Arvalia F-R

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ARVALIA F-R

Atlante dei beni culturali del Municipio Roma XV Arvalia-Portuense. Parte II

Antonello Anappo

Municipio Roma XV - Arvalia Portuense

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Š 2013 - Municipio Roma XV Arvalia-Portuense Pubblicato il 1° gennaio 2013. Hanno collaborato: Andrea Di Mario e Moena Giovagnoli. Sito web: www.arvaliastoria.it

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Fiera di Roma

Abstract non disponibile.

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Figlie del Crocifisso

Abstract non disponibile.

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Fontana di Pio IV

Abstract non disponibile.

La Magliana della decadenza

(1). L‟epoca d‟oro della Magliana, il tempo felice di Papa Giulio, di Papa Leone e di Raffaello, era ormai finito. Eppure per tutto il Cinquecento il fascino del Castello della Magliana

continuò

ancora

a

destare

l‟interesse

e

l‟emulazione dei papi. Pio IV (1559-1565) fece delle aggiunte, che marcò con le sue insegne: risale al suo pontificato la deliziosa fontana nella corte interna. Sisto V (1585-1590) fece dipingere alcune stanze rimaste prive di decorazioni. Il Rinascimento, fino all‟estremo limite della decadenza, lasciò

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Estratto da “Raphaël à Magliana”, di A. Gruyer (1873).

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dunque tracce profonde in questo luogo, insieme profano e di raccoglimento, caro per oltre cento anni ad una ventina di papi. Il Seicento aprì il Papato ad un‟era di declino e di sudditanza politica, e relegò il Castello della Magliana in un ruolo di maggiore austerità. Impossibilitati ormai a fare la guerra, i papi smisero di colpo anche di andare a caccia. In breve, la Magliana non ebbe più ragione di esistere! Da Clemente VIII in poi la tenuta cominciò anche ad essere trascurata dal punto di vista agricolo; meno di un secolo dopo l‟abbandono fu completo. Così completo che la Camera Apostolica ne alienò la proprietà alle Monache di Santa Cecilia. E da allora la rovina regnò sovrana. La Magliana, divenuta per il Convento d‟Oltretevere

una

comune

proprietà

di

campagna,

fu

consegnata ai fattori, che non si diedero alcuna cura dei beni improduttivi. La decadenza si consumò senza destare la benché minima preoccupazione. Si continuò - solamente - ad officiare la messa nell‟antica cappella papale. Orbene, chi avrebbe dovuto fare da guardiano ai dipinti contenuti nella Cappella, fu per uno di essi causa di definitiva rovina. Parliamo del fattore Vitelli, titolare di un banco riservato all‟interno della Cappella: nel 1830, per accedervi direttamente senza dover mischiarsi con il personale agricolo di rango inferiore, si fece aprire una porta dai suoi appartamenti alla Cappella, bucando l‟affresco del Martirio di S. Cecilia. Più tardi furono le stesse monache che - avendo 8


bisogno di denaro e pensando a ragione che i lacerti degli affreschi di Raffaello valessero una fortuna - li fecero distaccare e portare su tela, per impegnarli al Monte di Pietà di Roma. Qui ho avuto modo di esaminarli personalmente, nel 1858. Dal Monte di Pietà, dove rimasero all‟incirca un anno, i dipinti vennero spostati in una delle anticamere della Basilica di Santa Cecilia in Trastevere. Nel 1869, infine, il signor L. Oudry comprò i dipinti di Raffaello e li portò in Francia, attraverso mille difficoltà doganali e logistiche. Al prezzo di quali sacrifici si compirono tutte queste peregrinazioni? Lo stato attuale di questi dipinti ce lo dice con fin troppa evidenza. Ma, prima di esaminare nel dettaglio lo stato rovinoso in cui il tempo e gli uomini ci hanno consegnato questi dipinti, occorre fare un passo indietro. Solo

per

un

momento,

dobbiamo

tornare

alla

Magliana del Cinquecento, alle splendide meraviglie di cui abbiamo raccontato. In mezzo a questa campagna dalle dolci increspature di una così austera armonia rimettiamo al suo posto la bella e calma architettura del San Gallo, intatta e senza alterazioni. Restituiamo ai terreni intorno al Castello le ombreggiature di

alberi

oggi

scomparsi.

Torniamo

ad

ascoltare, dalla corte interna, il brusio delle acque di fonte, e ripercorriamo

gli

stessi

passi

di

Papa

Leone

Medici.

Rimettiamo al loro posto, nelle camere, tutti i dipinti. Restituiamo alle colonne tutti i loro arabeschi. Rimettiamo insomma, ciascuno al suo posto, gli elementi che diedero 9


vita a questa meraviglia. Arriviamo persino a figurarci la presenza fisica di quegli uomini del passato, così forti nel carattere, così brillanti nella mente, così pomposi nei titoli nobiliari. Compenetriamoci insomma dell‟atmosfera morale e dell‟esprit du temps, della sua ingenuità, delle sue passioni, delle sue convinzioni e del suo amore per la bellezza spinta fin quasi alla superstizione. Ecco, mentre i moti dell‟animo ci turbano, da fuori entriamo nella piccola cappella, dove stretti intorno al Papa rivediamo i più alti dignitari della Curia e della nobiltà romana. Soprattutto, restituiamo a questa cappella i due affreschi di Raffaello, rivestendoli della loro primitiva grazia, la loro originale freschezza, la loro intatta bellezza... Dopo esserci lasciati rapire da questa visione del passato, ecco... ora, solo ora, apriamo gli occhi alla realtà di oggi! Cadremo dall‟alto in basso. Ma saremo in grado, dalla certezza di ciò che è, ricostruire ciò che fu (2).

Testo francese Si les beaux jours... j‟allais dire les grands jours de la Magliana... étaient passés avec Jules II, Léon X et Raphaël, l‟attrait de cette résidence devait, jusqu‟à la fin du XVIe siècle, solliciter encore la faveur et l‟émulation des papes. Pie IV (1559-1565) y fit quelques additions qu‟il marqua de ses Si ringrazia il Musée du Louvre di Parigi - Direction de la politique des publics et de l‟éducation artistique - Médiathèque, per le preziose documentazioni e la cortese assistenza. Ricerche di Genevieve Ponge, traduzione dal francese di Antonello Anappo. 2

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armes; la charmante fontaine de la cour date de son pontificat.

Sixte-Quint

(1585-1590)

fit

peindre

aussi

quelques chambres restées sans décoration. La Renaissance, jusqu‟aux extrêmes limites de sa décadence, a donc laissé des traces profondes dans ce lieu tout à la fois profane et recueilli, cher pendant plus de cent ans à une succession de vingt papes... Le XVIIe siècle, en ouvrant à la papauté une ère d‟abaissement et de dépendance politiques, la contraignit à une plus grande apparence d‟austérité. Les papes, mis désormais dans l‟impossibilité de faire la guerre, renoncèrent du même coup au plaisir de la chasse, et la Magliana n‟eut plus de raison d‟être. Aussi, à partir de Clément VIII, commença-t-elle à être délaissée. Moins d‟un siècle après, l‟abandon fut complet. Si complet que la Chambre pontificale se déchargea de la propriété entre les mains des religieuses de SainteCécile. Dès lors, la ruine se mit de la partie. La Magliana, devenue pour le couvent du Trastevere une simple propriété de campagne, fut abandonnée à des fermiers qui ne prirent nul souci des choses improductives, et la dégradation se fit sans éveiller la moindre sollicitude. Cependant, on continua jusqu‟à nos jours à dire la messe dans l‟ancienne chapelle papale. Or, ce qui aurait dû préserver les peintures de cette chapelle fut, pour l‟une d‟elles, la cause d‟une ruine définitive. En 1830, le fermier Vitelli, ne voulant point être mélé à ses domestiques, se donna le luxe d‟une tribune spéciale, et, pour arriver à sa 11


tribune, fit percer une porte au beau milieu du Martyre de sainte Cécile. Plus tard, les religieuses elles-mêmes, ayant besoin d‟argent et pensant avec raison avoir un trésor dans ce qui leur restait des fresques de Raphaël, les firent transporter sur toile pour les engager au Mont-de-piété, où nous les avons vues à Rome en 1858. Du Mont-de-piété, où elles restèrent près d‟un an, elles allèrent dans une des salles d‟entrée de la basilique de Sainte-Cécile in Trastevere. En 1869, enfin, M. L. Oudry en fit l‟acquisition et les apporta en France à travers mille difficultés de douane et de transport. Au prix de quels sacrifices se firent toutes ces pérégrinations? L‟état actuel de ces peintures le dit avec trop d‟évidence. Mais, avant de regarder la ruine, telle que l‟ont faite le temps et les hommes, reportons-nous un moment par la pensée vers cette Magliana du XVIe siècle, toute resplendissante de tant de merveilles fraîchement écloses. Au milieu de cette campagne aux ondulations d‟une si austère harmonie, représentons nous la belle et calme architecture, intacte et sans altérations, d‟un architecte tel que San Gallo. Restituons, aux alentours de la villa, les ombrages qui ne sont plus. Ecoutons, dans les cours, le bruit

des

eaux

jaillissantes

amenées

par

Léon

X.

Replaçons dans les chambres toutes les peintures, sur les pilastres toutes les arabesques. Figurons-nous les vrais maîtres de tous ces enchantements. Revoyons en 12


imagination tous ces personnages, si remarquables par le caractère, si brillants par le costume, si pompeux par le titre. Pénétrons-nous de l‟atmosphère morale et de l‟esprit du temps, de sa naïveté, de ses passions, de ses croyances et de son amour du beau poussé jusqu‟à la superstition. Tandis que les meutes s‟impatientent au dehors, entrons dans la petite chapelle où se pressent autour du pape les plus hauts dignitaires de la Chambre apostolique et de la noblesse romaine. Rendons surtout à cette chapelle les deux fresques de Raphaël en les parant de leur grâce native, de leur fraîcheur originelle, de leur beauté première... Après nous être laissé ravir par cette vision du passé, rouvrons

les

yeux

à

la

réalité

contemporaine;

nous

tomberons de haut, mais nous saurons, à l‟aide de ce qui est, reconstituer ce qui fut.

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Fontana di Villa Bonelli

Abstract non disponibile.

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Fontanile alla Serenella

Il Fontanile alla Serenella è un‟opera idraulica verosimilmente dell‟Ottocento, sita su una strada poderale presso via della Serenella al Corviale. Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599123A, Sacchi G. - cat. Giampaoli-Fracasso).

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Fontanile Cantone

Fontanile

Cantone

è

un‟opera

idraulica

verosimilmente dell XVII secolo, sita in via della Casetta Mattei, 322, al Corviale. Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599138A, Sacchi G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

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Fontanile Consorti-Jacobini

Fontanile

Consorti-Jacobini

è

un‟opera

idraulica

verosimilmente dell‟Ottocento, sita nei pressi di vicolo del Conte al Corviale. Per quanto noto, la proprietà è privata e presenta elementi di degrado; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599126A, Sacchi G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

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Fontanile Cuccu

Fontanile Cuccu è un‟opera idraulica verosimilmente dell‟Ottocento, sita nei pressi di vicolo del Conte al Corviale. Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599146A, Sacchi G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

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Fontanile Giombini

Fontanile

Giombini

è

un‟opera

idraulica

verosimilmente dell‟Ottocento, sita nei pressi di vicolo del Conte al Corviale. Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599147A, Sacchi G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

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Forno al Fosso di Papa Leone

Il Forno al Fosso di Papa Leone è un complesso rurale del XVIII secolo, sito in via Palaia, 201, al Portuense. Per quanto noto, la proprietà è privata e presenta elementi di degrado; non è visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00970674A, Banchini R. - cat. Tantini G.).

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Forte Magliana

Abstract non disponibile.

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Forte Portuense

Forte Portuense è un‟opera difensiva - circondata da un fossato asciutto e con una polveriera esterna - facente parte della cerchia dei 14 forti militari di Roma (Campo Trincerato). I lavori cominciano nel novembre 1877 - con lo sbancamento della sommità di un‟altura naturale, la Collina degli Irlandesi - e si concludono, dopo quattro anni di scavi e modellamenti del terreno su una superficie di 4,5 ettari, alla fine del 1881. Lo schema planimetrico è quello di un poligono irregolare, chiamato in gergo militare a pianta prussiana. Il fronte di fuoco, orientato in direzione del mare, misura circa 180 metri ed è costituito di due facce angolate, con al vertice la Casamatta (struttura armata in cui si concentra la potenza di fuoco). Nella parte interna del fronte di fuoco, sormontato da terrapieni, si trova il Quartiere 31


d’armi (serie di camerate dai soffitti voltati, destinate ad alloggiare le truppe). I due fronti laterali sono difesi da casematte di minori dimensioni (Orecchioni). Il fronte di gola, orientato verso la città, ospita la Garitta monumentale (ingresso principale dal caratteristico portale bugnato) e la Caponiera (fortificazione destinata alla difesa dell‟ingresso). Dall‟ingresso

si

accede,

attraverso

un

corridoio

voltato, ai corpi di guardia e ci si immette nella grande Galleria anulare, anch‟essa voltata, che percorre l‟intero perimetro del forte. Internamente la struttura si apre in una Piazza d’armi.

Il Casale degli Irlandesi

Il toponimo Casale degli Irlandesi indica l‟altura, alle spalle di largo La Loggia, scelta nel 1877 per l‟edificazione di forte Portuense. Nell‟estate di quell‟anno una commissione militare composta dal gen. Giovanbattista Bruzzo e da progettisti genieri e artiglieri - ispeziona l‟altura una prima volta, e dispone

profondi

modellamenti:

lo

sbancamento

della

sommità, lo scavo degli spazi del forte al di sotto del piano di sbancamento, e la formazione con i materiali di riporto di una cintura di spalto artificiale scarpata rispetto il piano di campagna, e infine la deviazione a valle di via Portuense, per ostacolare un‟avanzata nemica. La commissione torna al Casale una seconda volta a 32


distanza di pochi giorni, e visiona sul terreno il tracciato delimitato da paletti. Approvato il progetto dal ministro della guerra, gen. Luigi Mezzacapo, i lavori iniziano il 12 novembre 1877. La studiosa Francesca Ritucci ha rinvenuto un carteggio da cui risulta un‟esecuzione regolare. Il 7 febbraio 1878 il gen. Cosenz invita Bruzzo: “Signor Generale, desidererei ch‟ella vedesse…”. A fine 1881 la collina ha l‟aspetto di un “tartaruga corazzata”, da cui sporgono i soli piani di batteria, la cannoniera e le lunette laterali. Le fortificazioni sono costate 733.000 lire.

Breve storia delle difese di Roma

Abstract non disponibile.

Come funziona Forte Portuense

Forte Portuense era preposto al controllo e alla difesa dell‟area a sud sulla destra del Tevere, con la Stazione di Trastevere e la linea ferroviaria per Civitavecchia, portata a compimento pochi anni prima (1859), la Porta Portese (distante 3,5 chilometri in linea d‟aria) e la Cinta bastionata tra San Pietro e il Tevere. In quest‟area si era stabilito il quartiere francese durante l‟assedio del 1849 e il paventato nuovo assedio francese, una delle ragioni della realizzazione 33


del campo trincerato, era atteso proprio da Civitavecchia, quindi proveniente da questa direzione. Per ciò che riguarda la copertura propriamente detta delle aree limitrofe, il fronte esterno batteva le alture allora dette di Affoga l‟asino, di Santa Passera, delle Piche, del Truglio e dei Prati di Tor di valle sulla sinistra del Tevere. L‟artiglieria del fianco occidentale si traguardava con quella del Forte Bravetta, distante circa 2 chilometri, e copriva le alture del Casaletto, mentre quella del fianco orientale

teneva

sotto

controllo

l‟area

del

Tevere

collegamento con quella del Forte Ostiense, a sud-est.

34

in


Fosso della Magliana

Abstract non disponibile.

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Fosso di Affogalasino

Fosso Affogalasino è un torrente (che in passato, per la maggior portata d‟acqua era anche chiamato rio) che ha origine nell‟Agro a Nord di Roma e si getta nel Tevere, come affluente di destra, in prossimità del Trullo. Il fantasioso nome deriverebbe da una disavventura accaduta ad un povero ciuco, annegato nelle acque un tempo impetuose del corso d‟acqua. Presso gli studiosi è tuttavia popolare la suggestiva ipotesi che l‟etimo derivi dallo spregiativo epiteto di «asini» con cui erano chiamati i primi cristiani, e dalla consuetudine locale di dare loro il «martirio per annegamento», gettandoli da un ponticello di pietra. «Vige tradizione - scrive il Tomassetti - che, presso la Magliana - ove l’avvallamento dimostra esservi stato un piccolissimo lago fra i boschi dei Fratelli Arvali -, molti pagani, convertiti al cristianesimo, vi fossero affogati. Per disprezzo dei cristiani, creduti adoratori di un dio simboleggiato in una 37


testa d‟asino, la località prese il nome di Affogalasino». Questa leggenda troverebbe riscontro nella Passio dei Martiri portuensi Simplicio, Faustino e Beatrice, i cui corpi, gettati da un «pontem lapideum» (un ponte di pietra) arrivarono poi, trasportati dalle acque, fino all‟Ansa della Magliana. L‟esistenza

di

un

ponticello

è

confermata

dal

cronachista Pietro Romano, che gli dà il nome di Ponte di Fogalasino. Fogalasino (o anche Foga l’asino) è in effetti il nome medievale (sopravvissuto fino a tempi recenti) del fosso,

della

contrada

circostante

e

del

viottolo

che

anticamente lo fiancheggiava, risalendone il corso sino alle spalle del Gianicolo. Dal 1940 il fosso scorre in canalizzazione sotterranea sotto l‟attuale via del Trullo. In epoca successiva sono state interrate anche la tratta successiva, dal Trullo al Tevere, e quella

precedente

sulla

omonima

Affogalasino, dal Trullo alla Serenella.

38

via

del

fosso

di


Fosso di Papa Leone

Abstract non disponibile.

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Fosso di Santa Passera

Abstract non disponibile.

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Fosso Tiradiavoli Andrea Di Mario

La

Marrana

Tiradiavoli

(o

in

epoca

medievale

Marrana di Pozzo Pantaleo) è un corso d‟acqua, oggi interrato, che nasce dalle sorgenti della Valle dei Daini (a Villa Doria-Pamphili) e - dopo aver attraversato la profonda valle di via di Donna Olimpia e costeggiato le alture dell‟Ospedale San Camillo presso Pozzo Pantaleo - sfocia nel Tevere all‟altezza di piazza Meucci. Il fiumiciattolo deve il suo sinistro nome ad una credenza

popolare

secondo

la

quale,

sotto

le

arcate

dell‟acquedotto romano di Villa Pamphili, alcuni diavoli fermarono la carrozza di Donna Olimpia Maidalchini, conosciuta

per

la

sua

malvagità,

per

accompagnarla

direttamente all‟inferno. La stessa carrozza, condotta (tirata) da

diavoli,

con

a

bordo

il

fantasma

della

dannata

nobildonna, sarebbe però ancora oggi solita apparire con grande fragore, a turbare le notti dei Romani.

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Nel suo percorso la marrana era scavalcata da alcuni ponti, oggi scomparsi, il più importante dei quali era posto sulla Via Portuense, in prossimità del bivio da cui partiva l‟antica Via della Magliana. A monte di questo incrocio alcuni tratti dell‟alveo erano stati regolarizzati, probabilmente già in epoca classica. Altri due ponti, oggi scomparsi, erano quello della novecentesca via di Vigna Corsetti e quello posto nei pressi della foce. Perfettamente visibile fino alla fine degli anni Trenta la marrana iniziò ad essere interrata quando venne colmata durante la costruzione delle case popolari di via Donna Olimpia. Qualche decennio più tardi, con la costruzione della Purfina e l‟edificazione dei primi lotti di via Oderisi da Gubbio,

la

marrana

scomparve

quasi

del

tutto,

con

l‟eccezione dell‟ultimo breve tratto, dove è ancora visibile un manufatto idraulico.

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Fratel Policarpo

Il Fratel Policarpo è un istituto di vita religiosa associata e un centro giovanile, con all‟interno una cappella per il culto. Si

costituisce

l‟11

febbraio

1995,

nell‟ambito

dell‟ANSPI (Associazione nazionale San Paolo), che promuove la formazione di circoli giovanili e oratorî. Prende il nome dal religioso francese Frère Polycarpe, al secolo Jéan-Hippolyte Gondre (1801-1858). Nato da umili origini nel villaggio alpino di La Motte, diviene maestro elementare ed entra nella Société du Sacré Coeur de Jésus di Lione, occupandosi del noviziato e dell‟amministrazione, fino a divenirne superiore generale. Seppur malato di polmonite e febbri tifiche, Policarpo conduce uno stile di vita austero, utilizzando persino il cilicio. Il Sacro Cuore si era costituito nel 1821 ad opera di André Coindre, nel quadro della c.d. rievangelizzazione della 45


Francia dopo i fermenti della Rivoluzione. Fra il 1843 e il 1846 Fratel Policarpo ne riscrive la regola, ispirandosi alle costituzioni dei Gesuiti e dei Fratelli delle Scuole cristiane. Nel 1847 promuove le prime case in America, arrivando a costituirne, tra Francia e Stati Uniti, ben 82. Il complesso presenta oggi impianti sportivi per la danza, ginnastica, nuoto e sport di squadra. Organizza corsi di teatro, visite a luoghi dâ€&#x;arte e della fede e soggiorni alpini. Ospita, in unâ€&#x;ala dellâ€&#x;edificio, un centro polifunzionale.

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Gamma

Abstract non disponibile.

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Garitta monumentale

Abstract non disponibile.

Depretis e l’orribile 1876

Abstract non disponibile.

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Genio militare

Abstract non disponibile.

Giuseppe Testa, eroe partigiano

Il romanzo storico “Il Bandito di Morrea. Vita di Giuseppe Testa dalla Magliana di Roma alla Valle Roveto, lungo la Linea Gustav”, di Antonello Anappo, ripercorre la biografia di Peppino Testa, giovanissimo ragioniere del Genio militare

di

Magliana,

divenuto

Medaglia

d‟Oro

della

Resistenza. Il ragazzo, di appena 19 anni, dopo l‟8 settembre 1943 costituisce nel borgo abruzzese di Morrea un comitato di assistenza ai fuggiaschi alleati, desiderosi di attraversare il fronte di fuoco e riprendere le armi contro i nazisti. Alla fine della guerra - accerteranno gli Americani - i soldati 51


rifocillati, curati, protetti e condotti oltre la Linea Gustav grazie a Testa, saranno 5800. Insieme a Testa altri tre uomini resero possibile questa avventura partigiana: il parroco don Savino Orsini e i compagni Casalvieri e Gemmiti. Giuseppe Testa pagherà tutto questo con la vita. Considerato dai Tedeschi un “bandito”, viene catturato e torturato per 50 giorni, ma non rivelerà il nascondiglio dove protegge i fuggiaschi. L‟11 maggio 1944 la fucilazione. Nel 1946 gli viene tributata la medaglia d‟oro al valor militare. Lo ricordano due monumenti: uno a Morrea e un altro dentro il Genio militare.

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Gesù Divino Lavoratore

Gesù Divino Lavoratore (Parrocchiale del Gesù Divino Lavoratore, con istituti Migliavacca e Missionarie della Dottrina cristiana) è una chiesa parrocchiale di epoca contemporanea. Non disponiamo di notizie storiche dettagliate su questo bene. La proprietà è, per quanto noto, di ente ecclesiastico.

Non

disponiamo

di

notizie

architettoniche/funzionali più dettagliate. Si trova in Via Oderisi da Gubbio, 16. È visibile da strada e l‟accesso è libero, compatibilmente con gli orari delle funzioni e la natura di istituto scolastico. Gesù Divino Lavoratore è una chiesa parrocchiale, realizzata dall‟architetto Raffaele Fagnoni tra il 24 marzo 1955 (prima pietra) e il 15 maggio 1960 (consacrazione). La struttura a pianta ellittica è in cemento armato, con i setti di nervatura a vista e disposti radialmente a 53


sostenere la cupola. “La spazialità avvolgente - scrive lo studioso Massimo Alemanno -, che riesce a coinvolgere visivamente lo spettatore, e il ricorso alla pianta centrale con la cupola nervata impostata sulla pianta ellittica, rimandano ad

una

tradizione

barocca,

reinterpretata

secondo

le

esperienze dell‟architettura moderna”. Una scala in marmi rosa

e

bianchi

conduce

al

presbiterio,

leggermente

sopraelevato. L‟altare ha come fondale un pannello in tessere dorate, a sostegno della croce. Esternamente, l‟edificio sacro è rivestito di mattoni di tufo rossi ed è cinto da una fascia di vetri policromi. Separato dall‟edificio si trova il campanile. Alla parrocchia sono annessi la Polisportiva, l‟istituto religioso femminile Missionarie della Dottrina cristiana e la scuola materna Angiola Maria Migliavacca. Dal 22 aprile 1969 la parrocchia è assegnataria - su decreto di Paolo VI - del titolo cardinalizio di Gesù Divin Lavoratore. A seguito della ridefinizione dei confini operata nel 1991, la parrocchia cura oggi circa trentamila anime.

La Cappella di Pietra Papa

La Cappella di Prata Papi è una chiesina, oggi non più esistente, attiva negli anni Cinquanta. Nel 1954, nello stabile ENAL di via Oderisi da Gubbio, 51, viene attrezzato un piccolo spazio per il culto per i fedeli del quartiere Marconi, allora in costruzione. Il 1° ottobre 54


dello stesso anno lo spazio devozionale è costituito in vicecura (Cura d‟anime ai Prata Papi), alle dipendenze della Parrocchia della Sacra famiglia fuori Porta Portese, su decisione dell‟allora cardinal vicario Clemente Micara. A Natale viene realizzata poco distante una nuova cappella, di maggiori dimensioni, realizzata su una struttura prefabbricata. La parrocchia si costituisce formalmente il 12 marzo 1955, con il decreto

Paterna sollecitudine, in

affidamento al Clero diocesano. L‟aneddoto vuole che il titolo parrocchiale - Gesù Divino lavoratore - sia stato inventato dal primo parroco, Francesco Rauti, per significare la presenza attiva della Chiesa nel mondo del lavoro, trovando il sostegno di Pio XII e di Giovanni XXIII. Il 24 marzo, viene posata la prima pietra della nuova grande chiesa, che sorgerà al civico 16 della stessa via. Dal 4 ottobre 1959, data del riconoscimento degli effetti civili, si inizia a celebrare matrimoni. La consacrazione della nuova chiesa avverrà il 15 maggio 1960, data nella quale la cappellina di Prata Papi cessa di essere utilizzata.

Il campanile

Il Campanile del Divino Lavoratore è una torre campanaria, edificata fra il 1955 e il 1960. Il progetto è dell‟architetto Raffaele Fagnoni. La caratteristica principale dell‟edificio è comunque costituita dal posizionamento del campanile cavo, alto all‟incirca 44 55


metri, che precedento la chiesa ne costituisce una sorta di propileo. Alta torre campanaria a forma cilindrica. Essa richiama in modo evidente una ciminiera. Vi è un alto campanile posizionato centralmente sul fronte, davanti l‟ingresso, in maniera decisamente inusuale. Il complesso è posto su di una piattaforma rialzata ed arretrata dal filo stradale di via Oderisi da Gubbio, dalla quale

lo

separa

anche

la

bassa

cancellata.

La

pavimentazione esterna è in cubetti di porfido. Esternamente entrambi gli edifici sono rivestiti di mattoni rossi di tufo. Anche il campanile posto sulla facciata richiama una soluzione tradizionale del barocco, poco diffusa a Roma, ma tipica dei Paesi del Centro Europa. Alcune intuizioni, come quella sopra citata, conferiscono a questo edificio una fattura architettonica anche pregevole, non sufficiente però ad

eliminare

completamente

quel

senso

di

architettonica tipica delle costruzioni del periodo.

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freddezza


Giardino dei frutti perduti

Il Giardino dei frutti perduti è un frutteto didattico di Roma Natura, realizzato nel 2006 dall‟agronomo G. Lucatello. Contiene 160 specie e varietà locali di interesse agrario di albicocco, ciliegio, fico, mandorlo, susino, pesco, pero, melo, melograno, nespolo, sorbo, gelso e giuggiolo. Monte di esse sono a rischio di erosione genetica: rischiano cioè di non venire più coltivate, soppiantate da altre varietà, spesso importate, più resistenti o dalla fruttificazione più copiosa,

riducendo

così

la

biodiversità

complessiva

dell‟habitat. Gli esemplari presenti nel giardino non sono stati espiantati ma moltiplicati per innesto. Questa tecnica agraria consiste nell‟unire ad un albero o arbusto comune (il c.d. portainnesto) parti della pianta a rischio (la c.d. marza): le marze

crescono

in

simbiosi

con

la

pianta

ricevente,

conservando i caratteri propri. Le marze sono state fornite 57


dallâ€&#x;Istituto Sperimentale di Frutticultura di Roma. I lavori sono iniziati nel novembre 2006, a seguito della cessione in comodato del terreno di proprietĂ Milea sul clivo di via dei Martuzzi. Il terreno - esteso 1,046 ettari - è stato recintato e dotato di un impianto idrico (che recupera un vecchio pozzo), camminamenti, panchine e gazebo. Insieme alle piante da frutto si trovano alberature nostrane (leccio, ulivo, alloro) e arbusti della macchia mediterranea e officinali.

58


Greentower

Abstract non disponibile.

59


60


Grotte delle Fate

Abstract non disponibile.

Martesilvano, dio della frontiera

Gli

Atti degli

Arvali

testimoniano

nel

territorio

portuense il culto del dio etrusco Selvans (latinizzato in Silvanus o Mars-silvanus, in associazione a Marte). La divinità presiedeva alle selve e alle campagne, proteggeva bestiame ed orti e per estensione era il nume tutelare della proprietà e delle frontiere: occorre ricordare infatti che il santuario arvalico segnava il confine territoriale tra Roma e Vejo. è raffigurato come un vecchio vigoroso dalla barba irsuta che vagabonda miseramente vestito, attento al controllo

della

frontiera

e

armato

di

un

pesante

tortóre per respingere gli invasori. Ha carattere retto 61


e bonario, ma insofferente alla vita associata e capace talvolta di manifestazioni grevi o misogine (avversava partorienti e neonati e spaventava i contadini facendo rimbombare nelle grotte la voce fragorosa). Catone nel De Agricoltura riporta la cerimonia del “votum Martisilvani pro bubus uti valeant”, per la salute del bestiame. L‟offerta consisteva in un piatto di granaglie e pancetta rosolati nel vino (“cocere in unum vas [...] farris, lardi, vini”), da ripetersi per ciascun capo posseduto. Una leggenda attribuisce a Martesilvano un inusuale arbitrato nella guerra etrusco-romana seguita alla cacciata dei Tarquini. Il conflitto si trascinava stancamente, e i due eserciti, durante le interruzioni serali, si incontravano per assegnare la vittoria giornaliera, contando i rispettivi caduti. Martesilvano, stanco del massacro infinito e poco virile, interviene proclamando di misura la vittoria ai Romani. Atterriti

dalla

roboante

rientrano nei confini.

