economista Stefano Zamagni ha commentato così il risultato. riflette sul caso-Fiat C o m e gi u di c a il v ot o d i e il referendum effettuato Mirafiori? tra i lavoratori dell’azienda. Un invito alla saggezza, Il sì ha vinto, ma in misura da entrambi le parti minore di quanto ci si aspettasse. A determinare questo 54% ha contribuito la componente impiegatizia, mentre tra gli operai c’è stato un testa a testa. Questo risultato indica che la vicenda non è stata gestita bene dai vertici dell’azienda, i quali non hanno messo in evidenza il significato profondo del-

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l’accordo, né esplicitato le responsabilità di quel calo di produttività registrato negli ultimi anni. Esse, infatti, ricadono in parte sulla componente-lavoro, ma soprattutto sulla componente-capitale. In altri termini, la perdita di competitività in parte è dovuta ad assenteismo, minore impegno dei lavoratori, conflittualità, ma soprattutto è mancato un investimento aziendale. Qu i nd i M a r c h io n n e a v re b be dovuto agire diversamente? Bisognava fare un’operazione trasparenza e dire tutta la verità. Chiedendo uno sforzo maggiore agli operai, Marchionne avrebbe dovuto, al tempo stesso, mettere in luce le responsabilità degli azionisti. Così, invece, i lavoratori sono stati gli unici a finire sul banco degli imputati per le difficoltà dell’azienda, e con il voto hanno dato un segnale. Ora cosa si profila all’orizzonte? Penso che prevarrà la saggezza. Il fatto che Marchionne abbia vinto di misura lo obbliga a mantenere gli impegni presi, ma al tempo stesso gli farà ricordare che le responsabilità sono da ambo le parti. Chi era contrario all’accordo ha parlato di erosione di d ir i t t i f o nd a m e nt a l i de i la v o r at or i . È c o s ì? No. Semmai vengono messe in discussione alcune interpretazioni dei diritti. Si viola un diritto fondamentale quando lo si porta via senza dare nulla in cambio. Teniamo poi presente che stiamo parlando di un concetto duale: dietro a ogni diritto c’è un dovere. E, nel caso specifico, a fronte di una produttività che si è abbassata per mantenere il diritto al posto di lavoro si chiede al lavoratore di fare uno g [Sir] sforzo in più. ■

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Come cambieranno le pensioni

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i è parlato e si parla molto dei problemi del sistema previdenziale italiano (non troppo diversi da quelli degli altri paesi industrializzati) e di come il welfare abbia subito progressive e profonde trasformazioni a causa di fattori demografici, sociali, ed economico-finanziari; si discute della crescente difficoltà di mantenere un sistema equilibrato, nel quale è drammaticamente evidente che i contributi di chi lavora saranno progressivamente insufficienti a coprire i costi delle pensioni, dell’assistenza sanitaria e dell’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti. Sono state adottate diverse riforme per alleggerire il bilancio italiano dal “peso” del sistema previdenziale e il dibattito ora riguarda soprattutto il tema della “sussidiarietà” ovvero di come attori diversi dallo Stato possano integrare le prestazioni previdenziali e assistenziali fin qui garantite dall’intervento pubblico. Ci si interroga ora di quanto l’approccio privatistico costituito dalle famiglie, primo vero pilastro della “complementarietà” previdenziale, dalle organizzazioni di volontariato e dagli operatori del mercato finanziari e assicurativi, dovrà integrare le prestazioni fin qui garantite dallo Stato. Sembra ormai fuori discussione che la Previdenza prossima futura sarà diversa, profondamente diversa da quella di cui hanno usufruito le generazioni che ci hanno preceduto e gli attuali pensionati. Ma ciò detto, quello di cui si parla poco è il cosa e soprattutto il come l’approccio privatistico si possa sviluppare. In un contesto dove l’invecchiamento della popolazione, i minori benefici della pensione, un maggior numero di anni di lavoro, l’incertezza economica rappresentano problematiche che possono apparire schiaccianti e con

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le quali si dovranno confrontare i futuri pensionati, come ci si può preparare per far fronte a tale incertezza? Il primo elemento è la consapevolezza. Si tratta in sostanza di ragionare sul proprio progetto di vita. La gran parte dei lavoratori non è in grado di stabilire quale sarà l’ammontare del proprio reddito pensionistico futuro. In effetti i due ingredienti chiave da considerare per la pianificazione della pensione, il denaro e lo stile di vita, sono profondamente interconnessi. Il reddito necessario durante la pensione dipende dallo stile di vita che si intende adottare e lo stile di vita dipende in larga parte dal reddito disponibile. Gli esperti di tematiche previdenziali suggeriscono di iniziare una pianificazione finanziaria analizzando sia le proprie necessità, sia lo stile di vita desiderato. Un buon approccio a esempio prevede di calcolare i costi fissi insopprimibili (mutuo/affitto/bollette, rimborso di eventuali debiti, tasse). Occorre poi quantificare, la stima dei costi variabili necessari per il vivere quotidiano (cibo, vestiti, trasporti). Infine si debbono stimare i costi relativi allo stile di vita che si intende adottare, che includono, a esempio, hobbies e viaggi nonché le “piccole” comodità alle quali ci si è abituati durante il periodo lavorativo. Gli stessi esperti stimano


che i costi della vita durante l’età della pensione possano ridursi del 20-30% rispetto a quelli sostenuti nel periodo lavorativo. Completata la stima relativa al reddito di cui si avrà bisogno, si passa a considerare le voci attive del “bilancio” ovvero la stima dei redditi che possono derivare dalle entrate, primo fra tutti il reddito da pensione garantito dal proprio Ente previdenziale (ad esempio Inps). A tale scopo recuperando presso i siti dei principali Enti le informazioni puntuali sulla propria posizione contributiva, con l’aiuto dei software ormai largamente diffusi, si può determinare con buona approssimazione l’importo mensile della pensione. Altri aspetti da considerare nella pianificazione sono i beni di proprietà e o altre rendite derivanti da eventuali investimenti e i risparmi individuali. Il valore della casa di proprietà (bene di cui dispongono gran parte degli italiani) può essere inserito nel calcolo ma con una serie di accortezze che richiederebbero un approfondimento a parte. Una volta acquisita la consapevolezza dell’utilità di una corretta pianificazione finanziaria e previdenziale occorre investire principalmente nel fattore tempo. Per una pianificazione finanziaria di successo è cruciale iniziare presto. Iniziando a risparmiare 10.000 euro all’anno, a partire dai 40 anni di età sarà possibile accumularne 700.000 una volta giunti a 70 anni, ipotizzando un tasso di interesse del 5% annuo. Se si inizia a risparmiare a 30 anni, basteranno 5.500 euro all’anno per ottenere la stessa cifra una volta giunti a 70 anni. Per chi ha iniziato tardi, lavorare qualche anno in più può fare molta differenza. Lavorare qualche anno in più consente non solo di aumentare il proprio “gruzzolo”, ma anche diminuire il numero di anni da cui si dovrà attingere ai propri risparmi. Talvolta lavorare più a lungo tuttavia, se si è iniziato tardi, può non essere più una scelta ma una necessità. Gli anni immediatamente prece-

Il possibile ruolo della previdenza integrativa in Italia

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denti la pensione possono tuttavia dare l’opportunità di risparmiare ancora di più, sempreché i figli siano diventati autonomi oppure che il mutuo della propria casa possa essersi estinto. Anche il passaggio da una casa adatta a una famiglia numerosa a una più piccola può portare ad ulteriori risparmi. Le riflessioni sin qui fatte evidenziano in modo inequivocabile che il proprio futuro, dipende dalle scelte che si possono e si devono fare anzitempo. Il Gruppo Cattolica Assicurazioni ritiene che rientri nelle proprie responsabilità il contribuire a una migliore comprensione delle problematiche relative alla pensione e alla previdenza in generale sviluppando così la propria funzione sociale e la sua missione valoriale. A questo scopo è nata all’interno del Gruppo Cattolica Previdenza, la Società specializzata per le soluzioni previdenziali di persone, famiglie e imprese. Soprattutto, nasce all’interno del Gruppo Cattolica Assicurazioni una nuova figura professionale (nuova per il mercato italiano) quella del Consulente previdenziale, un professionista che gestisce una relazione fiduciaria e di lungo termine con il cliente. Un professionista, capace di ascoltare attentamente e di valutare con ciascuno le proprie aspettative e progetto di vita e individuare le scelte più adeguate in termini di previdenza, di investimento e protezione. Nell’attuale contesto di mercato questa iniziativa vuole rappresentare oltre che una possibile soluzione alla progressiva regressione del welfare, anche un’opportunità occupazionale. Sono già oltre 400 i giovani laureati che sono stati avviati al progetto di Cattolica Previdenza che prevede la continua formazione di nuovi Consulenti previdenziali. Ciò esprime un’ulteriore espressione di impegno sociale generando occupazione nelle categorie oggi caratterizzate da un maggior rischio di mancato inserimento nel mondo del lavoro ovvero i giovani neo laureati. Per saperne di più: comunicazioneCP@cattolicaprevidenza.com Michele Cristiano

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cittadini e palazzo

Un nuovo Risorgimento culturale di Paolo Acanfora

he la cultura non stia vivendo nel nostro paese un momento facile è cosa nota. Le denuncie sul suo precario stato di salute sono state, in questi ultimi anni, molteplici. La drammatica mancanza di finanziamenti per le università e la ricerca, i tagli radicali ai fondi per gli istituti di cultura, lo stato di abbandono dei siti archeologici, l’assenza di risorse per i teatri, per i musei o ancora per la danza, per l’opera o per il cinema hanno riempito le pagine dei giornali e hanno promosso una quantità impressionante di comunicati di protesta, di scioperi, di raccolte di firme. La biblioteca nazionale di Firenze è a rischio chiusura; l’Archivio centrale dello Stato (il luogo dove vengono depositati e riordinati i documenti di gran parte delle istituzioni nazionali) è in perenne carenza Il centocinquantesimo di risorse; molti istituti di cultura non anniversario dell’unità hanno più soldi per fare ricerca e sono d’Italia può offrire una destinati a chiudere i battenti. È un quadro desolante per la nazione, che tocca grande opportunità anche settori di eccellenza e di prestigio per rilanciare l’idea internazionale. di un paese che A questo drammatico stato di cose si è “cresce insieme”. E per rimettere al centro recentemente aggiunto un nuovo preoccupante episodio: il divieto imposto alle dell’agenda nazionale biblioteche pubbliche venete di tenere alcune tematiche di ampio respiro intorno libri di autori dichiarati sgraditi. È naturalalle quali costruire una mente indifferente quali siano gli autori inseriti in questo improbabile nuovo indipossibile prospettiva ce: è invece rilevante e allarmante che futura comune

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l’arbitrio della politica sia arrivato al punto da sconfinare apertamente dalle proprie competenze, imponendo la sua autorità in campi dove essa non ha e non può avere diritto di imperio. In società sviluppate, complesse, ricche e articolate come quelle occidentali, in cui l’Italia è inscritta a pieno titolo, la politica non può disconoscere l’autonomia e la pluralità delle realtà sociali. Realtà che hanno le proprie regole, i propri metodi, le proprie vocazioni e, inevitabilmente, i propri giudici. L’episodio citato ha colpito nello specifico lo scrittore Roberto Saviano. Si tratta però non tanto di un caso circoscritto e archiviabile semplicemente come “infelice”, ma di una vera e propria cartina di tornasole che fa comprendere il clima del paese. In un contesto culturale quale quello sopra descritto, questa manifestazione di forza della politica dimostra il livello di tensione esistente.


cittadini e palazzo A sinistra: il logo ufficiale del 150° anniversario dell’Unità d’Italia

Nell’anno del centocinquantesimo anniversario dell’Italia unita, la cultura nazionale sembra giunta a uno dei suoi più bassi livelli di considerazione. Giudicata da una parte della classe dirigente e della popolazione come un settore improduttivo e sostanzialmente parassitario, essa pare destinata a svolgere sempre più un ruolo marginale. Una tendenza che è in coerenza con le difficoltà di costruzione di una memoria condivisa, di una ricostruzione del passato aliena da pregiudizi ideologici e al di sopra delle polemiche politiche. Le incomprensioni e i dissensi sinora suscitati dalla conduzione del centenario testimoniano innanzitutto una carenza di interesse e di attivismo. Ma nel contempo sembrano evidenziare anche le difficoltà di riflettere sulla nostra storia, sulle ragioni fondamentali del nostro stare insieme. La marginalità della cultura è, in questo senso, in diretta relazione con la scarsità di senso civico, con la debolezza del sentimento di appartenenza nazionale, con l’aperto disconoscimento dei doveri nei confronti della comunità, con i grandi problemi di moralità che segnano quotidianamente i tempi e i ritmi della nostra vita pubblica.

