UP Magazine 13 - Estate 2020

Page 1

magazine arezzo NUMERO 13 estate 2020 UP LUOGHI PIAZZA GRANDE up INTERVISTA SANTINO CHERUBINI up ECCELLENZE ALESSIA CLUSINI

anna safroncik la mia arezzo


FRAGANZA D’AMBIENTE

PEONIA BLACK JASMINE

AREZZO, Via Madonna Del Prato, 94


sommario

| UP COPERTINA |

ANNA SAFRONCIK | UP PEOPLE |

MARTINA CARNESCIALI

LA CITTÀ INVISIBILE E LE PAROLE RITROVATE

| UP ECCELLENZE |

ALESSIA CLUSINI

LE BUONE RAGIONI PER ALZARSI LA MATTINA

38

| U P G U STO |

28 28 30 34 34 42

LOGGE VASARI E LANCIA D'ORO

UP INSTAGRAM TORNARE A VIVIERE

| U P I N T E R V I S TA |

SANTINO CHERUBINI SANTI IN PARADISO

| UP PEOPLE |

GIANLUCA PARRESCHI L'AVVOCATO DELL'INNOVAZIONE

14

| UP PEOPLE |

laura falcinelli un talento dalle mille sfaccettature L DUI O HI I | | | U| PUTPR A Z IG ON

cavalli diPIAZZA battaglia

GRANDE

| UP SPORT |

SIMONE NASCOSTI

PICCOLa MOTO, GRANDE CAMPIONE

| U P C U R I O S I TÀ |

IL PETRONE DI PIAZZA GRANDE

3 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

06

18 20 26

| U P I N S TA G R A M |


| magazine arezzo Redazione e Amministrazione Atlantide Audiovisivi srl Via Einstein 16/a – Arezzo Tel. 0575 403066 www.atlantideadv.it

UP EDITORIALE

|

Il filo rosa È

Anno IV – N° 13 Estate 2020 Direttore Responsabile Cristiano Stocchi Vice Direttore Maurizio Gambini Redazione Andrea Avato, Chiara Calcagno Mattia Cialini, Marco Botti, Francesco Caremani Art Director Luca Ghiori Si ringrazia Alessandro Falsetti Fotografie Lorenzo Pagliai Riccardo Riande Stampa Grafiche Badiali - Arezzo Partners

rosa il motivo di questo numero. Perché rosa è il futuro che vogliamo vedere: è il colore dell’ottimismo che si affaccia dopo i cupi mesi dell’isolamento, ma anche della tranquillità e della riflessione. Il rosa si contrappone, in questo senso, al rosso energico dell’agire. La forza calma è il vantaggio di chi non è gravato da pensierosi fardelli e sa porsi in ascolto, in attesa che la tempesta finisca. Per poi finalmente compiere i passi esatti. Rosa è il filo, tenue e resistente, che cuce le pagine di questo numero. C’è un ricamo lieve, distintivo, mai eccessivo. Forte senza gridare, come Anna Safroncik, personaggio di copertina, che ama la telecamera e ne ha fatto un mestiere, evitando però gli eccessi dei riflettori. Ad Arezzo è sbocciata, nella città della sua adolescenza torna per un progetto legato allo spettacolo. Rosa è Piazza Grande nei lunghi tramonti estivi, immutabile mentre le epoche scorrono e i piccoli uomini si agitano. Rosa è la pace di Santi Cherubini, nei giorni in cui l’amore per la terra ha preso il posto di fabbrica e spettacolo. Rosa è l’attenzione di Gianluca Parreschi,

il talent scout delle startup, o di Martina Carnesciali, diventata editor durante il lockdown. Rosa è la consapevolezza di Alessia Clusini, faro per le aziende che investono nel digitale, che a Londra ha trovato la sua dimensione. E ancora rosa è la concentrazione di Simone Nascosti, il re delle moto radiocomandate. Rosa è infine l’abbraccio dei fratelli Fazzuoli che sotto le logge hanno saputo scrivere un pezzo di storia della ristorazione d’Arezzo. L'editoriale stavolta si chiude con un benvenuto a Francesco Caremani, che a partire da questo numero entra a far parte della redazione di Up. Una firma in più dentro un progetto destinato a crescere e migliorare ancora.

In copertina Anna Safroncik Up Magazine Arezzo è stampato su carta usomano che conferisce naturalezza e stile al giornale. In questo numero per la copertina abbiamo scelto il PANTONE 244 C

Vice-direttore

maurizio gambini

Direttore responsabile

Reg. al tribunale di Arezzo il 12/06/2017 N° 3/17

cristiano stocchi

Up Magazine Arezzo è una rivista a distribuzione gratuita


Tipografo

francesco fumagalli

Fotografo

lorenzo pagliai

Art-Director

Luca Ghiori

5

Redazione

marco botti

Redazione

FRANCESCO CAREMANI

Redazione

chiara calcagno

Redazione

mattia cialini

Redazione

Andrea Avato


|

6

UP COPERTINA

|

\ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

Scoprirò la prossima Anna Safroncik. Ad Arezzo L'ATTRICE DE LE TRE ROSE DI EVA E CENTOVETRINE HA TRASCORSO L'ADOLESCENZA IN CITTÀ: QUI C'È UN PEZZO DELLA SUA FAMIGLIA E LA SCUOLA DI DANZA FONDATA DALLA MAMMA, LA CHAPKIS DANCE, UNA FUCINA DI TALENTI. QUI C'È UNO DEI SUOI LUOGHI PREFERITI, IL TEATRO PETRARCA. E QUI TORNA OGNI VOLTA CHE PUÒ PER RIASSAPORARE DOLCI RICORDI. KIEV E MISS ITALIA, CARLO VERDONE E DANIEL DAY-LEWIS, IL RAPPORTO CON I FAN E IL FUTURO: IN QUESTA INTERVISTA C'È IL MONDO DI ANNA DI MATTIA CIALINI

“L

'esatto momento in cui la mia vita è cambiata? Non c'è. Ho sempre studiato per far parte del mondo dello spettacolo. E così è andata”. Anna Safroncik ad Arezzo ha conquistato il titolo di Miss Toscana, all'età di 17 anni. Ma era una bimba quando è salita sul palcoscenico la prima volta: a Kiev, sua città Natale, quando di anni ne aveva

appena 5. E a 28 ha recitato al fianco di una parata di stelle hollywoodiane nel kolossal Nine ispirato a Fellini. “Una piccola parte, ma è stato emozionante osservare da vicino, per sei giorni di fila, un gigante come Daniel Day-Lewis”. Anna oggi abita a Roma, la capitale italiana di film e fiction. Ha recitato, tra gli altri, con Carlo Verdone in C'era un cinese in coma e in La Matassa con Ficar-

ra e Picone; popolarissimi, in tv, i ruoli di Anna Baldi in Centovetrine e di Aurora Taviani in Le tre rose di Eva. La scorsa estate ha presentato l'evento itinerante Festival Show che ha visto esibirsi sul palco i big della musica italiana. “Mamma è ballerina classica, papà tenore lirico – dice Anna – e per me è stato naturale avvicinare il mondo dello spettacolo. A 5 anni interpretavo il personaggio del


Anna Safroncik è nata il 4 gennaio 1981 a Kiev e ha trascorso l'adolescenza ad Arezzo

7


Anna madrina al teatro Petrarca durante la notte dell'inaugurazione, nel dicembre 2015

8


“Sono arrivata ad Arezzo nel 1992, avevo 11 anni. A questa città sono molto legata, qui la mia famiglia ha costruito una casa per l'arte e lo spettacolo: la scuola Chapkis Dance” principe bambino, mentre mio padre era il principe adulto, nella rappresentazione di una favola di Pushkin. Beh, al termine dell'evento alcune persone dal pubblico ci chiesero come la compagnia fosse riuscita a trovare un bimbo attore tanto somigliante al principe adulto. Di fatto, sono cresciuta dietro le quinte dei teatri. E a 7 anni mia madre mi iscrisse all'accademia nazionale dello spettacolo di Kiev: studiavo musica, canto, ballo e recitazione”. La vita ha portato Anna a seguire la madre in Italia, ad Arezzo. “Era il 1992, avevo 11 anni. A questa città sono molto legata: è la terra della mia adolescenza, ho ricordi meravigliosi. Qui la mia famiglia ha costruito una casa per l'arte e lo spettacolo, la scuola Chapkis Dance. Sono cresciuta là dentro e negli anni, pur essendomi trasferita, sono tornata per presentare il saggio di fine anno”. C'è anche un luogo aretino del cuore: il teatro Petrarca. “Un posto unico. E' rimasto a lungo chiuso e quando fi-

nalmente ha riaperto, dopo i lavori di restauro, sono stata felicissima. Lì avrei presentato anche quest'anno il saggio finale della Chapkis Dance, ma purtroppo l'evento è saltato per l'emergenza Covid. Se la situazione non peggiorerà, contiamo di proporlo a settembre. E io ci sarò, come sempre”. E se la vita di Anna Safroncik è ormai nella capitale, la Toscana rappresenta la meta della fuga di ogni weekend, o quasi. “Torno volentieri nel fine settimana. Ad Arezzo c'è la mia famiglia, oltre alla Chapkis Dance. Prima dell'emergenza sanitaria, nei locali della scuola di danza in via Benedetto Varchi venivano spesso organizzate feste di compleanno degli allievi e, quando potevo, parteci-

9

pavo anche io. Spero si possa riprendere a breve. D'altronde la scuola è una sorta di grande famiglia: oltre alle lezioni, si instaura un rapporto intenso tra i ragazzi e gli insegnanti come mia madre Lilia e mia sorella Vittoria Chapkis. E' bello vedere crescere giovani che, attraverso l'arte della danza, possono dare un'interpretazione alle emozioni. Si formano, fanno amicizia. La scuola è stata necessariamente chiusa per un po' di tempo, per via del coronavirus, ma adesso le