62

sentenza

divina,

gli

Etruschi


Grottoni

I Grottoni sono un complesso di gallerie e ambienti ipogei in località Santa Passera, che taluni identificano con le perdute Catacombe di San Felice. Il sito è originato in epoca romana, da un‟attività estrattiva di tufo e pozzolane, collegata al vicino porto fluviale di Vicus Alexandri. Nel Primo Novecento un‟indagine archeologica conferma che almeno una parte delle gallerie è stata riutilizzata per uso cimiteriale, ma non sono state trovate iscrizioni o raffigurazioni pittoriche. Rimangono comunque le fonti antiche (il De locis sanctis e l‟Index coemeteriorum) ad attestare che al III miglio si trovava il cymiterium ad Sanctum Felicem Via Portuensi. Tra gli studiosi il dibattito è aperto, anche se il successivo impiego delle gallerie, dal Settecento in poi, come cantine da vino, rende poco probabili nuovi ritrovamenti.

63


Il dibattito è aperto

Una pluralità di fonti concorda nell‟attestare le perdute Catacombe di San Felice al III miglio della Via Portuense-Campana. L‟indagine del Primo Novecento, che avrebbe potuto essere risolutiva, ha sì chiarito la natura cimiteriale di alcuni ambienti della cava, ma non ha potuto fornire

un‟attribuzione

certa.

Successivi

crolli

hanno

impedito la prosecuzione delle indagini. Tra le fonti storiche, il libro De locis sanctis elenca Felice tra i Martiri portuensi «qui iuxtam Viam Portuensem dormiunt». L‟Index coemeteriorum cita espressamente il Cymiterium ad Sanctum Felicem Via Portuensi miliario III. Infine un carme di Papa Damaso (366-384), elogiando il lavoro pittorico del Presbitero Vero, riporta incidentalmente che il lavoro pittorico si è svolto presso il Sepolcro di Felice. Gli Itinera medievali collocano la tomba del Martire dopo quella di Paolo (a San Paolo) e prima di Ponziano (a Monteverde), al di sopra di un‟altura dominante il punto in cui «il Tevere s’impaluda». Emilio Venditti ritiene che la descrizione sia compatibile con il costone di Vigna Pia. Styger e Cecchinelli-Trinci avanzano invece ipotesi diverse: il primo colloca le catacombe vicino San Ponziano; la seconda a via Traversari a Monteverde. Nel Settecento i Grottoni sono in uso come cantina da vino di Vigna Jacobini. Gli ambienti attuali, sebbene assai ridotti, sono ancora in uso.

64


Felice, martire con Adautto

Le notizie biografiche su San Felice, presbitero romano

martirizzato

al

tempo

di

Diocleziano,

sono

scarsissime e provengono da un racconto popolare, la Passio Felicis, del VII sec. Il racconto vuole che Felice, condannato a morte e condotto al supplizio lungo la via per il mare, viene affiancato da uno sconosciuto che dichiara agli increduli militari romani di voler condividere la stessa sorte. I militi lo accontentano

senza

indugi,

decapitando

entrambi

col

medesimo spadone. L‟identità dello sconosciuto rimane un mistero, non solo per la folla che assistette al martirio, ma per la stessa Chiesa. La Passio Felicis parla di «eo quod sancto Felici auctus sit ad coronam martyrii» (un tale, aggiuntosi a Felice nella corona del martirio). La comunità ecclesiastica, volendo conservare memoria di questo gesto coraggioso, attribuisce all‟ignoto un nome simbolico: Adauctus (che in latino significa

«aggiunto»),

a ricordare

la virtù cristiana di

aggiungersi a Felice nel martirio. La tradizione liturgica ricorda perciò i due martiri insieme, il 30 agosto; il loro emblema, come tutti i martiri minori, è rappresentato dalla palma. Il Martirologio romano li ricorda con questa formula: «Santi martiri Felice e Adautto, che, per aver reso insieme testimonianza a Cristo con la 65


medesima intemerata fede, corsero insieme vincitori verso il Cielo». Oltre che nella Passio Felicis lo stesso racconto compare anche in un carme di Papa Damaso, senza aggiungere elementi biografici significativi, se non il fatto che Felice e Adautto sarebbero stati fratelli (ma si intende probabilmente fratelli nella fede).

Le reliquie, in giro per l’Europa

Il culto di San Felice, e del suo inatteso compagno Adautto, dura alla Magliana quanto un batter d‟ali. Tanto che a fine IV sec. le spoglie dei due martiri si spostano sulla riva opposta, al Cimitero di Commodilla sulla Via Ostiense. Qui ai due martiri viene dedicata una cripta, nella quale tra l‟altro troviamo le uniche immagini di Felice e Adautto conosciute. Si tratta di uno dei più antichi affreschi paleocristiani, nel quale è raffigurato San Pietro che riceve le chiavi. Assistono alla consegna simbolica come testimoni i santi Stefano e Paolo, affiancati da Felice e Adautto. La cripta viene trasformata da Papa Siricio (384-399) in una basilica sotterranea, successivamente ampliata e abbellita da Giovanni I (523-526) e Leone III (795-816), diventando meta di pellegrinaggi anche in epoca medievale. Papa Leone IV (847-855) dona le reliquie dei due martiri

66

alla

devota

Ermengarda,

moglie

di

Lotario,


contribuendo a diffonderne il culto nel Nord Europa. A Roma rimane tuttavia la reliquia piĂš importante, la testa mozza di Santâ€&#x;Adautto, conservata oggi nel reliquiario della chiesa di Santa Maria in Cosmedin alla Bocca della veritĂ .

67


68


Idroscalo del Littorio

Abstract non disponibile.

69


70


Idrovore di Ponte Galeria

Abstract non disponibile.

71


72


Imbarco dei Papi

Abstract non disponibile.

Sisto IV, primo papa della Magliana

Francesco della Rovere è papa dal 1471 al 1484, con il nome di Sisto IV. è il primo pontefice che frequenta la Tenuta della Magliana. Ma il motivo, stando alle cronache dell‟Infessura, è tutt‟altro che religioso: ad attenderlo vi sono i giovani amanti Giangiacomo Sclafenato e Gerolamo Riario. Della Rovere ha natali modesti, nel Savonese il 21 luglio

1414.

A

Pavia

eccelle

negli

studi

teologici

e

l‟insegnamento itinerante nelle università italiane lo porta prima alla carica di ministro generale dei Francescani (1464) e poi al cardinalato sotto Paolo II (1467). Il 9 agosto 1471 è papa. 73


Sisto IV trascina Roma fuori dal livore medievale, con la magnificenza del rinnovamento urbanistico: approva subito il piano regolatore, e di lì a poco vedono la luce ponte Sisto, la via Sistina, San Vitale (1475), la Biblioteca vaticana (1477) e la Cappella Sistina (che non farà in tempo a vedere completata); chiama a corte il musico Des Prèz, il pittore Melozzo da Forlì e gli umanisti Regimontano e Platina. Fioriscono anche le dignità statali, spartite tra le famiglie Della Rovere e Riario, suoi sponsor durante il conclave. Papa Sisto eleva al cardinalato due nipoti (uno è Giuliano della Rovere, futuro papa Giulio II), sei parenti e un figlio illegittimo (Pietro Riario). Il pittore Melozzo, per l‟inaugurazione

della

Biblioteca,

realizza

un

affresco

celebrativo che ha il sapore di un grande “ritratto di famiglia”, dove il pontefice vuole raffigurati accanto a sé i più cari affetti terreni: Giuliano della Rovere, Giovanni della Rovere, Raffaele Riario e Gerolamo Riario. Per l‟ultimo di essi, Gerolamo Riario, papa Sisto stravede, e nel 1471 gli regala la Tenuta della Magliana. Le cronache di Stefano Infessura (1484), parlano però di un diverso e inconfessabile attaccamento: “Per quale motivo se non la sodomìa - scrive - papa Sisto predilesse il conte Gerolamo e Pietro Riario, suo fratello e il cardinale di San Sisto? Lo mormora il popolo, i fatti riscontrano. E cosa non fece ai servitori di camera! Ma li risarcì a suon di ducati, o elevandoli al rango di vescovi o cardinali”. Occorre precisare che non si hanno riscontri alle affermazioni dell‟Infessura, e lo studioso Ludwig Pastor anzi le contesta radicalmente.

74


Verità storica è invece che Gerolamo è per papa Sisto una pedina importante nella Congiura dei Pazzi (Firenze, 1478): il luogotenente Raffaele Riario ha il compito di detronizzare Lorenzo il Magnifico ed insediare al suo posto proprio il pupillo papale Gerolamo Riario. Gli eventi però volgono contro

i

congiurati,

e

al

pontefice

non

rimane

che

scomunicare il Magnifico, porre Firenze sotto interdizione, e muoverle guerra per due anni. Alla Magliana intanto, riferisce ancora l‟Infessura, il Palatium Sancti Johanni era stato promesso in godimento anche ad un altro amante, il camerario Giovanni Giacomo Sclafenato. Papa Sisto non onora la promessa, ma lo ricompensa altrimenti. Alla sua morte un allusivo epitaffio ne ricorda l‟elevazione a cardinale “per meriti di ingegno, fedeltà e perseveranza” nonché “per altre doti di animo e di corpo”. E le guerre proseguono. Dopo Firenze tocca a Venezia, contro la quale nel 1482 papa Sisto ordisce un perfido inganno: prima convince la repubblica lagunare ad aggredire il ducato di Ferrara, assicurando sostegno; poi, a guerra iniziata, mette Venezia sotto interdizione e la abbandona al destino delle armi: Venezia ne esce malconcia, perché nel frattempo in soccorso a Ferrara sono arrivate le truppe degli Sforza da Milano e dei Medici da Firenze. In pratica, Sisto IV ha impegnato in una guerra Venezia, Ferrara, Firenze e Milano senza spendere un ducato. Le sue finanze, d‟altra parte, sono più che floride grazie alla vendita delle indulgenze allargata anche alle 75


anime dei defunti, alla raccolta di fondi per la crociata contro i Turchi di Smirne, e alla licenza legale dei bordelli, da cui incassa trentamila ducati l‟anno. In questa frenetica attività di statista, non sorprende la poca attenzione dedicata all‟attività di pastore della Chiesa: celebra il Giubileo del 1475, istituisce la festa dell‟Immacolata, cerca accordi con ortodossi e gallicani, ridimensiona i decreti del Concilio di Costanza, e, nel 1478, istituisce anche in Spagna la Santa Inquisizione. Terminate le guerre, papa Sisto riscopre la residenza della Magliana e vi fa tappa fissa nei viaggi lungo il Tevere diretto ad Ostia, a bordo della sua personale “nave bucinatoria”. Uno di questi viaggi (9-12 novembre 1483) è ancora documentato dall‟Infessura, che testimonia di due tappe alla Magliana, una all‟andata e una al ritorno. è probabilmente

in

questa

occasione

che

si

decide

la

trasformazione del Palatium in villa di caccia. Il progetto viene affidato a Jacopo da Pietrasanta. Ma il pontificato volge ormai al termine. La morte lo coglie il 12 agosto 1484, terribilmente annoiato dall‟inerzia delle armi: “ucciso dalla pace”, dirà il popolino. Pasquino lo liquida

impietosamente,

affiggendo

questo

strambotto:

“Ingiusto e infido giace / chi la pace odiò tanto, in sempiterna pace / Orsù, gettate a brani / le scellerate membra a lupi e cani!”.

76


Ipogeo di Santa Passera

L‟ipogeo dei martiri Ciro e Giovanni è una camera sepolcrale romana, di modeste dimensioni, datata tra la fine del II e l‟inizio del III sec. d.C., nella quale avrebbero riposato in epoca altomedievale le spoglie dei due santi egiziani. Esso viene realizzato al di sotto del piano di calpestio del Mausoleo di Santa Passera, all‟epoca in cui questo era già saturo di sepolture. Vi si accede da una ripida scaletta; l‟ambiente trae luce unicamente dal foro della scala e da un‟apertura centrale nella volta. Già in antico lo spazio interno viene ridotto, con una controparte sul lato ovest, per ricavarne ulteriori spazi funerari. La decorazione pittorica è oggi quasi completamente perduta: non solo per gli straripamenti del vicino Tevere, ma soprattutto per le spicconature di quanti, nel tempo, hanno cercato senza esito di recuperare le reliquie dei martiri. I pochi resti si presentano campiti su un fondo d‟intonaco 77


chiaro delimitato da fascioni, partiture semicircolari e quadranti rossi, con soggetti di repertorio funerario, a fresco con dense pennellate senza linee di contorno. Nella parete nord vi è il c.d. Ciclo della dea Dike, con la dea, un volatile e un pugile; nella parete sud vi è una pecora; nella volta grandi stelle decorative a 6 e 8 punte). La controparte si presenta coperta di uno spesso strato pittorico con soggetti non riconoscibili, sul quale, a fine XIII sec., è stata aggiunta una Natività, oggi perduta. L‟ipogeo, interrato dopo il 1706, è stato riscoperto nel 1904.

Dike e l’Età dell’oro

Una figuretta a fresco nell‟Ipogeo di Santa Passera attesta, nel Territorio Portuense, il culto di origine greca di Dike. Personificazione del sentimento di giustizia, Dike protegge quanti hanno subìto un torto e punisce chi si è sottratto ai tribunali degli uomini: ha una bilancia in una mano e una spada nell‟altra. Il suo mito diventa popolare a Roma nel I sec. d.C., grazie alle Metamorfosi di Ovidio (I, 149). Dike - sorella di Irene (la pace) e di Eunomia (le buone leggi) - vive durante l‟Età dell’Oro, un‟epoca mitica in cui mortali e dèi vivono in familiarità, senza bisogno di lavorare e tracciare confini. Quando la rivolta di Giove introduce nel mondo fatica, avidità e violenza la Dea ripone la spada e abbandona gli uomini alla loro malvagità. Ovidio lo racconta 78


con versi struggenti: “Victa iacet Pietas et Virgo caedet madentes […] terras” (La Pietà giace sconfitta e Dike fugge dalla terra insanguinata). Il culto della dea consiste in preghiere rituali per invocarne il ritorno, che avrebbe coinciso con una nuova Età dell‟Oro. Ma Dike, dal malinconico Cielo della Vergine in cui risiede, lascia cadere ogni appello, e osserva muta le vicende umane. Nell‟Ipogeo figurano altre due immaginette - un volatile ad ali spiegate (l‟anima libera dai legami corporei) e un lottatore ignudo - che è possibile ricomporre in un nobile messaggio allegorico: “Riposa sereno / chi ha lottato / per la giustizia”.

79


80


Israelitico

Abstract non disponibile.

81


82


Istituto dei Paolini

Abstract non disponibile.

La Famiglia Paolina

Con il termine Famiglia Paolina si intende l‟insieme di cinque congregazioni, quattro istituzioni e un‟associazione laicale aventi in comune gli insegnamenti del fondatore Don Giacomo Alberione (1884-1971, beatificato nel 2003). Esse sono presenti nel Territorio Portuense nella c.d. Fascia delle Vigne

(sui

due

lati

della

Via

Portuense

fra

Trullo,

Affogalasino e Casetta Mattei) su aree che costituivano in precedenza le tenute ecclesiastiche settecentesche. Le cinque congregazioni sono la Società di San Paolo, le Figlie di San Paolo, le Pie Discepole del Divin Maestro, le Suore di Gesù Buon Pastore e l‟Istituto per le Vocazioni 83


Regina degli Apostoli. La Società di San Paolo è una congregazione clericale di vita apostolica che ha come fine l‟evangelizzazione degli uomini attraverso l‟attuale cultura della comunicazione. La Società San Paolo è considerata la madre di tutta la Famiglia Paolina poiché il Superiore generale della Società San Paolo è riconosciuto quale legittimo successore del fondatore. I membri della Società San Paolo, soprattutto sacerdoti, hanno quindi una responsabilità morale nei confronti di tutte le componenti della Famiglia Paolina. I paolini sono noti per le loro opere apostoliche, come le Edizioni San Paolo, i periodici Famiglia Cristiana, Jesus, Il Giornalino. Le Figlie di San Paolo condividono il carisma della Società San Paolo: hanno un‟autonoma casa editrice che prende il nome di Edizioni Paoline. Le Pie Discepole del Divin Maestro hanno una triplice missione, che si incentra nell‟Eucarestia, nella Liturgia e nel Sacerdozio. Esse si dedicano in modo particolare affinché risplenda nella Chiesa la bellezza del Cristo attraverso la creazione liturgica (canti, paramenti, patene, iconografia, ecc.), sono vicine ai ministri ordinati (vescovi, presbiteri e diaconi) e adorano il Cristo presente sacramentalmente nel mistero eucaristico intercedendo soprattutto per gli operatori nel mondo della comunicazione. Le Suore di Gesù Buon Pastore affiancano i parroci nell‟attività

pastorale,

compiendo

formazione e di santificazione.

84

opere

di

istruzione,


Le Suore di Maria Regina degli Apostoli si dedicano ad accompagnare i giovani nel discernimento vocazionale. Le

quattro

istituzioni

sono

le

Annuziatine,

i

Gabriellini, Gesù Sacerdote e la Santa Famiglia. Le Annunziatine è un istituto per donne consacrate, che vivono la spiritualità paolina rimanendo nel mondo. Similmente opera l‟Istituto dei Gabrielini, composto però

di

uomini consacrati che

vivono

nel mondo

la

spiritualità paolina. L‟Istituto Gesù Sacerdote si compone di vescovi e sacerdoti diocesani che, secondo la definizione di Paolo VI, si impegnano alla “imitazione sempre più perfetta dell’Eterno Sacerdote Gesù Cristo, mediante la professione dei Consigli evangelici”. Essi sentono vivo il bisogno di vivere la stessa spiritualità della Famiglia Paolina, con la quale condividono tutte le ricchezze spirituali. Essi cercano di fare sintesi tra ministero e impegno di santificazione vivendo una profonda fraternità. La Santa Famiglia è un istituto di vita secolare consacrata per coniugi, che si propone come fine la santità della vita matrimoniale. È presente, nella Famiglia Paolina, un‟associazione laicale - i Cooperatori -, composta di quanti, pur non facendo parte del clero, condividono la missione della Famiglia Paolina. Vi sono infine altre realtà che, pur non facendo direttamente parte della Famiglia Paolina, si ispirano al carisma di Don Alberione. Esse sono le Vergini consacrate 85


Ancillae Domini e la Fraternità di Gesù Divino Maestro. La spiritualità della Famiglia Paolina ruota intorno alla fonte di ispirazione di San Paolo Apostolo, e mette al centro la figura del Redentore con il titolo di Divino Maestro Via, Verità e Vita, e la Beata Vergine Maria con il titolo di Regina degli Apostoli.

86


Istituto della Divina VolontĂ

Abstract non disponibile.

87


88


Istituto Vigna Pia

L‟istituto originariamente

Vigna adibito

Pia a

è

un

scuola

edificio agraria

del

1858,

e

opera

assistenziale, al centro della tenuta omonima. Tra 1850 e 1851 il principe Torlonia, la principessa Wolkonski e l‟Ordine religioso dei Minimi costituiscono una proprietà fondiaria unitaria di 22 ettari, denominata Istituto agrario di carità Vigna Pia in onore del papa regnante, Pio IX. L‟insediamento è strutturato secondo lo schema della colonìa, con vasti terreni a coltura intorno ad un corpo di fabbrica principale. La popolazione è costituita di “orfani e altri garzonetti più sventurati”, tra i 7 e i 21 anni. Dopo l‟alfabetizzazione essi ricevono la formazione teorica in agronomia e agrimensura, cui segue l‟apprendistato di orticultura, cerealicultura e viticultura ed infine il collocamento a servizio in una famiglia rurale. Il

Convitto,

di

forma

quadrangolare,

rivolge

il 89


prospetto principale alla valle della Magliana. È sormontato dallo stemma papale tra due cornucopie colme di grano. L‟edificio si prolunga in un padiglione di minor altezza, realizzato da Leone XIII nel 1889. Il 23 aprile 1891 gli edifici sono danneggiati dallo scoppio della Polveriera di Forte Portuense. La tenuta aveva un portale monumentale, oggi scomparso. Nel Dopoguerra l‟estensione della tenuta viene erosa dall‟urbanizzazione, fino a perdere la vocazione agraria. Il complesso è oggi sede di convitto, centro giovanile e polisportiva locale.

90


La Meridiana

Vigna

Jacobini

è

una

proprietà

fondiaria

settecentesca, variamente frammentata tra i rami familiari Jacobini,

Gioacchini

e

Ceccarelli.

Occupava

complessivamente i due lati della via Portuense dall‟attuale Stazione Trastevere a Forte Portuense, e parte della valle di Affogalasino e di Villa Santucci. Dimora della casata e centro amministrativo della tenuta era la palazzina “La Meridiana”, uno scarno casale seicentesco ingentilito da un corposo frontespizio e dal monumentale

quadrante

di

orologio

(recentemente

restaurati). Le produzioni viticole pregiate si concentravano nella “vigna del Ciacchero”, esposta a mezzogiorno e riparata dai venti. Ne usciva un superbo vino aleatico la cui mescita “a coppelle” avveniva presso l‟osteria “del Cardinale”, nel casale omonimo. La proverbiale

ripida

rampa

a scalini che 91


precedeva l‟osteria metteva a dura prova i popolani che avessero ecceduto nel bere. L‟intera produzione di vino era stivata in barili dentro i “grottoni” (una fitta rete di cantine a galleria scavate nel tufo) ed avviata su “carri a vino” condotti da pariglie di muli o buoi verso i mercati urbani.

Il Quartier generale dei Francesi

Destinata ai riposi di monsignor Giuseppe Santucci, originario di Ercolano, Villa Santucci (oggi Villa Maraini) compare già nel 1818 nel Catasto Gregoriano, segnalata come villa e casetta per il vignaiolo. L‟edificio era costituito da un corpo centrale più elevato e due ali più basse, con una scalinata a doppia rampa. Il vasto parco, dell‟estensione di 14 ettari (con ingresso da via Ramazzini), era una pineta con alcune piante esotiche. Lungo il muro di cinta sorgeva una Cappellina. Durante la repubblica Romana, nel 1849, la villa funzionò da quartier generale dei francesi di Oudinot, prima dell‟attacco alle Mura del Gianicolo. Nel 1853 la proprietà passò a Papa Pio IX, che ne fece un soggiorno estivo per seminaristi; poi cambiò altre volte proprietario, fino ai Maraini. Nel 1920 fu acquistata dal Comitato per gli invalidi della Guerra di indipendenza, per donarla alla Croce Rossa e farne un centro antitubercolare. Lavori nel 1920 hanno falsato la struttura originaria, 92


togliendo la rampa di accesso e sopraelevando un piano. In seguito funzionò come centro di educazione motoria fino al 1970; infine fu sede di un centro sociale e di una comunità per il recupero di tossicodipendenti.

93


94


La Pisana

Articolo non indicizzato.

95


96


La Salle

Abstract non disponibile.

97


98


La Serenella

La Serenella è una dimora signorile visibile già dal catasto del 1818, sita in via dei Martuzzi al Corviale. Per quanto noto, la proprietà è di ente ecclesiasico e funzionale; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599135A, Sacchi G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

99


100


La Vignarola

La Vignarola è una dimora signorile del Primo Novecento, sita in via di Vigna Due Torri, 116, al Portuense. Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; non è visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00970676A, Banchini R. - cat. Tantini G.). L‟attigua Passeggiata di Vigna Due torri è un percorso pedonale di 193 m che risale il fianco collinare di Vigna Due Torri dalla stazione ferroviaria alla dimora storica. Il progetto dell‟arch.

Giordani

realizzato

nel

1999

asseconda

la

morfologia del suolo ed impiega materiali locali: tufo per le murature, porfido per le pavimentazioni, legno per gli arredi. Il percorso inizia da un ponte di legno, da dove si scorgono alcune tracce archeologiche, forse di uso funerario. Una diramazione raggiunge Nostra Signora di Valme, 101


realizzata nel 1982 dall‟arch. Spina e ispirata al santuario spagnolo di Dos Hermanas. “Valme” è il grido di battaglia della Reconquista al tempo dei Mori e significa “Dammi forza”. A metà strada si trova una sosta con una fontanella ed un casale recentemente restaurato, con intorno bei giardini in condizione di naturalità (querce, tassi, lecci, olivi, cipressi). Prima delle terrazze panoramiche si trovano la fontana liberty della Conchiglia e l‟area attrezzata per cani. In cima fa capolinea il 44 e si trova l‟accesso a Villa Bonelli.

102


Le Mantellate

Le

Mantellate

è

un

convento

verosimilmente

dell‟Ottocento, sito in via della Fanella, 45, al Corviale. Per quanto noto, la proprietà è di ente ecclesiasico e funzionale; non è visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599139A, Sacchi G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

103


104


Le Turchine

Abstract non disponibile.

105


106


Maccaferri

Nel

1917

si

insedia

alla

Magliana

l‟industriale

Gaetano Maccaferri, proprietario della IPS, Industria Prodotti Siderurgici di Bologna. La sua scelta non è affatto casuale: ha

ricevuto

dal

Ministero

della

Guerra

un

ingente

finanziamento, che gli consente di acquistare i terreni insalubri intorno al Fosso di Affogalasino (dal costo irrisorio) e di tirar su gli altoforni con una rapidità impressionante, iniziando da subito la produzione nella succursale romana. La zona è desolata, ma ha intorno a sé tutto quello che serve: la stazioncina ferroviaria per far arrivare il ferro grezzo e far partire i prodotti lavorati, e un‟ingente disponibilità di manodopera a basso costo, reclutata tra i terremotati della Conca di Avezzato insediatisi alla Magliana. La Maccaferri in quel periodo - siamo in piena Prima guerra mondiale - produce un solo prodotto: il filo spinato per le trincee sul Carso.

107


I cancelli componibili Magliana

Negli Anni Venti, esaurita la commessa bellica di filo spinato per le

trincee sul

Carso, l‟Industria

Prodotti

Siderurgici Maccaferri della Magliana si riconverte alla produzione civile di cancelli e recinzioni da giardino in modulo componibile fai-da-te. Il catalogo prevede soli quattro prodotti base - il recinto, la cancellata, il cancello e il cancellino - declinabili per altezza e spessore e in 300 combinazioni diverse. Il recinto consiste in una rete a maglia metallica a doppia zincatura, sorretta da 4 tipi di paletto: normale, testata, angolare e rompitratta. La cancellata è una recinzione montata su telai, a loro volta sostenuti da colonne in tubolare verniciato al minio. Sulle recinzioni possono aprirsi il cancellino pedonale o il cancello carrabile, rispettivamente a una o due sezioni, sostenuti da colonne in ferro o ghisa e con serratura a doppio scrocco. La vendita avveniva per corrispondenza. Bastava spedire alla Maccaferri il formulario stampato in fondo al catalogo, indicando i numeri di combinazione e la quantità: dalla stazioncina ferroviaria IPS-Magliana tutto l‟occorrente raggiungeva smontato ogni parte d‟Italia e delle Colonie. Le condizioni di vendita prevedevano il pagamento in contante o a 15 giorni dalla fattura, con una penale, in caso di ritardo, del 6% annuo.

108


Allâ€&#x;acquirente non rimaneva che montare da sĂŠ la recinzione intorno al suo giardino e godere in pace la fine della Grande guerra.

109


110


Madonna di Pompei

Abstract non disponibile.

Madonna di Pompei, bene storico artistico

(3). La Chiesa di Santa Maria del Rosario alla Magliana Vecchia ha avuto dal Ministero per Beni e le Attività culturali l‟importante riconoscimento di edificio di interesse storico artistico. La chiesa costituisce una testimonianza storica delle vicende dell‟Agro Romano, ponendosi - come si legge sulla relazione storico-artistica del Ministero - “come elemento focale e tutt‟ora di maggiore riconoscibilità dell‟originario nucleo insediativo a carattere rurale, in ciò svolgendo un 3

Di Maurizio Vacca.

111


ruolo prezioso per la conservazione dell‟identità del luogo, ormai raggiunto dalle recenti espansioni edilizie”. L‟edificio è stato costruito tra il 1908 ed il 1915 e sorge lungo via della Magliana, ai piedi delle colline che, secondo la denominazione tradizionale, erano conosciute come Monte delle Piche e Colli di Affogalasino. Esso trova origine dalla creazione della borgata rurale conosciuta in seguito anche come Borgo Maccaferri, sorto per accogliere gli operai degli Stabilimenti Maccaferri - officine nate nel 1917 in piena Prima Guerra Mondiale per iniziativa di un imprenditore emiliano con il sostegno del Governo -, destinati alla produzione di filo spinato, di cui vi era grande necessità per le esigenze belliche. Si affaccia sulla piazza Madonna di Pompei ed è posizionata strategicamente vicino alla Stazione della Magliana che era già attiva agli inizi del Novecento. Il 1° marzo 1915 la chiesa fu eretta a parrocchia, con decreto del Cardinale vicario Basilio Pompili, sotto il titolo del Santo Rosario di Pompei fuori Porta Portuense. Il riconoscimento agli effetti civili del provvedimento vicariale fu decretato il 4 marzo 1917. Dal punto di vista architettonico la chiesa si presenta a navata unica con tetto a capanna e con una piccola abside quadrangolare (scarsella). è una impostazione che si rifà volutamente

alla

tradizione

architettonica

degli

Ordini

Mendicanti. “L‟impaginato architettonico - scrive il Ministero nella sua relazione - si presenta austeramente classicistico”, con le parete laterali “realizzate in blocchetti di tufo e 112


laterizio

a

faccia

a

vista

e

dall‟equilibrata

elegante

intelaiatura, costituita da paraste di ordine tuscanico”. Da evidenziare la particolarità che tutti e due i fronti esterni su via della Magliana e piazza Madonna di Pompei sono

trattati

corrispondente

come

facciate.

Il

al fianco sinistro

fronte della

più

lungo,

chiesa,

doveva

svolgere inizialmente tale funzione. Una conferma è rilevabile da una fotografia del 1940 circa, in cui il lato corto sulla piazza

non

presenta

una

qualsiasi

qualificazione

architettonica. Tale soluzione sembra fosse dettata dalla volontà iniziale di privilegiare l‟affaccio verso la Magliana e l‟antistante stazione ferroviaria. Solo in seguito venne completato il fronte che si apriva sulla piazza, a seguito probabilmente della realizzazione di un nucleo abitato più significativo, e quindi di una più definita sistemazione della piazza stessa.

Cari saluti da Magliana

Abstract non disponibile.

113


114


Magazzini romani alla Mira Lanza

I Magazzini alla ex Mira Lanza sono un deposito commerciale di epoca romana, sito nei pressi di via Pierantoni a Marconi. Per quanto noto, la proprietà è pubblica e di interesse archeologico (scavi recenti); non è visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma (scheda inventariale presso l‟Ente).

115


116


Magazzini romani di Parco dei Medici

La Villa del torcularium è un edificio romano di epoca repubblicana, così chiamata per la presenza di una vasca, identificata come un probabile torcularium, cioè un impianto per la pigiatura dell‟uva. L‟edificio risale alla fine del II sec. a.C. e consiste in due ambienti in opus incertum (A e B), più un terzo ambiente scavato parzialmente (C), dal quale è affiorata una canaletta in opus spicatum. Nell‟ambiente A, salendo due gradini, si accede alla vasca per la pigiatura dell‟uva (D), rivestita in cocciopesto. Nel I sec. a.C. l‟edificio viene ampliato con una seconda vasca in opus reticulatum, anch‟essa foderata in cocciopesto (E), e con altri due ambienti (F e G), dei quali restano le fondazioni. Accanto alla seconda vasca si trova un pozzo circolare (H). Il complesso sopravvisse fino al III sec. d.C. A nord della villa è stato rinvenuto un tratto di strada 117


basolata. Il sito è emerso casualmente, durante lavori per la realizzazione del Campo da golf di Parco dei Medici. Nella relazione degli scavi della Sovrintendenza Archeologica (1989) Laura Cianfriglia scrive: “Vasche e canaletta indicano che questa era la zona produttiva della villa. Lo scavo è parziale ed incompleto. Non vi sono quindi elementi per comprendere se le strutture appartengono ad una villa più estesa dotata anche di una parte residenziale, o se è un edificio di solo utilizzo rustico”.