La politica e il futuro del paese

MIANO: C’È UNA GRAVE QUESTIONE MORALE n merito alle recenti vicende che hanno attraversato il mondo politico e coinvolto il capo del Governo, il presidente dell’Azione cattolica italiana, Franco Miano, in una dichiarazione rilasciata all’Agenzia Ansa, in data 18 gennaio, ha manifestato «disorientamento e preoccupazione». Riconoscendosi nelle posizioni espresse dal quotidiano Avvenire e dall’Agenzia Sir, ha affermato: «Non mi interessano le questioni di schieramento. Mi sembra che in questo momento siano altre le urgenze del paese: il lavoro e la ripresa economica, in particolare, e tanti altri problemi. La vita quotidiana reclama risposte, recitava un nostro documento del settembre 2010. Una richiesta ancora più valida oggi. Al di là degli sviluppi dell’inchiesta, non posso però non sottolineare il continuo riemergere di una questione morale in politica e di un conseguente evidente pericolo corruttivo, relativamente all’interezza della vita del paese». La presidenza nazionale dell’Ac ha pubblicato a metà febbraio un documento sul rapporto tra politica, educazione etica e moralità, ora sul sito www.azionecattolica.it

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Sollevandosi dallo sguardo inevitabilmente corto dell’attuale contingenza storica, il nuovo giubileo della nazione ci costringe a ragionare sul ruolo dell’Italia in Europa e in un mondo profondamente mutato che esprime nuove esigenze e nuove problematiche

Questo nesso, seppure qui forse troppo semplificato, è fondamentale. Metterlo bene a fuoco significa capire quale ruolo e quale funzione può svolgere la cultura per la propria comunità nazionale. Il centocinquantesimo anniversario può essere una grande occasione per rilanciare un “Risorgimento culturale” capace di produrre conoscenza, consapevolezza e maturità. Può essere l’occasione per rimettere al centro dell’agenda nazionale alcune tematiche di grande respiro intorno alle quali costruire una possibile prospettiva futura comune. In questi giorni è stato spesso ripreso dai nostri media il discorso pronunciato da John Fitzgerald Kennedy in occasione del centenario dell’unità d’Italia. Nel 1961 il presidente degli Stati Uniti citava la grandezza del pensiero e degli uomini del Risorgimento: Cavour, Mazzini, Garibaldi venivano accomunati ai grandi padri fondatori americani. Un discorso retorico, certamente. Ma anche un grande riconoscimento del contributo di civiltà portato dall’Italia al mondo occidentale. Sollevandosi dallo sguardo inevitabilmente corto dell’attuale contingenza storica, il nuovo giubileo della nazione ci costringe a ragionare sul ruolo dell’Italia in Europa e in un mondo profondamente mutato che esprime nuove esigenze e nuove problematiche. Quale potrà essere il contributo dell’Italia nello scenario internazionale? Quale la sua vocazione? Quale la sua missione di civiltà? Che il centocinquantesimo possa rappresentare un nuovo punto di partenza per la cultura nazionale è il g miglior auspicio formulabile. ■

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famiglia oggi

Un decalogo per i bambini nati prima n decalogo per tutelare i diritti dei bimbi che sono nati prima del termine della gravidanza. Quei bimbi che sono i più piccini e i più fragili di tutti e che hanno bisogno di un’assistenza adeguata nel periodo immediatamente successivo alla nascita, ma anche dopo le dimissioni dall’ospedale, per monitorare nel tempo la loro crescita e il loro benessere. Per sollecitare misure concrete in favore di questi bambini e delle loro famiglie, lo scorso dicembre è stato presentato ufficialmente in Senato, il Manifesto dei diritti del bambino prematuro, frutto dell’impegno di un team multidisciplinare composto da neonatologi, ginecologi e associazioni di genitori. L’iniziativa è stata promossa da Vivere onlus, il Coordinamento nazionale delle associazioni per la neonatologia, e realizzata con il patrocinio di Senato, Associazione parlamentare per la difesa e la tutela del diritto alla prevenzione, Save the children Italia, Società italiana di neonatologia, Società italiana di ginecologia ostetricia e con il supporto di Abbott, azienda globale impegnata nello sviluppo di nuovi farmaci. «Se si pensa che in Italia ogni anno vengono alla luce circa 40mila bambini prematuri», ha dichiarato, in occasione della presentazione del Manifesto, il senatore Antonio Tomassini, presidente della XII commissione igiene e Con il Manifesto sanità del Senato e presidente dell’Asdei diritti del bambino sociazione parlamentare per la tutela e prematuro è stato documentato in maniera la promozione del diritto alla prevenzione, «ci si rende conto dell’importanufficiale il diritto za che rivestono politiche sanitarie e di tutti i bambini nati prematuri di usufruire legislative adeguate». Quello della prematurità è un fenomeno di portata del massimo livello mondiale che riguarda 13 milioni di di cure e di attenzioni bambini ogni anno. In Europa, un necessarie. Insieme bimbo su dieci nasce prematuro e nel alla presenza nostro paese sono circa il 7% le gravidei genitori di Giorgia Cozza

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danze che si concludono prima del compimento della 37a settimana di gestazione. «Con questo Manifesto, finalmente è stato documentato in maniera ufficiale il diritto di tutti i bambini nati prematuri di usufruire nell’immediato e nel futuro del massimo livello di cure e di attenzioni necessarie», sostiene Martina Bruscagnin, presidente dell’associazione Vivere Onlus. «È necessario a questo punto dare seguito agli impegni presi per sostenere in modo continuativo tutti coloro che sono coinvolti nella lotta alla prematurità». Con la presentazione di questo documento, l’Italia si aggiudica un importante primato: è il primo paese ad aver risposto all’appello lanciato lo scorso settembre dal segretario dell’Onu Ban Ki-moon, che ha sollecitato l’impegno delle nazioni sul fronte della salute materno-infantile. Obiettivo della Carta dei diritti, che è il cuore del Manifesto, è quello di far riconoscere alle istituzioni il diritto dei nati pretermine di usufruire della miglior assistenza possibile, a livello clinico, ma anche “umano”. “Perchè il curare” sottolinea Martina Bruscagnin, «sia ogni giorno di più un “prendersi cura” del bambino ricoverato e della sua famiglia». Per questo, nel decalogo si sottolinea, ad esempio, il diritto del neonato prematuro ad avere accanto la mamma e il papà durante la degenza in ospedale e l’importanza del latte materno per la sua salute e la sua crescita. Per quanto riguarda questi aspetti, oggi in Italia la situazione è molto eterogenea. Ci sono infatti ospedali dove la mamma ha libero accesso al reparto di Terapia intensiva neonatale e può – per quanto possibile – accudire il suo piccino e avere un contatto con lui grazie alla Kangaroo mother care o marsupio terapia (così chiamata perché il bebè è posato sul petto della mamma, pelle a pelle con lei), e altri ospedali dove invece i genitori possono avvicinarsi all’incubatrice solo per un paio di ore al giorno.


famiglia oggi Una particolare attenzione viene inoltre riservata al rapporto tra la famiglia e il personale medico che ha in cura il bebè. «I genitori del neonato – si legge nella Carta – devono essere correttamente informati in modo comprensibile, esaustivo e continuativo sull’evolversi delle sue condizioni e sulle scelte terapeutiche». E poiché una nascita prematura può essere un evento traumatico per tutta la famiglia, devono poter contare su un’assistenza di tipo psicologico e sul sostegno offerto dai gruppi di auto-aiuto composti da altri genitori che hanno vissuto la stessa esperienza. La Carta si sofferma anche sulla situazione di quei piccoli che purtroppo sono venuti alla luce in un’epoca troppo precoce della gravidanza o affetti da una patologia che li priva di una speranza di vita: per

loro si sottolinea il diritto a cure compassionevoli e alla presenza dell’affetto dei propri genitori nella fase terminale. Gli ultimi tre articoli del decalogo si concentrano sul “dopo”, sottolineando l’importanza della continuità delle cure post-ricovero e dell’attuazione nel tempo di un appropriato follow-up multidisciplinare. Infine, in caso di esiti comportanti disabilità di qualsiasi genere e grado, il neonato ha diritto «a ricevere le cure riabilitative che si rendessero necessarie ed usufruire dei dovuti sostegni integrati di tipo sociale, psicologico ed economico». «I neonati prematuri presentano un maggior rischio di complicanze per la salute – conclude Martina Bruscagnin – è basilare che i genitori di questi bambini possano contare su g tutele reali ed efficaci». ■

Vivere onlus, il coordinamento nazionale di chi “ci è già passato”

UN’ESPERIENZA CHE VA CAPITA E POI SUPERATA uando si vive l’esperienza di una nascita prematura, i dubbi, gli interrogativi, le preoccupazioni, sono sempre tante. Spesso i genitori si sentono smarriti, non sanno a chi rivolgersi per trovare risposte e conforto. Un importante punto di riferimento per le famiglie di bimbi prematuri è rappresentato da Vivere onlus, Coordinamento nazionale delle associazioni per la neonatologia, a cui fanno capo 28 associazioni, dislocate su tutto il territorio nazionale. Queste associazioni, nate dall’iniziativa di genitori che hanno vissuto in prima persona l’esperienza di una nascita prematura, garantiscono ai neogenitori informazioni e suggerimenti utili e, soprattutto, offrono loro l’incoraggiamento di chi “ci è già passato” e quindi capisce veramente sentimenti e paure legate a questo evento drammatico. Visitando il sito www.vivereonlus.com, è possibile trovare i riferimenti delle varie associazioni che operano nelle città italiane. Per chi desidera saperne di più a proposito del Manifesto del neonato prematuro, il testo integrale della Carta dei diritti è on-line, scaricabile da questo link http://www.piccolipassiprematuri.it/ppp__EVENTI_NEWS.htm

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famiglia oggi

orreva l’anno 2009 quando all’incontro mondiale delle famiglie di Città del Messico, in prospettiva del passaggio del testimone a Milano 2012, si valutava e infine si stabiliva l’opportunità di lavorare su due fronti: quello civile e quello ecclesiale. Sul versante civile si è proceduto con l’elaborazione, tra le altre cose, di un’indagine sociologica da avviare in alcuni paesi a campione in relazione alla situazione della famiglia, mentre sul piano ecclesiale si è voluta inserire una “tappa di avvicinamento”, ovvero un congresso che si è svolto a Roma nei giorni 25, 26 e 27 novembre scorsi. A organizzare questa tre giorni di lavori è stato il Pontificio consiglio per la famiglia, presieduto dal cardinale Ennio Antonelli. Il lavoro di preparazione è consistito nel raccogliere oltre 180 esperienze da tutto il mondo, per poi sceglierne 19 (altre 37 saranno raccolte in un dossier) da presentare durante la convention romana. Ai lavori hanno partecipato oltre 200 delegati, provenienti da 38 nazioni diverse, di tutti e cinque i continenti. Si trattava di coppie di sposi, laici e consacrati, di sacerdoti di vescovi, riuniti per trattare il tema Famiglia soggetto di evangelizzazione. A questi lavori hanno avuto l’opportunità di partecipare Chiara ed Eugenio Guggi, famiglia della diocesi di Ferrara, da anni impegnati nella Pastorale familiare sia a livello nazionale che diocesano, nonché associativo nell’ambito dell’Azione cattolica.

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Com’è nata questa opportunità? L’ufficio famiglia della Cei da anni Chiara ed Eugenio Guggi, organizza, tra le altre cose, la Settidell’Ac di Ferrara, hanno mana di studi sulla spiritualità coniugale e familiare. Il bellissimo tema del recentemente portato 2004 fu La casa cantiere di santità. il loro contributo a un incontro internazionale Fu un bellissimo convegno, veramente molto ricco di spunti, da sviin preparazione scerare poi pastoralmente nelle varie del settimo incontro mondiale delle famiglie diocesi. Con la commissione gruppi famiglia del settore adulti dell’Azione che si terrà nel 2012 cattolica decidemmo dunque di prea Milano. Ha riscosso parare un sussidio per il lavoro dei particolare successo gruppi famiglia, e a questo affiancaun loro testo che invita genitori e figli a pregare re, per la prima volta, un nuovo sussiin ogni angolo della casa dio di brevi liturgie familiari.