A 17 anni Anna conquista la fascia di Miss Toscana e partecipa a Miss Italia

lezioni sono riprese, rispettando ovviamente le norme di sicurezza, e devo dire che le presenze non mancano”. Dietro il successo personale ottenuto da Anna c'è la forte spinta della madre. “E' stata lei a volermi sul palco quando ero una bimba, sempre lei mi ha iscritto al concorso di Miss Italia”. Anna si fa è fatta notare non ancora maggiorenne, a 17 anni, quando ha conquistato la fascia di Miss Toscana, arrivando ottava al concorso nazionale. Nel frattempo, spronata da mamma Lilia, ha partecipato a una serie di provini. E poco più tardi sono iniziate ad arrivare le prime proposte. “Mia madre ha fatto con me quello che sa fare meglio, la talent scout. C'è riuscita, ad esempio, anche con Gian Maria Giuliattini, nel corpo di ballo di Amici di Maria De Filippi. E' di Arezzo e ha frequentato la Chapkis Dance. Ho un legame forte con mia mamma, da cui ho assorbito valori profondi, l'impegno e la dedizione sul lavoro. Lo stesso è accaduto per mia sorella Vittoria: gli allievi che segue, ad esempio, hanno preso parte al concorso per salire sul palco assieme a Justin Bieber, nel concerto a Bologna del 2016. E sono stati scelti proprio loro per le coreografie”. Insomma, mamma Lilia forgia talenti. “Beh, se sono arrivata a questo punto lo devo a lei, alla sua tenacia. E ovviamente ai suoi insegnamenti. Gli stessi che infonde agli allievi nella sua scuola di danza, con disciplina e passione. E aggiungo che prossimamente, alla Chapkis Dance, terrò i miei corsi. Per i ragazzi ci saranno numerose possibilità di formazione artistica e di perfezionamento. E tra gli insegnanti ci sarò anche io”. La carriera di Anna ha spiccato il volo dai primi anni 2000. In Centovetrine (2004-2007) ha interpretato la perfida Anna Baldi. “Non mi riconoscevo nel suo carattere – spiega – ma è stato molto divertente vestire i panni di questo

11

Anna e i social: “Instagram il mio legame con i fan” Fuori dal lavoro, Anna si dedica agli affetti, al fitness, al cibo sano. Ma non ama rivelare troppo di sé. Una finestra sul suo mondo sono però i social. “Riesco a tenere un legame con i fan soprattutto grazie ad Instagram. Lo uso con criterio, mi piace raccontare attraverso le immagini quello che faccio al di fuori del lavoro. Anche se non amo provocare. Non ho bisogno dei social per avere successo, non sono la vetrina attraverso cui mettermi in mostra. La mia carriera è stata costruita fuori dal mondo virtuale e Instagram è solo uno strumento utile. Gli haters? Mai avuto grandi problemi, anzi. Devo dire che i miei followers sono sempre molto carini con me. Scrivono cose piacevoli e sono soprattutto donne, probabilmente legate alle fiction che ho girato, che parlano molto al mondo femminile”.


Quei sei giorni con Daniel Day-Lewis

12

Anna non si sbilancia sulla predilezione in merito ai compagni o alle compagne di lavoro sul set. Anche se qualche esperienza resta più impressa di altre. “In Italia è stato divertente lavorare con Carlo Verdone oppure con Ficarra e Picone. Amo la comicità e le riprese delle commedie girate con loro sono splendidi ricordi. E poi è stata significativa l'esperienza del 2009, in Nine di Rob Marshall”. Nel film, con protagonista il tre volte premio Oscar Daniel Day-Lewis, ruotano star come Penelope Cruz, Judie Dench, Nicole Kidman, Kate Hudson, Sofia Loren, Marion Cotillard, Fergie dei Black Eyed Peas. “Mi ricordo Kate Hudson, Sofia Loren. Nei momenti in cui non si girava erano molto simpatiche, rilassate, facevano battute. Daniel Day Lewis, invece, non uscì mai dal personaggio, mai. Anche a telecamere spente, concentratissimo. Sono rimasta con lui sei giorni di fila: è stato impressionante”.

“Mi innamoro dei progetti e ci metto tutta me stessa. Sono un'attrice ma anche molto altro. Ho fatto la presentatrice ho fatto teatro. Non mi dispiace misurarmi con sfide diverse”

personaggio”. Mentre è rimasta molto legata all'Aurora Taviani de Le tre rose di Eva (2012-2018): “Una donna volitiva, piena di valori. Ho fatto quella parte molto volentieri, perché come persona mi rispecchio in lei. Penso inoltre che questa serie mi abbia consacrato. E' probabilmente il progetto lavorativo a cui sono più legata”. Tra le ultime esperienze maturate anche quella del Festival Show, tour musicale itinerante nelle piazze italiane, svoltosi nell'estate 2019. “Avere migliaia di persone sotto il palco, parlare con loro: il lavoro live è completamente diverso dallo stare davanti a una telecamera con attorno 50 persone della troupe per girare le scene di un film o di una fiction. Sono proprio mestieri differenti: quando sei di fronte al pubblico, devi 'sentirlo' per non annoiarlo, occorre dare il 120% sul momento. Mentre quando fai l'attore, e stai girando, hai tempi

più dilatati, devi essere introspettivo, comunicare alla telecamera con un gesto, un'espressione”. Ma un lavoro che le ha cambiato la vita non c'è, dice Anna. “Mi innamoro dei progetti e quando entro in sintonia con l'attività, ci metto tutta me stessa, con enorme passione. Sono un'attrice, ho fatto fiction e alcuni film. Ma anche molto altro. Ho fatto la presentatrice, ho fatto teatro. Mi è piaciuto il tour dello spettacolo Cleopatra, un musical. Ho una formazione varia e non mi dispiace misurarmi con sfide diverse”. E un progetto per il futuro? “C'è già. Una nuova serie tv, sull'impronta de Le tre rose di Eva. Non posso ancora rivelare granché, spero che si possa concretizzare presto. Purtroppo abbiamo avuto rallentamenti a causa dell'emergenza Covid nelle riprese, ma credo di poter vedere realizzato a breve questo nuovo lavoro. E sarà una bella sorpresa”.



|

14

UP LUOGHI

|

piazza grande È U N O D E I LU O G H I P I Ù B E L L I D ' I TA L I A . N E G L I A N N I H A S P E S S O C A M B I ATO V E S T E M A L A C O M B I N A Z I O N E P E R F E T TA D I S T I L I A R C H I T E T TO N I C I D I F F E R E N T I C O N T I N UA A S T U P I R E E A F FA S C I N A R E T U T T I C O LO R O C H E L A V I S I TA N O

DI MARCO BOTTI IN COLLABORAZIONE CON FONDAZIONE AREZZO INTOUR

UN INSIEME IMPONENTE. PAROLA DI VIAGGIATORE. “Dietro S. Maria della Pieve la splendida Piazza Grande: su di essa, l’abside della chiesa medesima, la graziosa facciata del palazzo della Fraternita, le logge del Vasari costruite nel 1573 dallo stesso artista, aretino di nascita, e infine la statua del granduca di Toscana Ferdinando III, opera di Stefano Ricci datata 1822, costituiscono un insieme davvero imponente”. Con queste parole il francese Eugène Müntz, uno dei più grandi storici dell’arte del’Otto-


15

LE LOGGE, MAGNIFICO SIPARIO SULLE GLORIE MEDIEVALI

cento, descriveva Piazza Grande durante un viaggio del 1897. Da allora quella che è considerata una delle piazze più belle d’Italia è cambiata molto, ma la combinazione di stili architettonici che sorprendeva i viaggiatori del Grand Tour e quelli che per vari motivi visitavano Arezzo, continua ancora oggi a lasciare senza fiato il turista. LE ORIGINI DELLA PIAZZA Nell’alto medioevo, con la città quasi relegata nel colle di San Donato, dove oggi è Piazza Grande c’era un grande slargo inclinato, subito fuori le mura, utilizzato per il mercato. Con l’ampliamen-

to della cinta cittadina, alla fine del XII secolo, l’area divenne una vera e propria piazza, la platea communis, dove ci si incontrava per fare scambi commerciali, parlare di politica o assistere a eventi. Lungo il perimetro, molto più sviluppato di quello attuale, si trovavano già edifici importanti, come il Palazzo Vescovile su via Seteria e la Pieve di Santa Maria Assunta con la sua parte absidale. Altri furono realizzati nel corso del Duecento, come il Palazzo del Comune del 1232 e il Palazzo del Popolo del 1278. Questi ultimi due non li vediamo più, perché subirono la mannaia medicea nel 1539, dato che ostacolavano la visuale dalla costruenda fortezza. Nel XIV e XV secolo Piazza Grande continuò nella sua evoluzione con l’aggiunta di nuovi edifici pubblici e privati.

Il 19 luglio 1572 Giorgio Vasari venne incaricato dalla Fraternita dei Laici di progettare un nuovo edificio, il cosiddetto Palazzo delle Logge. I lavori iniziarono nel 1573 ma l’anno dopo il più grande pittore, architetto e storiografo aretino del Cinquecento morì. La realizzazione venne terminata, sotto la direzione di Alfonso Parigi, nel 1595. Il fabbricato ridusse la piazza a nord-est, trasformandosi in un elegante sipario tardo rinascimentale calato sulla vecchia cittadella medievale. Nel loggiato trovarono posto varie botteghe e un passeggio vietato alla “plebaglia”. Nel 1670 si pensò di elevare un edificio simile per il lato opposto di Piazza Grande, ma il Magistrato fiorentino negò il permesso. Di fronte alle Logge, nel 1822 fu collo-


16 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

cata la statua di “Ferdinando III di Lorena” di Stefano Ricci, trasferita in cima a Piaggia di Murello nel 1932. Al suo posto venne posizionato il “petrone”, ovvero una riproduzione della colonna infame alla quale in passato si legavano i condannati, per esporli alla berlina. UN TEATRO PER AREZZO Trovandosi a Firenze al servizio di Cosimo I de’ Medici, Vasari fu influenzato dal fermento culturale che, agli inizi del 1573, portò alla nascita della Camerata de’ Bardi e di conseguenza a quella del melodramma. Quando ricevette l’incarico di progettare le Logge, incluse all’interno dell’edificio anche un teatro, al quale si accedeva dal Praticino o, nel caso dei rettori della Fraternita dei Laici, dal camminamento sopraelevato che univa la loro sede al nuovo edificio. Il luogo per gli spettacoli fu rinnovato tra il 1740 e il 1742 dall’architetto Alessandro Saller. Tra Settecento e Ottocento cambiò più volte nome: Teatro Grande, Regio, Imperiale, dei Concordi e La Fenice. Nel 1867 cessò la sua attività e nel 1871 divenne Corte d’Assise. Negli ultimi anni è stato convertito in spazio polifunzionale per eventi espositivi e musicali.