118


Magliana Nuova (zona urbanistica)

La Magliana Nuova (o Pian Due Torri) è la terza delle sette zone urbanistiche del Municipio XV, popolata da circa 26 mila abitanti. Prende il nome dall‟abitato di Nuova Magliana, costruito in forme speculative a partire dal 1968 sulla preesistente Tenuta Due Torri, di cui sopravvive il ricordo nel toponimo Pian Due Torri. Il primo popolamento dell‟area, in epoca romana, avviene intorno alle attività del porto fluviale di fronte a Santa Passera. Nel Rinascimento le confraternite religiose tentano a più riprese il ripopolamento agrario, ostacolato da continue inondanzioni. Con l‟argine del 1926 inizia la storia recente dell‟area, seguita dalla ondata di cemento degli Anni Settanta, accompagnata da una fase di tensioni sociali e lotte. Si progetta, sugli unici spazi verdi rimasti in golena fluviale, l‟istituzione di un parco urbano.

119


Notizia storica

Il primo popolamento dell‟area, in epoca romana, avviene nell‟area di Santa Passera, dove si insedia una comunità stabile di immigrati egiziani di lingua greca (gli Alessandrini), poverissimi e impiegati come maestranze del porto fluviale di Vicus Alexandri. Il resto della piana non è popolato, perché in parte acquitrinoso e insalubre, e in parte, nella prima fascia collinare, coperto da un nemus (un bosco sacro). Nella piana, in epoca medievale, è attestato un campo di sepoltura ebraico. Dal Cinque-Seicento le confraternite del Gonfalone e del Sancta Santorum iniziano una difficile riconquista agraria, interrotta a fasi cicliche dalle inondazioni fluviali. Per le confraternite il reddito maggiore, è comunque costituito non dall‟agricoltura ma da una coppia di torri doganiere (le Doi Torre), che impongono il dazio alle merci in risalita del Tevere e determinano il toponimo Pian Due Torri. La storia moderna del quartiere inizia nel 1926, con la costruzione dell‟Argine e la bonifica integrale. Il piano regolatore del 1954 mette le basi per l‟urbanizzazione intensiva, fissando l‟obbligo di reinterrare la piana di 8 metri fino alla quota dell‟Argine, per prevenire le inondazioni. Da questa prescrizione, disattesa, e dalla frenetica fase edilizia che segue, inizia nel maggio 1971 un periodo di aspre lotte sociali, noto come Magliana in lotta, con al centro le richieste di locazioni a canoni equi e il risanamento del

120


quartiere.

Inquadramento urbanistico

L‟area di Magliana Nuova ha forma grossomodo triangolare: per due lati (nord-est e sud-est) è delimitata dal corso del fiume Tevere, che compie una stretta ansa; mentre il terzo lato (ovest) segue il tracciato rettilineo della ferrovia Ferrovia Roma-Pisa. Alla Magliana Nuova, nel comune sentire, è spesso associata anche la porzione rivierasca di Santa Passera, che congiuge la Magliana Nuova con l‟area di Marconi,

sebbene

essa

ricada

più

propriamente

nel

quadrante del Portuense. Alla Magliana Nuova si trovano due parrocchie: San Gregorio Magno e la recente Santo Volto di Gesù. I dati comunali al 31 dicembre 2009 indicano una popolazione residente di 26.038 abitanti.

Miscellanea

Nell‟area della Magliana Nuova non sono attualmente in

corso

cantieri

di

scavo

studi

da

parte

della

Sovrintendenza. Non vi sono altri siti storici da segnalare.

121


122


Magliana Vecchia (zona urbanistica)

La Magliana Vecchia è il quinto quadrante urbano del Municipio XV, il più esterno fra quelli compresi nel Grande Raccordo Anulare. Il GRA ne costituisce il confine ovest, insieme con il Tevere a sud, via della Pisana a nord e il fosso della Magliana ad est. La Magliana Vecchia si articola in tre settori: la piana golenale di Parco dei Medici, l‟area collinare della Muratella e quella più interna ed estesa della Tenuta Somaini (Casa Mattei). Comunemente è percepita come Magliana Vecchia anche l‟area intorno alla Stazione Magliana e Colle del Sole (Borgata Magliana), che ricade invece nel quadrante del Trullo. Il nome della Magliana compare per la prima volta in un documento del 1018. L‟etimologia è controversa: taluni la fanno derivare da una Gens Manlia latina, altri dall‟ipotetico avamposto etrusco di Allias, altri ancora dalla consuetudine 123


di denominare Molleus (molle) i punti di guado sul Tevere. Il primo popolamento avviene comunque già in epoca arcaica ed il ripopolamento medievale è precoce. Nel Rinascimento avviene la grande fioritura intorno al Castello della Magliana, con l‟attiguo parco di Papa Leone Medici. Le urbanizzazioni recenti

iniziano

ai

primi

del

Novecento

alla

Borgata

Magliana, cui segue negli Anni Trenta il borgo rurale di Somaini. Negli Anni Settanta nasce il polo terziario di Parco dei Medici; è oggi in corso una nuova edificazione alla Muratella. È presente un unico edificio di culto, la Madonna di Pompei. Gran parte del territorio è occupato dalla riserva Tenuta dei Massimi. I dati comunali del dicembre 2009 parlano di 4.237 residenti (senza Borgata Magliana e nuove urbanizzazioni).

Miscellanea

Nell‟area della Magliana Vecchia esistono cinque siti archeologici in corso di studio da parte della Sovrintendenza: la Struttura tardo-repubblicana, il Manufatto romano alle Idrovore, la Strada arcaica al Monte delle Piche, la Villa romana allo Svincolo Alitalia ed i recentissimi Ritrovamenti di via della Magliana in Località Muratella. Nonappena possibile ve ne daremo conto con una scheda su Arvalia Storia. Non vi sono da segnalare altri siti in ambito storico.

124


Mansio di Pozzo Pantaleo Moena Giovagnoli

La Mansio di Pozzo Pantaleo è una sosta per viandanti di

epoca

imperiale,

in

cui

era

possibile

rinfrescarsi,

consumare un pasto frugale, trovare ospitalità e compagnia. Il sito, indagato parzialmente, emerge durante la campagna di scavi della Soprintendenza fra il 1983 e il 1989 e si trova poco più ad ovest rispetto alle Terme. Si tratta di un gruppo di piccoli ambienti in opera mista, affiancati l‟uno all‟altro, con affaccio comune sul Tratto di Via Campana. Gli ambienti sono preceduti da un portico. L‟edificio è dotato di un doppio sistema idraulico, in cui acque potabili e acque reflue circolano separatamente. Le acque sono attinte dal vicino fosso Tiradiavoli o, per la stagione estiva, da un pozzo. È presente un ambiente con una vasca in malta idraulica. Affiancato alla Mansio è stato sommariamente indagato anche un edificio funerario a doppia camera.

125


La sosta dei viandanti

La Mansio della Via Portuensis è un manufatto romano di epoca imperiale, identificato come una sosta per viandanti, qualcosa di molto simile ad un moderno snack bar, in cui era possibile trovare ristoro, breve ospitalità e persino compagnìa. Il sito emerge durante la campagna di scavi del 19831989. A margine dell‟indagine principale (Via Campana e impianto termale) si esplora anche un settore periferico più ad ovest. Ne emerge un gruppo di ambienti in opera mista, non completamente esaminati, posti in serie l‟uno accanto all‟altro, e affacciati sulla strada attraverso un porticato. Gli ambienti sono serviti da un doppio sistema idraulico (acque chiare e acque scure) alimentato dal vicino torrente e con cunicoli fognari per smaltire il refluo. Sono presenti anche una vasca impermeabile, foderata con malta idraulica, e un pozzo (per sopperire all‟essiccazione estiva del torrente). I viandanti potevano godere della frescura della vasca

e

dell‟ombra

del

porticato

e,

con

l‟occasione,

consumare a pagamento un pasto frugale, un bicchiere di vino o, magari, un incontro amoroso a pagamento. L‟indagine ha restituito anche i resti di due ambienti in opera laterizia appartenenti ad un edificio funerario, con ingresso opposto alla Via Campana, caratterizzati dalla presenza di sepolture in formae (sotto tegole).

126


Marconi (zona urbanistica)

Marconi è la prima delle sette zone urbanistiche del Municipio XV, di cui costituisce la parte più vicina al Centro storico. Il primo popolamento è tra la fine della Repubblica e l‟inizio dell‟Impero (Orti di Cesare, Via Portuense, Porto di Pietra Papa), quando i ceti popolari dell‟Urbe si riversano nella fascia extraurbana del Trans Tiberim. In epoca medievale sono attestate comunità stabili già dall‟Anno Mille (Pozzo e Chiesina di San Pantaleone) e successivamente nei Prata Papi, il latifondo agrario della famiglia dei Papareschi. La Ferrovia e il Ponte di ferro (1859) segnano il passaggio

alla

modernità,

accompagnato

dalle

grandi

fabbriche (Mira Lanza, Molini Biondi, Società Anglo-Romana). Il Piano Regolatore del 1931 avvia l‟area alla destinazione residenziale, completata in forme intensive nel 1965.

127


Notizia storica

Il primo popolamento risale alla fine dell‟Epoca repubblicana (Horti di Cesare) e all‟inizio dell‟Impero (Via Portuensis, Villa di Pietra Papa), quando i ceti sociali più deboli di Roma - ma economicamente più vitali: artigiani, portuali,

liberti,

stranieri

-

si

insediano

nella

fascia

extraurbana a ridosso del Trans Tiberim. In epoca medievale le fonti attestano il ripopolamento agrario già dall‟Anno Mille, e la presenza di una cisterna (pozzo) e di una chiesina (dedicata a San Pantaleone) nei pressi dell‟attuale via Quirino Majorana, da cui deriva il toponimo antico di Pozzo Pantaleo. Altro toponimo medievale è Prata Papi, ovvero prati (vasti campi incolti) della famiglia trasteverina dei Papareschi. Il toponimo, corrotto in Pietra Papa, sopravvive ancora oggi. La storia moderna dell‟area data al 1859, quando Papa Pio IX inaugura il Ponte di Ferro e la Ferrovia RomaCivitavecchia. Con la costituzione dello Stato unitario nell‟area si insediano piccole attività, che ad inizio Novecento lasciano il posto a grandi stabilimenti produttivi (Mira Lanza, Molini Biondi, Società anonima Oliere, Società Anglo-Romana Illuminazione). Nel 1915 una piena del Tevere rompe gli argini e invade la Società Anglo-Romana. Forse in memoria di questo episodio il Piano Regolatore del 1931 dispone il reinterro della Piana fino a quota d‟argine, e apre per il quartiere una

128


diversa destinazione d‟uso, quella residenziale.

Notizia urbanistica

Il quartiere attuale prende il nome dallo scienziato italiano Gugliemo Marconi. Si articola lungo un tridente stradale originato sul piazzale della Radio, composto da viale Marconi al centro e da via Oderisi da Gubbio e il Lungotere ai lati. Nel Dopoguerra l‟impianto viario si completa con la realizzazione del ponte sul Tevere (Ponte Marconi) e la prosecuzione di viale Marconi verso l‟EUR. L‟edificazione in forme intensive, con grandi caseggiati alti 8 piani, si compie nel giro di 20 anni. Nel 1965, scrive Nicoletta Campanella, «non c’è più un metro quadro libero». «Le zone dedicate al verde pubblico sono del tutto inesistenti. Il più grande problema è lo smaltimento del traffico, che, oltre a quello locale, comprende anche quello della vasta zona commerciale che si è venuta a mano a mano allargando. Così il quartiere Marconi, sorto sotto la spinta speculativa, è arrivato ad una densità edilizia di 1300 abitanti per ettaro». I confini urbanistici sono dati dal tracciato ferroviario della Roma-Pisa a nord e a ovest, e dal corso del Tevere, a sud e a est. L‟Area comprende, oltre alla Piana di Pietra Papa, anche un lembo collinare, lungo l‟asse di via Quirino Majorana, chiamata Nuovo Trastevere. Vi

sono

due

chiese

parrocchiali:

Gesù

Divino

Lavoratore e Santi Aquila e Priscilla. I dati comunali al 31 129


dicembre 2008 indicano una popolazione residente di 35.111 abitanti.

Miscellanea

Si ha notizia di un Cimitero catacombale ebraico, che si trovava, grossomodo, alle spalle dellâ€&#x;odierna via Oderisi da Gubbio, noto giĂ dal Seicento. Esso risulterebbe franato nel 1864, e da allora perduto. Vi sono, nellâ€&#x;area di Marconi, due siti archeologici in corso di studio da parte della Sovrintendenza: i Drenaggi di via Biolchini, venuti alla luce durante la realizzazione di un supermercato, e la Struttura arcaica alla Casa ebraica. Di essi non sono purtroppo disponibili notizie dettagliate. Tra le opere moderne ci riproponiamo, non appena possibile, di realizzare una scheda sulla Sinagoga, la Chiesa evangelica e il Porto fluviale.

130


Martiri Portuensi

Abstract non disponibile.

131


132


Mater Divinae Gratiae

Abstract non disponibile.

133


134


Mira Lanza, lotto del 1918

La Mira Lanza è una fabbrica dismessa edificata nel 1918, sita sul lungotevere dei Papareschi a Marconi. Per quanto noto, la proprietà è pubblica e presenta elementi di degrado; non è visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00970903A, Banchini R. - cat. Isgrò S.). L‟Ex Saponificio Mira Lanza, sito in lungotevere Gassman (dei Papareschi) e via Pacinotti, è una proprietà comunale di inizio Sec. XX. Il complesso industriale, che si sviluppò dal 1918 al 1921,

comprendeva

costruzioni

funzionali

alle

varie

lavorazioni necessarie al saponificio: i nuovi magazzini verso il fiume, la portineria, i servizi (nursery e refettorio), i due fabbricati per il saponificio e l‟estrazione a benzina di grassi da ossa o altro -, le caldaie per la produzione di vapore, due 135


ciminiere, il magazzino, la stazione degli autocarri, il Villino della Direzione, gli alloggi del personale direttivo e le case a schiera per gli operai (una, a due piani, tuttora superstite, ai numeri 18 e 20 di via dei Papareschi).

136


Mira Lanza, lotto del 1924

La Mira Lanza, lotto II (ovvero i Nuovi edifici, successivi al 1924, alla Mira Lanza) è una fabbrica dismessa, risalente al Ventennio fascista. Fa parte del Complesso storico della Mira Lanza. Le prime edificazioni risalgono al 1924. La proprietà è, per quanto noto, parcellizzata fra più soggetti. Non disponiamo

di

notizie

architettoniche/funzionali

più

dettagliate. Si trova Via Pacinotti, via Pierantoni, lungotevere Gassman (già dei Papareschi). È visibile da strada e periodicamente, vengono organizzate delle visite. Per saperne di più: Roberto Banchini, Scheda inventariale n. 970903 Sopr. BBAA e Paesaggio Roma. Catalogo di Sara Isgrò.

137


138


Mira Lanza, lotto del 1947

La Mira Lanza, lotto III (ovvero Opere di ricostruzione del 1947 alla Mira Lanza) è una fabbrica dismessa di epoca contemporanea. Fa parte del Complesso storico della Mira Lanza. Risale ad un periodo successivo al 1947. Non disponiamo dettagliate.

di Si

notizie trova

in

architettoniche/funzionali Via

Pacinotti,

via

più

Pierantoni,

lungotevere Gassman (già dei Papareschi). È visibile da strada e periodicamente vi si effettuano delle visite guidate. Per saperne di più: Roberto Banchini, Scheda inventariale n. 970903 - Sopr. BBAA e Paesaggio Roma. Catalogo di Sara Isgrò.

139


140


Mulini Biondi A. Di Mario - A. Anappo

I Molini Biondi sono un complesso produttivo dei Primi del Novecento, oggi adibito a centro residenziale e commerciale. Nel 1905 la Società Italiana Molini e Panifici Antonio Biondi di Firenze rileva il preesistente Mulino Städlin (di modeste dimensioni, costruito nel 1885 nella Vigna Costa a ridosso del Ponte dell‟Industria), per ampliare il suo mercato alla Capitale italiana, in continuo incremento demografico e con sempre crescenti esigenze alimentari. La scelta del sito privilegia la vicinanza al Tevere e alla ferrovia, vie di collegamento veloci ed efficienti per l‟approvvigionamento delle materie prime (i cereali) e la distribuzione del prodotto finito

(le

farine

ampliamento, protraggono

in

diretti fino

al

sacchi).

I

lavori

di

elevazione

dall‟ingegner

Antonio

1907.

anni

Negli

e

Fiory,

si

successivi

la

costruzione del nuovo tracciato ferroviario determina un

141


esproprio di 6 ettari di terreno; la trasformazione del Ponte dell‟Industria in strada carrabile (l‟odierna via Antonio Pacinotti) modifica gli accessi e ridisegna i raccordi con la rete ferroviaria nazionale. La

strutture

hanno

l‟aspetto

architettonico

dei

caseggiati industriali nord-europei. Il corpo principale, lungo 62 m e alto 28, presenta quattro ordini sovrapposti di finestre rettangolari, con partiture di mattoni a vista. Internamente i vari piani - divisi da solai sostenuti da colonnine in ghisa - ospitano le motrici a vapore, i trasformatori per l‟energia elettrica, gli impianti per la macinazione del grano e la raffinazione delle farine, e grandi silos di stoccaggio. Un edificio adibito ad uffici e la palazzina degli alloggi degli operai completano la struttura. Lo stabilimento cessa le attività intorno alla metà del Secolo scorso. A partire dal 2000 il complesso, rilevato da privati, è stato ristrutturato, lasciando intatti i prospetti e ricavandovi all‟interno appartamenti e negozi.

142


Murature romane di viale Marconi

Con il nome Murature di viale Marconi si indicano alcuni resti di opere murarie di epoca romana, siti a viale Marconi ma non visibili al pubblico perchÊ interrati. Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse archeologico. Presso la Soprintendenza Archeologica di Roma, che ha studiato il sito, è disponibile per gli studiosi una scheda inventariale.

143


144


Necropoli alla Mira Lanza

La Necropoli alla ex Mira Lanza, accessibile da via Pierantoni, è un sito necropolare di epoca romana. Per quanto noto, la proprietà è pubblica e di interesse archeologico (scavi recenti); non è visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma (scheda inventariale presso l‟Ente).

145


146


Necropoli di Ponte Galeria

Abstract non disponibile.

L’uomo senza sorriso di Malnome

Gli studi degli antropologi sulle umili tombe di Castel Malnome hanno restituito il racconto aspro della vita nella comunitĂ dei lavoratori portuali dei bacini di Claudio e Traiano e delle vicine saline: facchini ai moli, portatori di sale e uomini di fatica in genere, con lo status di schiavi o liberti. Gli scheletri appartengono in gran parte a maschi (il 72%), tra i 20 e i 40 anni) e con la schiena “rotta dalla faticaâ€?: presentano lesioni della colonna vertebrale dovute al trasporto di carichi e frequenti fratture agli arti. Un cranio, radiografato alla tac al Policlinico Casilino, 147


ha rivelato la storia di un uomo con la rara patologia della “signazia”,

mai

L‟individuo

rilevata

finora

30-35enne

in

popolazioni

presenta

antiche.

un‟ossificazione

dell‟articolazione temporo-mandibolare: in pratica è nato con la mandibola saldata alla tempia e non ha mai potuto sorridere, masticare, parlare.. Una mano pietosa gli ha strappato via gli incisivi, per permettergli di alimentarsi e respirare, e svolgere così la sua vita

di

facchino.

Gli

antropologi

interpretano

questo

intervento come volontario ed operato dalla comunità portuense per assicurare la sopravvivenza ad un individuo che sarebbe morto in età infantile. La mentalità del tempo infatti consentiva al pater familias di lasciar morire un figlio nato deforme.

148


Necropoli di via Blaserna

La Necropoli di via Blaserna è un sito necropolare di epoca romana, sito nella via omonima a Marconi. Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse archeologico; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma (scheda inventariale presso l‟Ente).

149


150


Necropoli di viale Marconi

La Necropoli di viale Marconi è un‟area cimiteriale di epoca romana, rinvenuta lungo viale Marconi e oggi non visibile al pubblico perché interrata. È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma (la scheda inventariale è disponibile presso l‟Ente per gli studiosi). Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse archeologico.

151


152


Necropoli di Vigna Pia Moena Giovagnoli

La Necropoli di Vigna Pia è un complesso funerario, composto di: tomba collettiva (Colombario di Vigna Pia), tomba familiare (~ di Atilia Romana) e una parte interrata. Il settore collettivo si compone di più ambienti organizzati a Colombario, con file ordinate di nicchiette e qualche sepoltura intagliata nel pavimento (a mosaico o in opus spicatum) o in arcosoli. Vi è una cucina funeraria per i banchetti in onore dei defunti.

Le decorazioni raffigurano

rose, volatili e cavalli marini. La tomba familiare è dedicata ad Atilia Romana, defunta moglie di Atilius Abascantus, raffigurata in un ritratto a mosaico in tessere bianche e nere. Una terza area (oggi ricoperta) ha restituito delle semplici murature. L‟area viene individuata nel 1998, vicino il ristorante La Carovana.

Nel 2000 iniziano gli scavi e nel

2006 l‟area viene sistemata e aperta al pubblico.

153


La Tomba di Atilia

Nel

luglio

1998,

durante

lavori

di

archeologia

preventiva per la realizzazione di box auto nell‟area tra le vie Riccardo Bianchi, Ettore Paladini, viale di Vigna Pia e via Portuense, emerge una nuova porzione del vasto complesso necropolare Portuense, di cui sono già note le aree di Pozzo Pantaleo, del Drugstore e di via Ravizza. Tutte e quattro le aree

afferiscono

infatti

alla

viabilità

dell‟antica

Via

Portuensis. I resti sono oggi compresi nella fascia centrale del terreno del ristorante La Carovana, posto su un diverso piano di calpestìo. Gli scavi iniziano nel 2000 e continuano anche nel biennio successivo. La successiva sistemazione pubblica (con la realizzazione di tettoie protettive) si conclude nel 2006. Nell‟area sono presenti strutture funerarie di diverse tipologie, appartenenti a diversi modi di trattare il corpo del defunto: l‟inumazione (data la presenza di sarcofagi, tombe a cappuccina e anche fosse ricavate nel terreno, a volte anche distruttive per quanto riguarda i mosaici) e l‟incinerazione (sono state trovate ollette e anfore, usate per conservare le ceneri del defunto). Complessivamente, la Necropoli di Vigna Pia risulta articolata in tre sezioni: il Sepolcro di famiglia, l‟area del Colombario e un‟area con murature oggi ricoperta. Il sepolcro di famiglia è dedicato da Atilius Abascantus alla defunta moglie Atilia, citata in un‟epigrafe e raffigurata a mezzo busto nel mosaico a tessere bianche e nere. Proprio la

154


scoperta del sepolcro dedicato a questa donna porta gli archeologi a nominare l‟intera area con il nome di Necropoli di Atilia.

Il Colombario di Vigna Pia

L‟area del Colombario presenta pavimenti in mosaico a tessere bianche e nere, con figure ad elemento vegetale, geometrico o simbolico (come il nodo di Salomone). Il colore che spicca di più sulle pareti, all‟inizio identificate solo di colore bianco, è il rosso porpora, il quale delinea anche le nicchie

del

colombario.

Le

pareti

presentano

anche

decorazioni a motivo floreale (roselline) oppure volatili, animali

ultraterreni

(ippocampi)

e

anche

raffigurazioni

simboliche di carattere dionisiaco (la maschera). È stata evidenziata la presenza di fumo sulle pitture: queste tracce stanno ad indicare l‟uso di una cucina funeraria, unica testimonianza nel Territorio Portuense, sebbene sappiamo che l‟uso di banchetti per cerimonie e commemorazioni di defunti sia stato molto diffuso nella civiltà romana. Al centro tra le due aree principali si trova una terza area nella quale sono state trovate delle murature. Tali muri, ritenuti di minor rilevanza, sono stati indagati con la finalità di individuare un diverticolo o un nuovo tratto di Via Campana. La strada non è stata trovata e l‟area è stata ricoperta di terra. 155


156


Necropoli preistorica

Abstract non disponibile.

Usi funerari portuensi

Nel Lazio le forme più antiche di pietas (pietà dei defunti) risalgono all‟Età della pietra, con accumuli di sassi sopra

la

salma:

in

precedenza

i

cadaveri

venivano

semplicemente abbandonati. Queste elementari forme di rispetto, oltre ad evitare la diffusione dei miasmi e la predazione degli animali, postulano una credenza nell‟anima e in una sua dimensione ultraterrena, e permettono di riconoscere un‟altra credenza secondo la quale l‟anima di un insepolto è destinata a vagare senza pace nel mondo dei vivi, in forma di spettro. Le prime inumazioni (sepolture) si registrano nell‟Età 157


del rame e del bronzo, deponendo volumi di terra insieme alle pietre fino a costituire dei monticelli allungati o circolari sopra il livello del terreno (tumuli); oppure scavando sotto il terreno (fosse). Dall‟VIII sec. a.C., ai tumuli e alle fosse si aggiunge un‟altra tipologia funeraria: la camera sepolcrale (sepolcro), ricavata inizialmente al di sotto dei tumuli. Le sepolture (tumuli, fosse o sepolcri che siano), sono spesso concentrate in un unico luogo, esterno all‟abitato, che prende il nome di necropoli (città dei morti). Per antichissima consuetudine infatti (e a Roma fin dalle Leggi delle Dodici Tavole) è vietata l‟edificazione di cimiteri dentro i confini urbani. Parallelamente alla sepoltura si radica dall‟VIII sec. anche l‟uso funerario della cremazione (la salma viene posta in una pira ardente e ridotta in cenere). Si tratta di una pratica comune a tutta la stipe indoeuropea, che giunge alle popolazioni italiche attraverso quelle greche. Inizialmente si diffondono le tombe a pozzo: si tratta di semplici pozzetti rivestiti, in cui vengono deposte le ceneri del defunto. I popoli latini fanno della cremazione un uso prevalente, ed i Romani elaborano la consuetudine di raccogliere le ceneri dentro urne o olle, conservate in speciali nicchie all‟interno di sepolcri, di tipo familiare o collettivo (colombari). Dal II sec. d.C. a Roma si torna progressivamente all‟inumazione. Le cause sono principalmente due. La prima è la penuria di legname (dovuta alla crescita vertiginosa della popolazione urbana), che rende costoso allestire delle pire ardenti per la cremazione; la seconda è l‟importazione a 158


Roma delle dottrine giudaico-cristiane che, predicando la resurrezione delle carni, vedono con diffidenza la cremazione.

159


160


Necropoli protostorica

Abstract non disponibile.

161


162


Nostra Signora del Sacro cuore

Abstract non disponibile.

163


164


Nostra Signora di Valme

Nostra Signora di Valme è una chiesa parrocchiale contemporanea, il cui titolo ricorda un prodigio, avvenuto nel 1247 durante la Reconquista spagnola. Il re Ferdinando, durante l‟assedio di Siviglia, invoca il sostegno della Vergine Maria, con l‟espressione tardolatina “Valme!” (letteralmente Vali me, cioè Dammi forza). Subito dalla terra arida sgorga una sorgente di acqua ristoratrice, che permette alle truppe cristiane di riprendere le armi e scacciare, nel sangue, i Mori. Sul luogo del prodigio Ferdinando edifica un santuario, in cui colloca una statua lignea

della

Madonna,

oggetto

di

grande

venerazione

popolare. In seguito la statua si trasferisce al santuario di Dos Hermanas e dal 1866 il suo culto è praticato anche a Roma, nella basilica di Santa Maria Maggiore, gemellata a Dos Hermanas. Dal 28 febbraio 1982, con il decreto del cardinal Poletti A tutti è ben noto, il culto di Valme è

165


assegnato al Territorio Portuense, dove si costituisce la nuova parrocchia di Valme. Da una iniziale sede di fortuna si intraprende, negli Anni Novanta, la costruzione della nuova chiesa progettata dall‟architetto Spina, conclusa il 24 marzo 1996 con la consacrazione del cardinal Ruini. L‟Edificio liturgico dalle grandi vetrate si caratterizza per l‟icona mariana presente sull‟altare maggiore. Il 10 marzo 2010 sarà collocata la nuova statua in trono della Vergine di Valme. La parrocchia è affidata all‟Opera della Chiesa, comunità cristiana ispirata alla figura di Madre Trinidad. Il Complesso parrocchiale si compone di Comunità, Casa dell‟Apostolato e Casa di risposo. Da Nostra Signora di Valme dipendono le cappelle di S. Giovanni Battista de La Salle e di Papa Giovanni XIII a Borgata Petrelli.

Wojtila, elogio del chiasso

Giovanni Paolo II visita N.S. di Valme il 16 dicembre 96.

È

la

terza

domenica

d‟Avvento,

tradizionalmente

chiamata “Gaudete” in memoria di un passo di S. Paolo ai Filippesi che esorta a gioire per la vicinanza del Natale. Le prime parole sono per i più piccoli: “Vi ringrazio per questa accoglienza chiassosa. E grazie a Dio che c‟è chiasso, perché è un segno della gioia! Essendo ragazzi siete la gioia incarnata; io vi voglio bene!”.

166


In

chiesa

Wojtila

scandisce

S.

Paolo

(4,4-5):

“Rallegratevi sempre nel Signore! Ve lo ripeto, siate felici! Il Signore è vicino!”. I diaconi leggono Isaia (61,10 “il Signore mi ha rivestito di salvezza”), S. Paolo ai Tessalonicesi (5,16 “Dio vi santifichi fino alla perfezione”) e spiegano le figure di S. Giovanni Battista e S. Elisabetta, preparatori dell‟Avvento. Il discorso ai

“carissimi fratelli

e sorelle della

parrocchia” è un elogio per le opere di evangelizzazione, fin dentro i condomìni. “Sono lieto di celebrare l‟eucarestia insieme con voi!”, dice. “Che la buona Novella possa entrare in ogni casa ed aiutare a riscoprire che solo in Cristo c‟è salvezza. In Lui è possibile trovare pace interiore, speranza e forza per affrontare ogni giorno le situazioni della vita, anche le più pesanti e difficili“.

167


168


Nuovo Corviale

Il Nuovo Corviale è un edificio-città, progettato a partire

dal

1972

dall‟architetto

Mario

Fiorentino

su

commessa dell‟Istituto Autonomo Case Popolari. Le idee guida del team di Fiorentino (Michele Valori, Giulio Sterbini, Federico Gorio, Pier Maria Lugli) sono il quartiere-satellite (un nucleo abitato in grado di offrire agli abitanti i servizi necessari senza spostarsi in Centro) e le soluzioni residenziali del primo razionalismo, prendendo come modello le unités d’habitation di Le Corbusier. L‟edificio principale, realizzato di setti in cemento armato, si sviluppa linearmente per 1 km, per 9 piani di altezza più 2 di autorimesse interrate. I piani fuori terra percorsi da lunghissimi ballatoi - sono ad uso abitativo, ad eccezione del 4° piano, destinato alla galleria delle attività commerciali. È suddiviso in cinque lotti (condomìni) lunghi 200 m ciascuno, intervallati dalle quattro torri dei vani 169


scala. Secondo il progetto ogni lotto è dotato di sale, cortili e spazi comuni; nella adiacente spina dei servizi debbono trovarsi

scuole,

strutture

socio-sanitarie

e

laboratori

artigianali. Le prime abitazioni sono consegnate nell‟ottobre 1982. Sono di poco successive le occupazioni abusive, l‟abbandono, il degrado e poi un lungo difficile cammino di riqualificazione. Al complesso appartengono anche due corpi secondari: la traversa (poste a 45° rispetto al corpo principale) e le case basse (alte 2 o 3 piani, in parallelo al corpo principale).