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Pregare in cucina o attorno alla tv

Quest’ultimo testo è stato poi presentato a Roma, vero? Esattamente. Si trattava di brevi momenti di preghiera pensati da vivere in famiglia, in casa. Fortunatamente le esperienze di liturgie famigliari non mancano e non siamo stati certo i primi a pensare a momenti di preghiera nei quali i bambini fossero soggetti attivi e non un componente da “sopportare” più o meno benevolmente. Ma lo spunto, diciamo così, di “originalità” sta nell’aver voluto valorizzare più o meno tutte le stanze della casa come luogo di preghiera. Si può pregare intorno alla televisione, in bagno, nello sgabuzzino delle scope, oltre che naturalmente seduti al tavolo o davanti a un’immagine sacra. La traccia nasce quindi per essere un semplice strumento pensato per famiglie con bambini per valorizzare la quotidianità della casa come luogo della presenza di Dio e per aiutare le famiglie in quel grande compito di trasmissione della fede ai figli che oggi forse si è un po’ perso. Qual è stato il passaggio per arrivare a Roma? Questo sussidio è poi stato apprezzato e utilizzato dall’Azione cattolica nazionale per un convegno di qualche mese fa, e quando in Centro nazionale hanno ricevuto la richiesta da parte del Pontificio


famiglia oggi periodo altre famiglie pregano magari in una cucina in Sri Lanka, davanti a un televisore uruguayano, sull’uscio di una porta di una casa israeliana o in Angola è davvero una bella soddisfazione per noi e per la Chiesa ferrarese. Anche i mass media ci hanno dato una bella visibilità.

consiglio per la famiglia di proporre materiale inerente al tema, tra le altre cose hanno presentato questo lavoro dell’Ac ferrarese, che a quanto pare è stato ritenuto interessante.

Sopra: Chiara ed Eugenio Guggi, dell’Ac di Ferrara

Avete quindi portato una riflessione sulla vita quotidiana della famiglia... Certo, e abbiamo avuto il massimo dell’attenzione da parte di molti. Il fatto poi di aver portato un’esperienza molto semplice ma, per dirla con le parole del cardinal Antonelli, «al contempo geniale», ha fatto sì che alla prima pausa dei lavori venissimo letteralmente accerchiati e subissati di richieste per avere subito il materiale da utilizzare, innanzitutto nelle famiglie dei vari delegati, e poi da diffondere per la pastorale in altre nazioni. Sapere che in questo

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Cosa vi siete portati a casa da questa esperienza? Ci siamo portati a casa un grande senso di Chiesa universale, dato non tanto dalla presenza dei traduttori in simultanea delle lingue più diffuse (che peraltro fanno comunque una certa impressione!), ma dal grande fermento che si percepiva e dal grande desiderio di raccogliere, per far fruttare nel miglior modo possibile, quanto lo Spirito santo ha già soffiato in altre parti del mondo. E questo senza il benché minimo campanilismo né di nazionalità né tantomeno di movimenti o associazioni. È stato veramente un momento di riconoscimento del valore della diversità come ricchezza da condividere, affinché alla famiglia venga sempre più riconosciuto il suo ruolo, sia nella società civile, come cellula fondante e insostituibile, che in quella ecclesiale, come soggetto di g [g.b.] evangelizzazione. ■

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quale Chiesa

Beato il Papa amato dai giovani l vento sfoglia le pagine del Vangelo, muove le casule rosse, fa volare lo zucchetto dei celebranti; in piazza San Pietro le telecamere inquadrano le scritte “santo subito”. È l’immagine delle esequie di papa Wojtyla, pochi giorni dopo la sua morte, 2 aprile, la sera dei primi vespri della Divina Misericordia, la festa che lui stesso ha voluto introdurre nella vita della Chiesa, la prima domenica dopo Pasqua. Il 2 aprile 2005 era un sabato. Piazza San Pietro era affollata; giovani attorno all’obelisco, candele accese poggiate in terra, alcune a formare una croce, più o meno grande; altre lasciate attorno a fotografie e fogli di carta scritti dai ragazzi. Messaggi di affetto e di ringraziamento per papa Wojtyla. In uno si legge: «6 grande». Un altro scrive: «il dolore segna queste giornate, facciamo fatica a pensare al mondo senza il Papa, il nostro Papa il Papa di tutti». Ancora: «difficile è scrivere quello che sento, quello che vivo in questi giorni. Dolore, solitudine, sbandamento. Giovanni Paolo un padre, una luce nella strada della vita». Sono accese le luci dell’ultimo piano del Palazzo apostolico; sul sagrato è in corso una veglia di preghiera, guidata da monsignor Renato Boccardo, dall’allora assistente generale dell’Azione cattolica, Francesco Lambiasi. Si avvicina il sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Leonardo Sandri, oggi cardinale prefetto delle Chiese orientali, e invita a pregare per Giovanni Quel due aprile del Paolo II che è tornato alla casa del Padre. 2005 era un sabato... Un grande silenzio avvolge la piazza, via Comincia così il racconto del vaticanista della Conciliazione. Noi cronisti, impegnati nelle dirette da una postazione a del Tg1, attraverso il ricordo dei tanti volti, due livelli a ridosso della sala stampa vaticana, cogliamo subito il cambiamensoprattutto giovani, to nei volti delle persone, dei tecnici e di che erano accorsi in piazza San Pietro quel quanti sono con noi quella sera. Poi lo giorno. Il primo maggio sguardo va verso la gente che comincia Giovanni Paolo II sarà ad arrivare sempre più numerosa: è come se tutti si fossero decisi a uscire in proclamato beato di Fabio Zavattaro

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quel preciso momento per essere più vicini al Papa nei suoi ultimi momenti di vita. La folla cammina, gli occhi puntati alla finestra illuminata, lo sguardo che cerca conferma a una notizia che nessuno ha il coraggio di ammettere come vera. I passi sono lenti, difficili, quasi fosse estremamente faticoso raggiungere la piazza; è come se si respirasse un’aria che non è solo di attesa. Sul sagrato della basilica vaticana la veglia di preghiera accompagna la tristezza dei tanti che si sono ritrovati nell’abbraccio del colonnato berniniano e che fanno fatica a trattenere le lacrime. Le immagini che le telecamere hanno ripreso, e vanno in onda, mostrano giovani con le lacrime, ragazzi e ragazze che si abbracciano, foglietti con pensieri semplici, mai banali. «Ti voglio bene» è forse il più ripetuto, assieme al “grazie” coniugato in diversi modo da chi sottolineava di essere stata presa per mano e accompagnata nella vita, a chi lo chiamava papà, come quella ragazza polacca, Paula Olearnik, che in piazza San Pietro l’anno prima aveva voluto raccontare il suo desiderio di partecipare alle Giornate della gioventù, a partire da quella di Czestochowa del 1991. Ma era troppo giovane e il padre le impedì di andare. Dopo nove anni è a Tor Vergata per la giornata giubilare insieme a due milioni di giovani. La Gmg di Roma «ha tracciato il percorso della mia vita, come l’ha fatto anche per tanti di voi», dice rivolgendosi ai giovani presenti il giovedì santo in piazza San Pietro. Poi è al Papa che guarda: «Tu, Santo Padre, ci hai avvolto nel tuo mantello bianco e ci hai portato tra le tue braccia davanti a Lei, Ia Madonna Nera. Allora Lei è stata Madre e tu, Padre Santo, tu ci sei stato veramente un padre. E che Padre! E non ho mai avuto la possibilità di dirlo, ma da allora in poi ogni tua azione è stata per me una grande ispirazione». Lo chiamerà padre, ma anche papà prima di correre tra le sue braccia e piangere. Come piangono i tanti ragazzi in quella sera del due aprile; alcuni lasciano un adesivo che viene incollato su un foglio grande dove altri nomi e altre frasi parlano al Papa.


quale Chiesa In alto: il volto sorridente di Giovanni Paolo II

Nell’adesivo si legge «i parted with the Pope», sono stato a una festa con il Papa. È del 1993, ed è uno degli adesivi che sono stati preparati per la giornata mondiale di Denver in Colorado. Mi tornano alla mente le parole dei ragazzi dell’Azione cattolica italiana che a settembre del 2004 nella piana di Montorso a Loreto hanno salutato Giovanni Paolo Il in quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio, l’ultimo saluto ai suoi giovani. Nell’andare via aveva dato loro appuntamento alla Giornata mondiale di Colonia che si sarebbe svolta l’anno successivo, nel 2005. Tutti i ragazzi avevano però sottolineato una cosa: «non ha detto: vi aspetto a Colonia»; «non ha aggiunto che sarà con noi in Germania, e questo ci rende tristi. Forse davvero lui non ci sarà». Infatti non sarà a Colonia, Papa Wojtyla. Ma è comunque nel cuore dei ragazzi, dei giovani che hanno partecipato a quel primo appuntamento di Benedetto XVI. La giornata di Loreto, nella piana di Montorso, è l’ultimo viaggio che Giovanni Paolo II compie nei suoi quasi ventisette anni di pontificato. Pochi giorni prima si era recato a Lourdes, malato tra i malati; una visita che ha mostrato la forza di un Papa che non ha voluto arrendersi alla malattia, e si è affidato totalmente alla “bianca signora”. Il viaggio a Loreto per l’Azione cattolica è stata una

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sua volontà, comunicata in un pranzo con il presidente e l’assistente generale dell’associazione, Paola Bignardi e Francesco Lambiasi. L’incontro non è stato solo momento di festa con i ragazzi che hanno affollato la piana, ma anche occasione per offrire tre nuovi beati: Pina Suriano, Alberto Marvelli e Pietro Tarrés. Attraverso loro, afferma il Papa, il Signore vi dice che «il dono più grande che potete fare alla Chiesa e al mondo è la santità». Ciò che sta a cuore alla Chiesa è ciò che sta a cuore all’Azione cattolica, afferma Giovanni Paolo, e cioè «che molti uomini e donne del nostro tempo siano conquistati dal fascino di Cristo; che il suo Vangelo torni a brillare come luce di speranza per i poveri, i malati, gli affamati di giustizia; che le comunità cristiane siano sempre più vive, aperte, attraenti; che le nostre città siano ospitali e vivibili per tutti; che l’umanità possa seguire le vie della pace e della fraternità». Chiede ancora di testimoniare la fede con le virtù che sono proprie ai laici di Ac: «la fedeltà e la tenerezza in famiglia, la competenza nel lavoro, la tenacia nel servire il bene comune, la solidarietà nelle relazioni sociali, la creatività nell’intraprendere opere utili all’evangelizzazione e alla promozione umana». Un incontro che il Papa conclude così: «coraggio, Azione Cattolica! Il Signore guidi il tuo cammino di g rinnovamento». ■

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quale Chiesa

Un colpo d’ala per i cattolici

di Domenico Sorrentino*

a notizia della beatificazione di Giuseppe Toniolo era attesa da tempo. Già dal 14 giugno 1971 Paolo VI lo aveva dichiarato “venerabile” con il decreto sull’eroicità delle virtù. A lungo si è pregato per ottenere dal Signore un miracolo attraverso la sua intercessione: e questo è arrivato, con la prodigiosa guarigione di un giovane di Pieve di Soligo, Francesco Bortolini. Ora attendiamo le determinazioni della Santa Sede, ma la strada alla beatificazione è spianata. Essa farà risplendere la santità di questa figura di spicco della cristianità, grande educatore delGiuseppe Toniolo, una delle l’impegno sociale dei cattolici italiani. L’Azione cattolica e l’Unifigure di riferimento versità Cattolica, enti promotori dell’Azione cattolica, sarà della causa di beatificazione, presto proclamato beato. esultano, con le diocesi di Pisa, Uomo di fede profonda, sposo e padre di sette figli, dove il prossimo Beato a lungo fece degli studi economici e visse, e di Vittorio Veneto, che ne dell’impegno per una nuova conserva le spoglie mortali. Ma tutta la Chiesa italiana vive un politica la sua vocazione. grande momento di gioia. Una figura e un pensiero che hanno ancora molto da Chi è Toniolo? Per decenni fu una insegnare all’Italia di oggi “bandiera”. Oggi, per le nuove generazioni, occorre partire dalle informazioni minime, ricordando che visse tra il 1845 e il 1918, nell’epoca in cui l’Italia realizzava la sua unità politica, con tensioni che misero a dura prova il rapporto tra Chiesa e Stato. Fu un economista santo. La sua santità non corse parallela all’economia, ma la “agganciò” e la illuminò dal di dentro. I grandi problemi con i quali egli si confrontò hanno oggi nuovi nomi e nuovi volti. Ma alcune problematiche di fondo sono analoghe e consentono un dialogo illuminante con il suo pensiero. Un confronto provvidenziale, in un momento in cui la crisi dell’economia e della politica sono sotto gli occhi di tutti. Toniolo guardò all’economia e alla società con lo sguardo della fede, e, insieme, dalla prospettiva dei