LA SEDE DELLA FRATERNITA DEI LAICI, UNA MIRABILE FUSIONE DI STILI Spostandoci sul lato nord-occidentale della piazza, incontriamo il Palazzo della Fraternita dei Laici, sede di un’istituzione sorta nella seconda metà del XIII secolo, che, da allora, è sempre stata un punto di riferimento della città in ambito sociale, assistenziale e culturale. Il nuovo edificio di rappresentanza venne iniziato nel 1375. La facciata fu affidata a Baldino di Cino e Niccolò di Francesco, ma nel 1377 i lavori si fermarono alla prima cornice sopra gli archi per mancanza di risorse. Tra il 1395 e il 1396 Spinello Aretino affrescò il portale con il “Cristo in pietà tra Maria e San Giovanni dolenti”. Nel 1410 morì Lazzaro di Giovanni di Feo Bracci, ricco mercante aretino, che lasciò tutto i suoi averi alla Fraternita. Le risorse permisero la ripresa della costruzione. A progettare il secondo piano fu chiamato nel 1433 Bernardo Rossellino, che per la facciata realizzò, assieme ai collaboratori, il bassorilievo della “Madonna della Misericordia con il Bambino, tra i protomartiri Lorentino e Pergentino”, affiancata da due edicole con le statue di “San Donato” e del “Beato Gre-

gorio”. Gli interventi proseguirono fino al 1461. Con il secondo ordine, concluso dal ballatoio di Giuliano da Settignano, si giunse a una fusione straordinaria del già esistente impianto gotico con il nuovo linguaggio rinascimentale. Nel 1549, su disegno di Giorgio Vasari, venne inserito il campanile a vela che accolse l’orologio astronomico di Felice Salvatore da Fossato del 1552. La facciata dell’ampliamento verso la pieve fu invece eseguita nella seconda metà del Seicento. Nel 1786 parte della struttura divenne sede del Tribunale o Ruota civile. Negli ambienti rimasti liberi la Fraternita collocò in periodi differenti la libreria, la Scuola libera di disegno e modellatura e le raccolte di antichità e storia naturale. Agli inizi del secolo scorso l’intera struttura fu adattata a luogo di giustizia, finché del 2008 gli uffici giudiziari vennero trasferiti in una nuova sede. Dal 2010 il palazzo è diventato una sede museale, arricchita anno dopo anno da tesori e sale tematiche. Tra le opere custodite alcune ci mostrano le trasformazioni della piazza nei secoli, come ad esempio il “San Rocco” di Bartolomeo della Gatta del 1479 e una settecentesca “Veduta di Piazza Grande”.


Anche se la facciata e l’accesso principale sono nella parte alta di Corso Italia, con la sua suggestiva abside la Pieve di Santa Maria Assunta è a tutti gli effetti uno degli edifici di Piazza Grande. La chiesa battesimale urbana, “madre vegliarda” secondo una definizione di Angelo Tafi, che le dedicò anche un volume monografico, sorse tra il V e il VI secolo, ma fu ricostruita nel IX secolo e ancora nel 1150 in stile romanico. Gli interventi proseguirono anche nel secolo successivo e portarono in dote i bassorilievi dei portali, il “Ciclo dei Mesi”, capolavoro scultoreo policromo, e la facciata suddivisa in un ordine inferiore di cinque arcate cieche, al quale si sovrappone lo spettacolare loggiato superiore a tre ordini. La torre campanaria, detta “delle cento buche”, venne ultimata nel 1330. A partire dal Cinquecento cominciarono i rimaneggiamenti della chiesa, sotto la direzione di Giorgio Vasari. Ai secoli XVII e XVIII risalgono i rifacimenti barocchi, a cui seguì il ripristino stilistico della seconda metà dell’Ottocento, per molti versi discutibile. I casi più emblematici di questi interventi arbitrari furono quelli

alla cripta e all’abside duecentesca, senza dimenticare lo smantellamento della cappella gotica esterna che dava sulla piazza, quasi di fronte alla fontana del 1603, voluta dalla Fraternita dei Laici a compimento del nuovo acquedotto. TORRI E MERLI PENSANDO AL MEDIOEVO Il lato sud è contrassegnato dal quattrocentesco Palazzo Cofani-Brizzolari e dalla possente torre attigua del XIII secolo, detta Faggiolana, che deve il suo nome al condottiero ghibellino Uguccione della Faggiola. Egli fu podestà di Arezzo dal 1292 al 1295 e, secondo la tradizione, la abitò. Durante il Ventennio venne restaurata e merlata nell’ambito del revival stilistico che nel 1932 aggiunse il pozzo. Sul lato est il neomedievalismo portato avanti sotto l’egida di Giuseppe Castellucci e Umberto Tavanti è ancor più evidente nei vari edifici. Basti guardare il trecentesco Palazzo Lappoli e la vicina torre duecentesca, anch’essa rialzata e merlata. Prima di salire per piaggia San Martino, vale la pena fare l’ultima sosta di fronte alla casa resa famosa dalla scena della

chiave che cade dall’alto nel film Oscar “La vita è bella” di Roberto Benigni. UNA PIAZZA DA VIVERE Negli ultimi anni le istituzioni cittadine e le associazioni di categoria hanno fatto molti sforzi per valorizzare Piazza Grande, meta imprescindibile dei turisti ma poco frequentata dagli aretini, se non per le due edizioni della Giostra del Saracino e per quelle mensili della Fiera Antiquaria. Da ricordare il rinnovamento del mattonato del 2009, il restauro delle arcate delle logge e il rifacimento della terrazza in travertino della Fraternita dei Laici del 2019 e il recupero della fontana del 2020, senza scordare i lavori che hanno musealizzato il Palazzo della Fraternita e dato vita alla Casa della Musica. Manifestazioni di grande richiamo come “Arezzo Città del Natale” hanno riportato il grande pubblico in piazza durante il periodo natalizio, mentre la scelta di mettere i tavoli sul mattonato da parte dei locali, dopo la fine dell’emergenza sanitaria da Covid-19, ha dimostrato le grandi potenzialità della piazza nei mesi estivi.

17 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

LA PIEVE, MADRE VEGLIARDA DEL POPOLO ARETINO


ilariosesto 71 | Arezzo, Italy

ale.cla.aroundtheworld 51 | Faltona

93 | Castiglion fiorentino

valitwiga

18

mrg52j 50 | Castello di Poppi

loretta__galli 108

jacoemme 267 | Il Prato Di Arezzo


| U P I N S TA G R A M |

UP Instagram TORNARE A VIVERE DI SARA FRANCIOLI

Tornare a vivere, sperare, divertirsi. Ecco quali sono gli imperativi per questa estate dopo la fine del lockdown. E’ senza dubbio un’estate italiana, lenta, dal sapore un po’ vintage e che ci fa riscoprire mete vicino a casa, onorando le bellezze del nostro territorio. E’ il momento perfetto per attraversare in lungo e in largo le nostre splendide vallate aretine, con grandi spazi immersi nella natura, con tante attività da fare e con le loro tradizioni da riscoprire.

74 | Alpe di Catenaia

19 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

Grazie alle foto che avete condiviso, ci avete fatto entrare virtualmente in questi luoghi, quindi continuate a seguirci e a pubblicare le vostre foto di Arezzo e provincia con #upmagarezzo.


Santino Cherubini in posa con le radici del suo orto. Insieme ad Alessandro Lisi e Francesco Maria Rossi ha formato il tri comico "Gli Avanzi di Balera" che ha spopolato per vent'anni in provincia di Arezzo

20


|

U P I N T E RV I S TA

|

SANTI IN PARADISO

HA SMESSO DI FARE IL METALMECCANICO ANCHE SE NON È ANCORA IN PENSIONE. NON FA PIÙ SPETTACOLI COMICI PERCHÉ ANCHE IL PALCO ERA DIVENTATO UN PESO. ADESSO SI DEDICA ALLA CAMPAGNA TRA OLIVI, PATATE NOVELLE, PORRI E CIPOLLE: “HO RINUNCIATO A TANTE COSE, HO LA STESSA MACCHINA DA VENT 'ANNI E POCHI RIMPIANTI. L'ORTICOLTURA È UN RICOSTITUENTE PER ME”. IL COVID, LA POLITICA, IL VERNACOLO ARETINO, IL PENNA E IL BUSSINO. INTERVISTA A SANTI CHERUBINI CON UNA FIAMMELLA DI SPERANZA ACCESA: GLI AVANZI DI BALERA POTREBBERO TORNARE DI ANDREA AVATO

C

hiani, pomeriggio assolato di inizio estate. Santino Cherubini si mette in posa dopo aver improvvisato un set fotografico nel cortile di casa. Tavolino apparecchiato alla buona, brocca di vino, olio nuovo, patate novelle, cipolle e porri. “Scrivilo che queste sono le mie radici” dice sorridendo per il gioco di parole mentre scattano i flash. Lo scriverò. E' la verità. L'orticoltura è un ricostituente per me. E poi mantengo la tradizione aretina. Vedi quell'oliveto là dietro? Era abbandonato, ci ho messo cinque anni ma adesso è a posto. Ho anticipato il covid. In che senso? Nel senso che tanti, durante la quarantena, hanno riscoperto la passione per l'orto. Ma ormai questa è una società in rincorsa, il mercato globale è la cosa più amorale che ci sia. Prima di cominciare, dimmi come devo presentarti. Artista, scrittore, comico, opinionista, orticoltore: cosa

sei? La parola artista va usata con cautela. Oggi sono tutti artisti, anche il barman, il cuoco. Una volta stavano dietro le quinte, era gente che sudava, chi li conosceva? Oggi sono fighi. Oggi sono tutti creativi, anche in cucina. Eppure la minestra di pane è la stessa da trecento anni, Quindi non sei un artista. Non lo so, io mi sento assolutamente sovrastimato, ma come faccio a dire a certi ammiratori che sono una mezza sega? Com'è la tua vita? Così come vedi. Per anni ho fatto cose che non mi piacevano. Ero un metalmeccanico e non mi piaceva. Non mi piaceva nemmeno lo spettacolo: era diventato un obbligo. Ultimamente faccio qualche serata da solo ma non riesco a campare di questo, quindi ho adattato la mia vita al reddito. Me ne sto in campagna, anche se non vorrei passare per fricchettone. No, non ci passi. Quello che c'è qui intorno mi basta, faccio a meno di tanta roba. Ho la stessa

macchina da vent'anni, ho pochi amici ma buoni. E ho 33 anni di contributi. Prima o poi mi daranno una pensione. Dopo il covid siamo diventati migliori? Non credo. Questo isolamento ha fatto venire fuori il peggio di noi, ci ha svegliato la coscienza civica in maniera distorta. Siamo diventati tutte guardie civili. Le ronde padane erano nulla a confronto. E comunque io ho rispettato sempre il limite dei duecento metri. Cioè? Si poteva stare intorno a casa fino a quella distanza, no? Io ho le patate a 187 metri, misurati con la fettuccia. Più in là di quel confine non ci andavo. Insomma, al contrario di quello che si legge sui social, non è andato tutto bene. No. I nostri anziani parlavano poco perché sapevano di non conoscere tutto. Oggi va al contrario. E invece prima di esprimere un'opinione bisognerebbe averla. O comunque impegnarsi a farsela. A me le certezze fanno più paura del

\ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

21


www.tizziautomobili.it

Tizzi Automobili


dubbio, l'ho imparato da mia mamma Quinta. Che poi era Emma Bicchi. Il personaggio dei mitici Avanzi di Balera? Sì, era ispirato a lei. Mi vestivo, mi truccavo, sul palco ero identico a lei. Le sue amiche quando la incontravano, le dicevano: “L'altra sera t'ho visto allo spettacolo, sei proprio brava”. Tu lo sai, vero, che insieme ad Alessandro Lisi e Francesco Maria Rossi hai segnato un'epoca? Diciamo che il nostro successo stava tutto nel linguaggio. Era in sintonia con la cultura del territorio. Se ci pensi, a chi non è mai schiantata la damigiana d'olio dentro la 500... Eravamo naturalmente popolari. E la gente rideva. Le mie battute erano spontanee, non mi sono mai posto il problema di far ridere. La risata nasce dalla replica di situazioni reali, lo diceva Carlo Verdone. Parlami del Penna, dai. Com'è nato il personaggio? A Radio Life, in un programma di Leonardo Franceschi, imitavo questo vecchino che faceva i lavori in casa della gente. Il Penna era lui, io non ho inventato niente. Non ho inventato nemmeno il Bussino, è una maschera che avevo sempre messo in scena, fin dai tempi della Settimana Incom su Teletruria, con Luca Caneschi e Massimo Gianni. Il Bussino però è diventato un paradigma di aretinità. Bussino sta per piccolo boss oppure per trombatore. E' il povero diventato ricco che nega la sua ricchezza. E, anche se ha i soldi, la casa se la costruisce da sé. Quanti ne ho conosciuti, soprattutto orafi.

Più ignoranti o più intraprendenti? Tutte e due le cose. Ho lavorato una vita alla UnoAErre, c'era gente che aveva strappato a fatica il diploma del Margaritone e creava marchingegni che nemmeno un ingegnere. Ricordati sempre che gli orafi non parlavano le lingue ma vendevano in tutto il mondo. Adesso non è più così? Adesso l'orafo è spaesato. C'è questa parola che va di moda: diversificare. Vorrebbe darsi all'agriturismo perché “se c'è riuscito lu ce la posso fare anch'io”. Solo che non funziona in questo modo. Anche il parallelo tra l'economia del dopoguerra e questa del post coronavirus è una forzatura giornalistica e basta. Tu sei di sinistra? Ho le basi di un pensiero di sinistra, è diverso. Mi sembra che destra e sinistra esistano solo a livello teorico, la pratica è un'altra cosa. E a livello teorico che differenze ci sono? La sinistra è idealità, sogno, la destra è pragmatismo. Io cerco umanità nella politica, ma probabilmente è un ossimoro. Per questo mi candidai con la lista civica dell'ingegner Lucherini alle comunali del 2011. Lui era uno fuori dagli schemi, non era di destra, aveva un rapporto autentico con le cose. La sua umanità era presente in ogni obiettivo che si poneva. Infatti pagò per tutti con le inchieste giudiziarie. E adesso? Sono disorientato come tanti, ma andare oltre gli steccati è una mia abitudine. Negli anni '80 ero un sindacalista della Cgil e sostenevo che gli operai erano concettualmente di destra: a loro non importava nulla dei valori, dei princìpi,

degli ideali, di un lavoro piu umano. Puntavano al benessere solo economico. Quando lo dicevo, non mi credevano e mi bollavano come fascista. Oggi mi darebbero ragione. Ma gli Avanzi di Balera che fine hanno fatto? Con Alessandro e Francesco viviamo le nostre vite in amicizia, ma un progetto vero per tornare non c'è. Ce n'è solo uno in embrione che mi piacerebbe mettere in scena: il backstage degli Avanzi di Balera, un grande evento unico. Potremmo raccontare aneddoti che la gente non immagina. Eravamo dei pazzi. Perché? Perché per esempio abbiamo sempre lavorato a cachet, quasi mai c'era un biglietto d'ingresso. Lo spettacolo non è mai stato una professione per noi. Altrimenti a quest'ora saremmo stati ricchi. Ma come eravate veramente voi tre? Tre persone diverse, tre talenti equidistanti. Litigavamo spesso, anche nel camerino pochi minuti prima di salire sul palco. Erano litigi forti ma schietti, infatti poi si accendevano le luci e tutto funzionava. Eravamo tre menti diverse, insieme creavamo questa magia di equilibrio di cui naturalmente non avevamo consapevolezza. Spiega. Ricordo monologhi eccezionali che Alessandro non voleva recitare perché non c'erano battute dentro. “Le cose vere non fanno ridere” diceva. Io la penso all'opposto. Come penso che il ruolo di Francesco non sia stato apprezzato ap-

23 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

“Con Alessandro Lisi e Francesco Maria Rossi abbiamo avuto successo grazie al linguaggio in linea con la cultura del territorio. Eravamo naturalmente popolari”


24 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

pieno. Ti ricordi le sue espressioni? Era il borghese intellettuale bastonato dal contadino. Era perfetto. Il pubblico si sganasciava. Quindi tornerete? Non lo so, non so se gli Avanzi funzionerebbero ancora. All'epoca elogiavo l'arguzia del Bussino per metterne in luce la cafonaggine: forse la gente di adesso non capirebbe. Il motivo per cui avete interrotto gli spettacoli lo puoi svelare? Dal 1993 al 2011 siete stati applauditi, anzi adorati come nessun altro ad Arezzo. Per me la fatica stava superando il piacere, fatica psicologica intendo. E poi è meglio staccare quando sei all'apice piuttosto che quando sei già in decadenza. C'è in giro qualcuno che potrebbe raccogliere la vostra eredità? O in cui rivedi alcuni tratti degli Avanzi di Balera? Sinceramente no. Ci sono diversi soggetti che si sono rivelati sui social, molto bravi a scrivere, ognuno col suo stile, e che si sono creati un pubblico che li segue. Ma purtroppo non sanno sostenere il palco. Un paio di penne che leggo con

piacere sul web, perché sanno fare ironia nel modo giusto, sono Franco Gori e Luciano Petrai. Cosa pensi del vernacolo aretino, tu che lo maneggi con maestria? Penso che il nostro sia un linguaggio a risparmio energetico. Esempio. Se incontriamo qualcuno che non vediamo da tanto tempo e restiamo sorpresi, non gli diciamo “ciao, è una vita che non ti vedevo, come ti vanno adesso le cose?”. No, gli diciamo: “mio, o te?”. Verissimo. E' un linguaggio egocentrico, l'aretino ti dà subito del tu. E' scorbutico, perché l'aretino ci vive in mezzo alla bellezza e non ha bisogno di acculturarsi. E tutto questo turismo alla fine gli dà anche un po' fastidio. L’aretino è schietto, magari non è gradevole foneticamente ma sano. Possiamo affermare che l’aretino è biologico. Tu ci hai anche scritto un libro. “Cantieri, tutti i Santi” insieme a Filippo Nibbi. Da lì è nato uno spettacolo che mi è piaciuto, “Sagre e profano”, nonostante sia mancato il grande pubblico. Ho riscoperto una cosa che sapevo già e cioè che la comicità è psicologia. Non esiste

battuta che non abbia come fondamento l'animo umano. Rispetto al passato, non trovi che Arezzo sia più consapevole delle proprie risorse artistiche, culturali e riesca a metterle in mostra in modo più capillare? Io ho sempre l'impressione che gli aretini, quando si vantano delle proprie bellezze, in realtà ostentino, fingano. Non ci credono fino in fondo. Forse succede perché ci è mancata la borghesia, siamo passati dalla terra alla ricchezza senza passaggi intermedi. Spero nelle nuove generazioni, anche se mancano di spontaneità. Se potessi tornare indietro, c'è qualcosa che non rifaresti? Non rifarei tante cose perché non le avevo capite, specie nel lavoro in fabbrica. Chiederei scusa a un po' di persone, gli anni '80 sono stati tremendi, con conflitti profondi. E io me li sento ancora addosso. A livello artistico invece no, non ho rimpianti. Nemmeno uno? Uscivo di fabbrica alle due di pomeriggio, prendevo il treno, andavo in tutta Italia per fare gli spettacoli, tornavo la mattina presto e rientravo in fabbrica. D'estate ero sempre in tour con il Super Rally, uno spettacolo di varietà: imitavo uomini politici come Berlinguer, Saragat, Fanfani, ma anche gli sportivi. Moser e Thoeni mi venivano benissimo. E oggi hai ancora un obiettivo da raggiungere davanti a te? Se ti poni obiettivi, corri il rischio di anteporli alle idee. Io vorrei solo vivere bene, continuando a coltivare il dubbio. Sai cosa mi diceva sempre mia mamma? Cosa? Arcordete, c'è sempre qualcun che n'te ce ride.