170


Opera Don Guanella

Abstract non disponibile.

171


172


Oratorio Damasiano

Abstract non disponibile.

173


174


Oratorio del Divin Maestro

L‟Oratorio di Vigna Consorti è un magazzino agricolo del complesso agrario dei Casaletti del Trullo, la cui funzione moderna è quella di piccolo ritrovo e luogo di preghiera della Congregazione ecclesiastica delle Pie Discepole del Divin Maestro. Tra i quattro edifici del complesso, è riconoscibile per il colore rosso e per la minor altezza rispetto agli altri edifici presenti.

175


176


Orti di Cesare

Gli Orti di Cesare - in latino Horti Tiberini o Caesaris sono

una

proprietà

fondiaria

romana

extraurbana,

localizzabile tra le propaggini ovest del Trans Tiberim (il Gianicolo) e la Piana di Pietra Papa. Verso il 49 a.C. il console Caio Giulio Cesare ne acquista la proprietà, per mettervi al pascolo allo stato brado la Mandria sacra di cavalli con cui ha attraversato, vittoriosamente, il fiume Rubicone. Nell‟anno 46 Cesare alloggia negli Horti, lontano da occhi indiscreti, la regina Cleopatra, sua preda di guerra e allo stesso tempo sua amante e conquistatrice. Alla morte del dittatore, nel 44, gli Horti diventano proprietà pubblica, attraverso una donazione al Popolo di Roma contenuta nel suo testamento. La struttura edilizia degli Horti è nota solo attraverso la descrizione degli storici. Plutarco attesta che verso le pendici del Gianicolo sorgeva il Palatium, un edificio di medie 177


dimensioni non archeologicamente noto. Esso si collocava in posizione elevata ed era circondato da alti e odorosi pini. Dopo l‟arrivo di Cleopatra il Palatium è ampliato, per adeguarsi al rango di una regina: si aggiungono un peristilio, sontuosi affreschi e la statua colossale di un guerriero gallico. Nei rigogliosi giardini trovava posto un tempietto dedicato alla Dea Fortuna, voluto da Cesare per ringraziare la Sorte favorevole in occasione della nomina a dictator perpetuus (dittatore a vita). I giardini si aprivano sul Tevere con ormeggi e darsene portuali, in cui era alla fonda il barcone egizio di Cleopatra.

Caio Giulio, il tiranno

Caio Giulio nasce il 13 luglio del 100 a.C. Educato alla grammatica nel periodo turbolento del Bellum sociale, è presto avviato alle armi ed inviato in Asia, nel timore che la proscrizione, che già ha colpito suo zio Caio Mario, si abbatta anche su di lui. Svetonio ne dà una descrizione giovanile: “Di alta statura, carnagione chiara e florida salute, nella cura del corpo è meticoloso al punto di tagliarsi i capelli, radersi e depilarsi con diligenza. Sopporta malissimo il difetto della calvizie, per il quale spesso è offeso e deriso: per questo riporta in basso dalla cima del capo i pochi capelli”. Alla morte di Lucio Cornelio Silla, capo della fazione 178


opposta degli Optimates (78), Caio Giulio torna a Roma ed inizia la folgorante ascesa politica: prima questore, poi edile, pretore, pontefice, governatore della Spagna Ulteriore ed infine console, in alleanza con i triunviri Crasso e Pompeo. Dal 59 è in Gallia, impegnato nella campagna contro Elvezi, Veneti e

Belgi,

il

cui

capo

Vercingetorix è

sconfitto

definitivamente nel 52. L‟oratore Cicerone individua nella sete di potere il motore delle azioni di Caio Giulio: “Ha memoria ed ingegno, cultura ed equilibrio, prontezza. Ma non ha altra ambizione che il potere e con grandi pericoli l‟ha perseguita. La plebe ignorante se l‟è conquistata con elargizioni frumentarie, opere pubbliche e feste; i suoi li ha conquistati con i premi e gli avversari con la clemenza. Insomma: a Roma, un tempo fieramente libera, ha dato l‟abitudine di servire, un po‟ per timore un po‟ per rassegnazione”. Domata la Gallia, la strada per il potere assoluto è aperta. Crasso muore improvvisamente e l‟ex alleato Pompeo resta il solo che gli si opponga apertamente. Il 10 gennaio 49 Caio Giulio varca il fiume Rubicone, il confine territoriale vietato alle legioni in armi, per regolare i conti con il rivale: il dado del Bellum civile è lanciato. Alea jacta est. Caio Giulio insegue Pompeo e i suoi luogtenenti dall‟Italia alla Spagna, all‟Africa, alla Grecia. A Farsalo (48) Pompeo è sconfitto, ma sopravvive e ripara in Egitto: lo insegue anche lì. In Egitto l‟ambizioso console incontra la regina Cleopatra, ultima esponente della dinastia dei Tolomei. 179


Affascinante, volitiva, e con una biografia personale non molto diversa dalla sua. Da allora i loro destini si uniranno in una cosa sola.

Cleopatra, amante portuense

Cleopatra (69-30 a.C.) nasce ad Alessandria d‟Egitto dalla famiglia regale dei Tolomei. Governa dalla primavera 51 insieme al fratello Tolomeo XIII, di cui è sposa, fino alla tumultuosa deposizione, ispirata dal consigliere Potino. Quando Pompeo, inseguito da Cesare, sbarca in Egitto, è in corso una furibonda guerra civile: da una parte gli eserciti di Tolomeo XIII e della sorella minore Arsinoe, dall‟altra gli eserciti di Cleopatra e dell‟altro fratello, Tolomeo XIV. Cleopatra è destinata a sicura sconfitta: Tolomeo controlla la capitale, Cleopatra è allo sbando nel deserto nei pressi di Alessandria. L‟arrivo di Pompeo, in fuga da Cesare, rimescola le carte in tavola. Il consigliere di Tolomeo XIII, Potino, nella speranza di ingraziarsi Roma, fa uccidere Pompeo subito dopo lo sbarco, e ne offre a Caio Giulio la testa. La reazione del console è però sdegnata, tanto da catturare Potino e giustiziarlo sommariamente, e prendere le parti della sua oppositrice Cleopatra. Ma Cleopatra non è solo un‟alleata di Caio Giulio: nel frattempo ne è divenuta l‟amante. Lo scontro militare decisivo avviene ad Alessandria nel 48: le successive vittorie di Tapso e Munda consegnano a 180


Caio

Giulio

l‟intero

Egitto,

che

rimane

formalmente

indipendente, sotto la guida di Cleopatra. Molto si è scritto sulla relazione tra Cleopatra e Cesare, in verità con poca documentazione e molte ipotesi. L‟avvenenza di Cleopatra è spesso messa in dubbio (sarebbe stata bassa e col naso a becco!). Senza dubbio però gli interessi del console romano e della regina sono convergenti: Caio Giulio vuole l‟Egitto per impadronirsi delle sue risorse finanziarie, e Cleopatra, non potendo fermarlo, mira a sedersi al suo fianco. A complicare il tutto, scoppia tra i due una relazione, che forse non fu sincera, ma di sicuro fu ardente. Nel 46 Caio Giulio, ormai padrone di un Egitto pacificato, prende la decisione improvvisa di tornare a Roma, per incassare il credito di popolarità maturato con le sue campagne e candidarsi al potere supremo nella Repubblica. La regina-amante decide di partire con lui, con il figlioletto Tolomeo Cesare, detto Cesarione, appena nato dalla loro passione. Dopo breve navigazione le navi di Caio Giulio gettano l‟ancora ad Ostia. Il console alloggia Cleopatra poco al di fuori di Roma, nei suoi Horti sulla Riva Portuense. Cleopatra è pur sempre una straniera, e occorre cautela nel presentarla ai Romani e alla moglie legittima, Calpurnia. Nella corte egiziana in Riva destra Cleopatra rimarrà due anni, dal 46 fino alla tragica morte dell‟amante, console, dittatore alle idi di marzo del 44.

181


Calpurnia, la nobile rivale

Calpurnia è la terza moglie di Caio Giulio Cesare: prima di lei Cornelia era morta prematuramente e Pompea era stata ripudiata. Il matrimonio si celebra nel 59 a.C., quando Calpurnia ha solo 16 anni. Caio Giulio la saluta poco dopo, per impegnarsi nelle complesse fasi del Bellum Gallicum, del Bellum civile e dell‟ascesa al potere assoluto. Calpurnia attende fiduciosa nella Reggia Palatina, dedicandosi all‟amministrazione delle proprietà familiari, ultima delle quali sono gli Horti nel Territorio Portuense (Orti di Cesare). Il condottiero torna a Roma solo nel 46, portando con sé come ingombrante “preda” la Regina Cleopatra, che ospita proprio negli Horti, a debita distanza dall‟Urbe e da Calpurnia. Calpurnia reagisce con misurato contegno romano. Conosce le infedeltà del marito, sa che Cesare sta lavorando ad una legge ad personam che gli consenta di avere due mogli; ma sa anche che in Senato c‟è chi preme affinché ripudi

Calpurnia

e

sposi

Cleopatra,

allettato

dalla

prospettiva di acquisire l‟Egitto per via ereditaria. Chiusa in un severo silenzio, Calpurnia dalla Reggia Palatina scruta ogni giorno gli Horti, dove la rivale sta trasformando il luogo desolato in una sfarzosa corte orientale. Il popolo di Roma prende unanime le parti di Calpurnia. Da Cicerone in poi tutti la informano che Cesare il Conquistatore è stato ormai conquistato dall‟avvenente

182


regina orientale, che non è la sua prima amante ma certo è la più pericolosa. Eppure Calpurnia rimarrà a fianco del marito fino all‟ultimo, al mattino delle Idi di marzo del 44, senza più risposarsi dopo.

Alla corte di Cleopatra

Tra il 46 e il 44 a.C. la regina Cleopatra trasforma gli Horti di Cesare in una corte reale, sul modello della Corte egiziana

di

Alessandria.

Della

breve

vita

della

Corte

portuense - caratterizzata da ingenti opere edilizie, ingente sfarzo, ingenti spese -, rimangono oggi solo i racconti degli artisti e delle personalità pubbliche che vi soggiornarono. Le opere edilizie si concentrano sulla villa alle pendici del Gianicolo, ampliata e trasformata in Palatium. Vengono dipinti affreschi con episodi mitologici e viene innalzata la statua colossale di un guerriero gallico. Nei campi portuensi, dove pascolano bradi i cavalli della Mandria Sacra, la circolazione è regolata da due strade: la Via Campana che taglia dritto verso le terme (oggi Pozzo Pantaleo), e la via alzaria che segue la riva del Tevere. I campi diventano giardini di delizia, con il barcone di Cleopatra all‟àncora nelle darsene (presso l‟odierno Ponte Marconi). Cesare segue i lavori di persona, tanto che gli oppositori lo accusano per questo di trascurare gli impegni pubblici. Nella Corte risiedono stabilmente 200 dignitari, 30 cortigiani, il corpo armato della Guardia reale e un numero 183


imprecisato di ancelle e servi. La lingua comunemente parlata è il greco, nella varietà alessandrina. Cleopatra ha chiesto a Cesare organici ben maggiori (1000 dignitari e 200 cortigiani), ma Cesare l‟ha convinta ad accontentarsi, per non rivaleggiare in sfarzo con i suscettibili patrizi della Reggia palatina. Sono numerose infatti nell‟Urbe le critiche e i chiacchiericci: sia per aver concesso a una straniera onori regali, sia per averle riconosciuto lo status divino di reincarnazione di Iside. Tra i poeti vi troviamo spesso Sallustio, Asinio Pollione, Lucio Apuleio e i due giovanissimi Virgilio e Orazio. Quest‟ultimo, che ha appena 21 anni, non fa mistero di detestare la Regina. E tuttavia è per lui che Cleopatra stravede: Cleopatra si annoia mortalmente nel sentire Sallustio declamare il Bellum Iughurtinum ma quando Orazio prende la parola e racconta le avventure amorose delle sue eroine Cleopatra ascolta ammaliata. Addirittura, pare

che

Cleopatra

stessa

si

sia

cimentata

nella

composizione di un‟opera letteraria, andata perduta, sulla cosmesi femminile simile ai Medicamina faciei di Ovidio. Agli occhi dei poeti Cleopatra appare concordemente bellissima.

Cleopatra,

racconta

Lucio

Apuleio,

indossa

solitamente una conturbante tunica di lino, simile a quelle delle sacerdotesse egizie; possiede anche vesti elaborate, nei colori tradizionali di Roma, il rosso e il giallo, tutte assai discinte rispetto agli standard capitolini. Alla Corte risiedono anche mimi e attori, tra i quali Publilio Siro, e lo scultore greco, Arcesilao, che fonde in euricalco una statua della

184


regina nelle vesti di Iside. Tra i personaggi pubblici agli Horti sono frequentatori abituali Bruto, Antonio e il giovane Ottavio, dall‟indole severa e assai critico. Ci sono anche Tolomeo XIV, il fratello-sposo di Cleopatra di appena 13 anni, e l‟infante Cesarione. Il grande assente dalla Corte portuense di Cleopatra è Cicerone: per il Padre della Patria Roma ha un‟unica corte regale, quella sul Palatino.

Cicerone e la beffa dei papiri

Abstract non disponibile.

La notte che piansero i cavalli

Abstract non disponibile.

185


186


Palatium Sancti Johannis

Il Palatium Sancti Johannis (Palazzo di San Giovanni) è un edificio altomedievale, identificato insieme alla Chiesina rurale di Sanctus Johannis de Maliana come il primo nucleo edilizio del Castello della Magliana. Oggi non è più riconoscibile e, secondo taluni, è inglobato nella porzione del Castello chiamata Palazzetto di Innocenzo VIII. Il primo documento noto circa la Tenuta della Magliana - un atto di concessione del 1018, emanato da Papa Benedetto VIII - affida il Fundus Manlianus al Monastero

di

San

Pancrazio

dell‟Episcopio

di

Porto,

fissandone l‟estensione fino alla Torre di Palidoro, sulla costa, ma senza citare la presenza di edifici. Una successiva concessione dello stesso fondo, nell‟anno 1074, sotto il pontificato di Papa Gregorio VII, in cui il godimento passa al Monastero di San Paolo Extra Muros, cita la presenza di una cappellina rurale, detta di Sanctus Johannis de Maliana. Nel

187


1184 câ€&#x;è un nuovo passaggio di mano, questa volta in favore dei Monaci Benedettini, e non si annoverano accrescimenti edilizi. La tenuta rimarrĂ ai Benedettini fino al 1493. Il Palatium doveva avere la funzione di centro civile della tenuta. Dal Duecento al culto di San Giovanni si affianca quello di Santa Cecilia, tanto che il Palatium nel Quattrocento viene indicato con il nome di Casale Sanctae Ceciliae.

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Palazzetto di Innocenzo VIII

Abstract non disponibile.

Innocenzo VIII, cacciatore di streghe

Giovan Battista Cybo è papa dal 1484 al 1492, con il nome di Innocenzo VIII. è l‟ultimo papa medievale: insegue fattucchiere, eretici e umanisti, non gli interessa di abbellire Roma, non muove guerra a nessuno. Cybo nasce a Genova da una famiglia aristocratica. Compie gli studi a Napoli e Pavia e, protetto da Giuliano della Rovere, sale uno a uno i gradini delle gerachie della Chiesa. Il 29 agosto 1484 è papa. Innocenzo VIII sprofonda Roma nell‟arretramento culturale (emblematico è il divieto di rappresentare Pico della Mirandola) e si disinteressa dei doveri di patrono civico. Conduce però una vita da libertino e 189


gli si attribuiscono 16 figli naturali. Pasquino lo apostrofa così: “Otto figli malvagi, otto figlie malvage, quest‟uomo può chiamarsi a buon diritto padre di Roma!”. In politica estera mantiene relazioni equilibrate: si fa amico

Enrico

VII

d‟Inghilterra

dichiarandolo

legittimo

detentore della corona, insignisce i Reali di Spagna del titolo di “Maestà cattoliche” dopo la cacciata dei Mori da Granada e, posto di fronte alla prospettiva di una crociata in Terrasanta, preferisce accordarsi con il sultano Bajazet, che gli offre 40.000 ducati l‟anno e la Lancia di Longino (oggi a San Pietro). Papa Innocenzo persegue duramente gli eretici (in particolare i Valdesi): la bolla “Summis desiderantes” (1484) incarica i Domenicani di “sradicare l‟errore con la zappa del saggio agricoltore”; il manualetto “Malleus Maleficarum” (1487) codifica la caccia alle streghe; il Grand‟inquisitore di Spagna Tomàs de Torquemada ne farà un sanguinario uso. I soggiorni alla Magliana segnano per papa Innocenzo momenti sereni e distensivi. Jacopo da Pietrasanta e Graziadeo Prada costruiscono il Palazzetto che porta il suo nome. I cronisti abbondano in testimonianze agresti: il 31 maggio 1487 raccontano di una battuta di caccia per i duchi di Ferrara, in cui si catturano un cervo e un capriolo; il 18 novembre 1489 raccontano il tragitto Magliana-Vaticano, parte in battello e parte a cavallo. Innocenzo VIII muore il 25 luglio 1492, dopo essere caduto in stato di letargia, quasi vittima di un maleficio.

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Papiliones

Abstract non disponibile.

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192


Parco del Tevere

Abstract non disponibile.

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194


Piana di Affogalasino

Abstract non disponibile.

Papa Alessandro e la gran bombarda

Abstract non disponibile.

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196


Piazza dâ€&#x;Armi

Abstract non disponibile.

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198


Pietra Papa Andrea Di Mario

Pietra Papa è un toponimo medievale, in uso fino alla prima metà del Novecento, che corrisponde grossomodo l‟odierno quartiere Marconi. Il nome compare poco prima dell‟anno Mille, nella forma latina Prata Papi, dove Prata indica appezzamenti di terreno a seminativo o pascolo, privi di coltivazioni arboree, e Papi l‟appartenenza alla famiglia romana dei Papa (o Papareschi). Dal XIV sec. il nome si deforma in Preta e poi in Petra, per assumere, nel Rinascimento, la forma italiana di Pietra Papa. Una descrizione altomedievale parla di un fondo soleggiato, interamente coltivato, dotato di canali irrigui, cippi terminali e di tutte le pertinenze necessarie per il buon esercizio dell‟agricoltura. Documenti successivi accennano alla presenza di una “cripta alba” (un mausoleo romano di colore bianco, non ancora spogliato dei marmi che lo 199


ricoprivano) e di un ponte galleggiante di barche tra le due sponde

del

Tevere.

Mappe

secentesche

riportano

la

formazione di un isolotto fluviale. Le mappe IGM del 1915 permettono ancora di riconoscere, nei Piani di Pietra Papa, canalizzazioni e case coloniche, a fianco delle nuove strutture industriali, ferroviarie e portuali. Dell‟antico

toponimo

rimane

oggi

l‟unica

testimonianza nella toponomastica: vicolo di Pietra Papa, via dei Prati dei Papa, Lungotevere dei Papareschi.

I Prati dei Papa

(4). Il significato del toponimo Pietra Papa va cercato nella sua forma originaria di Prata Papi - ovvero Prati dei Papa - con il quale la zona viene nominata nei documenti sin dal X secolo. I Papa, possessori di tali prati di cui si fa menzione nel nome, sarebbero da identificare con una antica famiglia nobile di Trastevere, quasi certamente imparentata con i Papareschi, casata molto potente nel Medioevo e nota per aver dato i natali al pontefice Innocenzo II (1130-1143), al quale si deve l‟edificazione nelle forme attuali della Basilica di Santa Maria in Trastevere. Il più antico documento nel quale viene nominato il toponimo è una donazione, datata 1° febbraio 968. Tramite essa la nobildonna romana Teodora cede all‟abate del 4

Di Andrea Di Mario.

200


Monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea (il soppresso monastero benedettino dell‟odierna S. Cosimato in Trastevere) “pratum unum in integro cultum et absolatum cum terminis et fossatis suis et cum omnibus ad eum pertinentibus, positum foris porta Portuense in loco qui appellatur Prata Papi (...) propinque cripta alba”. La cripta alba era probabilmente un antico sepolcro marmoreo. Il 9 febbraio 973, l‟abate dello stesso monastero concesse a sua volta all‟Abbazia di Subiaco il possesso del fondo. E l‟Abbazia, a sua volta, l‟11 gennaio 1009 lo cedette a un tale Giovanni di Azzo per tre generazioni. È interessante riferire la notizia, contenuta in un testamento datato 12 novembre 1287, secondo la quale i possedimenti nei Prata Papi di un certo Giovanni Papa, lasciati in eredità al Monastero dei SS. Bonifacio ed Alessio all‟Aventino, erano già appartenuti all‟ente ecclesiastico 300 anni prima. Come si evince da un altro documento testamentario, a partire dal XIV secolo il toponimo subisce una prima metamorfosi che porta

il

nome originale di Prata a

trasformarsi in Preta. Infatti, in un atto del 26 maggio 1348, tale Nicolò De Vaschis lascia all‟ospedale del Ss. Salvatore “quinque aut sex petias terrarum, positas extra portam Portuensem in loco dicto Preta Papa”. In una cronaca di circa sessanta anni dopo troviamo un‟ulteriore e definitiva storpiatura, che portò dall‟intermedio Preta al nome attuale di Petra, cioè pietra. Il 24 aprile 1408 il cronachista Antonio Dello Schiavo descrive una sua visita fuori porta Portese (“et ivimus

201


versum Petrampapae”) durante la quale ebbe modo di vedere un ponte galleggiante su 13 barche, lungo quasi 50 metri e largo circa 6, che superava il Tevere in un punto che non ci è possibile identificare. Tra le proprietà allora presenti a Pietra Papa, citiamo quella della chiesa di S. Maria dell‟Orto che tra il XV e il XVI secolo “in loco detto Pietra Papa” possedeva numerose vigne.

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Piscina dei Rospi

Abstract non disponibile.

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204


Polveriera

Abstract non disponibile.

205


206


Ponte dei Congressi

Abstract non disponibile.

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208


Ponte dei Francesi

Abstract non disponibile.

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210


Ponte dellâ€&#x;Aeronautica

Abstract non disponibile.

211


212


Ponte dell‟Industria

Ponte dell‟Industria è un attraversamento sul Tevere, legato alla complessa viabilità ferroviaria e veicolare dell‟area del Porto fluviale. Si compone di due ponti affiancati. Il più antico, Ponte di ferro (1863, 131 × 7 m), è a tre luci su travate metalliche in ferro e ghisa, con travata centrale apribile per il transito dei piroscafi diretti al porto di Ripa Grande. Originariamente è al servizio del traffico ferroviario, e dal 1910 è adibito al solo traffico automobilistico e pedonale. In quell‟anno entra in servizio un secondo ponte, Ponte San Paolo (101 × 12 m), composto di tre arcate in muratura. Serve esclusivamente il traffico ferroviario della Dorsale Tirrenica e delle linee ferrovie regionali. Un cippo memoriale sul Ponte di ferro ricorda l‟eccidio nazifascista delle dieci donne avvenuto il 7 aprile 1944.

213


Ponte di ferro

Ponte di ferro viene realizzato in Inghilterra con componenti prefabbricate, tra il 1862 ed il 1863. Il montaggio a Roma è effettuato da una società belga, su commessa della società francese Casalvaldès, appaltatrice dal Governo Pontificio dei lavori di raccordo tra la tratta ferroviaria costiera nord Porta Portese-Civitavecchia e il resto della Linea Pio Centrale di cui si andava realizzando in quegli anni il capolinea della Stazione Termini. Il ponte è a tre luci, su travate metalliche in ferro e ghisa, poggiate su piloni tubolari anch‟essi in ghisa e riempiti di calcestruzzo. Al centro si trova un ponte levatoio, apribile per permettere il transito dei piroscafi e gli altri bastimenti merci diretti al Porto di Ripa Grande. La locomotiva di collaudo passa sul ponte il 10 luglio 1863, e seguono un mese e mezzo di complesse prove di carico (in cui vengono fatti passare contemporaneamente due treni provenienti da direzioni opposte). L‟inaugurazione avviene il 24 settembre 1863, alla presenza di Papa Pio IX e di Monsignor De Merode, che è il promotore dell‟opera. Henry D‟Ideville, corrispondente del Journal d’un diplomate en Italie, così descrive quel giorno: «Tutto avviene con una semplicità commovente. Non ci sono né padiglioni, né bandiere, né discorsi. Il Papa non ha fatto annunciare la visita: alle quattro solo gli interessati, i quali sono stati avvertiti, si trovano riuniti».

214


All‟orario convenuto si apre la campata centrale per il passaggio di un vaporetto, sotto gli occhi dei fotografi. «Si fanno funzionare davanti a Pio IX i meccanismi - scrive D‟Ideville

-.

Quattro

uomini,

con

sorprendente

facilità,

abbassano l’immenso ponte levatoio sotto gli occhi dei presenti

meravigliati.

Monsignor

De

Merode,

uomo

di

progresso e di iniziativa, corre da un gruppo all’altro e spiega il meccanismo del ponte, con l’ardore e la volubilità che sono del suo carattere». Finché, nella meraviglia generale, passa sbuffante il treno: «Tutti circondano Pio IX. Donne, contadini e ragazzi s’arrampicano e scendono a precipizio sui tumuli erbosi, per vedere meglio e poter raccogliere qualche briciola della conversazione del Papa. Un grande numero di stranieri e di turisti, ch’è alla passeggiata nella campagna, fanno fermare le vetture, incantati di trovarsi ad assistere a questo spettacolo». Misura 131 m ed è largo 7,25 m.

Ponte San Paolo

Ai primi del Novecento, in ragione del continuo incremento allargamento

del

traffico

del

Ponte

ferroviario, di

ferro.

si

ragiona

Ma

la

su

un

struttura

prefabbricata, pur essendo solida e ben piantata nell‟alveo, è stata progettata per il passaggio di due soli treni alla volta. I progettisti delle Ferrovie dello Stato si risolvono così a 215


mettere in cantiere un secondo ponte, affiancato al primo, dotandolo di una carreggiata rotabile larga ben 12 metri, in cui passano 6 binari, sorretta da tre arcate in solida muratura per una lunghezza di 101 metri. L‟opera viene iniziata nel 1907 e completata nel 1910, dalla Impresa Allegri. Essa prende il nome di Ponte San Paolo,

dal

nome

della

stazioncina

di

diramazione,

denominata Stazione San Paolo (oggi non più esistente), situata circa mezzo chilometro più avanti presso l‟attuale piazza Ampère. In contemporanea, nella zona è aperto un altro grande cantiere, per l‟edificazione del monumentale Fabbricato-viaggiatori della Stazione Trastevere (in uso ancora oggi), e per l‟ampliamento a 6 binari della breve percorrenza che separa il nuovo ponte dalla nuova stazione. L‟inaugurazione complessiva delle nuove opere avviene l‟11 maggio 1911. Da questa data l‟intero traffico ferroviario si riversa sul Ponte San Paolo, rendendo obsoleto il Ponte di ferro. Ponte di ferro tuttavia non viene smantellato, ed anzi è oggetto di restauro e trasformazione in ponte carrabile a doppio senso di marcia, con marciapiedi ai lati per il traffico pedonale.

Le donne di Ponte di ferro

Al Ponte di ferro trovano la morte, il 7 aprile 1944, dieci donne, vittime della barbarie nazifascista. Affidiamo il 216


racconto di questo episodio alle parole di un bambino di quinta elementare, contenute in un tema della scuola Vincenzo Cuoco. Li ho guardati tutti quei visi di donne scolpiti sul bronzo, cinque rivolti a destra e cinque rivolti a sinistra. Forse cercavano un aiuto prima di essere fucilate. Ho letto i loro nomi incisi sul bordo della lastra di bronzo inserita in una stele di granito. Di loro sappiamo solo che la mattina del 7 aprile 1944 erano arrivate ai forni della Tesei, nel quartiere Ostiense, per procurarsi un po’ di pane e farina per i propri figli. La città era occupata e affamata dai nazi-fascisti e quel giorno l’esercito tedesco si stava rifornendo a quei forni. La Polizia Africa Italiana, complice delle SS, le denunciò, decidendo così della loro fucilazione. Lo storico Cesare De Simone ha trovato i loro nomi nei Mattinali della Questura di Roma: Clorinda Falsetti, Italia Ferraci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi, Arialda Pistoiesi e Silvia Loggreolo. Racconta Padre Efisio che, quando fu chiamato per la benedizione, al muro di destra del Ponte dell’Industria il corpo di una delle dieci donne era stato gettato sulla sponda del Tevere: era giovane e bella ed era stata violentata. A ricordo di quella brutale strage è stata posta la stele con i volti in bronzo, il 7 aprile del 2003. Se voi venite da via Ostiense, verso viale Marconi, sulla via del Porto fluviale fermatevi davanti alla lapide che si trova sulla destra del 217


ponte. Questo non è ricordato tra i grandi monumenti di Roma, non celebra vittorie, ma ricorda a tutti la violenza della guerra e il coraggio disperato delle madri. Michele Crocco è lo scultore del bassorilievo di bronzo che ha dato di nuovo vita agli sguardi e alle voci di quelle donne.

218


Ponte della Magliana

Ponte della Magliana misura 224 m ed è costituito da 7 archi in cemento armato e travertino, 3 dei quali poggiano in acqua su piloni. La campata centrale in acciao è apribile. La storia del ponte è travagliata. Progettato nel 1930 da

Romolo

Raffaelli

come

ingesso

ovest

dell‟EUR

(congiungeva via del Cappellaccio con via dell‟Imbrecciato), nel 1937 la piena del Tevere spazza via il cantiere e le prime opere murarie. Ripresi i lavori nello stesso punto, il ponte viene danneggiato dai Tedeschi l‟8 settembre 43 durante la battaglia della Magliana. Il colpo di grazia e il crollo arrivano il 12 febbraio 44, con il bombardamento americano della stazione ferroviaria di Mercato Nuovo. La ricostruzione è del 48, in posizione avanzata di 200 m e senza le decorazioni del progetto iniziale, ispirate al passato regime. Dagli anni Ottanta un discusso prolungamento di 1,7 km su piloni di cemento 219


raggiunge le Tre fontane. Il ponte è completato da un piccolo scalo portuale, poco distante dal quale si trova il relitto di uno dei vaporetti che fino alla seconda guerra mondiale percorrevano la tratta mare-Ripa grande.