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poveri e degli ultimi. Fu l’apostolo della Rerum Novarum, il testimone di un cristianesimo che sa passare dalla liturgia alla vita, facendo della preghiera un principio di costruzione della città terrena. Un cristianesimo che non si appaga dell’elemosina, ma va alle radici dell’ingiustizia sociale, per farsi carità “politica”. Fu questo la “democrazia cristiana” che Toniolo teorizzò, come progetto sociale, prima che politico-partitico, delineato nel confronto serrato con le istanze del socialismo allora emergente. Fu il teorico e il “pratico” di una economia pienamente sposata all’etica. La sua prima lezione universitaria – siamo nel 1873 – porta il titolo: L’elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche. A rileggerla sullo sfondo della crisi economica che attanaglia il mondo odierno ne sentiamo tutta l’attualità. Toniolo affrontò la questione sociale cominciando dalla sfida del “senso”, convinto com’era che la dimensione culturale, e soprattutto quella spirituale, non siano sovrastrutture, espressioni residuali e marginali, ma l’anima di una visione sociologica che non voglia arrendersi al dato di fatto, alla “normalità” statistica, e punti invece a offrire una “norma” ideale. Si fece così trascinatore della cattolicità italiana, all’insegna di un progetto che era insieme culturale e spirituale, sociologico ed economico. Interessante è la posizione che egli assunse nei confronti della politica italiana, in un momento in cui il non expedit vietava la partecipazione attiva dei cattolici alla vita politica, generando tensioni che si esprimevano nella polarizzazione fra transigenti e intransigenti. Toniolo era portato, da un lato, a far sua la posizione degli intransigenti, nel solco di un’obbedienza a tutta prova alla gerarchia; dall’altro, una certa vena patriottica respirata in famiglia lo spingeva a sentire almeno la legittimità di un’istanza collaborativa come quella coltivata dalla cultura dei cattolici transigenti. Nel dilemma, egli elaborò, in


quale Chiesa certo senso, una terza via, che da una parte salvasse l’obbedienza ecclesiale nell’ottica della linea intransigente, dall’altra ne sviluppasse le potenzialità nella direzione di un programma sociale centrato su una corretta impostazione del rapporto tra Stato e società. Ripartire dalla società civile fu la chiave del

suo progetto. Se i transigenti esprimevano una spiritualità di collaborazione, che rischiava di renderli funzionali, in nome del patriottismo, a un assetto liberal-conservatore dalla società, i cattolici intransigenti incarnavano una spiritualità della reazione e della conservazione, che rischiava di tagliare fuori i cattolici dalla società. Tra gli uni e gli altri, Toniolo elaborò un programma che preparava la politica del domani, sviluppandone le premesse etico-sociali, in una grande visione organica del rapporto Statosocietà, secondo l’orientamento della dottrina sociale che dà spazio ai gruppi intermedi e si muove nell’ottica del principio di sussidiarietà, a vantaggio delle classi sociali più deboli. La sua beatificazione ne metterà in luce soprattutto la spiritualità. Appariranno edificanti e commoventi le pagine del suo diario che lo mostrano in un’intensa preghiera quotidiana, ricca di venature mistiche. Sarà bello anche riscoprirlo come modello di una spiritualità familiare, dato che fu laico a tutto tondo anche come sposo e padre, con una famiglia ricca di sette figli. Ma alla stessa visione dell’economia e della società da lui elaborata si dovrà tornare con rinnovato interesse. Alcuni elementi risulteranno datati. Ma le linee portanti del suo pensiero resistono. Almeno i cattolici abbiano il coraggio di confrontarsi con lui in un momento in cui alla politica g nulla è più necessario di un “colpo d’ala”. ■ *vescovo di Assisi, postulatore della causa di beatificazione

I LIBRI DELL’AVE SU GIUSEPPE TONIOLO u Giuseppe Toniolo la casa editrice Ave ha pubblicato diversi libri, alcuni dei quali esauriti. Sulla sua figura storica, in particolare, segnaliamo disponibili Giuseppe Toniolo. Cercate prima il regno di Dio di Domenico Amato, L’economista di Dio di Domenico Sorrentino e infine Diritto internazionale per una pace possibile con il contributo di diversi autori.

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In alto: Giuseppe Toniolo (a sinistra) in compagnia di Giorgio Montini, in una foto del 1909

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quale Chiesa di Chiara Finocchietti

Vamos a Madrid! L’

estate si avvicina a grandi passi, e quest’anno porta con sé anche un appuntamento importante: quello della Giornata mondiale della gioventù, che si terrà a Madrid dal 16 al 21 agosto. È ora di scaldare i cuori e la mente in preparazione a questo grande evento. Gli ingredienti fondamentali ormai fanno parte della tradizione: nei giorni immediatamente precedenti la Gmg, dall’11 al 15 agosto, i pellegrini saranno ospitati nelle diverse diocesi spagnole, vivendo un’occasione di incontro e amicizia con le comunità ospitanti. Dal 16 tutti a Madrid per iniziare la “giornata” vera e propria, fatta di catechesi al mattino, momenti di festa al pomeriggio, la via crucis del venerdì, e infine il momento culmine della Gmg, la veglia del sabato sera e la messa della domenica mattina con il Santo Padre. Questi ovviamente sono gli elementi fondamentali. Ma molti altri ingredienti “insaporiranno” e renderanno speciali le giornate spagnole. Il comitato preparatorio sta lavorando a molte iniziative e anche per noi italiani ci saranno dei momenti da condividere durante i festival della gioventù. Insomma, le sorprese non mancheranno.

Si svolgerà nella capitale spagnola, dal 16 al 21 agosto, la Giornata mondiale della gioventù. La vicepresidente di Ac per il settore Giovani spiega come è possibile prepararsi allo storico incontro 46

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La Gmg in 5 parole. Come sempre, la Gmg sarà un evento speciale, coinvolgente, che lascerà un segno profondo nei partecipanti e darà anche l’idea di una Chiesa giovane, vivace. Proviamo a riassumere questa Gmg in 5 parole fondamentali. Chiesa: le Gmg rappresentano

un’occasione straordinaria di incontrare giovani provenienti dalle chiese di tutto il mondo e fare esperienza della universalità della Chiesa. È una grande emozione scoprire che anche nei paesi più lontani dal nostro ci sono giovani che, pur nella diversità di cultura e di lingua, fanno un cammino di fede e di crescita proprio come noi. Di questa grande famiglia ovviamente fa parte anche l’Ac: a Madrid sarà possibile incontrare anche i giovani dell’Azione cattolica dei tanti paesi del mondo dove è presente. Pellegrinaggio: zaino in spalla, sacco a pelo e scarpe comode... la strada da fare è sempre tanta durante le giornate mondiali. Ma oltre a essere un viaggio “materiale”, quello della Gmg è un pellegrinaggio interiore, una tappa del nostro itinerario spirituale di formazione, fatto di silenzio, di ascolto, di meditazione, e anche di tanti compagni di strada che ci guidano e ci accompagnano nel cammino. Testimonianza: partire da tutti gli angoli del mondo e arrivare in un unico luogo, dove pregare insieme, condividere il cammino, vivere occasioni di incontro e di festa è un modo di testimoniare la nostra fede. Con la nostra presenza diciamo a tutti, innanzitutto ai nostri coetanei, che è bello credere, e che è possibile assaporare la bellezza della fede soprattutto camminando insieme agli altri, durante la Gmg come durante il percorso che viviamo tutto l’anno nelle nostre parrocchie. Giovinezza: la Gmg è esperienza di Chiesa “giovane”, non solo perché vi partecipano i giovani, ma anche perché testimonia l’attualità del messaggio di


quale Chiesa Presencia del Sector de Jóvenes de Acción Católica General en las diócesis españolas

1. Alcalá de Henares 2. Ávila 3. Bilbao 4. Burgos 5. Calahorra y La Calzada-Logroño 6. Cartagena 7. Getafe 8. Huesca 9. León 10. Madrid 11. Málaga 12. Mérida-Badajoz 13. Orihuela-Alicante 14. Ourense 15. Oviedo 16. Santander

Gesù, un messaggio di speranza che può parlare al cuore di tutti. Comunione: stringere legami di amicizia e di fraternità con i giovani delle diocesi spagnole e delle altre diocesi del mondo, rinsaldare quelli con i nostri compagni di viaggio con cui siamo partiti dall’Italia, conoscere le famiglie che ci ospitano e i tanti volontari, sacerdoti, laici che ci accompagnano durante le giornate mondiali… sono modi concreti di fare esperienza della comunione che ci lega nella Chiesa, anche con persone che normalmente vivono a tanti chilometri di distanza da noi.

Benedetto XVI presiede la messa delle Palme dove è avvenuto il passaggio della Croce della Gmg tra i ragazzi di Sydney e quelli di Madrid. Nel riquadro, la mappa dell’impegno dei giovani di Ac spagnoli nel loro paese

Come prepararci? I modi sono tanti: la prima indicazione è quella di prepararsi innanzitutto spiritualmente all’incontro di Madrid. Per questo si può utilizzare, da soli o con il proprio gruppo, a livello parrocchiale e diocesano, Insieme pellegrini sulla strada verso Madrid 2011. Itinerario spirituale in compagnia di giovani santi di Ac. Si tratta di un itinerario in tredici tappe da Pentecoste 2010 alla Gmg nell’agosto 2011: per ogni mese viene riportato un verso della preghiera scritta per la preparazione a Madrid, insieme a uno dei vangeli liturgici festivi del periodo, su cui si offre una breve meditazione. Alla Parola è abbinata la testimonianza di un giovane santo o beato di Azione cattolica: una breve biografia, le sue parole, e le parole che il Santo Padre gli ha dedicato.

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Siamo già alla nona tappa dell’itinerario, dove abbiamo incontrato giovani come Pier Giorgio Frassati, Ivan Merz, Lojze Grozde, Maria Gabriella Sagheddu, Marcel Callo, Antonietta Mesina e ancora altri compagni di strada verso Madrid ci aspettano. È possibile trovare tutte le tappe sulla pagina del settore giovani sul portale dell’Ac, e sulla pagina del coordinamento giovani nel sito 17. Santiago de Compostela 18. Segorbe-Castellón del Forum internazionale di 19. Sevilla 20. Tenerife Azione cattolica. 21. Tortosa 22. Valencia 23. Vitoria Camminiamo verso Madrid 24. Zaragoza anche insieme ai santi patroni della Gmg (http://www.madrid11.com/it/in-cammino/santi-epatroni) ai quali si è aggiunto Giovanni Paolo II (http://www.madrid11.com/it/notizie/1-n/448juan-pablo-ii-patrono). Molte diocesi italiane sanno già in quale diocesi saranno ospitate: è possibile verificare se in quella diocesi sono presenti i giovani di Ac della Spagna grazie a una mappa che trovate sempre sulle stesse pagine dell’Ac e del Fiac, e qui ripubblicata. Sarebbe un bel modo di stringere un gemellaggio con l’Ac “sorella” della Spagna e magari con altre Ac. Per tutte le altre informazioni, è possibile consultare anche il sito italiano ufficiale della Gmg: www.gmg2011.it. Qui è possibile trovare anche tutte le indicazioni su Seguimi, il sussidio di preghiera per l’anno liturgico 2010-2011 in preparazione alla Gmg realizzato dal Servizio nazionale di pastorale giovanile. Durante la Gmg probabilmente ci sarà anche un’occasione di incontro per tutti i giovani di Ac delle diverse nazioni, o almeno per una piccola delegazione proveniente dai vari paesi, che riuscirà a raggiungere il luogo che ci verrà assegnato dagli organizzag tori. Su questo vi terremo aggiornati. ■

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senza confini

L’energia a quattromila metri uardare lontano «è una necessità. Soprattutto in un paese in cui le continue emergenze ti portano a vivere alla giornata e rispondere solo ai bisogni contingenti»: nelle parole di padre Serafino Chiesa, missionario salesiano, da 26 anni in Bolivia, troviamo il senso di un progetto per la costruzione di una linea elettrica di 27 km sulle Ande, nel villaggio di Kami. Grazie alla lungimiranza di padre Serafino, all’impegno dell’ong Coopi e all’incontro con la società italiana Terna, è nata l’idea di produrre energia ricostruendo una vecchia centrale idroelettrica alimentata da un fiume a 4mila metri d’altitudine, per poi esportarla anche all’esterno. Padre Serafino ha avuto l’intuizione, un geologo di Coopi ha dimostrato che il progetto era concretizzabile e così ha scritto a un esperto del gruppo Terna. L’azienda ha fornito materiali in dismissione e poi messo in campo propri tecnici che sono andati in Bolivia per progettare e costruire, insieme agli abitanti di Kami, la nuova linea elettrica. «Gli operatori di Terna hanno realizzato quattro missioni di 20 giorni ciascuna» racconta a Segno padre Serafino. Dopo tanti anni Si chiama Kami. È un villaggio in Bolivia, al suo italiano non mancano contaminasituato sulle Ande, in Bolivia. zioni di spagnolo. «Hanno Qui un padre missionario insegnato ai nostri operatosalesiano ha avuto la geniale ri come realizzare la linea e idea di costruire una linea elettrica. Per il beneficio di tutti li hanno resi capaci di pordi Ada Serra