ADVERTISING / ATLANTIDE ADV

EMOZIONI, IDEE NATURA. Via F. Crispi 58/A, Arezzo Tel. 0575/23872 - Cell. 338/5444990 francesco@lofficinadeifiori.it

Francesco Guidelli


26


|

UP PEOPLE

|

L'avvocato dell'innovazione

GIANLUCA PARRESCHI AIUTA LE AZIENDE CON ELEVATO POTENZIALE DI SVILUPPO A REPERIRE RISORSE PER LA CRESCITA NEI SETTORI FASHION, CHIMICO, TECNOLOGICO, VITIVINICOLO E DEL FOOD DESIGN. “LE IMPRESE ATTENTE AI VALORI DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE PRODUCONO GLI UTILI MAGGIORI E LA MIA PASSIONE È SCOPRIRE LE STARTUP PIÙ INNOVATIVE. IL SEGRETO? L'ISTINTO E LA BELLEZZA DELLA TOSCANA” DI MATILDE BANDERA

ce, cioè ambientale, sociale e gestionale) sono quelle che producono maggiori utili rispetto ad omologhe aziende non ESG: hanno più facilità di accesso al credito bancario, sono più ambite rispetto alle altre e hanno maggiori possibilità di ottenere fondi di private equity. Inoltre statistiche e studi sul tema della sostenibilità dicono che i ragazzi di oggi, che saranno i consumatori di domani, consapevoli e attenti, preferiranno acquistare prodotti di aziende ESG. Non ottenere questo tipo di riconoscimento potrebbe costituire, quindi, un fattore di discriminazione per le imprese, che rischierebbero di uscire dal mercato. Tramite lo studio associato Union Legal, di cui faccio parte assieme ad altri colleghi di Arezzo e Milano, garantiamo una copertura consulenziale a organizzazioni prevalentemente del Centro Italia e ci occupiamo di valutazioni finalizzate ad accertare il livello di compatibilità delle aziende ai parametri ESG: alle imprese più attente al rispetto delle tematiche, oggetto del report di sostenibilità, conferiamo la certificazione ESG”. E come Gianluca Parreschi riesce a coniugare la sua attività, così dinamica, con la vita in una città di provincia? “Poter lavorare a Londra e Milano e abitare in Toscana è il massimo. Non potrei fare a meno dell’arte e della femminilità, sono per me fonti di stupore e ammirazione continua e trovo che la bellezza

sia nascosta nelle piccole cose. Vivere ad Arezzo è un gran privilegio: al mattino mi basta aprire le finestre di casa per ricevere una vera e propria iniezione estetica che mi dà la carica per tutta la giornata. Mi rende orgoglioso sapere che ad Arezzo vengono prodotti i gioielli e gli accessori di moda qualitativamente migliori del mondo. Dentro capannoni anonimi si celano talenti, genialità e abilità impareggiabili tipicamente italiani, e anche questa per me è bellezza. Nel mio lavoro ho avuto spesso l’occasione di svolgere una vera e propria attività di scouting con le start up: avendo contatti con importanti investitori, oggi vengo cercato da imprenditori che hanno bisogno della mia consulenza per analizzare le opportunità di crescita e tararne al meglio il piano di sviluppo. Nel valutare il potenziale di un’azienda mi fido principalmente del mio istinto: mi rendo conto sin da subito se c’è una base su cui investire e, quando la trovo, faccio del mio meglio per far sì che quest’azienda riceva il capitale necessario per crescere”. L’avvocato Parreschi saluta con una personale considerazione sul post emergenza: “Nei momenti di grande crisi nascono grandi opportunità. Dalle calamità l’ingegno umano ne è sempre uscito con nuove idee, nuovi prodotti, nuove filosofie, nuove cure. Nei prossimi anni avremo il piacere di assistere alla nascita di innovazioni, il talento italiano ci salverà”.

27 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

G

ianluca Parreschi lavora tra Arezzo, Londra e Milano. Aretino, è un avvocato specializzato in diritto ambientale e consulenza legale nell'ambito delle attività di investimento in aziende con elevato potenziale di sviluppo (private equity) e in fase di start up (venture capital). Vive qui con la famiglia, nella sua città di origine, dove riesce a mantenere un perfetto equilibrio tra professione e sfera privata, circondato dalla campagna aretina. In tribunale punta a non andarci e a non fare arrivare mai a processo i suoi clienti. L’avvocato d'impresa, infatti, supporta l’imprenditore nelle fasi decisionali per limitare al massimo gli errori di valutazione che possono dar luogo a contenziosi. L'altro settore di attività di Parreschi è quello finanziario, cioè di aiuto nel reperimento delle risorse per la crescita dell’impresa, favorendo lo sviluppo di aziende del territorio nei settori fashion, chimico, tecnologico, vitivinicolo e del food design (disciplina moderna legata alla progettazione innovativa di alimenti oltre che di utensili e arredi legati al cibo). “La mia funzione di anticipare gli scenari finanziari futuri mi ha portato a specializzarmi in sostenibilità ambientale come elemento di sviluppo per le aziende", dice Parreschi. "Le aziende che hanno maturato una sensibilità verso le tematiche ESG (Environmental, Social, Governan-


|

UP PEOPLE

|

La città invisibile e le parole ritrovate DIPLOMATA ALLA SCUOLA HOLDEN DI BARICCO IN TECNICHE DELLA NARRAZIONE, MARTINA CARNESCIALI OGGI È UNA EDITOR, LAVORO CHE HA PRESO CORPO DURANTE IL LOCKDOWN, MA CHE È SEMPRE STATO DENTRO DI LEI, NASCOSTO NELL’AMORE PER I LIBRI E NELLA PASSIONE PER LA LETTURA DI FRANCESCO CAREMANI

28 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

S

e fosse un luogo sarebbe “Il viaggiatore immaginario”, se fosse un libro “Le città invisibili”, se fosse una parola “altrove”. Lì dove ti portano i suoi occhi scuri e la sua voce vibrante, in un racconto di vita che ne racchiude almeno altre cinque, senza contare tutte quelle lette. Martina Carnesciali porta con finta leggerezza i suoi trentacinque anni, in un continuo rincorrere città, lavori e perfino se stessa, con la speranza recondita di non trovarsi mai, per non fermarsi, per dribblare continuamente la noia, cosa che fa spesso e volentieri con la lettura, saltando da un libro a un altro, da una parola a un’altra; forse l’unico vero punto fermo della sua vita, adesso un lavoro. “Il lockdown è stato bruttissimo e bellissimo al tempo stesso. Bellissimo perché amo stare da sola in casa, bruttissimo quando sono gli altri a impedirti di uscire. In quei giorni è scattato qualcosa in me e ho capito che non potevo farmi mangiare quel tempo, non potevo lasciarlo scorrere e basta. Così ho fatto il mio sito (sottotestoeditoriale.wordpress. com, ndr) e ho aperto la partita IVA, dandomi un’opportunità”, quelle che il mondo editoriale, soprattutto in questo Paese, fatica a concedere, anche alle più brave. Il babbo Rosaldo operaio orafo, la mamma Simonetta maestra, il fratello Paolo dentista, più grande di nove anni e un’infanzia piena di solitudini riempite

con la lettura: «Ho iniziato da piccola con i librini che si trovavano nei fustini del detersivo, il primo era la storia di un gatto, inseguivo mia madre e glielo leggevo, un po’ per davvero, un po’ inventando le parole. A dodici anni, invece, ho scelto e acquistato con i miei risparmi “I fiori del male”, di Charles Baudelaire, ancora oggi uno dei miei preferiti”. Un diploma al liceo scientifico Redi e la voglia di iscriversi alla Scuola Holden di Torino, ma un incidente e il coma scozzano le carte, Martina inizia a studiare Lettere ad Arezzo: “Era come se lo dovessi ai miei, ma dopo due anni non ho resistito, ho fatto il test d’ingresso alla Holden (master in tecniche della narrazione, ndr) e mi hanno presa: sono stati i due anni più belli della mia vita. Perché? Perché quando, ventunenne, sei sola, lontana cinquecento chilometri da qualsiasi tipo di controllo, quando ogni mattina ti svegli parlando di Dostoevskij e della musica che ti piace con persone che hanno i tuoi stessi gusti, senza sentirti sbagliata, con docenti come Baricco, Moretti e Mari, be’ diventa un presente totalizzante”. A Torino Martina prova a riprendere in mano gli studi universitari, ma prima trova uno stage e poi un lavoro, scrivendo per le pagine culturali del quotidiano La Stampa, cosa che continua a fare: “Ho intervistato Elizabeth Strout, premio Pulitzer per la narrativa con “Olive Kitteridge”, e sono stata, a mia volta, intervistata da Rai Radio 3 per un pezzo su

Judy Garland e i retroscena de “Il mago di Oz”; mi sono divertita molto”. La crisi dell’editoria la spinge via da Torino, dal Parco del Valentino e le passeggiate in riva al Po. Arezzo, Bologna e ancora Arezzo, per amore di un ragazzo. Questo si è consumato, quello per le parole no, così è ripartita dallo IED di Firenze e un master in Web communication and social media marketing. “Il primo cliente è stato uno scrittore di Sarzana. Mi ha fatto leggere il suo romanzo per caso e io, in automatico, ho iniziato a editarlo: è rimasto così contento dei miei suggerimenti che mi ha spinto a intraprendere il lavoro di editor. In questi mesi molte persone hanno iniziato a scrivere e vogliono mandare i propri lavori alle case editrici nella migliore veste possibile. Ad Arezzo, invece, la prima commissione è quella di un medico che scrive libri di storia e storia della medicina”. L’incidente e il coma hanno lasciato dentro Martina una fame difficile da soddisfare. Una fame di vita, di luoghi, d’incontri, senza immaginare il futuro e nemmeno progettarlo, desiderando continuamente di essere altrove. Potreste incontrarla nei vicoli dell’Arezzo vecchia, mentre passeggia lambendo le vite degli altri che escono maldestramente dalle finestre aperte, oppure alla stazione, pronta a prendere il primo treno per Torino. Se vi capita, attaccate bottone, vi racconterà storie incredibili e bellissime. Se siete fortunati, la sua.