220


Ponte della Scienza

Il Ponte della Scienza è un‟opera di ingegneria, in costruzione, destinata a collegare le due sponde del Tevere tra lungotevere Gassman e il Gazometro. Progettato dall‟architetto Andreoletti, il ponte misura 142 m × 10 di larghezza e si compone di tre elementi: le due stampelle d‟appoggio lungo gli argini e la travata centrale in cemento su funi sospese. La stampella in Riva Portuense è in acciaio corten e misura 63 m (di cui 30 protési a sbalzo sull‟alveo fluviale). La stampella in Riva Ostiense è in cemento armato e misura 42 m (di cui 15 a sbalzo). Sulla distanza tra le due stampelle, 36 m, sono tese le funi in fibra di carbonio, su cui poggia una soletta e la travata centrale in cemento precompresso, ad altezza 15 m. Il progetto prevede che la travata centrale sia realizzata a piè d‟argine e posta sulle stampelle con speciali gru. L‟impalcato è concepito come una terrazza sul fiume, 221


destinata all‟incontro e alla circolazione ciclo-pedonale: una corsia ciclabile è in battuto di cemento; il resto, pedonale, è coperto da legno di tek e attrezzato con panchine. I parapetti in acciaio sono dotati di illuminazione continua a neon sotto i corrimano. Le fondazioni si innestano a 40 m di profondità. In Riva Portuense è prevista la carteratura dei muraglioni con lastre di cemento solcate da fessure per il verde. Il costo netto del ponte è di € 4.161.969,58.

222


Ponte di Mezzocammino

Abstract non disponibile.

223


224


Ponte esterno sul GRA

Abstract non disponibile.

225


226


Ponte Galeria (zona urbanistica)

Ponte Galeria è la settima zona urbanistica del Municipio XV, la più estesa (da sola è grande come le altre sei

zone

urbanistiche

sommate

insieme),

e

periferica

prossima al mare. I confini sono il GRA ad est, il Tevere a sud, L‟Autostrada per Civitavecchia a ovest e l‟asse viario della Pisana a nord. In

questo

quadrante,

denominato

anche

Agro

Portuense - per la sua vocazione essenzialmente rurale, per lo meno fino ai recenti assalti dell‟urbanizzazione - la presenza umana è antichissima, attestata già dal Paleolitico. Gli Etruschi controllano la Careia, il corso d‟acqua da cui deriva il nome attuale di Galeria, e i Romani vi lasciano presenze considerevoli: strade, ponti, acquedotti, necropoli. Nell‟VIII sec. Papa Adriano vi edifica la sua domusculta (una masseria fortificata), trasformata da Gregorio IV in un castello, oggi perduto.

227


A ridosso dell‟Anno Mille il Vico Galera è l‟ultimo villaggio abitato prima del nulla, come testimonia la bolla di Benedetto VIII del 1018 («cum… sylvis atque pantanis, cum ponte et ipsum vicum qui vocatur Galera»). L‟edificazione moderna inizia sotto il fascismo, con l‟insediamento del grande snodo ferroviario e delle prime industrie, portando con sé la bonifica fondiaria. In tempi più recenti vi si insediano i complessi della Città dei Ragazzi, della Regione Lazio e, da ultima, l‟edificazione estensiva della Nuova Fiera di Roma. Nel territorio di Ponte Galeria ricadono cinque frazioni: la frazione omonima (che coincide con l‟abitato urbano di Ponte Galeria), Piana del Sole (al confine con Fiumicino) e i piccoli abitati della Pisana (al bivio di Monte Stallonara), Fontignani (al bivio per Malagrotta) e Spallette (su Via Portuense). L‟area ricade nella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Diocesi di Porto. Vi risiedono 6905

abitanti al

dicembre 2009, ma il dato non tiene conto delle nuove edificazioni.

Il Megaceronte di Ponte Galeria

Nel 1986 gli studiosi Petronio e Capasso pubblicano un saggio sulla fauna di Ponte Galeria nel Pleistocene medioinferiore, cioè quella fase del mondo preistorico che precede l‟affermazione dell‟Homo sapiens. Il testo prende spunto dai ritrovamenti della Cava Alibrandi, ma è l‟occasione per fare il 228


punto sulle 7 species antiquae fin lì documentate, habitat e clima. Tra le specie il Megàceros savini è certamente la più singolare. Si tratta di un cervo gigante, alto più di 2 metri al garrese. Il palco di corna presenta due ramificazioni, in ciascuna delle quali vi sono 5 o 6 pugnali più un primo pugnale

anteriore,

Megaceros

appiattito,

condivideva

le

a selve,

forma

di

paletta.

senza

Il

entrare

in

competizione, con un altro cervide, di piccola taglia, chiamato Dama nestii eurygonos, antenato dell‟odierno daino. Oltre al Megaceros erano presenti altri giganti: l‟Uro (Bos primigenius), un bovide progenitore degli attuali buoi domestici, l‟Elephas antiquus, antenato dell‟elefante asiatico, l‟Hippopotamus,

antenato

dell‟ippopotamo

di

fiume,

e

l‟Equus altidens, sorta di equide arcaico molto più vicino all‟asino che al cavallo domestico. Singolare è la diffusione dell‟Emys orbicularis, una specie di tartaruga palustre ancora oggi vivente. La conclusione dei due studiosi è che “il daino, l‟ippopotamo, l‟elefante, il megaceros e il bue potrebbero indicare

un

clima

temperato-caldo,

con

foreste

ed

abbondanti corsi d‟acqua, con frequenti specchi lacustri più o meno collegati al mare”. Inoltre “l‟equide indica anche l‟esistenza costituivano

di

praterie radure

con

alternate

carattere alle

di

steppe,

foreste”.

Infine

che “la

tartaruga palustre consente di pensare alla vicinanza di uno specchio d‟acqua con correnti assenti o deboli”. Della 229


presenza di un lago-stagno tra Roma e il mare, vi è del resto testimonianza anche in epoca storica. Da: Carmelo Petronio e Lucia Capasso-Barbato, Nuovi resti di mammiferi del Pleistocene medio-inferiore di Ponte Galeria, in Bollettino Italiano di Geologia, pp. 157 e segg. Unâ€&#x;aggiunta del 1987, a cura del professor Petronio, riporta il ritrovamento di una mandibila di rinoceronte.

Miscellanea

Nellâ€&#x;area

di

Ponte

Galeria

esistono

sette

siti

archeologici in corso di studio da parte della Sovrintendenza: la Strada glareata, il Sito arcaico di Ponte Galeria, la Struttura arcaica alle Spallette, la Strada alle Spallette, il Ponte romano sul Rio Galeria, il Magazzino delle anfore, la Villa romana di Castel Malnome. Nonappena possibile ve ne daremo conto con una scheda su Arvalia Storia. Esisono inoltre tre siti storici per i quali ci riproponiamo, nonappena possibile, di realizzare una scheda: il complesso regionale della Pisana, il Ponte mediano su GRA e le Frazioni di Ponte Galeria.

230


Ponte Marconi

Ponte Marconi unisce le due sponde di Pietra Papa e San Paolo con un impalcato continuo in acciaio e cemento di 235 m sorretto da piloni. Il progetto risale al 1937 ed è dedicato allo scienziato Guglielmo Marconi, che per primo diffuse nell‟etere le onde radio. Dopo l‟interruzione forzata durante la Guerra il ponte è completato nel 1954 ed ammodernato e ampliato nel 1975. La sezione attuale è larga 32 m ed ospita 2 corsie per senso di

marcia e marciapiedi panoramici dai parapetti in

travertino. Fra estate e autunno è possibile osservare

lo

spettacolo della caccia fluviale: aironi cinerini (color grigio) e garzette (bianco) stazionano immobili sui bassi fondali della riva sinistra (alle darsene romane), mentre gabbiani e cormorani (nero) si tuffano in picchiata sul profondo canalone davanti la riva destra. Uno studio di Marevivo ha 231


censito in questo tratto anguille, cavedani, rovelle, carpe, cefali in risalita dal mare e i rari barbo e lampreda di fiume. La fauna golenale annovera rana verde, biscia d‟acqua e nutria. Tra le specie della vegetazione ripariale si contano salice bianco, pioppo, ontano comune e varietà nostrane di canneto. L‟argine destro è percorso dalla pista ciclabile. Dal 2003 in riva sinistra si trova la stazione dei battelli fluviali.

L’imbarco di Ponte Marconi

Dal 27 aprile 2003 funziona un collegamento di linea fra ponte Marconi e ponte Amedeo d‟Aosta (orario 7,25-19, partenze ogni 20 minuti)e fra Ponte Marconi e Ostia antica (9,15 andata e 11,30 ritorno, da venerdì a domenica). L‟imbarco è costituito da una banchina galleggiante. In direzione Roma i battelli fermano anche a Ripa Grande, Calata Anguillara (Isola Tiberina), Ponte Sisto, Molo di Castel Sant‟Angelo, Ponte Cavour e Ponte Risorgimento. All‟Isola Tiberina, dove esiste una soglia di fondo, si cambia di battello con un piccolo percorso a piedi. In direzione Ostia non esistono fermate, anche si progettano imbarchi a Ponte della Magliana, Idrovore della Magliana e Mezzocammino. La navigazione di linea è curata da “Battelli di Roma” con 6 imbarcazioni: l‟ammiraglia Agrippina Maggiore, le navi di linea Calpurnia, Cornelia e Livia Drusilla, e le piccole Rea Silvia e Cecilia Metella. La navigazione turistica è curata da 232


una cooperativa che dispone di 2 imbarcazioni: Ciclone e Invincibile. Soprattutto in estate sono istituite corse serali e partenze speciali per il mare (Porto turistico di Ostia), Isola Sacra (Capo Due Rami) e addirittura le Secche di Tor Paterno in mare aperto.

I lucchetti dell’amore

I romanzi per adolescenti di Federico Moccia e le pellicole “Tre metri sopra il cielo” e “Ho voglia di te” hanno avuto un‟appendice in Riva Portuense. Nel secondo film i protagonisti

si

scambiano

l‟eterna

promessa

d‟amore

serrando un lucchetto al lampione di Ponte Milvio e gettando via la chiave nel Tevere a farvi da guardiano. Poco dopo l‟uscita nei cinema (marzo 2007) però il lampione di ponte Milvio è stato preso di mira dai vandali, e alcuni innamorati portuensi hanno preferito serrare i lucchetti al parapetto nord di ponte Marconi. In “Tre metri sopra il cielo” (2004) Moccia racconta la storia tra la “perfettina” Babi (Katy Saunders) e il ribelle Stefano (Riccardo Scamarcio). I due superano le difficoltà dovute alla diversa estrazione sociale, ma, con grande disappunto del pubblico, Stefano abbandona Babi e va in America alla ricerca di se stesso. Nel seguito, “Ho voglia di te” (2006), Stefano torna a Roma e conosce la volitiva Ginevra (Laura Chiatti). I due si 233


giurano amore eterno agganciando il lucchetto, ma la vecchia fiamma Babi ricompare e concupisce Stefano. Ginevra è incapace di perdonare: ci vorranno una gigantesca scritta “Ho voglia di te” sull‟isola Tiberina e il Tevere che onora sempre le sue promesse a far rifiorire l‟amore. Il film, mito intramontabile per le giovanissime, banale operazione commerciale per i critici, ha avuto un enorme successo. Anche un anonimo “Pasquino” portuense ha detto la sua, incidendo accanto ai lucchetti la scritta: “Avete rotto”.

234


Ponte mediano sul GRA

Abstract non disponibile.

235


236


Ponte Morandi

Il Ponte Morandi è più antico ponte sospeso di Roma, ed è l‟unico ponte sospeso a tracciato curvilineo. Il 28 giugno 1965 una frana, il cui fronte è esteso circa 200 metri, investe l‟Ansa della Magliana e il viadotto autostradale (640 m) allora in costruzione. Il progettista Riccardo Morandi - incaricato dall‟ANAS di porvi rimedio individua

due

possibili

soluzioni:

ricostruire

il

tratto

rovinato, con un impalcato che poggia su terne di pali a grande profondità; oppure scavalcare interamente l‟area della frana con un ponte sospeso ad unica luce. L‟ANAS sceglie la seconda opzione, la più ambiziosa e fino ad allora mai tentata a Roma. Il ponte poggia le fondazioni (indicate nel disegno con i punti A ed E) esternamente alla frana, ad una profondità di 53 metri, dove si trova uno strato di argille resistenti. L‟impalcato (A-D, lunghezza 145 m, altezza dal suolo 5 m) è 237


costituito

da

due

travate

curvilinee

in

calcestruzzo

precompresso (A-B e B-D) unite con una cerniera Gerber. Sull‟estremo di fondazione E si innalza un telaio verticale (E-O) i cui piedritti sono spessi 4 m. Dalla sommità del telaio partono i tiranti di sospensione (C-O) composti di cavi

di

acciaio

ad

altissima

resistenza

ricoperti

di

calcestruzzo precompresso e i tiranti di ancoraggio (O-F) che vincolano la struttura a due grandi contrappesi (F) costituiti ciascuno da un cassone in cemento armato riempito di materiali inerti.

La frana del 28 giugno 1965

Nella primavera 1965 la costruzione della Statale 201 (oggi Autostrada Roma-Fiumicino) procede speditamente, anche nel tratto fra il 3° e 4° km all‟Ansa della Magliana, tra la Ferrovia Roma-Pisa e la riva del Tevere, di cui si conosce la franosità. Nell‟area si sta realizzando un viadotto di 640 metri, sorretto da terne di pali piantate in profondità, a 16 m di distanza per complessive 40 luci. Il 28 giugno, al km 3,083, si verifica improvvisa la frana. Per dieci giorni i movimenti di terra sembrano non finire e generano un fronte esteso circa 200 metri. Il collettore fognario del Trullo risulta inservibile e il traliccio dell‟alta tensione pencola. Alcuni piloni del viadotto abbandonano la posizione: sono cioè anch‟essi inutilizzabili. 238


Sospesi i lavori, l‟ANAS incarica un geologo, il professor Petrucci di Palermo, di studiare l‟accaduto, mentre nel cantiere deserto Pier Paolo Pasolini dirige Totò e Ninetto Davoli in alcune scene di Uccellacci uccellini. I rilievi del Professore appurano uno scivolamento del terreno di 3 metri. La causa è una polla (una piccola sorgente) a monte del terrapieno della ferrovia, che disperdendosi sotto la massicciata ha creato gallerie, vuoti e caverne. In seguito, gli interventi di ripristino del collettore porteranno alla scoperta archeologica del Balneum degli Arvali: un impianto termale alimentato forse, 18 secoli prima, dalle stesse acque all‟origine della frana.

239


240


Ponte romano di Parco dei Medici

I Ponti di Parco de‟ Medici sono un sistema di attraversamenti fluviali di età romana, sito nella località omonima alla Magliana vecchia. Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse archeologico; non è visitabile, non è visibile da strada. è stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma (scheda inventariale presso l‟Ente).

241


242


Ponte sul Fosso della Magliana

Abstract non disponibile.

243


244


Portale del Castelletto

Abstract non disponibile.

245


246


Portale di Via Portuense 809

Abstract non disponibile.

247


248


Portale di vicolo del Conte

Il

Portale

di

vicolo

del

Conte

è

un

ingresso

monumentale verosimilmente dell‟Ottocento, sito al civico n. 44 della via omonima al Corviale. Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; è visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599127A, Sacchi G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

249


250


Portale Forlanini

Portale

Forlanini

è

l‟ingresso

monumentale

dell‟Ospedale Forlanini. Inaugurato il 10 dicembre 1934, il nosocomio è intitolato al medico milanese Carlo Forlanini (1847-1918), prosecutore italiano delle ricerche del professor Robert Koch, che nel 1882 riuscì a isolare il bacillo della tubercolosi. Allora, in città come Roma, il morbo colpiva e spesso uccideva una persona su cinque. Il

complesso

organizzato

secondo

è

stato criteri

progettato,

edificato

igienico-sanitari

ed

allora

d‟avanguardia, dettati dal direttore Enrico Morelli, a sua volta allievo di Forlanini. Gli edifici si trovano al centro di un parco di 280 mila mq, con migliaia di alberi d‟alto fusto. Infatti,

prima

della

scoperta

dei

farmaci

ad

attività

battericida e batteriostatica, la tubercolosi si curava con il riposo in ambiente igienico e ben ventilato, oltre che con 251


interventi

chirurgici.

Nel

complesso

non

mancavano

biblioteca, museo, perfino un cinema da ottocento posti e, naturalmente

spazi

per

le

lezioni

destinate

agli

specializzandi, accanto a infrastrutture di servizio e tecniche, per l‟epoca decisamente nuove. Al Forlanini ha prestato servizio il medico partigiano Alfredo Monaco. Il portale si trova al civico 323 di via Portuense (è visibile da strada; l‟accesso è riservato al personale di servizio e ai familiari in visita ai degenti).

L’Ospedale polivalente

L‟idea di un nuovo ospedale polivalente per i Romani venne al sindaco Ernesto Nathan, che nel 1903 fece predisporre un primo progetto, rimasto però sulla carta. Se ne riparlò subito dopo la Grande guerra, come ricorda il nome Ospedale della Vittoria. Fu scelto il terreno periferico di Vigna San Carlo, a 60 metri sul livello del mare, ceduto a buon prezzo dal Vaticano. Un po‟ per la complessità dell‟impresa, un po‟ per la mancanza di fondi, il cantiere, aperto il 28 aprile 1919, ben presto chiuse i battenti. Li riaprì il 15 settembre 1927, sotto la spinta della grave epidemia di influenza spagnola, che colpì con durezza la popolazione romana. Il 28 ottobre 1929 il nosocomio fu inaugurato, con il nome di Ospedale del Littorio. Alla fine della Seconda guerra mondiale cambiò nome in Ospedale Ernesto Nathan e, già nel 1945, in Ospedale San 252


Camillo De Lellis, in memoria del protettore della sanità militare e fondatore dell‟ordine religioso dedito all‟assistenza agli infermi. La gestione fu affidata al Pio Istituto Ospedali Riuniti di Roma. Alla fine degli anni Cinquanta furono eseguiti i primi lavori di ammodernamento e di ampliamento della struttura, per nuovi reparti. Negli

ultimi

decenni

il

complesso

ospedaliero

polivalente, esteso su un‟area di 40 ettari, con un ampio parco e con piante secolari, ha subìto varie modifiche nello stato giuridico, fino alla nascita dell‟Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini-Spallanzani,

dal

1996

San

Camillo-

Forlanini a seguito del distacco dell‟Ospedale Lazzaro Spallanzani, divenuto autonomo Istituto di Ricerca.

I coniugi Monaco, eroi partigiani

Alfredo Monaco, medico di campagna al Portuense, è con sua moglie Marcella tra gli animatori del PSI clandestino a Roma, nei giorni terribili dell‟Occupazione nazista. Studente in medicina, Alfredo conosce Marcella nel 1935. “Avevo 17 anni, facevo la seconda liceo - racconta la moglie in Roma città prigioniera di Cesare De Simone -. Scoprimmo di avere le stesse idee. Abbiamo fatto insieme scelte gravi che capivamo pericolose ma imprescindibili: non potevamo sopportare la soppressione della libertà fatta dal fascismo; potevamo forse dare un contributo al ripristinarsi della democrazia”. 253


Divenuto

dottore,

Alfredo

è

assegnato

al

tubercolosario Forlanini. Al Portuense, con la guerra, si perde l‟uso del denaro. Racconta Marcella: “Dai clienti di campagna non si faceva più pagare; chiedeva in cambio quello che avevano, e cioè farina, uova, carne”. Rimasto senza casa, Alfredo accetta un secondo incarico: medico di notte al Carcere di Regina Coeli, con il beneficio di un appartamento che dà proprio sul cortile del carcere. Nell‟estate 1943 Alfredo ha ormai 32 anni, Marcella 25. Hanno due bambini: Giorgio di 2 anni e il lattante Fabrizio. I Monaco hanno stretto amicizia con il giurista Giuliano Vassalli (28 anni) ed il magistrato Mario Fioretti (sarà ucciso il 4 dicembre 1943). Quando il 25 agosto Vassalli ricostituisce in clandestinità il Partito socialista, i Monaco

vi

aderiscono,

fondando

la

sezione

romana.

Conoscono il segretario Pietro Nenni, i vicari Sandro Pertini e Carlo Andreoni, e Saragat, direttore de L‟Avanti. Con l‟8 settembre a Roma arrivano i Tedeschi: requisiscono il III braccio di Regina Coeli e lo governano con ferocia, così come l‟intera città. Il PSI reagisce dandosi una struttura militare, il cui massimo organo è il Comando, affidato a Peppino Gracceva. Roma è divisa in otto settori militari; i Monaco sono a capo della II Divisione Matteotti, con quartier generale proprio a casa loro. Il comandante tedesco Kappler non immagina nulla di quello che avviene nelle mura del carcere. Racconta Marcella: “Non c‟era posto più sicuro di Regina Coeli!”. Alle riunioni venivano Nenni, Pertini, Saragat, Gracceva, Severo Giannini, e talvolta Bauer,

254


Rossi Doria e Leone Ginzburg di Giustizia e Libertà e Marazza della Dc. Mio marito portava e riceveva notizie dai detenuti.

Aveva

alcune

guardie

fedelissime,

che

lo

informavano di tutto”. L‟attività clandestina del PSI si sviluppa in vaste forme di assistenza, con una rete di alloggi protetti, documenti di identità e tessere annonarie false, staffette, azioni di sabotaggio e di salvataggio, raccolta di armi. Monaco, con la complicità di una suora, nasconde dentro il Forlanini un piccolo arsenale. Il rischio è enorme, ma i Monaco se lo impongono come un dovere verso la Patria. Marcella rischia l‟arresto due volte. La prima viene fermata con una borsa a doppio fondo carica di rivoltelle; il milite ci casca e dice: “Mutti, vai, vai”. La seconda, sul tram a piazza Sonnino, viene invece scoperta: ha un fucile. L‟autista capisce al volo, inchioda e le spalanca le porte. Il 15 ottobre l‟organizzazione accusa il colpo più duro: Pertini e Saragat sono arrestati e rinchiusi a Regina Coeli. Li faranno fuggire.

Tum tum tum, qui Radio Londra

Dopo l‟arresto di Pertini e Saragat (15 ottobre 1943) il medico portuense Alfredo Monaco e sua moglie Marcella progettano l‟evasione che passerà alla storia con il nome di Beffa di Regina Coeli. Nello stabile attiguo a Regina Coeli, dove Monaco ha la 255


disponibilità di un alloggio, in qualità di medico notturno, si tiene una riunione d‟urgenza della Direzione clandestina del PSI. Occorre fare in fretta: si teme che i due prigionieri, sotto tortura, possano fare i nomi dell‟intero organigramma socialista in clandestinità. Spinelli e Colorni propongono un‟evasione classica, segando le sbarre. Nenni e Gracceva sostengono invece un assalto militare. Vassalli escogita di liberarli con falsi ordini di rilascio: è questa proposta che viene approvata. Nel frattempo però il numero di detenuti da liberare è salito a 7, con l‟aggiunta di Allori, Andreoni, Bracco, Ducci e Lunedei. A comandare l‟operazione nelle fasi finali è Marcella Monaco, la moglie del dottore, che può muoversi dentro Regina Coeli senza destare sospetti. Intanto Vassalli e Severo Giannini

rubano

dal

Tribunale

militare

7

moduli

di

scarcerazione in bianco, mentre la guardia carceraria Schlitzer procura un ordine di scarcerazione autentico, da cui copiare timbri e firme. Il 24 gennaio 1944, prima delle 13, Marcella Monaco si presenta a Regina Coeli, accreditandosi alle SS. Il simpatizzante Schlitzer la porta di filato al Centralino e fa protocollare i 7 finti ordini. Il capoguardia Ugo Gala, anch‟egli simpatizzante, porta a mano i documenti al direttore carcerario Donato Carretta. Carretta,

che

nutre

intimamente

sentimenti

antifascisti ma è all‟oscuro di tutto, si oppone, poiché per i prigionieri

politici

occorre

anche

la

vidimazione

della

Questura. Carretta - resosi probabilmente conto di quanto 256


gli sta accadendo sotto il naso, ma non contrario a che ciò avvenga - suggerisce a Marcella Monaco di trovare qualcuno in Questura per farsi dare un assenso telefonico, chiamato in gergo carcerario lasciare alla porta. Sono le 16,30: nel giro di 30 minuti scatterà il coprifuoco e il piano sarà irrimediabilmente compromesso. La signora Monaco corre in strada, per inscenare con il socialista Lupis una finta telefonata. Tutto va storto: tre telefoni

pubblici

non

funzionano.

Marcella

e

Lupis

raggiungono la PAI a San Callisto, dove un simpatizzante elettrotecnico crea un ponte telefonico. Lupis, con sangue freddo, impartisce finalmente al centralinista l‟ordine di lasciare alla porta. Alle 17 Carretta firma: i 7 detenuti escono e si disperdono rapidamente, mettendosi in salvo. L‟indomani,

sera

del

25

gennaio,

alla

radio

clandestina la voce di Paolo Treves annuncia: “Tum, tum, tum! Qui Radio Londra. Ieri pomeriggio una patriota italiana ha fatto fuggire dal carcere Pertini e Saragat, i due massimi dirigenti del Partito Socialista Italiano e capi della Resistenza italiana”. Il tedesco Kappler, informatone, va su tutte le furie con Carretta, minacciandolo di morte: sia per avergli taciuto dell‟evasione, sia per non avergli detto che i capi del PSI sono stati nelle sue mani. Nei giorni seguenti Pertini torna a guidare il PSI e Saragat a dirigere il giornale L‟Avanti. I coniugi Monaco, convinti di non destare sospetti, tornano alla vita di sempre: Alfredo a fare il medico di campagna; Marcella ad accudire i 257


due bambini. Saranno scoperti di lĂŹ a poco.

258


Portale Pantalei

Abstract non disponibile.

259


260


Portale Spallanzani

Dal all‟Ospedale

portale

di

Lazzaro

via

Portuense,

Spallanzani,

292

dedicato

si a

accede uno

dei

fondatori della biologia sperimentale (1729-1799). Fu inaugurato nel 1936 come presidio destinato alla prevenzione,

diagnosi

e

cura

delle

malattie

infettive,

organizzato in differenti padiglioni in un‟area di 134 mila metri quadri. Nel corso degli anni il suo campo di interesse si è via via modificato, in conseguenza dell‟evolversi delle malattie infettive prevalenti. Una sezione dedicata alla cura e riabilitazione della poliomelite fu attivata nel corso degli anni Trenta. Nel 1991, considerata l‟espansione dei settori di interesse, inizia la costruzione di un nuovo complesso ospedaliero, progettato secondo i più avanzati standard e con caratteristiche di isolamento delle patologie contagiose uniche nel Paese. 261


Fino al 1996 faceva parte dellâ€&#x;ospedale polivalente San Camillo-Forlanini-Spallanzani. Nel dicembre 1996 i ministeri della SanitĂ e della Ricerca hanno riconosciuto lo Spallanzani come autonomo IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico).

262


Porto fluviale

Abstract non disponibile.

263


264


Portuense (zona urbanistica)

Portuense

è

la

seconda

delle

sette

sezioni

urbanistiche del Municipio XV, di cui occupa il versante collinare alla sinistra della Via Portuense, nel tratto tra la Ferrovia Roma-Pisa e il fosso di Papa Leone (oggi interrato). I confini urbanistici disegnati nel 1977 comprendono solo una parte dell‟Area storica portuense, termine con cui si indicano i due lati della Via Portuensis di epoca romana, “ab Janiculo ad mare”, cioè dalle pendici del Gianicolo in direzione del mare. Il territorio era allora coperto di distese boschive, e l‟impiego del suolo era limitato all‟estrazione del tufo (cave di Pozzo Pantaleo) e agli usi funerari (Necropoli Portuense). Dal Rinascimento le Vigne portuensi disegnano un vivace territorio agricolo, solcato dai percorsi di crinale, che sono ancora oggi alla base del sistema viario del quartiere. Tra Sette e Ottocento le tenute si frammentano (fra le 265


famiglie Jacobini, Gioacchini, Neri e Ceccarelli per citare le maggiori) e sorgono i grandi casali: Villa Jacobini, Casa Petrella, Casa Balzani (in seguito Villa Bonelli) e il Convitto Vigna Pia. Nel 1877 sorge la struttura militare di Forte Portuense. L‟edificazione moderna inizia nel Primo Novecento nelle forme dei villini, cui seguono nel Dopoguerra caseggiati a maggior densità abitativa. Oggi è possibile individuare nel quartiere tre nuclei principali: Vigna Pia, Santa Silvia e Villa Bonelli,

cui

corrispondono

grossomodo

tre

chiese

parrocchiali: Sacra famiglia, Santa Silvia, Nostra Signora di Valme. I dati comunali al 31 dicembre 2008 indicano una popolazione residente di 29.771 abitanti.

Miscellanea

Nell‟area archeologico

in

del

Portuense

corso

di

esiste

studio

un da

solo parte

sito della

Sovrintendenza, i Ritrovamenti in località Ponte ferroviario sulla Via Portuense. Nonappena possibile ve ne daremo conto con una scheda su Arvalia Storia. Tra i siti storici ci riproponiamo di schedare, nonappena possibile, il nuovo Tempio dei Testimoni di Geova.

266


Pozzo Pantaleo A. Di Mario - M. Giovagnoli - A. Anappo

Pozzo Pantaleo è un mausoleo romano, che deve il nome al riutilizzo come cisterna (pozzo) e, successivamente, come chiesina dedicata al culto di San Pantaleo. L‟edificio risale al I o II sec. d.C. Viene scoperto dalla Sovrintendenza di Roma nel 1998. Ha pianta circolare ed è in opera laterizia, con corridoio anulare esterno e copertura a volta. L‟interno presenta una sequenza di nicchie, tamponate con muratura in opera quasi reticolata. La struttura viene in seguito foderata di malta idraulica e reimpiegata come cisterna e poi come pozzo, rimanendo in uso fino ad oltre il IV sec. L‟agrimensore Eschinardi annota un riutilizzo da parte della Comunità ebraica, mentre in epoca medievale è attestata in loco una chiesina cristiana, con il nome di San Pantaleo fuori Porta Portese. In epoca rinascimentale della chiesina si perdono le tracce.

267


La chiesina di San Pantaleone

Pozzo Pantaleo è un mausoleo romano, di forma circolare in opera laterizia, indagato dalla Soprintendenza tra il 1998 e il 1999, durante la terza campagna di scavi archeologici a Pozzo Pantaleo, grazie ai fondi per il Giubileo del 2000. Esternamente vi era un corridoio anulare coperto a volta. L‟ingresso alla camera sepolcrale era da un ampio ingresso con soglia in marmo, aperto a nord. L‟ambiente interno, intonacato con malta idraulica alta circa metà dell‟alzato, presenta una sequenza di ampie celle radiali, alternate ad altre di dimensioni più piccole, tamponate con muratura in opera quasi reticolata di tufo. Al mausoleo sono legati altri ambienti ipogei, oltre ad una serie di tarde sepolture a cappuccina. Nella sua descrizione della Vigna in loco detto Pozzo Pantaleo Eschinardi annota: «Si dice che […] i Gentili se ne servissero superstiziosamente». L‟agrimensore, solitamente ben informato, attribuisce ai Gentili (la comunità ebraica romana) il riutilizzo del mausoleo circolare come piccolo tempio (cfr. lo spregiativo termine «superstiziosamente»). Eschinardi frequentazione

è

tuttavia

ebraica,

il

mentre

solo

a

numerose

riportare sono

una quelle

attestanti una frequentazione cristiana. Ad esempio il medievale Catalogo di Torino descrive l‟edificio come una piccola chiesa dedicata a San Pantaleone, chiamata San

268


Pantaleo fuori Porta Portese. In epoca

rinascimentale

la chiesina

sembra

in

abbandono, e al suo porto il cartografo Eufrosino della Volpaia (1547) torna a disegnare un pozzo (rappresentato come un fontanile) affiancato ad un‟edicola sacra non meglio identificata. Infine, l‟agronomo Eschinardi annota che nel 1750, anno in cui scrive, nemmeno il pozzo è più in funzione: «Ora è ripieno di terra».