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tare a termine da soli il lavoro, che speriamo si concluda entro ottobre» aggiunge. Com’è stato per italiani e boliviani lavorare fianco a fianco? – chiediamo. «Si sono capiti al volo. Certo, il lavoro a 4mila metri di altezza è stressante: manca il fiato e basta il minimo sforzo per iniziare a boccheggiare e sentire la necessità di fermarsi a riposare. Per questo – continua il missionario – è stato impressionante vedere gli istruttori di Terna tener testa ai nostri boliviani più giovani e acclimatati alla quota». L’impresa della linea elettrica a Kami è diventata un libro fotografico, Kami, la missione dell’energia, appena pubblicato da Silvana editoriale. Un progetto nel progetto, a cui ha lavorato un giovane fotografo, Daniele Tamagni, insieme a Florinda Martucciello e Irene Salvadorini, studentesse di un master di scrittura creativa dell’università Luiss. I tre sono andati a Kami, hanno catturato la vita della piccola comunità andina e l’hanno rappresentata l’uno con scatti molto intensi, le altre tramite una sorta di diario di viaggio che accompagna le foto e trasmette lo spirito della popolazione. Immagini e parole raccontano di minatori e di giovani laureati che tornano nei villaggi per insegnare nelle scuole, di foglie di coca masticate per non sentire la fatica e di coloratissime feste tradizionali, di volontari, tecnici e missionari che a Kami si sentono a casa e di kamegni che grazie agli amici italiani trovano la determinazione per portare avanti un obiettivo difficile. Il vostro poteva apparire un progetto utopistico – osserviamo con padre Serafino. «Occorre far affezionare la gente di qui al progetto perché lavori per uno sviluppo sostenibile che superi le prospettive individuali: hanno bisogno di credere che ci sono possibilità anche per zone rurali quasi abbandonate». Che senso ha ambire alla sostenibilità in un territorio


senza confini Nella foto: la missione nel piccolo villaggio di Kami

in cui si fa fatica anche a parlare di sviluppo? – incalza Segno. «In Bolivia si sta creando una mentalità assistenziale, basata su progetti promossi da altri paesi o dallo Stato. Invece, penso non si possa parlare di sviluppo se non si parte dalle possibilità reali del paese, ponendosi come obiettivo la solvenza economica. Ciò, anche a rischio di fare concorrenza ai prodotti europei» aggiunge. Quali sono le difficoltà maggiori? «Sicuramente, la formazione degli operatori: chi studia poi va a lavorare in città. Per questo, ci ritroviamo a dover formare gente sempre nuova». Dopo la corrente elettrica – domandiamo – quali sono le esigenze primarie per Kami e quindi i vostri progetti?. «Con la vendita dell’energia speriamo di finanziare lo sviluppo complessivo del territorio: dal campo sanitario a quello agricolo, dall’ambiente ai trasporti, dall’alimentazione alla scuola. Potremo anche investire sulla formazione dei ragazzi e inse-

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gnare loro un mestiere: abbiamo laboratori di meccanica, falegnameria, elettricità, agroindustria. Allora, non si tratterà più solo di risorse che vengono dall’esterno ma saranno frutto del nostro lavoro e di una solidarietà intelligente». Padre Serafino è prete ma, come molti missionari, negli anni si è trovato a fare l’insegnante, il medico, lo speaker alla radio. «Io mi sento parte di una comunità – ci spiega – e come salesiano porto avanti tutte le attività che caratterizzano la nostra presenza nelle oltre cento comunità della parrocchia». Cento? – chiediamo stupiti. «Quando mi domandano quante anime ha la nostra parrocchia, rispondo che ha un numero di corpi uguale alle esigenze di ognuno. Essere prete significa prendere sul serio l’impegno della Chiesa a servizio dell’uomo che soffre e ha bisogno di sostegno nella lotta contro ignoranza, sfruttag mento, malattie e tutti i mali materiali e morali». ■

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faccia a faccia

La storia dell’uomo nel piccolo schermo intervista con Alberto Angela

informazione il volto notissimo della tv è riuscito a conquistare uno spazio importante nel panorama della divulgazione. Ma da dove arriva questa pardi Alessandra Gaetani ticolare capacità di scrutare il mondo e poi raccontarlo, che rende i suoi libri e i suoi programmi così fruibili? «Io sono molto curioso. Andare alla scoperta del passato è come aprire un baule in soffitta. Si vedono vestiti, foto, lettere. Riesci a capire Dai pigmei ai romani, per finire ai boscimani. Raccontare l’uomo e il mondo in cui ha vissuto attraverso la tv. Ci prova da qualche anno, quali sono le tue origini, il tuo modo di vivere. E non con indiscusso successo, un ricercatore ma con doti da speaker c’è niente di più importanmaturo, che riesce ad appassionare migliaia di spettatori ai misteri te per un uomo, e per una della storia e ai segreti della scienza. Perché «ho sempre cercato di parlare dell’uomo, nel presente e nel passato. E anche nello spazio. donna, che inquadrare la Nel senso di andare a vedere come si vive in altri paesi per capire, propria vita, capire da dove per dare anche un senso alla propria vita. Esiste gente poverissima, si viene, e perché si agisce che guadagna un dollaro al giorno, che fa il suo durissimo lavoro con in un certo modo. Lo grande dignità. Ci sono dei valori che impariamo guardando gli altri» sguardo nel passato è una

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n documentario oppure un programma che parla di storia, scienza, animali, interessa – si potrebbe pensare – gli addetti ai lavori, oppure un pubblico selezionato. E invece non è così per Alberto Angela. I suoi programma televisivi e i suoi libri sono tra i più seguiti da anni. Grazie al suo stile di fare

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faccia a faccia rissima, che guadagna un dollaro al giorno, che fa il suo durissimo lavoro con grande dignità. Ci sono dei valori che impariamo guardando gli altri. La squadra con suo padre Piero, uno dei giornalisti più conosciuti della televisione nazionale, funziona. Cosa ha imparato da lui, e come è il clima in famiglia? Abbiamo percorso strade diverse, ci siamo incontrati tardi: io come ricercatore, lui come giornalista. Ho fatto per dieci anni ricerca, scrivendo anche articoli. Ho fatto scavi in Etiopia, Tanzania, Zaire, cercando le origini dell’uomo, impegnato in ricerche internazionali. La mia formazione è quella di un ricercatore. Per caso ho iniziato a far televisione come ospite nella tv svizzera in programmi sui filmati, sui documentari realizzati nei luoghi in cui facevamo ricerca. Hanno pensato di realizzare un programma, chiamato Albatros. Andò molto bene, e fu acquistato dall’allora Telemontecarlo. Poi con mio padre abbiamo scritto insieme un libro sulle origini dell’uomo. Quindi ci siamo detti che potevamo continuare.

delle cose migliori per camminare con serenità incontro al futuro». La cultura è per tutti oggi? La cultura deve essere per tutti. Bisogna trovare i modi per farla arrivare. È importante che tutti ne possano usufruire. In questo senso la divulgazione è un anello fondamentale che unisce il mondo della ricerca alla gente che fa mille mestieri diversi.

Nella foto: Alberto Angela

Nelle sue trasmissioni lei parla di storia, scienza, vita moderna e antichità. Cosa preferisce? Tutto. Sono naturalista come formazione, abituato a vedere il mondo sotto varie sfaccettature. Ho sempre cercato di parlare dell’uomo, nel presente e nel passato. E anche nello spazio. Nel senso di andare a vedere come si vive in altri paesi per capire, per dare anche un senso alla propria vita. Esiste gente pove-

Durante i suoi viaggi quale popolazione l’ha incuriosita di più? Quella dei Boscimani, i cacciatori-raccoglitori che vivono nell’Africa meridionale come i nostri antenati in piena preistoria. Li abbiamo filmati mentre facevano il fuoco. Poi il regista ha chiesto di rifarlo filmando da un’altra angolazione. Loro hanno chiesto “ma perché continuate a filmarci mentre facciamo il fuoco? Voi non lo sapete fare?”. Inoltre i Pigmei, con il loro spirito originale, popolazioni che stanno scomparendo. Prendendo un aereo si possono fare tanti viaggi nel tempo, andare in paesi in cui si vive come

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Lei ha tre figli. Cosa dice loro riguardo lo studio? Tutti siamo stati ragazzi, per cui bisogna tenere a mente di cosa stiamo parlando. Un genitore non deve mai dire al figlio cosa deve fare. Deve cercare di consigliare quello che è meglio non fare. Io cerco sempre di stimolarli con la curiosità, andando oltre, guardando le spigolature, cioè le curiosità in ogni settore, dalla storia alla scienza, fino al vivere quotidiano. Avere sempre un occhio distaccato, e guardare, osservare bene.

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faccia a faccia

nel medioevo. Mi trovo in un paese e dico: “vivono come mi hanno raccontato i miei nonni”.Cerco sempre di imparare quando vado in giro. C’è sempre molta saggezza nel prossimo, nelle popolazioni che incontri. Una volta in Tanzania un cacciatore mi voleva spiegare a cosa servissero le frecce. Io cercavo di scoprire la sua vita, ma non parlavamo la stessa lingua, andavamo a gesti. Poi mi sono accorto che era lui che studiava me. Cercava di sapere chi fossi, da dove venivo, come mai ero vestito in modo così strano.

Sopra: Alberto Angela con il padre Piero. Più in alto la Sfinge e le piramidi dell’altopiano di Giza in Egitto

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Tra le popolazioni del passato qual è quella che ha suscitato più curiosità? I romani. Il loro stile di vita e il nostro sono gli unici ad assomigliarsi così tanto nella storia. Soprattutto a livello di problemi, di stili di vita quotidiana, di scelte. Se entriamo a Pompei ci troviamo a nostro agio. Se invece entriamo in una casa maya, oppure in Cambogia sentiamo che c’è una distanza. È interessante vedere come l’origine del nostro modo di pensare, di costruire case, di vestirci, della buona cucina, e altro ancora, non è nostro, ma romano. Ho scritto i miei

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libri, Una giornata nell’antica Roma e Impero, (Mondadori Rai-Eri), per fornire un’immagine, una fotografia, un documentario su come era la vita. Mi sono accorto, durante i viaggi e le riprese, che ci sono tanti spunti e curiosità che non vengono mai raccontate. Nelle pubblicazioni accademiche si parla di dettagli legati alla ricerca, alle scoperte, ma manca quel profumo di vita quotidiana. Nei siti romani sparsi in Africa, Europa e Asia, scopri che ci sono elementi che puoi collegare. Da dove viene un certo marmo, il fatto che un certo modo di costruire le case lo avevi visto in un altro luogo. Alla fine riesci ad avere una coralità, una specie di eco, una sinfonia. E capisci come era l’epoca romana. Ho dato la mia versione nel volume Impero, è stato molto più difficile di Una giornata nell’antica Roma. Non si trattava di spiegare una città, ma un impero, con luoghi e agenti diversi, ma uniti da uno stesso modo di vivere. E questo è straordinario in un’epoca in cui non esistevano computer e altro. Quale è stata la difficoltà maggiore nello stendere i due volumi? Tutti sanno come era Roma attraverso i film, o perché ci sono stati. Quindi mi muovevo con qualcosa di familiare per la gente. Nel caso di Impero no. Pochi sanno come potessero presentarsi le miniere in Spagna, il porto di Cartagine o di Alessandria d’Egitto. Quindi ho cambiato lo stile. Questi due libri hanno


faccia a faccia un obiettivo: unire due generi, parlare con contenuti da libro di archeologia, di storia, ma con uno stile da romanzo. In questo si riesce a fare vera divulgazione. Ho cercato di trasportare il lettore con uno stile molto scorrevole, gradevole di facile lettura, come un romanzo, un film. Però quello che viene descritto, dal colore di una parete, al tipo di orecchino, è tutto rigidamente, scientificamente vero. Ogni capitolo è stato ricontrollato da un esperto diverso. Inoltre per Impero c’è stata la supervisione generale del professor Romolo Augusto Staccioli.