29


|

UP ECCELLENZE

|

Le buone ragioni per alzarsi la mattina

DI CHIARA CALCAGNO

30 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

ALESSIA CLUSINI È NATA A PIEVE SANTO STEFANO MA VIVE E LAVORA A LONDRA DOVE HA FONDATO TRYBES ANGENCY, METTENDO A PUNTO UN METODO DI RICERCA RIVOLUZIONARIO SULLE COMUNITÀ ONLINE CHE SI RIUNISCONO ATTORNO A UN ARGOMENTO DI INTERESSE. NEL 2019 È STATA INSERITA TRA LE 50 DONNE PIÙ RAPPRESENTATIVE D'ITALIA: “MA IL MIO NON È STATO UN PERCORSO RETTILINEO, HO DOVUTO INTRAPRENDERE ALMENO TRE CARRIERE E VIVERE IN PAESI DIVERSI. OGGI PERÒ SONO VICINA AL CONCETTO DI IKIGAI”

I

kigai (生き甲斐) è un concetto giapponese che non può avere una traduzione precisa. Potremmo semplificare definendolo la “ragione per alzarsi la mattina”. E’ l’incrocio di quattro diversi aspetti: quello che uno ama, quello in cui è bravo, quello di cui il mondo ha bisogno, quello per cui può essere pagato. Difficile da trovare in una sola vita. Eppure c’è chi ci riesce o, per lo meno, che ci arriva molto vicino. Alessia Clusini, giovane imprenditrice di Pieve Santo Stefano, da quattro anni vive a Londra e si occupa di strategia e analisi dati. Ha disegnato un metodo di ricerca rivoluzionario studiando le comunità, i gruppi, le tribù che si riuniscono attorno a un determinato argomento di interesse. Nel 2019 è stata scelta da D di Repubblica come una delle 50 donne più rappresentative d'Italia. “Non me lo aspettavo, mi ha reso molto felice. Soprattutto perché ero insieme a persone che ho avuto il piacere di conoscere e

ammirare per molto tempo”. Alessia è co-fondatrice di Trybes Agency che, dal 2016, si occupa di ricerca sui consumatori. “Aiutiamo le aziende e i progetti a raggiungere e comprendere clienti in tutto il mondo tramite una tecnologia che si chiama intelligenza ibrida, cioè intelligenza artificiale più un team di psicologi, antropologi, sociologi e analisti. Nell’industria delle ricerche di mercato, siamo specializzati nell’analizzare le comunità online e i valori culturali che le permeano, andando oltre i dati demografici che sono limitanti e non rappresentativi. Dalle supernicchie come gli amanti delle sirene ai big data delle mamme, abbiamo analizzato milioni di human data. Di recente ci contattano sempre di più per intercettare le giovani generazioni, la famosa Gen Z”. Laurea in design, master in marketing e studi professionali in social network analysis e netnografia.

“Il mio percorso non è stato proprio rettilineo. Per arrivare dove sono adesso, vicino appunto al concetto di Ikigai, ho intrapreso almeno tre carriere, ho vissuto in diversi paesi e ho imparato competenze da persone incredibili che vengono da background e visioni molto eterogenee. Ho cominciato lavorando come stilista e trendsetter, cioè creatrice di tendenze. Ero felice perché stavo facendo esattamente quello che ‘volevo fare da grande’ e stava portando risultati ma, nel 2009, la crisi finanziaria globale ha colpito duramente il settore, e il sogno è finito. Quindi mi sono trasferita in Australia e, mentre lavoravo in ristoranti e imparavo l'inglese, ho lanciato un progetto giocando con il guerrilla marketing, strategia marketing non convenzionale, a basso budget. Si è rivelato un successo insperato, sono rimasta sorpresa e ho capito su cosa volevo puntare”. Rientrata in Europa, Alessia presenta do-


31

manda per un master in marketing e comunicazione e vince l'unica borsa di studio disponibile. “L'ho preso come secondo segno del destino e ho deciso di intraprendere quella che si è trasformata in una nuova carriera. Il master, infatti, mi ha garantito il mio primo lavoro nel social media marketing. Parlo di nove anni fa, il traffico online e la crescita erano praticamente organici e si poteva sperimentare con piattaforme e comunità molto più di adesso. Ho avuto un immediato successo e ho creato una rete di creativi e operatori di mercato per offrire i nostri servizi. Eravamo i cosiddetti ‘nomadi digitali’: lavoravamo da remoto mantenendo bassi i costi. Facevamo soldi e ci divertivamo”. Ma un altro terremoto sconvolge le carte. Cambiano gli algoritmi dei canali social e ciò costringe i marchi ad impiegare grandi budget per raggiungere il loro pubblico; nel frattempo la quantità di contenuti disponibi-


“ “suggerirei a tutti di curare il proprio network e le proprie relazioni perché il capitale umano potrebbe diventare una forma d'investimento ufficiale” 32 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

li online aumenta molto e la concorrenza per l'attenzione delle persone diventa sempre più difficile. “Così mi sono fermata e ho ricominciato a studiare, questa volta in analisi delle reti sociali, dei contenuti e netnografia: più una marca conosce il suo pubblico, più può costruire una comunicazione efficace. Volevo concentrarmi sull'analisi per generare veri risultati, su contenuti e strategia. Ancora una volta, è stato il momento giusto: il boom dei big data”. Lungo la strada, la fortuna e il merito di incontrare persone straordinarie che sono diventate i partner di agenzia: Martina Faralli, psicologa specializzata nell'analisi dei contenuti, e Tomiwa Adey, ingegnere di intelligenza ibrida. “La mia seconda famiglia. Abbiamo creato un paio di strumenti tecnologici davvero innovativi come Krowd, il primo mezzo analitico al mondo per le comunità di Facebook, abbiamo sperimentato con l'ascolto delle reti sociali e sfatato alcuni miti consolidati nelle ricerche di mercato”. Le connessioni avranno un ruolo sempre più

integrato nella vita di tutti i giorni. E i social network potranno forse cambiare abito senza rinunciare al proprio potere. “Pensiamo a quanto questa crisi da isolamento ha fatto avanzare l'uso della tecnologia e le abitudini di milioni di persone per rimanere connesse l’una all’altra. Inoltre, penso ad un futuro di micro-gruppi: vedo un trend in crescita, anche favorito dall’emergenza Covid19, di persone che vogliono aggregarsi in piccole comunità all’interno di grandi eventi o piattaforme enormi, come Facebook. Prediligeremo le connessioni con maggiore significato, lasciando un po’ da parte la fruizione social massificata a cui siamo stati abituati negli ultimi dieci anni”. E i possibili scenari? “Ne vedrei uno un po' distopico in cui ognuno avrà un ‘punteggio social’. Per questo suggerirei a tutti di curare il proprio network e le proprie relazioni minuziosamente, perché il capitale umano potrebbe diventare una forma di investimento ufficiale. Poi co-creare il futuro che vogliamo e quindi coinvolgere da subito antropologi, psicologi e sociologi per evitare un finale alla Black Mirror”.

Dalla rassicurante Pieve Santo Stefano, Alessia Clusini ha scelto di vivere in una delle metropoli più ricche e popolose d’Europa. “Londra è un’ottima connessione con i mercati globali, è un ecosistema dove il business è più semplice e si ha accesso ad un pletora di opportunità, aziende e soluzioni tecnologiche che in Italia purtroppo non abbiamo ancora. Ma resto molto attaccata alle mie origini e amo la Pieve e la nostra provincia con le dolci tradizioni e il profumo di casa. Con il mio compagno cerchiamo sempre di vivere alcuni mesi all’anno in Italia. Chissà se, finita la pandemia, riusciremo anche quest’anno”. Consigli per un giovane che si affaccia al mondo del lavoro? “Un paio di cose: di non fermarsi davanti a nulla e che non esiste un destino già scritto o un futuro garantito, nel bene e nel male. E poi, in particolare a questa generazione di nuovi adulti, di rivendere la propria esperienza con i mezzi e i canali digitali. Il loro punto di forza più grande è essere cresciuti durante una rivoluzione tecnologica e culturale, non va sprecato”.


@upmagazinetips

via Cavour 67 | Arezzo federicovalentini.com


|

UP SPORT

|

Piccola moto, grande campione SIMONE NASCOSTI HA 33 ANNI, È DI CASTIGLION FIORENTINO E HA VINTO DUE VOLTE IL CAMPIONATO MONDIALE NITROBIKE: LA SPECIALITÀ DELLE MOTOCICLETTE IN MINIATURA RADIOCOMANDATE. DOPO LO STOP PER IL CORONAVIRUS NEL 2021 RIPARTE LA CACCIA AL TITOLO IRIDATO DI MATTIA CIALINI

34 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

I

l lockdown non ha fermato i suoi allenamenti, ha allestito una pista nel giardino di casa e ha provato, testato, fatto correre i suoi gioielli di meccanica in miniatura. Per farsi trovare pronto nel 2021 e continuare a essere il numero uno al mondo. Simone Nascosti ha 33 anni, è cresciuto a Castiglion Fiorentino, è impegnato nell'azienda di famiglia (la Nascosti Snc che lavora acciaio inox), abita ad Arezzo. Ed è bicampione mondiale. Ha vinto il titolo iridato nel 2018 per la prima volta, nel 2019 ha fatto il bis. Ci era andato vicino per quattro anni di fila, dal 2013 in poi. Ma la sorte non era stata benevola. Quando la sfortuna ha smesso di tormentarlo, è salito sul tetto del mondo. Nessuno come lui in una specialità di nicchia - ma seguita da grandi appassionati - come la categoria Nitrobike, il campionato delle motociclette in miniatura radiocomandate. Piccoli bolidi da 1,8 chili che sfrecciano a 110 chilometri orari. Ad agosto avrebbe dovuto difendere il titolo, in Svizzera. Ma non sarà possibile. “Il coronavirus ha messo sottosopra anche il nostro sport e tutte le gara titolate del 2020 sono state