269


270


Pozzo Pantaleo medievale Andrea Di Mario

Abstract non disponibile.

271


272


Pratorotondo

Pratorotondo è una mezzaluna di terreno alluvionale, compresa tra Pian Due torri e il Tevere. L‟area, per le forti correnti

e

le

continue

inondazioni,

era

inadatta

all‟agricoltura già in epoca romana, e destinata a sepolcreto. Il

toponimo

“volgarmente

detto

Prato

Rotondo,

canneto di pezze sei incirca” compare per la prima volta in un atto del 1565, studiato da Carla Benocci. Durante la furiosa pestilenza del 1656 i magistrati cittadini vi relegano (“in apposito luogo alle Due torri”) le sepolture degli ebrei, che accusano di diffondere il morbo. L‟insolità profilassi ovviamente non servì e il flagello infuriò ancora due anni senza distinzione di età, censo o fede. Il luogo era già caro alle comunità ebraiche: qui una tradizione ritiene disperso il candelabro d‟oro a sette bracci del Tempio di Gerusalemme (la “Menorah”). Giunto a Roma nel 70 d.C., il sacro Candelabro 273


sarebbe stato razziato dai Vandali sotto il pontificato di Gregorio Magno (590-604) e caricato su un barcone fluviale, naufragato da queste parti. La versione di Procopio di Cesarea nel “De bello gothico” è però diversa: dice che fu papa Gregorio a gettare a fiume i tesori, per sottrarli ai barbari. Da allora comunque la Menorah si perde: ne rimane lo splendido rilievo nell‟Arco di Tito.

274


Presunta Prigione del Popolo

La presunta prigione del Popolo di via Camillo Montalcini, 8 è un luogo della memoria, legato alle tragiche vicende del Rapimento Moro del 1978. Occorre dire che ad oggi non esiste una verità processuale univoca: dalle carte processuali non emerge infatti la certezza del fatto che via Montalcini sia stata la prigione - la c.d. Prigione del Popolo -, o una delle prigioni, dello statista Aldo Moro (1916-1978). Pertanto consideriamo via Montalcini non come un monumento ma come un luogo della memoria, un luogo cioè dove togliersi il cappello e riflettere, per qualche minuto sulla vicenda che si ritiene vi sia legata. Per il resto, via Montalcini è un percorso di crinale, visibile già dal Catasto del 1818, fra Pian Due torri e il “vicolo del Truglio” sulle alture di Santa Passera. La via è stata urbanizzata negli anni Sessanta. 275


Il Rapimento Moro

Le Br sono un‟organizzazione eversiva, fondata nel 1970 da Curcio e Franceschini. Nel 74 il generale Dalla Chiesa ne arresta i capi storici, e da allora prende la guida Mario Moretti, che esaspera i caratteri militari e avversa il dialogo in corso fra il Pci di Berlinguer (al 34%) e la Dc di Moro (al 38%). Nella mattina del 16 marzo 1978, alle 9,15 - quando le Camere stanno per votare la fiducia al governo Andreotti IV, con il sostegno del Pci -, in via Fani va in scena l‟agguato: il gruppo di fuoco Br stermina la scorta e rapisce Moro. Iniziano

55

giorni

difficilissimi,

in

cui

9

comunicati

informano l‟Italia sul processo al “prigioniero Moro”, fino alla tragica sentenza di morte. All‟istante Roma si ferma. La diretta tv riversa fiumi di informazioni, mentre blocchi stradali chiudono il Raccordo. Ma Moro non è andato lontano. A bordo di una Fiat 132 è giunto in un appartamento di via Montalcini, “una strada poco frequentata, senza vetrine né panchine, né capolinea”. L‟appartamento, al pian terreno e con un box, è intestato ad Anna Laura Brachetti, che convive con Prospero Gallinari, conosciuto come “ingegner Altobelli”. Nel “carcere del popolo” si alternano altri due carcerieri, Valerio Morucci e Germano Maccari, simulando una normalità di relazioni sociali e familiari.

276


Moretti, che abita invece in via Gradoli, viene a via Montalcini ogni mattina in autobus, per condurre gli interrogatori. E Moro inizia a parlare: rivela affari scottanti, come Gladio e i finanziamenti illeciti alla Dc. Il comunicato n. 3, con le parole “Il prigioniero sta collaborando”, fa tremare il Palazzo. Il resto del tempo Moro lo trascorre ascoltando una messa su nastro, leggendo giornali e, soprattutto, scrivendo.

Lettere dalla Prigione del popolo

Durante la prigionia in via Montalcini lo statista Aldo Moro compila a mano 86 lettere, in cui implora compagni di partito e autorità di trattare con le Br. “Sto discretamente”, scrive ai familiari, “assistito con premura”; “il cibo è abbondante e sano”, “mangio ora un po‟ più di farinacei”, “non mancano mucchietti di appropriate medicine”. Riserva alla moglie Noretta parole toccanti: “Ad Agnese vorrei chiedere di farti compagnia la sera, stando al mio posto nel letto e controllando sempre che il gas sia spento. A Giovanni vorrei chiedessi dolcemente che provi a fare un esame”. “Ho lasciato lo stipendio al solito posto. Aiuta un po‟ Anna, data la gravidanza ed il misero stipendio del marito”. All‟astuto Cossiga invia messaggi in codice: “mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato” (= sono nella cantina di un condominio affollato, non ancora perquisito). Ripete di 277


trovarsi a Roma (“io sono qui”; “mandate delegati qui a Roma”), perché - ha appreso - i militari sono fuori pista: setacciano Gradoli, cittadina viterbese indicata in una seduta spiritica. Le Br intanto formalizzano il ricatto: Moro libero, in cambio di Curcio e altri 12 br. Il Paese si lacera: Pci e maggioranza Dc sono per la fermezza, Psi e minoranza Dc per la trattativa. Moro accusa il nuovo segretario Zaccagnini e la Dc di averlo abbandonato: “Il mio sangue ricadrà su di loro”, scrive rabbioso. Si spinge a chiedere: “Vi è forse, nel tener duro, un‟indicazione americana e tedesca?”. “Queste sono vicende di guerriglia, ostinarsi in un astratto principio di legalità è inammissibile”. La stampa, evocando la “sindrome di Stoccolma” (la dipendenza che lega il rapito al rapitore), ne dibatte l‟attendibilità. Il 4 aprile la Camera vota per la linea della fermezza.

L’Italia piange Moro

Dal 18 aprile il sequestro Moro prende una piega visibilmente drammatica. La polizia irrompe a via Gradoli, e si accumulano gli episodi poco chiari: „Ndrangheta, Banda della Magliana, le inchieste di Pecorelli, Loggia P2 e servizi deviati, e il falso comunicato che dà Moro morto al Lago della Duchessa. Sono in molti a desiderare che Moro non torni, anche se non mancano gli interventi autorevoli. Il 25 aprile il 278


segretario

Onu

Waldheim

rivolge

un

appello

per

la

liberazione, e altrettanto fa “in ginocchio” papa Paolo VI, che lascia sperare in trattative della Santa Sede. Fino all‟ultimo comunicato n. 9 del 5 maggio (“Concludiamo la battaglia”), che annuncia la fine del processo e la sentenza di morte. Fanfani (Dc) propone in extremis lo scambio con una brigatista anziana e malata. La Dc e il capo dello Stato Leone approvano, ma è ormai troppo tardi. Alle 6 del mattino del 9 maggio, nel garage di via Montalcini

(ma

gli

atti

processuali

non

concordano

pienamente), Moro entra coperto da un plaid nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. Due raffiche di mitraglietta Skorpion 7.65 e due colpi di rivoltella Pkk 9 eseguono la tragica condanna. L‟auto arriva in via Caetani, poco distante dalla sede del Pci. L‟immagine straziata dello statista fa il giro del mondo. Sei processi e una ventina di sentenze non hanno tuttavia ancora restituito una verità definitiva sul “sequestro Moro”.

279


280


Quartiere d‟Armi

Abstract non disponibile.

Lettere dal Forte 1920-1956

Nel 1886 la cerchia trincerata di Roma è completa, e ormai già fatalmente inadeguata ad asservire alla funzione militare. Un carteggio impietoso tra uffici del Genio, scovato dalla studiosa Francesca Ritucci, mostra come già nel 1920 forte Portuense abbia perso importanza strategica, sebbene ancora armato e sede di comando. Le missive si occupano infatti della complessa trattativa per l‟affitto dei terreni intorno al fossato ad un pecoraio locale. La spunta il pecoraio: con risoluzione 25/11/1920 “l‟Ufficio Tecnico [fissa] il canone in £. 290”, erba invernale e maggenga 281


comprese. Una ventina di anni dopo, l‟Erario relaziona ancora su questioni rurali, ma il pecoraio se n‟è andato via: “La vegetazione è molto scarsa, il terreno arido; non risulta sufficiente quantitativo di acque”. Dopo la guerra il solerte impiegato erariale relaziona sconsolato sulla occupazione tedesca: “Le riservette ed i locali presentano molte manchevolezze, disfacimento dei pavimenti, mancanza di vetri e avarie a infissi a porte e finestre, cancelli, intonaci. Danneggiati gli impianti elettrici e idraulici”. Il 1956 segna il definitivo esonero dalle funzioni militari. Il forte diventa un‟immensa santabarbara, deposito di armi, munizioni, materiali del Genio e documenti d‟archivio.

282


Rectaflex

Abstract non disponibile.

La fabbrica Rectaflex

Dopo la Campionaria del 1948 si tiene una seduta straordinaria del Consiglio di amministrazione della Cisa Viscosa, in cui si decide lâ€&#x;avvio della produzione in serie e un investimento da capogiro - si dice di 300 milioni di lire - per la costruzione della nuova fabbrica Rectaflex, ampliando il preesistente Stabilimento Sara. Viene formalmente costituita la Rectaflex Srl, e nellâ€&#x;autunno 1948 viene posata la prima pietra di una palazzina di 4 piani, dagli ambienti luminosi e aperti, alla maniera di Walter Gropius. Degli aspetti propriamente architettonici della fabbrica avremo modo comunque di parlare diffusamente nel paragrafo dedicato.

283


Nel cantiere intanto arrivano i torni, le fresatrici, le presse, i pantografi, e tutte le altre attrezzature maccaniche necessarie. Il grosso delle assunzioni avviene nell‟autunno 1948.

Le

maestranze

vengono

addestrate

da

tre

capomontatori - Frajegari, Judicone e Assenza - e tra il personale vi sono numerose donne, impiegate nelle funzioni più minute. Le prime Rectaflex, prodotte ancora negli Stabilimenti

Sara,

vanno

tutte

all‟estero.

Il

primo

distributore è la Director Products Co. di New York. Si aggiunge poco dopo la Exclusivités Télos di Parigi, di Henry Tieman, per la Francia. Varie intese commerciali portano inoltre la Rectaflex in Svizzera, Sudamerica, Australia e Sudafrica. Il Progresso fotografico, con i suoi redazionali, dà conto puntuale della biografia ufficiale Rectaflex. Nel numero dell‟ottobre 1948 scrive: «La Rectaflex è in vendita solo all’estero per il momento, e in Italia son pochi i fortunati che sono già in possesso della macchina». Si tratta di una politica commerciale

abbastanza

bizzarra,

perché

la

Rectaflex

faticherà in seguito non poco ad affermarsi in Italia. Ma, ricorda i detto, in pchi sono profeti in patria. È questo per Corsi forse il periodo migliore della sua vita: respira aria di fabbrica notte e giorno, senza mai rinunciare a sperimentare personalmente, perfezionare, inseguire gli standard tecnici della Leitz o della Zeiss, che considera l‟ideale di perfezione da raggiungere e superare. Corsi impone ogni giorno variazioni tecniche e modifiche, che rallentano la produzione e fanno crescere notevolmente i costi di produzione: sa giustificarli alla Proprietà Cisa

284


Viscosa, consapevole di avere tra le mani un prodotto fuori dall‟ordinario. Corsi segue personalmente il servizio di Dopovendita: studia ciascuna macchina che torna in fabbrica, per studiarne le debolezze. Le rectaflex a dire il vero sono delicatissime, e si rompono con facilità. Corsi è estremamente severo, e se una macchina non supera il collaudo finale viene sostituita con una macchina nuova. Il Dopovendita costituisce da subito un serio problema, perché la previsione iniziale che le riparazioni sugli apparecchi possano essere effettuate da fotoriparatori locali, si rivela non corretta, per la complessità e la diversità di costruzione della Rectaflex rispetto alle macchine tradizionali. Con l‟inverno si avvia la produzione seriale vera e propria, e si abbandona la produzione semiartigianale della Standard 947, Al suo posto si inaugura un nuovo modello, Serie 1000, il cui nome deriva dal numero di matricola, che parte dal numero 1001. Esteriormente la 1000 mantiene il design di Giò Ponti per la Standard 947. Il gruppo del corpo, ricavato

in

pressofusione

di

alluminio

anodizzato,

è

composto di quattro parti: il corpo macchina, il castello (che contiene

prisma

e

specchio),

il

piano

frontale

(con

l‟imboccatura dell‟ottica) ed il dorso. Le ottiche sono intercambiabili, ed è persino possibile montare il flash Vacublitz a bulbi ad incandescenza. Il meccanismo che controlla i tempi lenti è in una versione migliorata. La nuova fabbrica intanto viene tirata su a tempo di record. Nel gennaio 1949 il sindaco, Salvatore Rebecchini, è presente all‟inaugurazione. Immancabile, il giornalista del

285


Progresso fotografico segue tutto in prima fila e racconta: «La cerimonia fu semplice e rapida e si concluse con un discorso del Sindaco». Sono gli anni della ripresa economica, del boom. Nel suo discorso il primo cittadino rievoca la trasformazione della borgata Trullo, da zona acquitrinosa a distretto industriale d‟eccellenza, che porta con sé case e benessere. «Ma io petulante - scrive il giornalista - chiesi di poter visitare lo stabilimento con più tranquillità. Quando mi venne mostrato il castello della Rectaflex, io non ebbi bisogno di spiegazioni per sapere che questa è l’ultimo grido delle pressofusioni, e la più esatta. Così entrando nel salone delle macchine utensili ebbi un grido di ammirazione, scorgendone oltre centoventi. Come si fa a non costruire bene i duecento pezzi che compongono la Rectaflex con quella attrezzatura? Sarebbe più difficile costruirli male che bene! E i controlli? non finiscono più. Ogni pezzo viene controllato con implacabile pignoleria durante il montaggio, tanto che i controlli finali, che sono i più severi, diventano forse inutili. Quindi, la Rectaflex costruisce in serie circa cinquanta macchine al giorno, occupando quattrocento persone, ma il controllo è singolo, accurato, esasperante per ogni apparecchio. Organizziamo tutta la nostra industria con simili metodi e i nostri prodotti non

temeranno

confronti».

Il

giornalista

esagera

probabilmente nei numeri, ma l‟atmosfera di entusiastica fiducia nel futuro è reale.

Un incidente di percorso 286


Si avvia intanto la produzione in serie di un nuovo modello, la Duemila. La nuova macchina non nasce da una programmazione industriale ma, per così dire, da un incidente di percorso. Succede che i modelli 1000 manifestano dei problemi meccanici, e una a una le macchine vengono rispedite ai rivenditori, e di lì tornano al Trullo per l‟assistenza. I rivenditori lamentano mancanze nelle tendine e nei leveraggi del ritardatore: in pratica nei tempi di posa lunghi, dal 1/10 di

secondo in poi, la Rectaflex non va. Dopo le prime

verifiche Corsi individua la causa: i corpi di alluminio pressofuso prodotti dalla Fonderia Romana di Porta Portese sono

soggetti

a

dilatazione

termica:

al

variare

della

temperatura i componenti interni o sono compressi o ballano. Corsi adotta una decisione che gli fa onore: richiama in fabbrica tutte le macchine vendute, e ritira dai negozi le altre 1000 pronte sugli scaffali. L‟avvocato non è disposto ad accettare che la sua macchina possa essere definita imperfetta. Fa eseguire delle rettifiche manuali a colpi di fresatrice, eliminando le tolleranze o interponendo lamelle di ottone. Il processo è lungo e costoso, senza contare che la Fonderia Romana ha già realizzato altre 2000 fusioni che giacciono abbandonate in magazzino. Prende così un‟altra decisione coraggiosa: rimanda indietro alla fonderia i corpi in alluminio, e chiede di rifonderli di nuovo, a spese della Rectaflex, con un nuovo stampo che

risolve il

problema. Per distinguere vecchi stampi dai nuovi, si decide

287


di dare alla macchina una forma diversa, con numeri di matricola dal 2128 in poi. Nasce così il nuovo modello Duemila. Ma Corsi è inquieto. Intuisce che se gli incidenti non si trasformano in opportunità la Rectaflex non diventerà mai la macchina perfetta che vuole produrre. Decide così che il nuovo

stampo

dovrà

anche

far

posto

alle

migliorie

sperimentali elaborate nel frattempo, accogliendo all‟interno il nuovo pentaprisma. Ideato da Corsi e Picchioni, il nuovo pentaprisma ha la seconda faccia a superficie convessa e una lente ingrandente incollata sull‟ultima faccia. Il risultato è che sull‟oculare si vede un‟immagine più grande e luminosa.

L‟invenzione,

portata

all‟Ufficio

Brevetti

nel

febbraio 1949, si chiama Perfezionamenti nei dispositivi per la messa a fuoco e l’inquadratura. Nello stesso anno Corsi e Picchioni chiedono altri due brevetti: uno sul sistema di otturazione, con due tendine ad apertura fissa; un altro sul ritardatore dei tempi lenti, montato su platine anodizzate con oro 22 carati e rubini. Intanto arriva puntuale la Campionaria di Milano, edizione XXVII, aprile 1949, in cui la Rectaflex espone la Duemila. La novità fieristica dell‟anno è il ritorno sul mercato dei produttori tedeschi, anche loro sull‟onda lunga del boom post-guerra. Sono ancora pochi, è vero,

ma agguerriti e

tecnologicamente rivoluzionari. Corsi osserva con rabbia la Contax S della Carl Zeiss di Dreda, che monta uno specchio riflettore e un prisma di rinvio, lo Spiegelreflexkamera, che in pratica è la versione tedesca della rectaflex. E c‟è poi la

288


svizzera Alpa Reflex, costosissima, dalla meccanica simile. Se

gli

svizzeri,

vistosamente

fuori

mercato,

non

impensieriscono Corsi, la Zeiss è un competitore temibile. L‟aneddoto vuole che Corsi, furibondo, abbia gridato al plagio. Ad inizio 1948 aveva infatti inviato a Carl Zeiss una decina di macchine Rectaflex per delle prove di tiraggio ottico. Ritrovare in fiera, tra gli stand concorrenti, una macchina sorprendentemente simile alla sua lo ferisce. La fiera milanese di quell‟anno, tuttavia, sorride a Corsi. I prezzi Rectaflex sono ritoccati al rialzo, e gli ordini fioccano ugualmente. Corsi può ancora beneficiare, rispetto al concorrente tedesco, di una produzione iniziata in anticipo, e persino di un certo pregiudizio dei compratori verso l‟economia tedesca, su cui pesa ancora l‟ombra sinistra del nazismo. In fiera intanto Corsi mette a segno anche un bel colpo sul mercato di Francia e Colonie, ottenendo l‟abbinamento in vendita della sua macchina con il nuovo grandangolare Retrofocus 35 mm della Angénieux. Tra Corsi e Pierre Angénieux si instaura anche un rapporto di amicizia personale. Producono entrambi l‟eccellenza, e in settori complementari: inevitabile il loro incontro. Nell‟autunno 1949 la Rectaflex replica il successo milanese a Torino, dove si tiene la Mostra Internazionale degli scambi con l’Occidente, più conosciuto come Salone della Tecnica. La Rectaflex annuncia l‟apertura di un ufficio di rappresentanza a New York, sulla Fifth Avenue. Alla fine dell‟anno, oltre alle basi negli Stati Uniti e in Francia, la Rectaflex vanta appoggi in Gran Bretagna (Phototecnic

289


Equipment a Londra), Svizzera (Società Eshmann a Losanna), Olanda, Messico, Guatemala, Brasile, Uruguay, Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa, Congo Belga e Angola. Succede così che tra le fiere di Milano, Torino e i rivenditori esteri tutte le Duemila trovano collocazione sul mercato e si rischia di rimanere a magazzini vuoti. Si inizia immediatamente a produrre in serie un nuovo modello, la 3000,

peraltro

identica

alla

Duemila

sul

piano

della

meccanica. La novità è tutta nel pentaprisma a due facce convesse (quella della base e quella posteriore), che migliora la luminosità e ingrandisce 2,5 volte l‟originale. La Rectaflex si avvia a diventare la macchina perfetta.

Italia-Germania, guerra a distanza

Nel primo scorcio del 1950 l‟Italia sorride, il Trullo lavora alacremente e Corsi è un vulcano di inventiva. L‟avvocato dedica il 1950 al consolidamento della produzione e dello smercio. Affida all‟ingegner Angelino Eleuteri, amico fidatissimo,

il

compito

di

riorganizzare

i

reparti

di

fabbricazione e montaggio. Eleuteri fa un eccellente lavoro. Corsi si concentra invece sul Laboratorio di ricerca, di cui è a capo, affiancato da Emilio Palamidessi e Alfredo Ferrari. Il 9 marzo 1950, insieme a Giulio Fabricatore, Corsi ottiene il brevetto per la preselezione manuale, che supera i problemi

della

perdita

di

luminosità

provocata

dalla

chiusura del diaframma. La Rectaflex ha infatti l‟handicap di 290


dover inquadrare e focheggiare con un obiettivo spesso molto chiuso,

quindi

poco

luminoso.

Il

brevetto

si

chiama

Perfezionamenti ai dispositivi per la diaframmatura. «La presente invenzione - si legge - permette di predisporre l’apertura del diaframma prima della presa, in modo che in seguito, anche avendo variato la diaframmatura, si ritorna alla diaframmautura predisposta». Eppure Corsi dorme sonni agitati, crucciato dalla implacabile ascesa della concorrente tedesca Zeiss e della sua macchina reflex Contax. L‟avversario è insidiosissimo: la sua produzione è per ora concentrata sul mercato tedesco; nonappena tutti i tedeschi avranno in casa una Contax le macchine della Zeiss cominceranno a dilagare all‟estero. Corsi sa che la Contax è ancora inferiore sul piano tecnico: ad esempio lo specchio ha il ritorno manuale e dopo ogni scatto bisogna riarmare l‟otturatore. Ma sa anche che non ci vorrà molto a che i concorrenti tedeschi progettino un meccanismo di ritorno automatico. Un aneddoto riferisce che nel suo ufficio a Monte delle capre Corsi ha un tavolo da lavoro in cui tiene personalmente sotto controllo la macchina tedesca, smontandola e rimontandola in ogni minuto dettaglio. Corsi è più che mai convinto che in questa guerra a distanza l‟eccellenza e l‟innovazione siano le uniche strade vincenti. In quel periodo cominciano a arrivare sul tavolo di Corsi i primi rapporti di vendita negativi, soprattutto dall‟Italia. La Rectaflex, sebbene sia l‟unica prismatica sul mercato, è

ancora

molto

più cara

delle

telemetriche

291


tradizionali. Corsi affida ad un altro collaboratore, l‟ingegner Marini, il compito di studiare una strategia commerciale. Viene stampato un opuscolo comparativo, nel quale spiega che il prezzo della Rectaflex è ragionevole. Una Rectaflex completa di ottica costa 110.000 lire: una telemetrica tedesca con ottica equivalente costa 140.000 lire. Ma il vero problema è un altro. L‟ingegner Marini ha un compito ingrato, di quelli che spesso toccano agli amici più cari. La Rectaflex, spiega l‟ingegnere a Corsi, più che una fabbrica è un istituto scientifico. Il suo capo fa continue sperimentazioni

e

cambiamenti

di

rotta,

alla

minima

segnalazione di un guasto. E questa meraviglia di scrupolo è economicamente disastrosa, tanto più che la macchina ha ormai

raggiunto

una

affidabilità

senza

pari.

Occorre,

purtroppo, mettere un freno alla vis creativa del capo. Corsi viene convocato dalla Direzione della Cisa Viscosa. In un colloquio non facile gli viene detto chiaro e tondo che la produzione

della

3000

è

da

ritenersi

blindata,

immodificabile, per lo meno finché la Cisa non sarà rientrata dell‟investimento iniziale. In

cambio

gli

viene

affidata

una

nuova

serie

sperimentale tutta per lui, prodotta in soli 500 esemplari, che prenderà il nome di 4000. Sulla 4000 Corsi può fare tutte le modifiche che vuole, ma Corsi, per piacere, lasci lavorare in pace l‟ingegner Eleuteri nello stabilimento al Monte delle capre! La 4000 quindi non è un modello successivo alla 3000, ma piuttosto un modello parallelo, a commercializzazione ridotta: per dirla con il moderno

292


linguaggio informatico la 3000 è la versione stabile, la 4000 è la versione beta della macchina che verrà. Corsi non capisce, ma si adegua alle disposizioni aziendali. Dimentica la 3000 e si lancia a capofitto nella 4000: cambia l‟anello di innesto delle ottiche, gli ingranaggi delle tendide, i leveraggi dei tempi lenti, e testa uno speciale stigmometro su vetro smerigliato. Sulle confezioni della 4000 compare la scritta Duofocus, in ragione del binomio tra visione reflex e nuovo stigmometro. Intanto, arriva l‟appuntamento con la Campionaria milanese, edizione XXVIII, maggio 1950. Quell‟anno i giapponesi della Canon tengono banco e incantano il pubblico. La Rectaflex espone la 4000 Duofocus, abbinabile con le ottiche della Filotecnica e Galileo e una miriade di accessori. Giunto in fiera Corsi assiste ad uno spettacolo che sembra uscito dal suo incubo peggiore. Le case produttrici tedesche hanno messo sul mercato decine di nuovi modelli, tutti con visione prismatica reflex. C‟è la tedesca Kilar con la Tele-Kilar e la Tewe con la Teweflex; la Zeiss raddoppia e oltre la Contax propone ora anche la Contessa. Anche chi ha già una macchina tradizionale può passare al reflex: basta acquistare il prisma esterno della Exacta. La

romana

Gamma,

invece,

rimane

fedele

al

telemetro, e continua a produrre i suoi affidabili ed economici modelli. Il Progresso fotografico spende parole di elogio per la piccola grande fabbrica situata a 50 metri di distanza dalla Rectaflex: «La Gamma III è veramente perfetta e merita il successo che sta ottenendo. Il colmo è che è

293


esportata perfino in Germania».

Alti e bassi del 1951

All‟inizio del 1951, mentre si commercia la serie 4000, si decide di trovare una seconda vita per le macchine difettose nei tempi lenti della serie 1000, inutilizzate nei magazzini di via Monte delle Capre. Sono circa un migliaio. Nasce così la Serie Junior, una serie cadetta con i soli tempi veloci (fra 1/25 e 1/500 di secondo). Viene eliminato il ritardatore dei tempi lunghi e il foro viene coperto con un dischetto con la scala mnemonica delle sensibilità DIN/ASA. Il vecchio prisma a facce piane non viene sostituito con quello a facce concave, per non gravare sui costi. Questa particolarità dà alla macchina cadetta un angolo di visione più ristretto ed anche una ridotta luminosità. Se una 4000 con ottica Angénieux costa 170.000 lire, una Junior con ottica Beta ne costa soltanto 65.000. La rectaflex per molti italiani diventa un sogno possibile. Ma alla Cisa Viscosa storcono il naso: l‟operazione Junior non coprirà gli ingenti costi di riassemblaggio. Intanto la Fiera campionaria del 1951, la numero XXIX, segna un fiasco commerciale per il Telcrom. Il Telecrom è un dispositivo esterno per la essa a fuoco, una sorta di evoluzione dello stigmometro. Si tratta di uno schermo esterno di messa a fuoco, da applicare sopra l‟obiettivo. Consiste in uno schermo smerigliato diviso in due 294


sezioni, una verde ed una rossa, separate da una striscia opaca. Accostando il congegno all‟obiettivo, l‟immagine del soggetto inquadrato rimane sdoppiata fino a che l‟ottica non raggiunge la perfetta messa a fuoco. Il Telecrom, forse per la sua difficoltà d‟uso, non incontra l‟interesse dei rivenditori, la cui attenzione è attratta dalla 4000 che la Junior. Esce il nuovo listino, il numero 7. I prezzi della macchina sono invariati, ma gli accessori hanno prezzi vistosamente ribassati. Intanto l‟altra società del distretto di monte delle capre, la gamma, mette in commercio la Perla, una macchina economica e poco pretenziosa, con ottica fissa ed otturatore centrale. Sul prezzo non conosce rivali. Due mesi dopo, a fine aprile, si tiene a Colonia la Seconda Photokina. La Rectaflex espone la 4000 in una versione dal design rinnovato, con una nuova forma dei corpi in alluminio. La meccanica interna è invariata, tuttavia il nuovo look entusiasma i rivenditori. Tornato a Roma, Corsi monta i nuovi corpi su tutte le macchine in produzione. Nasce così una nuova serie. Anche per ribadire il distacco con le precedenti la nuova serie prende il nome di 16000. Nell‟estate 1951 intanto Corsi ottiene il brevetto del Telcrom, denominato “Dispositivo per la verifica della messa a fuoco di una immagine, consistente in uno schermo comprendente una parte opaca intercettante i raggi luminosi diretti alla zona centrale dell‟obiettivo mentre il resto dello schermo è diviso in almeno due parti, tutte trasparenti ma di colore differente l‟uno dall‟altra”. Non servirà purtroppo a molto. 295


È in questo periodo - tra la fine del 1951 e l‟inizio del 1952 - che la Rectaflex raggiunge l‟apice produttivo e qualitativo. La perfezione voluta da Corsi può dirsi ormai raggiunta. Tuttavia è proprio da qui che inizia la parabola discendente della Rectaflex. Nel settembre 1951 la Cisa Viscosa adotta una scelta drastica: allontanare Corsi dalla fabbrica al Trullo, creando per lui una gabbia dorata, un ufficio speciale chiamato Laboratorio sperimentale, in via Acqui, 9, proprio accanto alla casa di Corsi. Insieme a lui sono esiliati in via Acqui Emilio Palamidessi, che ha la carica di direttore del Laboratorio, e il fidato caporeparto di montaggio Michele Frajègari. Il suo posto al Monte delle capre viene preso dal giovane Roberto Germani, un tecnico entrato in fabbrica tre anni prima, dimostratosi di grande valore. La scelta di Germani si rivelerà assai positiva: la pianificazione produttiva di Germani porterà la Rectaflex a ridurre i costi di produzione. Inoltre la Cisa Viscosa accentra gli uffici direttivi Rectaflex in via Sicilia, 162, dove ha sede l‟intera holding Cisa Viscosa. La rectaflex srl intanto cambia ragione sociale e diviene società per azioni. Ma il colpo più duro per Corsi deve ancora arrivare. A metà del 1952 la Cisa Viscosa contatta Léon Baume, un abile finanziere di origine polacca, chiedendogli di affiancare Corsi nella cura e coordinamento dei rapporti commerciali della Rectaflex. Insieme a lui collaborano il dottor Fabbri e Aldo Falcone. Corsi probabilmente non si rende conto che il comando della Rectaflex gli sta progressivamente venendo

296


meno. Dal Laboratorio di via Acqui, nel giugno 1951 Corsi avvia una nuova serie sperimentale, che prenderà il nome di Preserie

20000.