Nella società dell’antica Roma chi subiva un torto andava dal giudice. Esistevano delle regole, e si rispettavano. Questo fa sì che la società vada avanti. Quando tutti i valori non sono stati più vivi come una volta, quella società è entrata in crisi

Sopra: la copertina dell’ultimo libro di Alberto Angela

Qual è l’aspetto che ormai non ci appartiene più di quella vita? Questo mondo ci somigliava perché era in corso la prima grande globalizzazione con una sola moneta, un solo corpo di leggi, una sola lingua, due con il greco, che parlavano gli uomini di potere e chi viaggiava. Tutti sapevano leggere, scrivere e far di conto, l’analfabetismo era molto basso. I graffiti nelle bettole di Pompei sono di soldati, schiavi, donne e uomini. L’impero romano è stata la prima grande società moderna dell’antichità, con dei risvolti tipici dell’antichità. E cioè la pedofilia, le condanne a morte, intese addirittura come spettacolo, ma non per cattiveria, con cinismo, erano una specie di monito: “ecco che cosa accade a chi non rispetta le regole, o la legge”. Colpiscono gli aspetti negativi, le pulizie etniche, i massacri. I romani usavano le legioni come se

IDENTIKIT

TRA ULISSE E SUPERQUARK lberto Angela è nato a Parigi nel 1962, è sposato e ha tre figli. È paleontologo, naturalista, divulgatore scientifico, scrittore e giornalista pubblicista. Dopo un’intensa attività di scavi e ricerche si è dedicato alla divulgazione scientifica con programmi televisivi come Superquark, Passaggio a Nord Ovest, Ulisse, il piacere della scoperta.. Tra le pubblicazioni Musei (e mostre) a misura d’uomo. La straordinaria storia dell’uomo con il padre Piero Angela, La straordinaria storia di una vita che nasce, Squali e viaggio nel cosmo,, tutti per Mondadori. Inoltre Una giornata nell’antica Roma e Impero,, (Mondadori Rai-Eri) ora in vetta alle classifiche.

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fossero delle atomiche, quando era davvero necessario, ma una volta che le sganciavano era un ground zero. Però questo faceva parte del mondo di allora. I Celti tagliavano le teste ai vinti. Nei mercati degli Aztechi si vendevano schiavi per sacrifici umani. Come sono riusciti i romani a creare un impero così grande unendo luoghi e popolazioni tanto diverse? Mettendo in moto un sistema di vita basato sul benessere. Un romano non andava al fiume a prendere l’acqua: aveva le fontane in strada se era povero, il ricco aveva l’acqua in casa. Poi c’è la garanzia di un vivere sociale gradevole: spettacoli, banchetti, amicizie. Sono riusciti a rompere con il mondo più arcaico, hanno costruito una società che consentiva all’uomo di esprimersi al meglio. Degli archeologi hanno trovato una città nel deserto dell’Algeria, e non capivano perché era lì, possiamo paragonarla a una specie di Las Vegas. I posti nel teatro erano troppi. Quindi hanno capito che questa città era stata costruita per conquistare le popolazioni dell’area, non con le armi, ma con il consumismo, con una vetrina sullo stile di vita romano. Le donne erano eleganti, c’era il gossip, i mercati con ogni tipo di prodotto. I romani hanno cooptato, hanno intercettato queste popolazioni immettendole nello stile di vita romano, senza doverle combattere. Come se un indios oggi venisse preso e portato a New York: spaccherebbe le vetrine con l’ascia, oppure vorrebbe vivere vestendosi, lavandosi, mangiando ogni giorno? I romani hanno costruito una società che veniva incontro alle esigenze dell’uomo. Permetteva di non dover più pensare alla sussistenza. Inoltre Roma lasciava le vie aperte a tutti. L’ultima pedina poteva diventare anche imperatore, non esistevano impedimenti legati all’appartenenza a una tribù, una casta. Esisteva tolleranza religiosa. Settimio Severo veniva dalla Libia, aveva la pelle scura, una specie di Obama dell’epoca, ma è diventato imperatore. Era vietato portare armi. Chi subiva un torto andava dal giudice. Esistevano delle regole, e si rispettavano. Questo fa sì che la società vada avanti. Quando tutti i valori non sono stati più vivi come una volta, quella g società è entrata in crisi. ■

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I vizi, i soldi... le profezie rroganza, maleducazione, consumismo, corruzione, scarso rispetto della natura, infantilismo, carrierismo, intolleranza... E chi più ne ha, più ne metta! I vizi sono un male diffuso; ciascuno ne ha. Ugo Sartorio, francescano conventuale, conosciuto giornalista e uomo di cultura, ha dedicato ben due libri al tema. Nel 2009 aveva dato alle stampe Scacco matto ai vizi, curando un lavoro a più firme (fra cui Gianfranco Ravasi, Enzo Bianchi, Antonietta di Martino, Carlo Petrini, Willi Pasini, Umberto Folena); è poi tornato a ragionarci nel 2010 con Nuovi vizi. Italiani allo specchio, sempre per le Edizioni Messaggero Padova. Un testo che parla dei vizi “di ultima generazione”, ne mette in luce aspetti e sfaccettature, aiuta a una riflessione che accresca la consapevolezza individuale e sociale, anche alla luce della fede. Magari per individuare antidoti efficaci. Al giornalista Luca Reteuna si deve invece Soldi puliti. Viaggio nell’economia a misura d’uomo (Effatà editrice, 2010), che affronta – in modo chiaro e scorrevole – nodi più che mai d’attualità: soldi, etica, sviluppo, povertà, lavoro, finanza. Luigi Borriello, carmelitano scalzo, docente e teologo, è l’autore di Il cielo che è in te, opera dedicata alla figura e soprattutto al contenuto teologico che emerge dagli scritti di Elisabetta della Trinità, beatificata nel 1984 da Giovanni Paolo II (edizioni Ancora, 2010). Anselmo Palini sta dedicando ampie energie alla studio della figura di Mazzolari e alla divulgazione della parola, dell’insegnamento, della “profezia”, ecclesiale e civile, di don Primo. Dopo un volume di complessiva ricostruzione

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biografica (Primo Mazzolari. Un uomo libero, Ave 2009), ora Palini si concentra sul rapporto tra il bresciano Giovanni Battista Montini e il sacerdote della bassa lombarda (Sui sentieri della profezia. I rapporti fra Giovanni Battista Montini-Paolo VI e Primo Mazzolari, Edizioni Messaggero Padova, 2010). «La vicenda biografica di Giovan Battista Montini e di Primo Mazzolari si è più volte intrecciata: hanno infatti abitato in paesi fra loro vicini, hanno avuto amici comuni e si sono ritrovati entrambi a frequentare, per determinati periodi, gli stessi ambienti Alcuni suggerimenti e le medesime realtà per buone letture, fra ecclesiali. La loro cono- vita moderna e spunti scenza iniziale – si legge per comprendere e nel libro – risale alla metà vivere la fede oggi degli anni Venti del Novecento e da allora i rapporti tra i due non si sono mai interrotti, anche se condizionati dai diversi cammini seguiti in ambito ecclesiale, dalla diversa sensibilità e soprattutto dai diversi ruoli ricoperti». Mazzolari e Montini «si sono trovati, a un certo punto della loro vita, agli estremi della scala gerarchica della Chiesa: uno parroco di un piccolo paese della bassa padana, l’altro arcivescovo della diocesi più grande del mondo. Entrambi sono stati animati da un grande amore per la Chiesa, un amore espresso in forme sicuramente differenti, ma non per questo meno appassionate e autentig< che». ■


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Educare, nuovi strumenti dall’Ac a pubblicazione degli Orientamenti pastorali della Conferenza episcopale italiana per il periodo 2010-2020 «porta con sé l’esigenza di accompagnarne l’accoglienza e la recezione». Monsignor Mariano Crociata, Segretario generale Cei, aveva indicato questo impegno all’intera comunità ecclesiale proprio durante l’incontro con il Consiglio nazionale dell’Azione cattolica, il 23 ottobre 2010, ossia alla vigilia della presentazione del progetto decenLa specifica collana nale intitolato Educare alla vita buona del inaugurata Vangelo. Lo stesso mons. Crociata si era dall’editrice Ave è già arrivata a quattro poi reso disponibile a scrivere la prefazione al volume dell’editrice Ave Educare, titoli. Il quotidiano impegno di tutti, curato da Pierpaolo TriaAvvenire propone ni, ampio commento al documento dei ai suoi lettori vescovi firmato da alcuni noti esperti di il volume Educare, educazione e pastorale in Italia: mons. impegno di tutti a condizioni di favore Franco Giulio Brambilla, Paola Bignardi, Ivo Lizzola, Franco Miano, mons. Domenico Sigalini. Nella sua prefazione al libro, mons. Crociata afferma: «Anche attraverso di esso l’Azione cattolica italiana attualizza l’ispirazione originaria e costante della propria identità e presenza nella comunità ecclesiale, in peculiare collaborazione con chi svolge in essa un ministero pastorale». Dal canto suo, Triani specifica: «Il volume ha lo scopo di offrire un percorso di lettura che permetta una visione d’insieme dei contenuti degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il prossimo decennio e, congiuntamente, un loro approfondimento. Proprio per promuovere al meglio questo duplice scopo, il testo si suddivide in due parti. Nella prima parte sono presentati sei approfondimenti che riprendono la suddivisione in capitoli degli

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Orientamenti. Nella seconda parte è invece pubblicato il testo integrale del documento». L’Ac, che porta la “vocazione educativa” nel proprio Dna, ha poi indicato alla sua casa editrice il compito di avviare una specifica collana sul tema. In questo contesto, nel giro di pochi mesi hanno visto la luce ancora tre volumi, e altri sono in preparazione, intesi a trattare il vasto servizio educativo secondo molteplici aspetti: ecclesiale, culturale, familiare, spirituale. Così al presidente nazionale di Ac, Franco Miano, si deve il testo Chi ama educa. Vocazione, cura e impegno formativo. Tracce per un percorso, che ha subito avuto una larghissima diffusione e si è aggiudicato il premio Capri San Michele per la sezione Pedagogia. Le ultime due novità si devono a Paola Bignardi e Luca Diliberto. Il senso dell’educazione. La libertà di diventare se stessi della Bignardi, già presidente nazionale di Ac, affronta i nodi della sfida educativa nel contesto attuale, segnando alcuni punti fermi per un moderno ed efficace progetto educativo, toccando anche gli ambiti della famiglia, della scuola, della comunità cristiana e dell’associazionismo laicale. Diliberto, con L’arte dell’incontro. Essere educatori alla scuola di Gesù, attraverso il confronto tra la Scrittura e la vita, l’esperienza di un educatore e la storia in cui tutti, a cominciare dai più piccoli, sono immersi, si propone come strumento per una ricerca di senso, verso una vera e propria “spiritualità dell’educare”. La collana Ave “Educare oggi” sembra dunque attirare parecchio interesse. Ne è prova anche l’attenzione che il quotidiano cattolico Avvenire le ha dedicato. Una specifica iniziativa editoriale e culturale, concordata tra il giornale e la stessa Ave, ha fra l’altro portato a un’ampia pubblicizzazione del volume Educare, impegno di tutti. Infatti Avvenire lo ha presentato, a partire da febbraio, come un irrinunciabile strumento per il decennio sull’educare, offrendolo ai suoi abbonati e lettori a un prezzo particolarmente scontato, proprio allo scopo di facilitarne la diffusione. Un ulteriore e inequivocabile segno che l’Azione cattolica è un punto di riferimento solido per la Chiesa g italiana nel vasto campo dell’educare. ■

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di Antonella Gaetani

Le note, l’arte e Ustica

bitare il sogno è il nuovo libro con dvd (Stampa alternativa) su Pippo Pollina da cui è nato anche uno spettacolo che l’artista sta portando in Italia e all’estero. Sul palco Pippo Pollina è accompagnato dalla sua chitarra, dal suo pianoforte e dal sax di Gaspare Oltre. 80 date già fissate in Germania, Svizzera, Austria, Olanda, Francia e, ovviamente, in Italia. Dopo l’estate sono previsti anche alcuni spettacoli in Usa e Russia. Il volume è scritto dal giornalista Franco Vassia, con la prefazione di Giancarlo Caselli e l’introduzione di Franco Battiato. Parte del ricavato delle vendite sarà devoluto al Museo per la memoria della strage di Ustica. Il dvd allegato contiene l’opera di teatro e musica Ultimo volo – Orazione civile per Ustica, commissionata dall’Associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica a Pippo Pollina e rappresentata presso il Teatro Manzoni di Bologna in occasione dell’inaugurazione del Museo il 27 giugno 2007. Il volume ripercorre anche le storie di Pippo Fava e la rivista I Siciliani, del maxiprocesso di Palermo e Carlo Alberto Dalla Chiesa e dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Come ha sottolineato lo stesso Pollina «l’arte vola alto quando incontra le necessità. Infatti, deve gridare contro il potere. Oggi c’è l’esigenza da parte degli artisti di far sentire la g loro voce per creare un risveglio nelle coscienze» ■