spostate al 2021. Si ricomincerà l'anno prossimo”, spiega Simone. Che riavvolge il nastro dei ricordi, riportandolo al “colpo di fulmine” che avviò questa curiosa storia aretina di successo. Il suo è talento raro, oltre che precoce, emerso quasi per caso. "Da piccolo, ero innamorato delle automobiline telecomandate, come tanti altri bambini: ci giocavo in giardino. Ma un giorno accadde che mio babbo mi portò ad assistere a una gara di automobili radiocomandate professionali, con motore a combustione. E fu amore a prima vista". L'inizio dedicato alle quattro ruote, le prime gare dal 2000, ancora minorenne, poi l'incontro con la Nuova Faor, azienda pavese famosa nel modellismo, che negli anni '90 lanciò sul mercato una Rc bike, la prima moto radiocomandata. “La distribuirono con De Agostini, un pezzo per ogni uscita, e fu un successo commerciale clamoroso, accompagnato dalla nascita di una disciplina sportiva”. La Nuova Faor iniziò a promuovere gare di moto Rc, alimentando l'interesse grazie alla “migrazione” di alcuni campioni delle quattro ruote nella nuova

specialità. Anche Simone, dopo i primi successi con la auto, facendo già parte del team Nuova Faor, decise di fare il salto nel mondo delle due ruote, la cui gare sono più complesse: le moto devono mantenere l’equilibrio e la superficie di contatto sull'asfalto è minima. “Partecipai al mondiale per la prima volta nel 2011, arrivai quarto”, aggiunge. Anche se l'amore per le due ruote, modellini e non, è un retaggio familiare. “Mio padre è un grande appassionato di moto ed era amico del grande Fabrizio Meoni”. Simone ha affinato nel tempo la tecnica e la confidenza col mezzo, con ore e ore di allenamenti, abbinandole a doti innate come riflessi pronti e vista acuta, essenziale per pilotare un mezzo di pochi centimetri a un centinaio di metri di distanza. “Durante le gare – spiega – i piloti si trovano su un palco e vedono poco più di un puntino. Occorre molta accortezza per evitare incidenti e mandare in fumo, con una sola manovra errata, mesi e mesi di preparazione”. Dopo i successi nazionali, ha tentato la scalata al mondo, ma la fortuna, a lungo, non gli ha sorriso. “Per quattro volte di fila, dal


\ UP MAGAZINE AREZZO \ INVERNO 2020

35


ADVERTISING / ATLANTIDE ADV

Arezzo | Sansepolcro | Levane locchialaio.com


2013 al 2016 sono arrivato secondo, per guasti o imprevisti. Nel 2017 sono arrivato ottavo. Sono consapevole di essere stato sempre il favorito, visto l'andamento delle stagioni, ma i problemi tecnici si sono messi di mezzo fra me e il Mondiale”. La maledizione si è rotta nell'agosto 2018, quando la finale si è svolta a Mâcon, in Borgogna (Francia), in un circuito di circa 380 metri che si completa in 20 secondi circa: contro Nascosti c'erano 90 avversari da tutto il pianeta. Nei giorni di eliminatorie tutto è filato liscio per il castiglionese. Sabato 18 agosto è stato il giorno della verità tra i dieci migliori. Simone ha concordato col meccanico Andrea Ottina e ad Alberto Salaro

le, ad Arezzo, esiste una pista dedicata al modellismo da decenni. Recentemente è stata integralmente ristrutturata e modernizzata. Il vero problema, per me, è coniugare la vita privata con questa passione, che è più di un hobby”. E che Simone ha la possibilile tà di mantenere grazie agli sponsor, vista la bravura. “Ma non è sempre stato così: all'inizio ho dovuto affrontare spese importanti e devo dire grazie alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto. Economicamente, ma anche dedicandomi tempo, accompagnandomi alle gare e incoraggiandomi”. Già, ma quali sono i costi per chi si avvicina alla Nitrobike? “Una moto, con telaio in carbonio e titanio e le restanti

“mi alleno un giorno a settimana. si è creato un gruppo di amici in provincia di arezzo, giovani e meno giovani, passiamo giornate intere in pista a divertirci”

di Nuova Faor la strategia: un solo pitstop per tutta la gara. La scelta si è rivelata azzeccata e la sua moto ha tagliato il traguardo per prima con ben due giri di anticipo sul secondo. L'anno scorso, in Austria, il bis iridato. “Quest'anno avremmo dovuto sfidarci in Svizzera, nel bellissimo tracciato di Lostallo. Purtroppo non è stato possibile farlo”. Ma la preparazione per farsi trovare al top in vista del 2021 non si ferma: “Mi alleno un giorno a settimana. Si è creato un gruppo di amici in provincia di Arezzo, giovani e meno giovani, passiamo giornate intere in pista a divertirci, facciamo gruppo: è stata fondata anche un'associazione, la Asd model drive. Alessandro Barbagli è il presidente. In zona le Casel-

componenti in ergal, si aggira tra i 700 e 1.200 euro, un telecomando tra i 200 e 800, l’elettronica sta sui 600, un motore costa tra i 200 e i 500 euro: un piccolo capolavoro di ingegneria da 2,5 cm cubici che sviluppa 2,5 cavalli. C'è poi il carburante: Una tanica da 5 litri costa circa 60 euro: si tratta di una miscela, alcol puro, nitrometano e olio sintetico, con un serbatoio da 130 ml si riesce a correre per circa 15 minuti. E infine – conclude Simone - le gomme: costano 60 euro a coppia. Ci sono 5 mescole diverse, a seconda delle temperatura e delle condizioni del circuito”. Tutto come in una moto vera, ma in miniatura. E quella di Simone è la numero uno al mondo.

37


|

UP GUSTO

|

DALL'OSTERIA DA MEMMO AI DUE RAFFINATI RISTORANTI DI PIAZZA GRANDE: LOGGE VASARI E LANCIA D'ORO. L’ATTIVITÀ, INIZIATA DA GUGLIELMO FAZZUOLI NEL 1980 E PORTATA AVANTI CON ORGOGLIO DAI FIGLI, FESTEGGIA 40 ANNI DI VITA. PASSIONE, IMPEGNO, ATTENZIONE SONO GLI INGREDIENTI DI UNA RICETTA DI FAMIGLIA CHE HA SAPUTO GUADAGNARSI LA STIMA DI ARETINI E TURISTI DI CHIARA CALCAGNO

38


È

un'ombra antica quella disegnata dell'imponente loggiato in vetta a Piazza Grande, nata con la più maestosa e affascinante opera di Giorgio Vasari. L'artista aretino progettò una cornice rinascimentale nel cuore della città medievale. Ci voleva coraggio, stile, equilibrio. E quell'ombra, che guarda la Pieve di Santa Maria e il Palazzo di Fraternita, è stata calpestata e goduta per quasi 500 anni. Ancora oggi accoglie, con grazia, chi vuole concedersi una pausa di bellezza, la storia respirando.

Forse fu proprio questo incanto senza tempo che convinse Guglielmo, detto Memmo, a trascinare sua moglie dal notaio per il passo più audace ed emozionante della sua vita. Era il 1984. A Bruna, sua compagna di vita, non aveva certo rivelato le intenzioni, lei mai avrebbe approvato un tale rischio. Le disse solo “vestiti bene” e poi la portò a firmare l’acquisto del locale in Piazza Grande per far traslocare l’attività di ristorazione che, con sacrificio e amore, avevano fatto nascere 4 anni prima in via Colcitrone. E che stava riscuotendo un incredibile successo: i clienti rimanevano estasiati dalla cucina sincera e appetitosa della tipica osteria toscana e venivano conquistati dalla simpatia del proprietario. “Nostro padre era un per-

fetto uomo di sala – raccontano Andrea e Maurizio – sapeva intrattenere e viziare i suoi ospiti. Ancora oggi alcuni frequentatori abituali ricordano la sua allegria contagiosa, la cortesia e la capacità di organizzare”. Ma Memmo aveva un sogno più grande e le carte in regola per realizzarlo. Comprò, non senza sacrifici, quello che allora era il negozio di antiquariato di Ivan Bruschi e lo trasformò nel celebre ristorante Logge Vasari situato all’interno del palazzo monumentale. I figli, Marco, Andrea e Maurizio, che già lavoravano in Colcitrone servendo ai tavoli, insieme alle attuali mogli degli ultimi due, Michela e Marzia, credettero da subito in quel progetto audace ed elettrizzante e ognuno mise sul piatto le proprie doti per realizzarlo. Le donne

39


40

“crediamo che il piacere del cibo sia associato alle emozioni che deve suscitare, un piacevole blend di ricordi, esperienze visive e sensazioni olfattive”

impararono da mamma Bruna l’arte del cucinare per poi specializzarsi nella ricerca delle materie prime e organizzazione degli spazi mentre gli uomini si dedicarono all’accoglienza, alla sala e alla gestione della cantina. Nel 1989 la famiglia Fazzuoli acquistò il bar accanto, il Caffè Vasari che, per anni, è stato gestito dal maggiore dei fratelli, Marco e da sua moglie Katia “spiriti liberi, dalle grandi capacità”. Poi nel 1993 venne inaugurando il ristorante La lancia d’oro che adesso è nelle esperte mani di Maurizio e Marzia. Ad Andrea e Michela, il compito di tenere alto il nome del primo locale. “C’è stato un momento in cui ad