Insieme

a

lui

ci

sono

validissimi

collaboratori: gli ingegneri Franco Sigismondi e Giorgio Marini e il tecnico Angelo Antonelli. Con loro mette a punto un nuovo otturatore a tendina, con ingranaggi in alpacca, per consentire un maggiore scorrimento. Nel Laboratorio sperimentale Corsi dispone di nuovissime attrezzature elettroniche. Nei primi mesi del 1952, Corsi riesce a tarare l‟otturatore fino ad una velocità incredibile: un duemilesimo di secondo. I concorrenti tedeschi della Zeiss sono ancora fermi alla velocità di un millesimo. Nei primi mesi del 1952 la 20000 viene messa in produzione in serie, con il nome di Standard 20000, con tempi dichiarati ad 1/1300 di secondo. La 20000 è l‟apparecchio 35 mm più veloce di tutti i tempi.

La fabbrica perfetta

Nell‟aprile

1952,

sotto

la

direzione

dell‟ingegner

Eleuteri, lo stabilimento Rectaflex può definirsi la fabbrica perfetta. Eleuteri comanda due strutture: Ufficio tecnico e Ufficio produzione. Il Tecnico ha il compito di trasformare le intuizioni di Corsi al Laboratorio sperimentale in tracciati di produzione. Lo dirige Pietro Raucci (aiutanti Ermanno Fenoglio e Alfredo Ferrari, disegnatori Angelo Fracomeno e Rolando Pinto). La Produzione si occupa delle commesse, dei

297


tempi di lavorazione e della produzione in serie. Lo dirige Erminio

Cappellani

(aiutanti

Dante

Salvatori,

Sergio

Colachicci, Rolando Salvioni). La Produzione è divisa in 8 reparti: 6 officine meccaniche e 2 controlli di qualità. Le officine sono: Progettazione, Fresatura ed attrezzeria (caporeparto Aldo Pini),

Tornitura

e

aggiustaggio

(Gaetano

Judicone),

Galvanica (Attilio Berardi), Montaggio (Roberto Germani), Verniciatura (Antonio Pietrini), Montature ed accessori. I controlli di qualità sono: Collaudo semilavorati (Renato Bonci) e Collaudo finale (ingegner Amedeo Cimino, aiutante Giulio Fabricatore). Montaggio, Fresatura e Tornitura costituiscono il comparto

Meccanica

1

(capocomparto

Egeo

Filippini).

Meccanica 2 comprende le altre lavorazioni, più delicate. Questo comparto è dotato di macchinari per la rettifica, torni e trapani di precisione, fresatrici e macchine automatiche per le minuterie in acciaio inox. La fabbrica (se si escludono i pentaprismi e i corpi in alluminio pressofuso) produce in autarchia tutti i suoi componenti. Il metallo è ricavato dalla fusione del materiale bellico; la pelletteria proviene dalla Sara. Il ciclo inizia dal Reparto Galvanica, che vaglia i corpi in alluminio e i pentaprismi. La Fresatura effettua le forature e trasmette i corpi alla Verniciatura dove viene applicata a fuoco la vernice nera opaca. Dalla Verniciatura i corpi ritornano in Fresatura, dove i fori vengono imboccolati per le tendine e i ritardatori. Nel frattempo l‟attrezzeria prepara le 298


calottine e la Tornitura e la Galvanica preparano viteria e leveraggi. I corpi preparati finiscono al Montaggio, che fra i reparti è quello dalla struttura di maggior complessità. Al Montaggio lavorano solo meccanici preparati per lavorazioni di meccanica fine (orologiai, ottici, strumentisti di precisione, tecnici dei pantografi). Dal Montaggio dipende il Precollaudio, in cui i fotoreporter Francesco Maesano e Antonio Tozzi provano le macchine (i negativi vengono allegati insieme alla garanzia). L‟intero ciclo di montaggio risulta

suddiviso

in

36

passaggi.

Ad

ogni

passaggio

corrisponde una fila di banchi del grande salone luminoso al secondo piano, ad a capo di ogni fila vi è un montatore specializzato: se un operaio riscontra problemi in un passaggio passa la macchina al montatore esperto. Il ciclo richiede 40 ore per ogni macchina. Ad esse si aggiungono altre 8 ore per le fasi di collaudo, cui presiedono Cimino e Fabricatore. Giulio

Fabricatore

è

un

insegnante

di

tecnica

fotografica alla Scuola di Polizia. La voce popolare lo descrive come un personaggio misterioso: misantropo, austero, è sconosciuto di lui ogni particolare biografico. Ogni giorno, terminate le lezioni, si reca in Rectaflex dove ispeziona ogni macchina con diligenza da poliziotto. Si sa di lui che, terminata l‟esperienza produttiva Rectaflex, continuò a lavorare a capo della società di distribuzione italiana della Polaroid. Il professor Amedeo Cimino, ingegnere, insegna matematica. È una figura molto simile a Corsi: fantasioso, 299


creativo. Tra i due esiste una sincera e lunga amicizia. Quando la Rectaflex entra nella fase di crisi Cimino sceglierà un più sicuro impiego alla Vasca navale, come direttore del Laboratorio partecipe

di

ricerca;

dell‟esperienza

gratuitamente,

nelle

tuttavia

continuerà

Rectaflex, sue

attività

a

affiancando al

sentirsi Corsi,

Laboratorio

speriementale. Dunque, in quel primo scorcio del 1952, arriva l‟annuale appuntamento con la Campionaria di Milano. La Rectaflex espone la 16000 con nuove ottiche e viene presentata in anteprima il nuovo modello Rotor con torretta girevole a tre obiettivi e impugnatura a pistola e il grilletto per lo scatto. La Rotor costa 140.000 lire, mentre le 16000 hanno prezzi ribassati del 10%. Alla fiera c‟è anche la Gamma, reduce da alcune vicissitudini in tribunale: la Gamma non può più vendere la sua celebre telemetrica a più obiettivi, ma espone nuove versioni della super economica Perla a ottica fissa. Alla III Photokina di Colonia la Rectaflex espone, insieme alla Rotor, la preserie 24.500 dal design rinnovato. La Rotor, racconta un aneddoto popolare, nasce dall‟amicizia tra il regista Alberto Lattuada e il fotoreporter Federico Patellani. Lattuada e Patellani si conoscono dagli anni Trenta, dove frequentano entrambi il Politecnico di Milano, uniti dalla comune passione per il cinema. Ai due si aggiunge presto il produttore cinematografico Carlo Ponti, e insieme i tre si trasferiscono a Roma, a Cinecittà. Patellani lavora al settimanale Il Tempo, e arrotonda come fotografo di 300


scena negli Studios di Cinecittà. Tra tutte le macchine fotografiche Patellani non ha dubbi nello scegliere la sua preferita: ovviamente una Rectaflex. Instaura con Corsi un‟amicizia

assidua,

frequentando

il

Laboratorio

sperimentale e fornendo a Corsi continui spunti per migliorare la macchina: Patellani, da fotografo esperto, solleva stimolanti problemi pratici, e Corsi è ben lieto di risolverli. Quando Patellani rappresenta a Corsi le difficoltà di dover sovente cambiare ottica, perdendo attimi assai preziosi per afferrare lo scatto fuggente, Corsi mette subito all‟opera il progettista Ferrari, e nasce così l‟intuizione di realizzare una torretta con un cilindro mobile che fa ruotare gli obiettivi. Una foto celeberrima ritrae Gina Lollobrigida ed Humprey Bogard, sul set del film Beat the Devil che impugnano la Rotor di Patellani. Un aneddoto popolare vuole che, agli inizi del 1952 Alberto Lattuada abbia coinvolto Federico Patellani e la sua inseparabile Rectaflex Rotor, nelle riprese del film La Lupa, basato sulla novella di Giovanni Verga. Patellani soggiorna ai Sassi di Matera (dove si gira il film), fotografando nei momenti di pausa questa suggestiva località e la sua varia umanità, e traendone foto giudicate tra i lavori migliori di questo reporter. Scrive Lattuada: “Io sono un uomo che ha ammirato un altro uomo, per come riesce a rubare dalla realtà la forza della bellezza e restituirla con un‟immagine”.

La commessa militare americana 301


Intanto va in commercio la suova serie 25.000. Sul piano tecnico la 25.000 non differisce di molto dalla 16.000: è diversa la taratura dei tempi veloci e si può ora montare il flash a bulbo incandescente Vacu-blitz. La novità invece è il cambio di fornitori per le parti che la Rectaflex non produce direttamente:

il

nuovo

stampo

in

pressofusione

(in

precedenza appaltato alla Fonderia di Porta Portese) è ora prodotto dalla Simi di Milano). A Milano si producono ora anche i pentaprismi e le lentine, prodotti dalla Metal-Lux, e, venuta meno la produzione della viscosa, le tendine gommate sono ora appaltate alla Pirelli, sempre di Milano. Delle macchine prodotte in quel periodo il 50% finisce in Francia; e solo il 15% è venduto in Italia. In quel periodo intanto - siamo nel 1952 – scoppia improvvisa la Guerra di Corea, che vede impegnati al fronte gli Stati Uniti d‟America. Il governo americano lancia una gara d‟appalto internazionale per l‟acquisto di un gran numero di apparecchi fotografici reflex 35 mm, destinati ai cronisti di guerra. Il finanziere Léon Baume segue in prima persona

la

trattativa

con

gli

statunitensi,

e,

sorprendentemente, l‟affare va subito in porto, con una commessa da ben 30.000 apparecchi. Il contratto prevede 20 invii di macchine, da 1500 pezzi ciascuno, a cadenze regolari di 3 mesi. Corsi

intuisce

subito

le

due

insidie

nascoste

nell‟accordo. La prima è che è una commessa in perdita: ogni apparecchio viene venduto a 63.000 lire, un terzo del valore 302


di mercato, da cui deve essere detratta la royaltee di 15.000 lire riservata a Baume. La seconda insidia è che la produzione Rectaflex non è capace di produrre così tante macchine, e destinare l‟intera produzione al mercato bellico significa far sparire la Rectaflex dal mercato civile per almeno cinque anni. Nel gennaio 1953 la Rectaflex assume tutto il personale Sara e lancia un‟ulteriore campagna di assunzioni all‟esterno. Ma la produzione resta ancora insufficiente a rispettare gli accordi contrattuali: basti pensare che nella primavera 1953 la Rectaflex arriva a 300 dipendenti, e non si producono più di 300 macchine al mese. La Cisa, allettata dalla previsione di rientrare con questa commessa degli investimenti iniziali in Rectaflex, è entusiasta

delle

abilità

di

Baume. Inevitabilemente

il

finanziere viene promosso a co-amministratore delegato Rectaflex, insieme a Corsi. L‟avvocato Corsi mal digerisce questa novità. Lui e Baume hanno due caratteri diversi, persino incompatibili: un sognatore alla ricerca della perfezione, innamorato della sua fabbrica, il primo; un cinico abilissimo mercante alla spasmodica ricerca del profitto il secondo. D‟altra parte il successo commerciale da sempre cercato da Corsi non era ancora

arrivato,

e

Baume

appariva

agli

occhi

degli

amministratori Cisa essere riuscito laddove Corsi aveva fallito, aprendo prospettive di risanamento e riduzione dei debiti insperate. Poco importa che nel frattempo Corsi abbia concluso un onesto accordo con la Davve Instruments Ltd per la distribuzione Rectaflex in Inghilterra: Corsi deve

303


inchinarsi all‟abilità del nuovo arrivato. Inevitabilmente Corsi finisce al margine della vicenda produttiva

Rectaflex,

sempre

più lontano

persino

dal

Laboratorio Sperimentale di via Acqui. Corsi si rifugia spesso da Giorgio Cacchi, amico e titolare del celebre emporio La Casa del Fotocineamatore, dove Baume non mette mai piede. Lì si riuniscono i fedelissimi di Corsi, in compagnia di un cenacolo di artisti del calibro di Marcello Mastroianni, Federico Fellini, Charles Boyer. Intanto Corsi crea un nuovo modello sperimentale, rivolto ad una clientela d‟élite: la Gold, la Rectaflex d‟oro. La Gold differisce dalle altre macchine praticamente solo per la doratura dei corpi pressofusi e per le decorazioni in pregiata pelle di lucertola. La prima Gold viene realizzata per il pontefice Pio XII, e reca nel castello lo stemma della Santa Sede. Papa Pacelli si reca personalmente nello stabilimento di Monte delle capre per ricevere il dono, che si dice abbia apprezzato e utilizzato spesso in seguito. In quell‟occasione celebra una messa insieme agli operai e benedice l‟intero stabilimento. Ma l‟euforia per l‟illustre visitatore dura ben poco. In fabbrica la mancanza del capo carismatico comincia a farsi sentire. E si verificano cose fino ad allora mai successe: tensioni sindacali, conflittualità tra i dipendenti, persino atti di manomissione di alcuni macchinari di precisione. Il nuovo personale non è formato a dovere: le prima macchine prodotte sono difettose e necessitano di lunghi interventi di aggiustaggio che la Rectaflex non può permettersi. In breve 304


si capisce che i tempi contrattuali con gli Americani non saranno neanche lontanamente rispettati. Corsi intanto ottiene dall‟azienda il permesso di realizzare altre Gold e di donarle ai potenti del momento. Una è per il Re Farouk d‟Egitto; un‟altra è per il presidente Cisa Francesco Maria Oddasso; ve ne sono per il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, per il presidente degli Stati Uniti Eisenhower e una per Wilson Churchill. Le ultime due sceglie Corsi a chi donarle: una è per l‟importatore francese Henry Tieman, suo amico e fedele rivenditore della Rectaflex in Francia; l‟ultima Corsi la dona alla Fabbrica Rectaflex, dove viene esposta accanto ad un pannello sinottico con tutti i pezzi che compongono una Rectaflex. Questo dono ha quasi il sapore dell‟addio. La fine dell‟esperienza Rectaflex è dietro l‟angolo.

Signori, si chiude

Arriva la XXXI Fiera Campionaria di Milano, edizione del 1953. La Rectaflex espone la Standard 25.000 insieme alla Rotor. Durante la Fiera Corsi e Baume si intrattengono lungamente con Robert Brockway, distributore americano della Rectaflex e presidente della Director Products. In quell‟occasione

viene

sottoscritto

con

il

distributore

americano un accordo per la vendita, sul mercato estero, di una rectaflex a telemetro. Corsi non approva e lo considera quasi un affronto alla sua creatura a visione prismatica, ma

305


Baume, allettato dalle prospettive di un facile guadagno, ha rapidamente ragione delle obiezioni. Il 1953, nel complesso è un anno di crisi per le vendite delle macchine fotografiche di fascia alta: nei vicini stand delle Officine Galileo (microcamera GaMi 16 con telemetro e correttore di parallasse) e San Giorgio (prototipo Janua modello 803

sincronizzata) ci sono macchine di

grande qualità, ma gli ordini di acquisto languono. Vanno un po‟ meglio le cose per le macchine di classe economica, con Ferrania, Bencini e Closter che commercializzano apparecchi discretamente sofisticati, ad un quarto del prezzo di una Rectaflex. Vanno bene le cose anche per la Gamma, che l‟anno

precedente

telemetrica,

e

ha

ha

interrotto

saputo

la fabbricazione della

riposizionarsi

sulla

fascia

economica del mercato. C‟è la Perla A con ottica Stigmar 1:3.5 e il modello Al con ottica Radionar 1:2:8); c‟è poi la supereconomica Stella con otturatore Pronto ed ottica Kata 1:3:5/50 mm. C‟è un aneddoto curioso legato a quella fiera. Pare che fra i visitatori vi fossero, in incognito, August e Jacques Piccard, pionieri delle esporazioni dei fondali oceanici, e loro stessi costritturi di sottimarini in grado di resistere alle pressioni delle grandi pronfondità, chiamati batiscafi. Il motivo della loro visita era acquistare una macchina fotografica per il batiscafo Trieste, con cui poco dopo avrebbero esplorato i fondali a largo dell‟isola di Ponza. Pare che l‟operaio specializzato incaricato del montaggio della macchina nel batiscafo sia stato lo stesso Corsi, ovviamente

306


in incognito. Non si sa quanto vi sia di realtà e quanto di leggenda, fatto sta che, di fronte alle insistenze dell‟operaio di accompagnare i Piccard nell‟immersioni, Corsi venne riconosciuto. Venne accontentato e tra Corsi e i Piccard nacque una grande e lunga amicizia. Pare dunque che l‟estate del 1953 sia stata un‟estate magnificamente serena per Corsi - con i Piccard tra i fondali di Ponza, sul batiscafo Trieste -, mentre già da settembre sinistre nubi si addenzano sulla fabbrica di Monte delle Capre. A settembre 1953 negli stabilimenti Rectaflex sono pronte le prime 3000 macchine per la commessa militare americana, e altrettante sono avviate alla produzione. Si procede con la prima spedizione di 1500 macchine, anche se con un certo ritardo rispetto ai termini contrattuali. Gli Americani sono furibondi, anche perché la guerra è ormai iniziata e anzi si avvia ad una rapida conclusione. Non si sa bene cosa sia avvenuto dall‟altro capo del mondo: fonti orali riportano che gli Americani abbiano fatto valere (a buon diritto) una clausola sui tempi di consegna; altre dicono che poi alla fine abbiano pagato ma i soldi siano stati dirottati altrove. La sola certezza è che alla fine i soldi americani, equivalenti a circa 100.000.000 di lire, in Rectaflex non sono mai arrivati. Un breve comunicato annuncia poi il colpo di grazia: con l‟elezione del nuovo presidente Eisenhower, la Commissione militare incaricata degli acquisti di guerra è decaduta e con essa è decaduto l‟intero appalto, di circa 1.900.000.000 lire. Viene

convocato

di

corsa

un

consiglio

di

307


amministrazione della Cisa Viscosa: siamo ad inizio marzo 1954. La riunione è turbolenta, e sul banco degli imputati, per aver rallentato la produzione, finisconoBaume e Corsi. Gli amministratori Cisa decidono che l‟esperienza Rectaflex è giunta

al

termine,

un‟assemblea

e

che

straordinaria.

il

tutto

sarà

Dall‟immediato,

sancito

da

intanto,

la

produzione è interrotta e si cercherà di vendere il vendibile. Di quella riunione sopravvivono diversi ricordi. Pare che Baume abbia prudentemente taciuto, mentre invece Corsi, difendendosi come un leone, di fronte alla decisione padronale di interrompere la produzione, abbia minacciato di portare i brevetti in Francia e di continuare a produrre la Rectaflex laggiù. Ma la Direzione ha deciso senza appello. Vengono licenziati in blocco tutti gli operai addetti alla produzione, salvando, almeno per ora, i soli operai dei reparti Montaggio e Collaudo. Si concorda coi sindacati una buona uscita per gli operai, e le fonti orali riportano che la buona uscita è condizionata al fatto che nulla di quanto avviene debba essere reso noto all‟esterno. Fra i giornali economici di quello scorcio di 1954, nessuno fa menzione della vicenda. Anche i negozianti ricevono puntualmente gli ordinativi. Del resto in magazzino vi sono ancora componenti per realizzare circa 3000 macchine. Léon Baume è incaricato della vendita, al prezzo base di 20.000 lire l‟una: il maggior ricavo è il suo, come buona uscita. I listini fieristici di quel periodo riportano paradossalmente che il prezzo di vendita ai dettaglianti non subisce alcuna riduzione.

308


Non vanno meglio le cose per Corsi: il Laboratorio sperimentale viene ceduto ad una controllata della Viscosa, la Ecom, e lì Corsi dovrà occuparsi di pianificare la ripresa della produzione: la Viscosa non ha minimamente in animo di ricominciare a produrre la Rectaflex; semplicemente, vuole vendere uan fabbrica apparentemente ancora in esercizio, mostrando ai possibili compratori dei piani produttivi credibili. Viene anche nominato un nuovo amministratore delegato, il signor Fabbri, che ha anche la funzione di commissario liquidatore. Ad

aprile

1954

arrivano

intanto

i

tradizionali

appuntamenti fieristici di Colonia e di Milano. In Germania nulla traspare della crisi Rectaflex, anche se la parte del leone in quella fiera la fa una macchina telemetrica, la nuova Leica modello M3. Se la rectaflex telemetrica concordata con Robert Brockway fosse stata immessa sul mercato solo qualche mese prima, ne sarebbe senz‟altro stata una valida concorrente. A Milano la Rectaflex si limita ad anticipare la serie 30.000 insieme alla Rotor, con una gamma completa di ottiche e accessori. In quell‟anno si registra il definitivo sorpasso dei prodotti tedeschi rispetto a quelli italiani: la guerra è ormai alle spalle, e i fotoamatori italiani acquistano in base alla qualità e al prezzo, non più sulla base emotiva del ricordo degli orrori del nazismo. Mantengono buone fette di mercato la Closter, con la sua Princess, e la Ferrania, con la Rondine, Falco S e bionica Elioflex II. Si difende bene anche la gamma, con i vari modelli di Perla e Stella.

309


Le ultime meraviglie Rectaflex

Per quanto possa sembrare incredibile, in quel periodo Corsi, sebbene amareggiato per la consapevolezza della fine, è un vulcano di inventiva. Come se volesse sparare tutte insieme le ultime cartucce, sapendo che l‟acqua presto bagnerà le polveri. Oppure no, forse non è ancora disposto ad alzare bandiera bianca e spera in un ripensamento della Direzione. Fatto sta che il 1954 sarà ricordato come l‟anno delle meraviglie Rectaflex, in cui la tecnologia Rectaflex raggiungerà davvero livelli spettacolari. Corsi

lavora

contemporaneamente

a

tre

nuovi

brevetti: il nuovo pentaprisma con tetto a doppio spiovente, il meccanismo di esposizione automatica, e un dispositivo speciale chiamato Esaflex. Il nuovo pentaprisma viene presentato ancor prima di essere brevettato, sul numero dell‟ottobre 1954 del Progresso fotografico; il giornalista riporta

di

una

presentazione

per

addetti

ai

lavori,

probabilmente nella Casa del Fotocineamatore, forse persino all‟insaputa della Direzione della Viscosa. Il progetto di una Rectaflex con esposizione automatica nasce invece in azienda, da una collaborazione di Corsi con l‟ingegner Ferrari. Viene concepito uno speciale preselettore

del

diaframma, unito ad una nuova ottica con esposimetro al selenio, chiamata “lettore di luce”, che, tramite un indicatore ad ago, dà la corretta impostazione del diaframma. Infine, l‟Esaflex è un apparecchio reflex 6 × 6 monobiettivo ad ottica intercambiabile, 310

dotato

sia

di

visione

prismatica

che


telemetrica. L‟apparecchio è studiato per avere il magazzino intercambiabile: è una macchina omnibus, in grado di montare qualsiasi accessorio, volendo anche l‟otturatore centrale o un visore a periscopio. Allo stesso tempo Corsi lavora anche al Modello 30.000. Sa che è l‟ultimo che uscirà dagli stabilimenti di Monte delle capre e vuole che sia un modello perfetto: sostituisce i leveraggi di carica e riavvolgimento del film, e sostituisce anche i vecchi pulsanti di scatto e di sgancio dell‟ottica, con nuovi pulsanti dalla caratteristica forma a fungo. Non è finita. Con il reporter Federico Patellani Corsi lavora ai modelli Special, dei modelli rectaflex destinati alle applicazioni scientifiche specializzate: Special 24 × 32 e la Rectaflex Silenziosa. La Special 24 × 32 prende il nome dalla dimensione ridotta del fotogramma, richiesto per particolari usi

scientifici,

come

la

microfotografia

(applicando

la

macchina ad un microscopio) o la fotografia ospedaliera (per riprendere interventi chirurgici). In tutt‟altro campo opera invece la Rectaflex silenziosa. Nasce da un‟idea di Patellani ed è pensata per i safari fotografici: viene eliminato il rumoroso rimbalzo dello specchio, che avrebbe messo in fuga le fiere africane, e il corpo macchina è nichelato in nero opaco, per non riflettere la luce del sole. La prestigiosa rivista naturalistica Life ne acquista diversi esemplari. Intanto,

dalla

fabbrica

di

Monte

delle

capre

cominciano finalmente ad uscire le prime macchine rectaflex a telemetro, pattuite un anno prima con il distributore 311


americano Robert Brockway. Ne escono in realtà due diversi modelli, chiamati Recta e la Director-35. La Recta nasce sul corpo della Rectaflex Standard 30.000, su cui viene montato un grosso mirino con un telemetro speciale con il sistema di messa a fuoco a doppia finestra brevettato da Corsi nel 1951. Diversa è invece la storia della Director-35, che è in realta una nuova e diversa macchina. Monta anch‟essa un telemetro con messa a fuoco su doppia finestra, ma le analogie finiscono qui. Funziona con una doppia tendina metallica rigida (non autoavvolgente), il ritardatore dei tempi èspostato, il caricamento della pellicola è frontale. Altre modifiche sono nella leva di carica curva, e una diversa collocazione del bottone dei tempi veloci. Nel

luglio

del

1954

intanto,

sulla

scia

delle

esplorazioni scientifiche condotte l‟anno precedente dai Piccard sul batiscafo trieste, gli alpinisti Achille Compagnoni e Lino Lacedelli commissionano alla Rectaflex due macchine, da portare con sé nella conquista del monte K2. Il capo del Montaggio, Roberto Germani, prepara due apparecchi in grado di affrontare le rigide temperature himalayane. Una modifica su tutte: l‟olio di ingrassaggio sostituito con la polvere di grafite. Pare tuttavia, che le macchine, spedite per treno, non siano mai arrivate a destinazione, e che Compagnoni e Lacedelli, per le foto, abbiano usato una vecchia macchina a soffietto della Zeiss, la sola che siano stati

in

grado

di

reperire

in

uno

sperduto

emporio

himalayano. E questi sono davvero gli ultimi fuochi. La riserva di 312


componenti giacente in magazzino termina nei primi giorni del 1955. Il capomontaggio Germani si dà da fare in tutte le maniere per montare i pezzi residui fino ad assemblarne qualcosa, ma non è proprio più possibile montare alcuna macchina. Le fonti aneddotiche riportano che a questo punto vengono mandati a casa anche gli operai del Montaggio e i capireparto. I più meritevoli trovano con facilità impiego in altre aziende del gruppo: Alfredo Ferrari finisce alla Ecom; il meccanico Remo Nannini va ad occuparsi della riparazione delle macchine in garanzia al Servizio Dopo vendita. L‟ingegner Cimino trova con facilità un posto alla Vasca navale. Altri si mettono in proprio. Gli ingegneri Franco Sigismondi e Giorgio Marini, fondano la Staer, e assumono il tecnico Angelo Antonelli. Emilio Palamidessi, Manlio Valenzi e Roberto Germani aprono un‟officina di riparazioni di apparecchi fotografici in via Cavour. Altri infine, si impiegano alla concorrenza, per non disperdere il patrimonio di saperi maturati al Monte delle capre. Alcuni finiscono in Gamma, altri in Closter. Infine altri, tornano a fare i meccanici, in officine generiche. Lo stabilimento di Monte delle Capre, vuoto di operai e di componenti, non viene più a questo punto vigilato. Le fonti aneddotiche

riportano

che

in

fabbrica

regna

il

disordine, e che quanlunque operaio abbia avuto a sentirsi indignato

per

l‟avvenuto,

si

sia

sentito

moralmente

legittimato a portarsi via un pezzo della fabbrica, a titolo di 313


risarcimento morale. Interviene la Proprietà, che dà ordine di vendere nella maniera più rapida possibile anche i pezzi non assemblati. Un aneddoto da più parti confermato racconta che Corsi si sia a questo punto fatto avanti per acquistare tutto in blocco, edificio e attrezzature produttive comprese, con l‟intenzione di riprendere la produzione e iniziare da capo una nuova avventura. La Direzione ben conosce il genio creativo di Corsi, e sa che Corsi, con l‟aiuto della fortuna, avrebbe persino potuto farcela. Soprattutto, la Direzione sa che la crisi Rectaflex non è derivata da una crisi del prodotto, che può ormai definirsi perfetto, ma da strategie commerciali errate. La Direzione gli chiede una somma spropositata, che si dice sia stata di 50.000.000 di lire. Eppure Corsi è pronto a pagarla. Si rivolge alle banche e cerca finanziatori: non ne trova alcuno. Alla fine la spunta ancora una volta Léon Baume, che si fa consegnare le rimanenze, dietro la promessa di trovare un compratore per rimanenze, macchinari e mura della fabbrica. Da questo momento in poi Baume esce di fatto di scena, e diventa importatore in Italia della casa giapponese Konika. Un

aneddoto

vuole

che

alla

fine

Baume

un

compratore per le rimanenze l‟abbia trovato: Giorgio Cacchi della casa del fotocineamatore, insieme al ragazzo di bottega Tonino Arienzo e alcuni amici fedelissimi di Corsi, che a bordo delle loro automobili hanno dato vita ad un mesto convoglio di auto cariche di materiali obsoleti, qualche 314


montatura di ottiche, alcuni accessori e ben 200 torrette Rotor inutilizzabili. Cacchi continuò a lungo ad esporre nel suo negozio alcuni cimeli della Rectaflex, tra cui il pannello della Rectaflex Gold con quasi tutti i pezzi della macchina scomposta, ovviamente senza le parti in oro. A quanto risulta, l‟ultima rectaflex disponibile sul mercato fu venduta da Cacchi nel 1960, ad un turista accorso a Roma in occasione dei Giochi Olimpici.

Oltre le Alpi, il colpo di coda

Finita la produzione, negli uffici della Cisa Viscosa di Rectaflex si continua ancora ad occuparsi. Perché i muri della fabbrica non sono stati ancora venduti. Viene costituita una nuova società, la Rectaflex International, di cui Léon Baume

è

azionista.

L‟obiettivo

non

è

riprendere

la

produzione, ma dare l‟idea ad un potenziale compratore disposto ad investire tempo e mezzi che riprendere la produzione

è

possibile.

Proprio

per

questo

vengono

acquistati degli spazi pubblicitari nelle riviste di settore. Alla Fiera Campionaria di Milano del 1955 la nuova società non ha uno stand, ma ci sono, si dice, diversi procuratori pronti a vedere ciò che resta al miglior offerente. Il listino prezzi di quel periodo mostra ancora la 25.000 vecchio modello, a prezzi invariati. Corsi, nel Laboratorio Sperimentale, prepara intanto un nuovo modello: la 40.000, che sul corpo della 30.000 monta un nuovo prisma più luminoso, uno specchio più grande, insomma tutto in formato maxi. Vengono 315


realizzati i primi prototipi. Quand‟ecco che all‟improvviso, siamo alla fine del 1955, il pontenziale compratore sbuca fuori, e viene da lontano. La Rectaflex annovera, tra i fornitori internazionali, la Kamerabau Anstalt, con sede a Vaduz nel Principato del Liechtenstein, di proprietà del principe Francesco Giuseppe II (1906-1989). Baume ha inviato nel piccolo principato ai margini della Svizzera tedesca alcune 30.000, assicurando che si può produrre con sole 8 ore di lavoro. Il Principe invia a Roma il suo uomo di fiducia, l‟ingegner Adolf Gasser, per valutare l‟affare. Gasser è un uomo onesto, e dotato di grande esperienza. Proprio per questo la visita negli stabilimenti di Monte delle Capre si dimostra

assai

deludente

e

il

tecnico, di

ritorno

in

Liechtenstein sconsiglia al Principe l‟acquisto dell‟intera fabbrica, limitandosi ai brevetti. Eppure l‟accordo va in porto, negli ultimi mesi del 1956, e vede la partnership tra Cisa, Snia e la Contina AG, altra

fabbrica

di

proprietà

del

Principe

che

produce

calcolatrici tascabili e cineprese da 8 mm. Viene quindi creata una nuova società, la Établissements Rectaflex International Vaduz, della quale è azionista Léon Baume. La produzione si svolgerà nella fabbrica Contina, nella cittadina di Mauren. L‟ingegner Gasser è a capo della progettazione, che prende il nome di 18.400, e della produzione. Il direttore di fabbrica è il signor Frick, mentre il Reparto Montaggio è affidato al signor Postner. Da subito Gasser e Postner si mettono le mani nei 316


capelli. Lamentano la mancanza di documentazione tecnica, e in particolare pare che manchi persino l‟elenco dei componenti. Di ogni pezzo poi, esistono più versioni, senza sapere che pesci prendere. I due ingegneri decidono di richiamare in servizio, da Roma, Alfredo Ferrari, assunto ufficialmente

nel

settembre

1957.