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Catania, Segno e trasperenza

ino al 12 giugno sarà possibile vedere presso la Fondazione Puglisi Cosentino di Catania una grande mostra di Carla Accardi Segno e trasparenza curata da Luca Massimo Barbero. L’artista ne è doppiamente protagonista: con le sue opere, ma anche con una sua personale interpretazione delle architetture e degli spazi dello storico Palazzo, capolavoro del Vaccarini, per i quali ha appositamente realizzato un lavoro. L’intero itinerario della mostra è concepito come un percorso nel palazzo che dialoga con la fisicità stessa delle sale, anche attraverso opere recenti e realizzate per l’occasione, come la grande superficie di ceramica concepita per il suo cortile. Il tracciato dell’esposizione è punteggiato da installazioni collocate in relazione con l’architettura e con le opere alle pareti, come ad esempio Rotoli (1965-69), Cilindrocono (1972), Paravento (1972), la serie dei Coni in maiolica (2004), Si dividono invano (2006). In occasione della mostra, verrà pubblicata una monografia a colori a cura di Luca Massimo Barbero, edita da Silvana Editoriale, che attraverso un ricco apparato iconografico intrecciato a saggi inediti e a una selezione di materiali documentari, intende proporre un percorso di lettura mirato dell’opera di Accardi, dedicato alla relazione tra segno e trasparenza. Nella g foto, Carla Accardi: Pieno giorno (Veduta), 1987 vinilico su tela 220x420 cm, trittico. ■

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percorsi Ferrovie transalpine a Sondrio

ogliendo l’occasione dei festeggiamenti per il centenario della ferrovia del Bernina – la cui realizzazione avvenne appunto tra il 1907 e il 1910 – e il suo inserimento nella lista World heritage dell’Unesco, la Fondazione gruppo Credito valtellinese ha deciso di dedicare ai percorsi ferroviari transalpini un’ampia mostra, visibile fino al 30 aprile, ospitata presso la sede espositiva di Palazzo Sertoli a Sondrio, e Casa Quadrio Curzio a Tirano. Il tema del paesaggio dei collegamenti ferroviari fra il sud e il nord delle Alpi centrali è raccontato, sotto l’attenta regia di Roberto Mutti, attraverso l’obiettivo di tre fotografi – l’austriaca Margherita Spiluttini, la svizzera Stefania Beretta e l’italiano Francesco Cito – in una mostra documentaristica e fotografica che intende illustrare la rete ferroviaria che da ormai più di un secolo garantisce l’osmosi culturale, economica e sociale tra Valtellina, Valchiavenna, Alto Lario, Val Poschiavo ed Engadina. Così Margherita Spiluttini ha interpretato l’aspetto architettonico delle stazioni e delle infrastrutture ferroviarie: ponti, strade ferrate, pensiline, depositi. Stefania Beretta si è dedicata agli aspetti ambientali e agli attraversamenti d’alta quota; mentre Francesco Cito ha scelto di approfondire gli aspetti antropologici ed umani: la realtà sociale, culturale e multietnica che caratterizza g queste strade ferrate ormai storiche. ■

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spazio aperto

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■ Otto marzo sempre

Carissimi amici, mai come quest’anno l’8 marzo ci farà riflettere sul ruolo della donna nella società e nella Chiesa. Quanto c’è bisogno del “genio femminile”, della sua presenza intelligente, volitiva e tenace nel nostro paese! Quanta necessità di mamme, di lavoratrici, di dirigenti associative, di amministratrici e politiche, di suore e religiose... E quanta amarezza per certi spettacoli che ci tocca vedere (e talvolta subire) tutti i giorni. [...] A quando un vero e sempiterno 8 g marzo? ■ Laura Boli ■ Basta vergogne!

Caro Segno, non se ne può più. La tv e i giornali ci propinano da mesi e mesi certe vergogne, tirando in ballo istituzioni e alte cariche dello Stato. Ma è mai possibile? E dove è la dignità della donna? Chi la difende? E cosa possiamo dire ai nostri figli? Come ci si guadagna il pane della

vita? Con lo studio e il lavoro oppure [...] dando soddisfazione g al potente di turno? [...] ■ Marta F., 53 anni ■ Un futuro più giusto Gentile redazione, la crisi economica e sociale la stanno pagando le classi più deboli e principalmente i giovani. La disoccupazione giovanile è alle stelle, nonostante la preparazione culturale e professionale di molti. La crisi, poi, la pagano i lavoratori dipendenti, i pensionati e le piccole imprese in crisi. Per i lavoratori dipendenti troppo precariato, troppa incertezza e insicurezza per il futuro, poca dignità della persona sul posto di lavoro. Tanti pensionati non ce la fanno ad arrivare a fine mese, mentre i servizi socio assistenziali vengono tagliati. [...] E proprio lavoratori dipendenti e pensionati pagano le tasse interamente, come prevede la legge, mentre tanti altre non le pagano. Chi non paga le tasse è

uno speculatore, mette la mani nelle tasche di chi è più povero di lui e di chi è onesto. [...] Cari cittadini, dobbiamo tutti insieme portare avanti un grande progetto, per liberarci dalla disonestà, dalle corruzioni e dalle illegalità. Serve una vera educazione alle regole, cui possono contribuire anche le associazioni, le famiglie, le parg rocchie, le scuole. ■ Francesco Lena, Cenate Sopra (Bergamo) ■ Lavoro per i giovani

Gentile direttore, ho letto l’intervista a Giuseppe Grande su Segno di fine 2010. Si afferma che occorre investire sui giovani: le parole sono belle, appropriate e incoraggianti. Auspico che si passi ai fatti concreti per dare un g lavoro ai giovani. [...] ■ Lettera firmata, Carpi ■ Due begli articoli Seguo sempre con attenzione le pagine finali del giornale dedicate alla parola di Dio e alla vita spirituale; sono molto belle. Lo stesso dicasi per le pagine che intitolate “Sulle strade della fede”, come l’ultimo servizio dedicato a g Fontanella. ■ Alessandra Frati ■ Segno a Minsk

Caro direttore, la ringrazio per l’invio del giornale al nostro Segretariato. [...] Nella biblioteca della Conferenza dei vescovi cattolici di Bielorussia Segno sarà disponibile per le persone integ ressate a questi temi. ■ mons. Antoni Dziemianko, segretario generale Conferenza episcopale Bielorussia I 032011

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sulle strade della fede

L’abbazia di donna Olimpia dagiata sulle alture dei monti Cimini e circondata da boschi e castagneti, ambita meta di villeggiatura per tanti viterbesi e romani che cercano refrigerio fuggendo dalla calura estiva, sorge l’abbazia di San Martino al Cimino. La storia di questo insediamento monastico ha origini molto antiche: la prima attestazione risale all’838 in occasione della donazione del cenobio da parte di Benedetto, figlio di Auperto, all’abate di Farfa, Sichardus; citata nuovamente in alcuni documenti del 1045 e 1048, che fanno intuire il trasferimento del monastero in luogo più salubre, nel 1145 il beato papa Eugenio III decideva di affidare la gestione dell’abbazia ai cistercensi, ordine a cui lo stesso pontefice apparteneva, provenienti da monastero di Saint Suplice in Savoia. Subito iniziarono i lavori di costruzione della chiesa e degli ambienti monastici, che continuarono per diversi decenni anche dopo la decisione di papa Innocenzo III nel 1207 di affidare da cura dell’abbazia direttamente alla casa madre di Pontigny, da cui la stessa Saint Suplice derivava. L’abbazia di San Martino non ebbe mai vita facile e ciò provoca ancora oggi qualche difficoltà nella datazione delle diverse strutture; a momenti di splendore si alternarono anni di grave abbandono. Dopo il fattivo interessamento del vescovo di Viterbo Raniero Capocci, che si prodigò per la costruzione dell’abbazia e la consacrò nel 1225, già all’inizio del Trecento, Silvestro Gatti, signore di Viterbo, cacciava i monaci da San Martino, incamerandone tutte le decime. Alla sua morte i reliUna bella abbazia che posa il “suo spirito” sui giosi fecero ritorno, ma nel 1379 l’antimonti Cimini, appena papa Clemente VII istituiva la commenda; dopo un’ipotesi di affidamento delsopra il lago di Vico. l’abbazia agli Olivetani, nel 1452 papa Vale una gita fuori Nicolò V faceva ritornare i monaci di porta per le bellezze naturali, assaporando Pontigny, ma era solo una parentesi, perché nel 1461 l’abbazia veniva traun po’ di storia di Paolo Mira

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sformata nuovamente in commenda assegnata al cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, il futuro Pio III, che si curò di alcuni importanti restauri; più tardi – siamo ormai nel 1564 – Pio IV, zio di San Carlo Borromeo, unì il monastero al Capitolo di San Pietro in Vaticano. Ma è nel 1645 che inizia la storia moderna di questo luogo; in tale data infatti, abbazia e borgo furono ceduti dai canonici di San Pietro a donna Olimpia Maidalchini Pamphilij, cognata di Innocenzo X, che ne aveva autorizzato la cessione. Dipinta come una delle persone più torbide e avide di ricchezze del periodo la leggenda nera della Pimpaccia – come il popolino l’aveva soprannominata – è giunta fino ai giorni nostri. Forse vittima essa stessa del periodo storico in cui visse, donna Olimpia seppe, comunque, all’apice del suo potere, promuovere importanti lavori di rinnovamento di tutto il borgo di San Martino, trasformandolo in una “cittadella ideale” progettata dall’ingegnere militare Marcantonio dè Rossi, forse con la supervisione dello stesso Borromini


sulle strade della fede Nelle foto: immagini dell’abbazia di San Martino al Cimino

autore di una delle due porte della città, costruendo una teoria di “case popolari” ante litteram che forniscono un curioso andamento ellittico all’intero borgo, facendo costruire il palazzo Pamphilij e avviando il generale restauro della chiesa abbaziale. Ma cosa rimane oggi di tutta questa lunga a travagliata storia? Innanzitutto la solenne chiesa abbazia-

le a tre navate, con abside poligonale e la monumentale facciata caratterizzata dalle due massicce torri campanarie ai lati, che incorniciano il portale e la grande vetrata gotica, riccamente lavorata, che inonda di luce la navata maggiore. L’interno della chiesa, pur ormai realizzata in stile gotico, ha mantenuto nei secoli l’austerità e la semplicità indicate da San Bernardo di Chiaravalle per gli edifici cistercensi. Le opere d’arte contenute, infatti, sono il frutto degli abbellimenti successivi: tra tutte ricordiamo i due lacerti di affresco raffiguranti la Madonna con Gesù Bambino e il grande stendardo di San Martino e il povero, dipinto tra il 1649 e il 1650 da Mattia Preti. Passando all’esterno, sul fianco occidentale della chiesa è possibile ancora osservare le tracce di quello che doveva essere il chiostro, su cui si affacciavano tutti gli ambienti monastici; oggi rimangono la sacrestia, la sala di lavoro dei monaci, divisa in due navate da tre fasci di colonne, e la sala capitolare, un vasto ambiente rettangolare riccamente decorato tra XVII e XVIII secolo, sede della Confraternita del SS.mo Sacramento e del Santo Rosario. Al piano superiore, sopra gli ambienti descritti, si sviluppa l’antico dormitorio dei monaci. A completare il quadro sorge sul lato nord del perimetro claustrale, fondato sugli ambienti medievali, il palazzo Pamphilij voluto da donna Olimpia, che ancora oggi riposa nel coro della chiesa abbaziale, strappata ai vivi, all’apice del suo prestigio, durante l’epidemia di peste del 1657, vista dal popolo come giusta punizione per la g sua cattiveria e discutibile condotta morale. ■

Come arrivare a San Martino al Cimino l borgo di San Martino al Cimino sorge, a 561 metri sul livello del mare, sul versante meridionale dei monti Cimini, nella riserva naturale del lago di Vico e dista 6,5 km da Viterbo. Tappa della Via Francigena nel percorso tra Bolsena e Sutri, San Martino è facilmente raggiungibile percorrendo la via Cassia fino a Viterbo; da qui, all’altezza di Porta Romana, prendere la Strada Sammartinese e seguire le indicazioni. Si può arrivare al borgo anche utilizzando la via Cassia-Cimina, che attraversa Ronciglione e costeggia il lago di Vico. La chiesa abbaziale è aperta tutti i giorni: ore 8-13 e 15-20, la sala capitolare il sabato ore 15-18 e domenica ore 9.30-12.30, per la Sala dei monaci rivolgersi al parroco. Il palazzo di Olimpia Pamphilij è oggi sede dell’Azienda di Promozione turistica. Informazioni: 0761.379803.