Arezzo, per ridere, chiamavano il porticato ‘le logge Fazzuoli’”. E in questo 2020 l’attività festeggia 40 anni di vita. Passione, orgoglio, attenzione sono gli ingredienti di una ricetta di famiglia che ha saputo guadagnarsi la stima di aretini e turisti. “Come in tutte le storie non ci sono state soltanto ascese, ma anche momenti difficili, con piccole e grandi battaglie quotidiane. Quando ci trasferimmo in piazza Grande – spiega Andrea – questa parte di Arezzo non era molto frequentata da turisti e cittadini comuni. Rimanendo isolata era la zona dove si rifugiavano i clochard. Mio

padre mai chiamò la polizia o il Comune per intervenire. Dava loro un pasto caldo, ascoltava le loro storie e chiedeva gentilmente di non sostare nei pressi del ristorante. Erano diventati amici e loro restituivano il favore. Per anni poi abbiamo organizzato eventi, cene a tema, aperitivi particolari per far rivivere questo luogo straordinario. E. grazie anche all’aiuto delle amministrazioni, piano piano, ci siamo riusciti. Negli ultimi tempi poi è stato fatto un ottimo lavoro per incrementare il turismo con Arezzo Città del Natale”. Il doloroso stop dovuto all’emergenza Covid 19 è stato un periodo delicato ma, con le prime concessioni, sono arrivate anche incoraggianti soddisfazioni. “Quando abbiamo iniziato con l’asporto – prosegue Maurizio – non c’è stato cliente abituale che non ci abbia prenotato un pranzo o una cena. Per poi scriverci ringraziandoci per l’emozione. Ci hanno regalato affetto e la forza per ripartire con rinnovata energia e il desiderio di dare il massimo”. Da semplice trattoria con piatti di tradizione, i due locali hanno puntato all’alta ristorazione diventando un punto di riferimento ad Arezzo e in tutta la Toscana. Linee diverse ma stessa filosofia che mira all’eccellenza: nei sapori, nella presentazione e nel servizio. I prodotti, prevalentemente del territorio, vengono selezionati con cura ed ogni piatto, prima di essere messo in carta, deve superare il severo giudizio di tutti i membri della famiglia. La pasta viene rigorosamente fatta in casa secondo tradizione e, d’estate, la maestria della preparazione viene mostrata sotto i portici. “Anche nella scelta del personale siamo rigorosi – spiega Andrea – Siamo arrivati ad avere uno staff di alto livello fatto da veri professionisti e splendide persone che consideriamo parte della nostra famiglia”. Gli ambienti, raffinati e rilassanti, contribuiscono a creare un’atmosfera unica per regalare cartoline di dolci ricordi. Il ristorante Logge Vasari, anticamente, era la sede della dogana del sale alle porte della città. Ancora oggi, fra le pietre serene, è possibile ammirare l’affascinante torchio o la suggestiva cassaforte scolpita nella pietra. Gli spazi sono arredati in stile rinascimentale dove nulla è lasciato al caso e nell’elegante sala a volta il restauro degli interni ha fatto emergere alcuni affreschi dell’epoca. Sembra inoltre che il piano superiore fosse adibito agli alloggi della famiglia dei Medici quando si recava in visita ad Arezzo. Fu il granduca Cosimo I infatti a commissionare a Giorgio Vasari il progetto


Pertanto, in entrambi i ristoranti, insieme ai piatti della tradizione, abbiamo in menù una ricca scelta di portate elaborate con abbinamenti curati nei minimi dettagli.”. Il 21 maggio 2020 è andata in onda l’attesa puntata di 4 ristoranti, la trasmissione condotta dallo chef Alessandro Borghese che incorona il miglior locale in città dopo un’agguerrita sfida fra eccellenti ristoratori del territorio. Il premio come Miglior ristorante dalla cucina medievale di Arezzo è stato assegnato proprio alla Lancia d’Oro. In 40 anni di attività la famiglia Fazzuoli ha organizzato eventi memorabili apparecchiando tavole per centinaia di persone. “Mi ricordo le cene di Colcitrone – rammenta Maurizio – successi resi indimenticabili dall’allegria, dai canti e dal piacere di stare insieme. Siamo molto legati al nostro quartiere e alla Giostra del Saracino. Penso poi alle Cene in bianco in Piazza Grande, alle serate di gala per Oro Arezzo o per l’Equestrian centre, sempre con oltre 500 persone, il buffet per i sindaci d’Italia con 1500 primi cittadini o il pranzo per la Mil-

41 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

del grande loggiato e, alla porta d’ingresso del ristorante, proprio sotto il piccolo terrazzo del soppalco, è affisso l’antico stemma della famiglia fiorentina. Fra i numerosi riconoscimenti ottenuti dal locale, c’è il premio come Miglior ristorante d’Italia 2011 secondo la prestigiosa Accademia italiana gastronomia storica. La Lancia d’oro, distante pochi metri, ha uno stile elegante con elementi di arredo pregiati. I colori vivaci dei dipinti alle pareti si sposano con il caldo del legno e la freschezza delle verdi piante. All’interno del locale la distribuzione degli spazi favorisce sia le richieste di intimità degli ospiti sia la possibilità di organizzare cene in compagnia degli amici. “Crediamo che il piacere del cibo - commenta Maurizio – sia associato alle emozioni che deve suscitare, in un piacevole blend di ricordi, esperienze visive e sensazioni olfattive. La cucina aretina e toscana è scritta nel nostro dna ma l’amore per la buona tavola ci ha fatto andare oltre le nostre radici, alla ricerca di sapori nuovi.

le Miglia. Abbiamo servito Jeremy Irons, il principe Umberto I di Savoia, Zeffirelli, Vasco, Baglioni, Morandi, solo per citare alcuni personaggi famosi”. “Quando ha girato il film La vita è bella – continua Andrea – Roberto Benigni è stato ospite fisso per un intero mese. Una persona squisita, piacevole e sempre sorridente. Amava mangiare da noi e non risparmiava i complimenti allo chef e al personale. Ci invitò anche al Politeama per la prima del film. Ho un ricordo stupendo di quando girarono, di notte, la scena ‘Maria butta la chiave’. Me la sono gustata in anteprima, nel silenzio, ed è stato emozionante rivederla poi sul grande schermo”. Fra i prossimi obiettivi quello di consolidare l’eccellenza dei due locali e, perché no, aprirne un altro. La terza generazione già si prepara. “Quella del ristoratore – commentano i due fratelli – non è una vita semplice ma ogni giorno offre nuovi stimoli. I nostri figli seguiranno le loro aspirazioni senza alcuna imposizione. Percoreranno la strada che desiderano. Questo è un lavoro che devi amare profondamente per poterlo svolgere al meglio. Noi abbiamo avuto l’immensa fortuna di avere al nostro fianco Michela e Marzia. Hanno caratteri forti e capacità straordinarie. Senza di loro niente di ciò che abbiamo ottenuto sarebbe stato possibile”.


| U P C U R I O S I TÀ U P C U R I O S I TÀ |

|

il petrone dipiazza grande NO, NON SI TRATTA DELL'ANTICA COLONNA INFAME MA OGGI SAREBBE IMPOSSIBILE IMMAGINARE IL LATO DELLE LOGGE SENZA QUEL PILASTRO

DI MARCO BOTTI / IN COLLABORAZIONE CON FONDAZIONE AREZZO INTOUR

42 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2020

È

possibile che una colonna malandata, che non ha nemmeno un secolo di vita, diventi un elemento insostituibile di una delle piazze più celebrate d’Italia? Se parliamo di Piazza Grande la risposta è sì. Provate infatti a immaginare il lato delle Logge senza il suo “Petrone”, che da quasi 90 anni se ne sta lì a farsi osservare da aretini e turisti, convinti di trovarsi davanti all’antica “colonna infame” di Arezzo. In passato tutte le città avevano il loro luogo dove esporre i malfattori alla gogna. Note erano la colonna della Vicaria di Napoli, quella della giustizia di Bari, quella dell’isola Tiberina a Roma e così via. Esse servivano a esibire al pubblico ludibrio certe “categorie”, soprattutto falliti, bancarottieri e debitori insolventi, ma venivano utilizzate anche per appendere i bandi pubblici dopo la lettura da parte dell’araldo. Negli Statuti nel 1327, ad esempio, si dice che ad Arezzo c’erano due persone elette per farlo. La colonna infame più nota della letteratura è quella milanese, innalzata nel 1630 al posto dell’abitazione di Gian Giacomo Mora, in spregio al barbiere accusato di essere un untore e per questo ucciso durante la pestilenza che sconvolse il territorio lombardo. Nel 1778 il manufatto venne fatto demolire ma fu reso celebre dal saggio di Alessandro Manzoni

“Storia della colonna infame” del 1840, che mise in luce la perversione del sistema giudiziario spagnolo durante la dominazione della città meneghina. Il pilastro aretino che vediamo oggi venne invece collocato in Piazza Grande dopo lo spostamento della statua in marmo del granduca Ferdinando III di Lorena, realizzata nel 1822 dallo scultore neoclassico fiorentino Stefano Ricci. Nell’ambito della neomedievalizzazione della piazza, che aveva portato anche al rialzamento di alcune torri precedentemente mozzate, la scultura risultava infatti decontestualizzata e così, nel 1932, fu trasferita sulla sommità di Piaggia di Murello. Al suo posto venne inserita una riproduzione in pietra serena delle antiche colonne infami, nel nostro caso formata da basamento, fusto, capitello in stile dorico e sfera apicale sormontata da una croce. Quest’ultima, sempre di pietra, è scomparsa ma si può vedere ancora nelle foto e nei filmati storici. Angelo Tafi, nel suo volume “Immagine di Arezzo”, scrive che una colonna infame esisteva fin dal Duecento ma non si sa in che punto della piazza fosse collocata. Di sicuro sappiamo che nel XVIII era già stata rimossa, perché nella “Veduta di Piazza Grande” attribuita a Cristoforo Donato Conti, custodita nel Museo della Fraternita dei Laici, non è

presente. Il particolare esclusivo di un’altra opera potrebbe tuttavia sciogliere il quesito. Sempre nel palazzo dello storico ente, infatti, nel 2017 è stata trasferita la “Pianta del condotto vasariano di Arezzo e della Fonte della Piazza”, in precedenza nel Museo di Arte Medievale e Moderna, garantendo all’opera una migliore illuminazione che permette di osservare tanti dettagli. La grande tela fu eseguita nel 1696 dal cartografo e impresario edile Giovan Battista Girelli e mostra il percorso dell’acqua dalle falde di Cognaia al centro di Arezzo. Se aguzziamo la vista, visto che il particolare è quasi impercettibile, noteremo la colonna infame all’angolo nord-est della piazza, dove inizia la salita verso Piaggia San Martino. Il colore chiaro del manufatto, anch’esso con una sfera terminale, ci fa pensare che fosse stato di un materiale lapideo più resistente della pietra serena, quindi marmo o travertino. In attesa di trovare documenti inediti del periodo che confermano questa identificazione, ci sentiamo di ipotizzare che almeno per tutto il XVII secolo, e quindi dopo il completamento del Palazzo delle Logge che ridisegnò il lato settentrionale di Piazza Grande, quello fu il luogo scelto in città per mettere i disonesti alla berlina.



FORTI PASSIONI, IDEE VINCENTI, UN PIZZICO DI FOLLIA.

seguici

marketing & comunicazione V I A

E I N S T E I N

1 6 / A

|

A R E Z Z O

|

W W W . A T L A N T I D E A D V . I T


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.