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Ieri e domani

Un innamorato del Concilio mancato a 82 anni nella sua casa di Rivalta, sul finire del gennaio scorso, in quel Piemonte arcigno e sobrio che amava decantare. «Quando venite da queste parti, non mancate di bussare alla mia porta: ci facciamo due bicchieri di barbera»: così amava ripetere a “noi” di Segno nel mondo Davide Fiammengo quando ci intratteneva in cordialissime telefonate. Un po’ padre e un po’ nonno per tanti dell’Ac e per i colleghi giornalisti passati dalle stanze di via della Conciliazione. Amava l’Ac e gli piaceva stare con i giornalisti. Aveva passato quasi una vita in associazione, e tra i giornali. Nato a Voghera, fu presidente diocesano della Giac di Tortona. Laureato in Filosofia all’Università Cattolica, lavorò al Corriere della Sera, iniziando come correttore di bozze per diventare responsabile amministrativo della sede di Roma. Dal 1969 iniziò il suo lavoro come direttore del personale a La Stampa dove restò fino al 1986. A Torino fu presidente diocesano dell’Azione cattolica dall’83 al Ricordo del ’92, per poi diventare consigliere piemontese Davide nazionale più tardi. Una vita dedicata alla Fiammengo, scomparso a 82 anni. famiglia – la sua era di una di quelle Figura affabile e colta, allargate e fu precursore dell’affido famiera un laico di Ac che liare – alla professione e alla Chiesa non ha mai smesso di attraverso il servizio nell’Azione cattolica. credere in una Chiesa Un laico innamorato del Concilio, degli articoli ben fatti (anche polemici) che solida, moderna, riscaldassero qualche cuore un po’ vicino alle persone

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infreddolito. E aiutò, materialmente, tanta gente più sfortunata di lui. Oltre a essere stato storico collaboratore di Nuova Responsabilità e Segno 7, chiamava spesso in redazione anche negli ultimi tempi. Dall’altra parte del telefono c’era sempre il sorriso bonario e l’incitamento ad andare avanti, ad avere coraggio. Penna elegante e colta, Davide esprimeva tutti i lati positivi di un classico “italiano d’altri tempi”, sapendo al contempo essere giovane “dentro”. Gli piaceva parlare con i giovani, e farsi rispettare da chi lo ascoltava. Riferendosi alla sua esperienza di vita, scrisse alcuni anni fa: «Come Dio volle, passò anche quel periodo. Ma per noi l’Azione cattolica diventò veramente una patria della nostra giovinezza; nella buona e nella cattiva sorte. Anche perché crescevano le idee, i programmi, la cultura, la costruzione di una figura di laico, che poi il Concilio avrebbe consacrato. Sfortunatamente, in questa vita passa anche la gioventù; ancor più sfortunatamente passò anche per me e per i miei amici. Nuovi impegni, professionali, familiari, sociali, ma quel riferimento era ed è sempre là, non c’è verso che impallidisca. Così l’adesione all’Ac continuò in altre posizioni, con varie responsabilità e mi trovo con qualcosa come sessant’anni di appartenenza a questa aggregazione di laici. Uno può chiedermi: che cosa credi di avere fatto? Ho le idee chiare: poco o g nulla. Ma è stato tutto così bello!». ■ [giadis]


Ieri e domani

Memoria e futuro, per un paese migliore n volume costruito tra storia e memoria – due momenti molto diversi che vanno sempre tenuti distinti nel loro diverso valore e significato – che vuole essere una risorsa utile a chiunque si avventuri nella storia del cattolicesimo italiano del Novecento dell’area piemontese e valdostana. Si tratta di Laici nella Chiesa, cristiani nel mondo. Per una storia dell’Azione cattolica nelle chiese locali del Piemonte e della Valle d’Aosta, a cura di V. Rapetti, Editrice impressioni grafiche (Aqui Terme), pubblicato nel 2010. È una storia locale fatta di “molte storie” ma capace anche di restituire una dimensione universale. È questa, d’altronde, come sottolinea lo storico Alberto Monticone (già presidente nazionale di Ac), la peculiarità dell’Azione cattolica, impegnata a coniugare «l’universalità della missione con la specificità dell’ambito territoriale». Il libro offre una buona articolazione in sezioni. Dai contributi specialistici dedicati al “fare memoria”, fondamentale nel suo valore Un libro dedicato associativo e di cittadinanza, si passa ai all’Azione cattolica sintetici ed efficaci profili biografici delle del Piemonte e Valle personalità più significative del cattoliced’Aosta ripercorre simo piemontese e valdostano, sino alle i fili della storia “micro-storie” diocesane che restituiscoassociativa. Senza no un profilo ricco e variegato dell’Azione dimenticare cattolica in quelle aree della nazione. La il contributo dato dall’Ac alla costruzione sezione finale è invece dedicata a una preziosa ricognizione bibliografia e archidel bene comune vistica, molto utile per chiunque volesse per un’Italia diversa di Paolo Acanfora

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intraprendere un percorso di ricerca sulla storia dell’associazione sia a livello locale che nazionale. Arricchisce la pubblicazione un cd allegato, che presenta numerosi contenuti video. La ricca sezione dedicata alla persone che hanno fatto la storia dell’Ac nelle due citate regioni settentrionali è una sorta di piccolo dizionario critico che accomuna personalità di grande rilievo come padre Enrico di Rosavenda, Pier Giorgio Frassati o Luigi Gedda con figure apparentemente minoritarie ma che hanno lasciato un segno importante nella vita associativa. Brevi bozzetti sono poi dedicati ad alcuni protagonisti che dall’Azione cattolica sono arrivati alla partecipazione attiva ai lavori dell’Assemblea costituente incaricata di redigere la nuova Costituzione repubblicana: dai sindacalisti Giulio Pastore e Giuseppe Rapelli (diversissimi per idee e temperamento) all’ex-presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, sino a uomini di governo come Pier Carlo Restagno e, soprattutto, Giuseppe Pella. Si tratta, dunque, di una operazione associativa ed editoriale che mira a restituire un pezzo importante di storia del movimento cattolico italiano in regioni che hanno contribuito a segnare la vita politica, culturale, economica e sociale della nazione per tutto l’arco del Novecento. Ma soprattutto vuole essere un momento di riflessione che evidenzi il valore di una presenza religiosa e culturale di un’associazione come l’Azione cattolica che aspira ancora a essere una protagonista attiva nella vita comunitaria e territoriale, portatrice di un progetto per il futuro della g nazione. ■

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perché credere

3/La proposta

Vi farò

pescatori

di uomini

apita a ognuno di noi di ricevere inviti, talvolta desiderati e attesi, altre volte temuti, altre ancora impensati e perciò sorprendenti. La sorpresa, alimentata dalla curiosità, può incoraggiare una risposta affermativa, ma può anche causare perplessità: accettare o rifiutare? è meglio tergiversare o decidersi subito? come rispondere? La stessa modalità dell’invito può condizionare la risposta. Gesù con Andrea e l’altro discepolo di Giovanni Battista è stato deciso e diretto: «Venite e vedrete». Egli non comincia con le spiegazioni; non cerca di convincere con argomenti più o meno speciosi; non fa leva sul tasto dell’emotività; non usa parole e immagini, che facciano colpo; semplicemente dice: «Venite e vedrete». Bisogna rendersi conto personalmente! Gesù aveva sentito i passi dei due dietro di sé. Andrea e l’altro discepolo erano stati toccati e attratti dalla testimonianza del Battista: «Ecco l’agnello di Dio!». Interessante questo profeta rude e senza peli sulla lingua, che, “amico dello sposo”, indirizza i suoi discepoli verso Gesù: la sua gioia di maestro e di educatore è piena nel momento in cui i suoi seguaci lo abbandonano per Gesù, perché l’educatore deve Amicizia, amore, libertà, “diminuire” e Gesù deve coraggio. È quanto accade “crescere” (cf Gv 3,29a chi accoglie l’invito di Gesù a seguirlo. Una proposta a volte 30). Dai due discepoli Gesù sollecita una rispodifficile, ma resa bella sta immediata, come chiadall’incontro con Lui. La terza ro e preciso è stato il suo tappa del percorso spirituale invito, e offre loro l’oppordi questo anno è affidata al vice assistente generale di Ac tunità di fare in maniera di Ugo Ughi

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diretta l’esperienza di lui e della sua missione, perché non si crede e non si vivono il discepolato e l’apostolato per interposta persona. Essi andarono e restarono con Gesù: fu l’inizio di una comunanza di vita che durerà per sempre. Essere cristiani è essere e operare stabilmente in comunione con il Signore Gesù: «Rimanete in me e io in voi... Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,4.5). Anche i racconti di vocazione dei sinottici parlano di un Gesù esplicito, che, senza sbavature, si accosta e dice: «Vieni; venite dietro a me», mentre apre immediatamente a una prospettiva di dedizione e di servizio: «Vi farò pescatori di uomini». Si tratta della proposta di sequela e di impegno per il bene degli altri: proposta e risposta nel segno dell’amore e della condivisione. Alcuni dei chiamati hanno rifiutato l’invito, mentre altri hanno detto di sì, avviandosi in un percorso di amicizia con il Signore, che si è rivelato bello fino a essere affascinante, e difficile fino ad apparire indigesto, tanto che nel momento cruciale i primi discepoli hanno mollato Gesù: si sono semplicemente dati alla fuga. Ma l’invito iniziale così libero e carico di amore è continuato a risuonare nel loro cuore. Essi sentivano che Gesù non era pentito della prima proposta e non era sfiduciato a motivo del loro tradimento: continuava a far percepire dentro la sua voce. Ed essi non avevano dimenticato quelle «quattro del pomeriggio», quando avevano cominciato a «stare con lui»: un ricordo indelebile. Così, dopo lo smarrimento, si sono ripresi e hanno riavviato un percorso che li ha portati a maturare con il Signore e con gli altri una relazione di


perché credere amore e di passione pastorale fino al martirio. Giovanni Paolo II ha scritto che «è ora di riproporre a tutti con convinzione la misura alta della vita cristiana ordinaria», che equivale al coraggio di una precisa e chiara proposta a seguire Gesù, a stare con lui per essere come lui. Il 4 maggio 2008 Benedetto XVI, nell’incontro con l’Azione cattolica in piazza San Pietro, ha detto: «Non è forse possibile, ancora oggi, per voi ragazzi, per voi giovani e adulti, fare della vostra vita una testimonianza di comunione con il Signore, che si trasformi in un autentico capolavoro di santità?». Certamente bisogna avere la saggezza pedagogica di cogliere il momento opportuno e di trovare le parole giuste, ma non si può aver paura per se stessi di puntare in alto e di indicare agli altri nobili mete: ai ragazzi e ai giovani, chiamati a costruire una vita bella e significativa, e agli adulti che devono essere testimoni di orizzonti vasti, di ampio respiro, e spesso sono invece confusi, quasi incartati nei loro compromessi e disincantati di fronte a prospettive di alto profilo. La comunità cristiana, e in essa ogni educatore, sente, non può non sentire, la responsabilità di proporre la relazione con Gesù come decisiva e fondante una vita buona secondo il vangelo. È Gesù la risposta sicura, convincente e fedele alle inquietudini e agli interrogativi più profondi del cuore umano. Vale la pena cercarlo, vederlo, farlo vedere. Accanto

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alla scelta radicale per Cristo, che dà senso pieno alla vita, ci sono altre decisioni da prendere, anch’esse rilevanti, che rispondono alla domanda sul come concretamente esprimere al meglio se stessi e contribuire in maniera efficace alla costruzione e alla crescita della comunità civile ed ecclesiale. L’educatore è chiamato a svolgere un ruolo considerevole nell’accompagnamento delle persone alla scoperta di se stesse e delle proprie potenzialità e di come possano realizzarsi positivamente per gli altri. Anche a questo livello la proposta deve essere coraggiosa, tale da portare a percepire la bellezza e la significatività delle scelte che si compiono. L’educatore non deve avere la presunzione di formule preconfezionate o di previsione del futuro, ma deve aiutare con chiarezza, discrezione e umiltà a individuare le prospettive che si possono aprire e le energie corrispondenti. Le grandi idealità spesso intimoriscono e talvolta perfino scoraggiano la decisione, ma sono alla portata dell’uomo, se si è disposti a intraprendere il cammino necessario. La garanzia, oltre che nelle proprie capacità, da riconoscere, apprezzare e valorizzare, è riposta nella vicinanza fraterna di altri che sanno stare accanto con attenzione e con amore e soprattutto dalla presenza tenera e forte del Signore. In lui tutto è possibile, anche l’umanamente g impossibile. ■

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la foto

C’È SEMPRE BISOGNO DI PROFETI

24 MARZO 1980. MARTIRIO DEL VESCOVO SALVADOREGNO OSCAR ARNULFO ROMERO


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