Poco

dopo

viene

richiamato in servizio anche il meccanico Antonio Fasciani, con l‟incarico di formare il personale del reparto Montaggio. Gli ingegneri transalpini decidono di revisionare, pezzo per pezzo, tutta la componentistica, fresando i pezzi obsoleti, o scartandoli se necessario. E c‟è un nuovo problema: la Contina, che non è in grado di produrre da sé tutti i componenti, deve ricorrere a fornitori esterni, facendo lievitare i costi. Alla fine del 1957 la linea di montaggio per la produzione in serie risulta ancora lontanissima. Sorgono degli attriti, e si evidenziano limpidamente le differenze di mentalità tra italiani e transalpini: geniali risolutori di imprevisti i primi; tecnici precisi che perdono le staffe ogni volta

che

un

Considerando

pezzo che

i

va pezzi

fuori fuori

tolleranza tolleranza

i

secondi.

non

sono

l‟eccezione, ma la regola, alla Contina sono tutti seriamente preoccupati. Fasciani propone una soluzione d‟emergenza: riportare la produzione a Roma raccattando le vecchie maestranze del Trullo. La proposta viene respinta con sdegno. I transalpini, giunti ormai alla disperazione, contro il parere dei soci italiani, richiamano in servizio, da Roma, Telemaco Corsi. Corsi, racconta la memoria popolare, pare

317


che abbia detto sì all‟istante, mettendo da parte tutte le amarezze. Porta con sé il veterano Roberto Germani, già responsabile del Servizio Dopovendita. Il miracolo riesce: le prime macchine made in Liechtenstein vengono montate. E funzionano. Pare anche che Corsi si sia subito ben inteso con le maestranze transalpine, nonostante le barriere linguistiche, ben felice di respirare aria di fabbrica a pieni polmoni. Le macchine modello 40.000 arrivano alla produzione in preserie. C‟è il comando automatico della preselezione del diaframma, e viene montato un nuovo obiettivo. I primi collaudi danno però una serie di inconvenienti, soprattutto nella velocità dei tempi. Corsi chiede che vengano sostituiti i comandi delle tendine con nuovi comandi, migliorati. Baume si oppone, il Principe del Liechtenstein non sa come schierarsi. L‟ingegner Gasser studia la questione, e individua che il problema può essere risolto modificando i corpi di alluminio di futura fabbricazione. Alla fine, siamo all‟inizio del 1958, la Rectaflex transalpina pare giunta a livelli qualitativi

soddisfacenti.

Viene

approvato

il

piano

di

produzione. Dopo continui adattamenti e suggerimenti, all‟inizio

del

1958

le

prime

macchine

cominciano

a

funzionare a dovere e sembra che si sia pronti ad iniziare la produzione in serie. Il piano di produzione prevede la realizzazione di 45 macchine al giorno. L‟ingegner

Gasser

chiede

l‟assunzione

di

nuove

maestranze; gli azionisti frenano, fra un rinvio e l‟altro. Corsi intanto perfeziona ancora la macchina, e chiede al Principe

318


di installare sulla 40.000 l‟esposimetro al selenio incorporato nel prisma. Nella silenziosa fabbrica Contina, si trasferisce in breve tutto il caos di una produzione italiana. Il tempo passa, i costi fissi scorrono, e della produzione in serie non c‟è neanche l‟ombra. Fra gli azionisti, nel 1959, si fa strada l‟idea di essere fuori tempo massimo, anche perché il mercato di quegli anni vede affermarsi macchine giapponesi con tecnologie diversi, costi inferiori, in grado di offrire al fotoamatore scatti ugualmente belli. A questo punto le informazioni si fanno imprecise. La produzione va avanti, tra arresti e ripartenze, ma nessuno crede seriamente in un successo. Pare che alla fine di macchine Rectaflex 40.000 ne siano stati prodotti 2500 esemplari. Pare anche che per la disperazione siano stati gettati tutti nel fiume Reno, per far capire al Principe che nel Principato transalpino non era possibile produrre all‟italiana. Fatto sta che la storia si trascina ancora per cinque anni, finché la società viene rilevata dalla Hilti, interessata probabilmente ad impedire che i brevetti fossero acquistati da

società

concorrenti,

piuttosto

che

proseguire

la

produzione.

Descrizione architettonica

Viene formalmente costituita la Rectaflex Srl, e nell‟autunno 1948 viene posata la prima pietra. Il progetto consta di una palazzina di 4 piani, nel classico stile

319


architettonico post-fascista. La fabbrica è strutturata in modo molto pratico, alla maniera di Walter Gropius, con larghe scale d‟accesso ai piani, ampi locali open-space che prendono luce da grandi finestre rivolte ad est. I servizi e la mensa sono anch‟essi completamente nuovi e modernissimi. Alcuni reparti meno importanti o forse meno puliti, come la Galvanica, la Verniciatura e il Magazzino, vengono alloggiati nelle costruzioni adiacenti. Gli uffici e gli ambienti destinati ai disegnatori tecnici rimangono invece nella palazzina centrale Sara. Si passa quindi a commissionare i torni, le fresatrici, le presse, i pantografi, e le altre attrezzature maccaniche. Lo stabilimento romano di via Monte delle Capre è diventato, negli anni a seguire, un istituto tecnico di prim‟ordine, denominato Marconi. Gli abitanti del Trullo assistevano con sempre viva soddisfazione alla discesa a frotte di ragazzi del centrocittà, che raggiungono la periferia per studiare presso questa eccellenza scolastica. Dopo la chiusura e un periodo di abbandono, l‟edificio ospita oggi il centro socio-culturale e la biblioteca del quartiere.

320


Rete ferroviaria portuense

Rete Ferrovia Portuense è il nome convenzionale che diamo all‟insieme di tratte, diramazioni, ponti, fermate e stazioni che insistono o attraversano il territorio municipale. Il grosso delle opere è costruito tra il 1855 e il 1878, ed

assume,

per

le

suggestioni

legate

alla

fine

del

temporalismo, i contorni di un‟epopea risorgimentale. Le tratte

e

diramazioni

sono:

la

costiera

nord

Roma-

Civitavecchia (1859), la diramazione di Ponte dell‟Industria (1863), la diramazione di Fiumicino (1878), le diramazioni del Porto fluviale (1911-1954), il passante di Maccarese (1990). Le stazioni oggi esistenti sono: Trastevere, Villa Bonelli, Magliana, Muratella, Ponte Galeria, Fiera di Roma. Su di esse transitano la Linea interregionale Tirrenica e tre linee del trasporto regionale.

Il Diavolo viaggia in treno 321


La prima ferrovia italiana è nel Regno delle Due Sicilie. Dopo la Napoli-Portici (1839) Re Ferdinando II collega la capitale partenopea con Capua, Castellammare, Caserta, e forma una piccola ma moderna rete ferroviaria. Di lì a breve anche il Lombardo-Veneto, la Toscana e il Piemonte seguono l‟esempio, dotandosi di piccole ed efficienti reti. E si comincia così a pensare ad una rete di reti, una rete ferroviaria italiana che anticipi nel nome del progresso quell‟unità nazionale che ancora manca. Ma negli Stati della Chiesa, però, l‟allora pontefice Gregorio XVI di questo argomento non vuol proprio sentir parlare, e il mezzo di trasporto allora più in voga è ancora il dorso di somaro. Il papa conservatore considera le ferrovie delle «manifestazioni del Demonio», comprovato dal fatto che le locomotive emettono luciferini sbuffi di vapore. Nel 1846 affida al suo computista generale, il cavalier Angelo Galli, il compito di rispondere ad uno sparuto gruppo di intellettuali pro-ferrovia a Roma, con un documento intitolato Lista di cinque obiezioni. La Ferrovia, vi si legge: I. accresce la povertà; II. danneggia i commercianti; III. compromette la sicurezza degli Stati; IV. compromette la sicurezza interna; V. facilita il contrabbando. Una qual certa ragione il cavalier Galli ce l‟ha - basti pensare che le truppe di Nino Bixio e quelle del generale Cadorna a Roma ci arriveranno intreno! -, e oltretutto gli Stati della Chiesa non producono né ferro né carbone, che sono le materie prime, rispettivamente, per costruire le 322


strade ferrate e per alimentare i treni. Ma il progresso è fatto del dialogo tra cinque obiezioni e mille speranze, e nella Corte papale sono in molti a vedere, in caute aperture alla modernità, uno strumento per rinsaldare il consenso tra i ceti borghesi, in un decennio che per il potere temporale della Chiesa si preannuncia turbolento, e potrebbe anche essere l‟ultimo. Su questa linea pare sia segretamente schierato anche il cavalier Galli, ma Papa Gregorio tiene la Corte saldamente in pugno. Bisogna aspettare il suo successore, Giovanni Maria Mastai Ferretti, salito al Soglio pontificio il 16 giugno 1846 con il nome di Pio IX, perché a Roma si torni a parlare di treni.

Il

lungo

pontificato

di

Pio

IX

sarà

del

resto

caratterizzato da profonde riforme nelle istituzioni sociali, delle quali l‟epopea ferroviaria romana è, a suo modo, l‟emblema.

Pio IX, il papa ferroviere

Uno dei primi atti di governo nuovo pontefice, datato 7 novembre 1846, è la Notificazione per la costruzione di tre grandi linee, a firma del nuovo segretario di Stato, cardinal Gizzi. La Notificazione è un manifesto politico pro-ferrovia, in cui si annuncia non l‟apertura di questo o quel cantiere, ma la progettazione organica di un‟intera rete ferroviaria, basata su tre grandi linee: la Centrale nel Lazio; la Meridionale per Napoli; la Settentrionale per Bologna.

323


La Linea Pio Centrale ha il suo cardine su Roma, e collega in tre tratte l‟Urbe con i suoi tre porti commerciali: la tratta costiera nord raggiunge Civitavecchia; la costiera sud raggiunge Anzio; infine la tratta interna, che si preannuncia come la più impegnativa, scavalca gli Appennini e si attesta sull‟Adriatico, ad Ancona. La linea meridionale, chiamata Linea Pio Latina, è diretta a sud: la prima tratta collega Roma con Frascati; la seconda procede fino all‟allaccio con la ferrovia borbonica. La linea settentrionale, chiamata Linea Pio Emilia, è diretta a nord, e fa cardine su Bologna: la prima tratta procede si allaccia ad Ancona alla Linea centrale e procede verso Bologna; la seconda da Bologna arriva alla dogana sul Fiume Po, e di lì si allaccia alla rete lombardo-veneta. Pio IX ragiona anche su una quarta linea, diretta a Firenze attraversando le cittadine umbre. Succede che i negoziatori romani e quelli toscani si incontrano, ma non trovano l‟accordo: il tratto appenninico si presenta assai oneroso. La stampa internazionale comunque, e soprattutto quella francese, non manca di entusiasmarsi per le direttive illuminate e amiche del progresso del Papa ferroviere. L‟anno in cui i progetti diventano cantieri è il 1855. La prima tratta a vedere la luce è la Porta Maggiore-Frascati sulla

Linea

Latina,

realizzata

dalla

Società

York,

e

inaugurata il 7 luglio 1856. La stampa sarà sempre presente ad ogni inaugurazione, e così il cronista Carlo Mascherpa racconta

la

giornata

memorabile:

«Monsignor

Palermo

vescovo di Porfirio, nella stazione temporanea di Porta 324


Maggiore, che è la prima che sìasi eretta in Roma, in mezzo al raccoglimento di grande moltitudine di astanti, recitate le apposite preci, asperse con l’acqua santa la strada, e benedisse quindi fra le salmodìe dei Cantori le Locomotive messe a festa […]. Alle due e mezzo, datosi il segnale della partenza, il convoglio lasciava la stazione fra gli applausi di una gran folla di popolo […]. Ed in poco più di 30 minuti percorreva il tratto da Roma a Frascati, ove l’intero municipio tuscolano […] ne salutava con giubilo l’auspicato arrivo». Così conclude il cronista: «Le fabbriche già costrutte e l’apertura di sempre nuove officine sono frutto della benefica concessione del sempre provvido Pontefice». Ma l‟obiettivo della Pio Latina è ben oltre Frascati, è Napoli. Il Regno Borbonico è infatti il principale partner commerciale degli Stati della Chiesa, da cui giongono ogni giorno derrate, prodotti manufatturieri e industriali. Dopo Frascati il cantiere non si ferma: raggiungerà Velletri (29 dicembre 1862), attraverserà la Ciociaria, e infine farà capolinea alla Dogana di Ceprano, dove c‟è l‟allacciamento con la rete ferroviaria borbonica. Intanto, siamo sempre nel 1855, in contemporanea col cantiere per Frascati si aprono altri due cantieri, sulle tratte della linea settentrionale: Bologna-Ferrara, e AnconaBologna.

Nel

complesso

gli

appalti

ferroviari

sono

caratterizzati da una certa spregiudicatezza: le imprese costruttrici non sono molte, e il Governo romano, allettato dall‟idea di finire in fretta, chiude un occhio sulle numerose commistioni di interessi fra le imprese. Succede spesso che

325


gli appalti, affidati di tratta in tratta a ditte diverse, vengano poi subappaltati dalla vincitrice alle altre imprese escluse. Tra tutte le imprese, però, la parte del leone la fa la Casalvaldès, che cambierà in seguito nome in Société Générale des Chemins de Fer Romains, e che tutti a Roma chiamano La Pio Centrale, dal nome della linea di cui è aggiudicataria. Nella tratta interna della linea centrale Roma-Ancona, però, il meccanismo dei subappalti si inceppa, e c‟è un fallimento famoso, quello dell‟impresa subappaltatrice York, e non è ben chiaro chi debba farsi carico delle maggiori spese. Sulla percorrenza Roma-Foligno - dove è necessario superare le asprezze dell‟Appennino - si è sempre sul punto di dichiarare la resa. Ma Pio IX non molla: chiude un occhio e spesso tutti e due, e obbliga le imprese ad avanzare a colpi di viadotti e gallerie. Una dopo l‟altra vedono la luce opere di ingegneria arditissime: i tunnel della Balduina, del Fossato, della Gola della Rossa; due ponti sul Tevere; un ponte sull‟Esino; un numero infinito di grandi viadotti. La linea si completerà solo dieci anni dopo, il 29 aprile 1866. Pio IX non avrà però la gioia di arrivare in treno sull‟Adriatico: già dal 1860 infatti Ancona è una città italiana.

La costiera nord Roma-Civitavecchia

L‟anno dopo, siamo nel 1856, iniziano i lavori della tratta costiera nord della Linea Pio Centrale, la Roma-

326


Civitavecchia. L‟appalto, vinto dalla Casavaldès, prevede in favore dei costruttori anche il diritto di esercizio per 99 anni. Legato al contratto c‟è un aneddoto curioso. Pio IX ha fretta di concludere i lavori, e richiede tassativamente che l‟approdo marittimo di Civitavecchia sia congiunto alla nuova stazione romana di Porta Portese entro tre anni. Viste le difficoltà incontrate nella tratta appenninica, il pontefice non crede che la casa ferroviaria francese riuscirà a compiere l‟impresa nel termine fissato, e si spinge ad inserire nel contratto una clausola-scommessa che prevede un premio esorbitante - ben un milione di lire! - in caso di successo dell‟impresa. La Casalvaldès adotta un diverso metodo di lavoro: anziché cantiere dopo cantiere, andando da Roma verso Civitavecchia, apre in contemporanea 27 cantieri su tutti i 73 km di percorrenza (all‟incirca uno ogni 2/3 km). Nella fabbrica lavorano 800 manovali, reclutati in maggioranza dall‟Abruzzo. Il lavoro è continuo, su turni di notte e di giorno. Dal punto di vista tecnico viene realizzata una linea a binario unico, ma la linea è predisposta per la costruzione di un secondo binario, da realizzarsi in seguito. Il viaggio di collaudo avviene il 25 marzo 1859, mentre l‟apertura al traffico avviene il successivo 16 aprile. La Casalvaldès, dunque, ha vinto la scommessa. E non si conosce lo stato d‟animo del pontefice: amareggiato per aver il premio aggiuntivo che deve corrispondere ai costruttori, o segretamente compiaciuto perché il successo della Casalvaldès è insieme un suo successo e un successo 327


della Chiesa al passo coi tempi. Scrive Venditti: «Tutti si sentono orgogliosi per una così grande realizzazione, ma nel contempo anche sbalorditi e quasi impauriti nel constatare la potenza di quella macchina infernale, che riesce a trainare a quella velocità tre enormi vagoni, e per di più carichi di gente».

Oltre la Magliana, il mare

Non essendo ancora del tutto rifinita la Stazione di Porta Portese, la cerimonia di inaugurazione avviene vicino alla stazioncina della Magliana. Racconta lo studioso locale Emilio Venditti: «Pio IX invia un suo delegato a portare un messaggio di congratulazione per questo nuovissimo e rivoluzionario

impianto.

La

cerimonia

solenne

della

benedizione della ferrovia è impartita dal rappresentante papale, proprio lungo il tratto di strada ferrata che attraversa la Magliana, alla presenza di una grande moltitudine di romani. I cronisti descrivono il compiacimento delle autorità capitoline e di tutta la popolazione per tale grande opera, che permette di raggiungere comodamente Civitavecchia in due ore e mezzo soltanto». È soprattutto un successo della borghesia romana, che è lo sponsor morale dell‟impresa ferroviaria. «I primi passeggeri - riporta Venditti - sono le autorità cittadine: gli uomini in scoppettoni e le donne in crinolina, precisa il cronista dell’epoca, per sottolineare il rango e l’eleganza di quei primi fortunati viaggiatori».

328


Nel popolino invece, si fa strada l‟idea di un altrove rispetto alla Magliana, legato alla città che precede e al mare che segue. Si viene così a costruire, con la ferrovia, una geografia del cuore negli abitanti della contrada, che può riassumersi

in

questo

detto:

«Cosa

c’è

oltre

Roma?

Trastevere. Cosa c’è oltre Trastevere? La Magliana. E cosa c’è oltre la Magliana? Il mare». Il mezzo per uscire da sé è una corsa in treno, a folle velocità. Scrive Venditti: «Uno dei desideri più vivi del popolino in quel periodo è quello di poter salire sul treno, e fare un viaggetto fino al mare di Civitavecchia a folle andatura sulla strada ferrata». Ma «la doccia fredda - continua - i romani l’ebbero quando vennero a sapere che il biglietto per Civitavecchia costava 9 lire e 60 centesimi in prima classe, e 6 lire in seconda classe. E che inoltre, per prendere il treno, occorreva l’autorizzazione dell’Offizio Passaporti, mentre, se si rimaneva fuori

la

notte,

dichiarazione

occorreva

fare

giustificativa.

In

anche altre

una

parole,

suppletiva recarsi

a

Civitavecchia equivaleva quasi ad andare all’estero. Erano i tempi in cui a Roma al tramonto venivano chiuse le porte di ingresso alla Città, e chi faceva tardi la sera doveva aspettare il giorno seguente per rientrare. Questa, sembra incredibile, è storia di appena cento anni fa». Ai nostri concittadini di un secolo fa non rimaneva quindi che godersi il sogno di un viaggio solamente immaginato, attendendo su un prato il transito del treno: «È curioso ricordare - scrive Venditti - come i romani del secolo scorso, per assistere al passaggio di una locomotiva con tre

329


carrozze,

facevano

a

piedi

chilometri

di

strada,

si

accampavano per tempo sul prato con moglie e ragazzini, e aspettavano ansiosi di godersi lo straordinario spettacolo del ciuff-ciuff del treno, consumando felici la merenda fatta di pane, cicoria e caciotta, accompagnata dall’immancabile fiaschetto di vino bianco. Era un’altra epoca. Lo stress non si conosceva ancora».

La diramazione di Ponte dell’Industria

Con l‟apertura delle corse regolari per Civitavecchia l‟impresa ferroviaria non è terminata, anzi è solo al suo esordio. La costiera nord è infatti la prima delle tre tratte che compongono l‟ambizioso progetto di Pio IX di una Linea Centrale a servizio della Capitale pontificia. Mentre i primi treni raggiungono Civitavecchia, ci sono infatti in piedi altri due alacri cantieri, per l‟apertura di altrettante nuove tratte: la costiera sud fra Roma e Anzio, e la lunga e impegnativa tratta interna per collegare Roma con Ancona. Proprio la realizzazione di quest‟ultima tratta, per le mille difficoltà, assumerà i contorni di un‟epopea - tra arditissimi viadotti appenninici arditissimi e improvvisi tumulti garibaldini - e non sarà completata che nel 1866, quando Ancona è già una città piemontese. In quel periodo i computisti di Pio IX fanno presente al pontefice l‟esistenza di un serio problema, di carattere 330


ferroviario e militare insieme. Si era deciso infatti di non fare entrare le ferrovie direttamente in città, attestandole fuori dalle mura, nel timore che il treno avrebbe potuto portare con sé, fin dentro l‟abitato, anche ciurme di invasori travestiti da viaggiatori. Ma avere i capolinea delle tratte fuori porta, insieme al vantaggio difensivo, porta l‟indubbio handicap che le tre tratte della Linea Pio Centrale sono scollegate fra di loro. Non si sa bene di chi sia stata l‟idea, fatto sta che si fa largo in quel periodo l‟idea di un Anello ferroviario, che, girando

intorno

alla

città

senza

entrarvi,

intercetti

i

capolinea delle tre tratte, raccordandole finalmente in un‟unica linea. Si aprono i cantieri e il primo tratto dell‟Anello vede la luce nel 1863, ed ha la forma tecnica di una diramazione. La diramazione si innesta sulla costiera nord per Civitavecchia poco prima del capolinea di Porta Portese, dove oggi c‟è piazza Ampère. La diramazione attraversa piazzale della Radio e poi prosegue su via Pacinotti, superando il fiume Tevere sul nuovo e avvenieristico Ponte dell‟Industria, costruito per l‟occasione, in tempi record e interamente con componenti prefabbricate in ferro e ghisa. Nel punto di bivio tra la tratta principale e la diramazione

viene

realizzata

una

stazioncina

di

smistamento, chiamata Roma San Paolo.

La Dorsale Tirrenica

331


Tra il 1864 e il 1867 la linea per Civitavecchia è prolungata fino a Orbetello, dove si innesta con le ferrovie toscane. Nel 1867, quando ormai l‟Italia è quasi fatta, e il Papato è accerchiato dentro i confini del Lazio, la rete ferroviaria di Pio IX può dirsi praticamente completa, e rimane solo da realizzare la linea per Firenze, al cui completamento peraltro non manca molto. A Roma entra in servizio la Stazione Termini, che è il grande capolinea di tutte le linee ferroviarie di Pio IX. Arrivano a Termini treni non solo quelli provenienti da Frascati, ma anche quelli provenienti da Orbetello (in Toscana), da Ceccano (in Ciociaria), da Orte (Alto Lazio), dove si incontrano le linee toscane e quelle provenienti da Ancona. La linea costiera nord di Pio IX viene in seguito prolungata fino a Pisa ed è oggi chiamata Ferrovia Tirrenica, o, tra gli addetti ai lavori, Dorsale Tirrenica, poiché rappresenta

una

delle

principali

direttrici

della

Rete

Ferroviaria Italiana. Misura 312 km e termina a Livorno, dopo aver attraversato la costa nord del Lazio e l‟intera costa toscana. È gestita da RFI, è a doppio binario.

La diramazione di Fiumicino

332


La diramazione Ponte Galeria - Fiumicino è una breve tratta ferroviaria, che congiunge lo snodo sulla Via Portuense con il mare (il porto), l‟aeroporto e l‟abitato di Fiumicino. La sua storia, breve ma ricca di avvenimenti, è strettamente legata alla storia della tratta costiera-nord della Linea Pio Centrale, tra Roma e Civitavecchia. Fin dall‟apertura al pubblico, il 16 aprile 1859, viene notato che è possibile realizzare una diramazione che raggiunga la foce del Tevere, lunga appena una decina di chilometri. Il costo di costruzione si presenta davvero contenuto: si tratta infatti di una piana alluvionale in cui non ci sono ostacoli naturali (è possibile realizzare una linea completamente

in

rettilineo,

con

appena

una

leggera

pendenza del 5‰ sulla percorrenza finale, vicino al mare). Per giunta la proprietà dei terreni è in gran parte pubblica. Si apre il cantiere, e la nuova tratta viene aperta al pubblico il 6 maggio 1878. La percorrenza complessiva è di 10,4

km. La

diramazione è a binario unico (il raddoppio arriverà solo nel 1961). La diramazione inizia alle spalle della Stazione di Ponte Galeria e l‟arrivo è nella città di Fiumicino. Qui viene edificata una stazione. C‟è una sola fermata intermedia, presso l‟antico abitato di Porto, in aperta campagna (nel 1961 sarà trasformata in stazione). 333


La linea è dotata anche di un breve collegamento di 0,7 km tra la città di Fiumicino e il Portocanale, lungo le banchine commerciali alla foce del Tevere, sul ramo artificiale di Isola Sacra. Lo studioso di storia ferroviaria Omar Cugini ha rinvenuto il primo orario di servizio della Linea RomaFiumicino (che utilizza la diramazione di Ponte Galeria). La linea è servita da due coppie di treni giornaliere, in partenza alle 7,05 e alle 17,05 da Roma Termini, e alle 9,50 e alle 18,45 da Fiumicino. Il tempo di percorrenza è di 34 minuti. Nel corso degli anni il traffico commerciale tra il Portocanale e Roma si rivela comodo e fiorente, al punto che lo scalo merci si rivela insufficiente. Sotto il fascismo, nel 1927, lo scalo merci viene trasformato in stazione e prende il nome di Fiumicino Portocanale. Il 14 novembre 1938 la linea viene completamente elettrificata. Scrive Omar Cugini: «Sono gli anni di massimo splendore, sia per il traffico passeggeri che per quello merci: infatti oltre al Portocanale è presente tutta una serie di raccordi per collegare le allora numerose industrie presenti nella zona».

Gli interventi per il nuovo aeroporto

Le

devastazioni

della

guerra

interessano

solo

marginalmente la linea, che nel Dopoguerra torna subito in servizio. C‟è un calo del traffico merci, dovuto al fatto che 334


comincia ad essere più conveniente trasportare su gomma, anziché su rotaia. Ma al Portocanale è ancora possibile assistere ad un discreto movimento, e alle manovre degli automotori del Gruppo 211 tra le rotaie della stazione fluviale. La linea, essendo strutturata in un lungo rettifilo, è una delle prime a passare al servizio navetta: i treni reversibili E 626 a telecomando parziale possono correre in entrambe le direzioni senza dover fare ad ogni capolinea le complesse operazioni di inversione della motrice su binari di servizio. E la linea ne risulta ora comoda e veloce. L‟apertura, sul finire degli Anni Cinquanta, del nuovo Aeroporto internazionale Leonardi Da Vinci, è l‟inizio per la Linea Roma-Fiumicino di una seconda vita. Nel 1961 si decidono tre interventi: il raddoppio del binario su tutta la linea;

il

potenziamento

della

fermata

di

Porto

e

la

trasformazione in stazione, per servire il nuovo Aeroscalo internazionale; il miglioramento del percorso, costruendo un raccordo all‟altezza della fermata di Porto. Il primo intervento viene realizzato agevolmente: la linea si dota del secondo binario, rendendo possibile il simultaneo passaggio di due treni, e quindi il raddoppio del traffico passeggeri. Sulla linea transitano ora le moderne vetture ALe801/940. Anche il secondo intervento riesce, e la fermata di Porto diventa una moderna stazione con ben 4 binari. Ma i risultati in termini di aumento del traffico passeggeri non sono quelli sperati. Scrive Omar Cugini: «Nelle intenzioni 335


delle FS questa stazione avrebbe dovuto servire i passeggeri diretti all’Aeroporto. In realtà non servì praticamente a nessuno, essendo posta a circa 3 aeroportuali.

La

gente,

invece

di

km dagli ingressi

servirsi

del

servizio

ferroviario, affidato ormai alle ALe801/940, preferì continuare a servirsi degli autoservizi in partenza dal primo Air Terminal di via Giolitti, vicino la Stazione Termini». La costruzione dell‟aeroporto non incide insomma sulla vita tranquilla della linea per Fiumicino: linea merci e passeggeri insieme. Così il terzo intervento, «il raccordo, nonostante si mostrasse privo di particolari problemi di realizzazione, essendo la zona ancora in aperta campagna, non viene mai realizzato». Negli anni Settanta il traffico merci cala, fino quasi a scomparire, perché ormai si trasporta tutto su autostrada: scompaiono molte industrie della zona e la Stazione Portocanale perde di importanza fino a tornare fermata e diventare il set decadente e sinistro di molti film di terz‟ordine. La linea però ha ancora un discreto successo come linea balneare: tanto traffico passeggeri nella stagione estiva, e un traffico passeggeri limitato ai soli pendolari di Fiumicino,

una

cittadina

con meno

di

cinquantamila

abitanti. Mantenere impiedi la linea per l‟Aeroporto è una questione di immagine, ma nel frattempo anche le FS declassano la stazione dell‟Aeroporto a semplice fermata. I dirigenti delle Ferrovie studiano varie ipotesi di rilancio, e tornano a lavorare al progetto di un raccordo per superare i 3 km che separano la ferrovia dall‟Aeroporto. 336


Intanto il traffico merci cala ancora, tanto che nel settembre 1989 la fermata di Portocanale viene definitivamente chiusa.

Il passante di Maccarese

In occasione dei Mondiali di calcio, che si tengono nel 1990 in Italia, tutta la rete ferroviaria romana è soggetta ad un

ammodernamento

e

ad

un

ripensamento

delle

percorrenze. Si fa strada l‟idea di separare la Dorsale Tirrenica dai collegamenti per l‟Aeroporto, costruendo un passante, a nord della tratta esistente su cui deviare la Dorsale. L‟opera viene aperta al traffico ferroviario il 25 maggio 1990 e prende il nome di Passante Trastevere-Maccarese. Si tratta di un piccolo raccordo ferroviario che sostituisce la percorrenza Trastevere-Maccarese via Ponte Galeria, nel quadrante sud-ovest, con una percorrenza più breve, che da Trastevere raggiunge direttamente Maccarese (al km 34,200), passando per la Stazione Aurelia, nel quadrante ovest. Il

vecchio

ramo

Trastevere-Maccarese

via Ponte

Galeria rimane in funzione per la linea merci, a transito prevalentemente notturno. Il passante Roma-Maccarese via Aurelia, avendo separato la Roma-Fiumicino dalla Linea Tirrenica, rende obsoleta la Stazione San Paolo, che, avendo perduto la funzione primaria di regolare gli scambi in diramazione subito

prima

di

Trastevere,

viene

avviata

allo 337


smantellamento.

In

quest‟anno

dunque

lo

snodo

di

Trastevere cessa di essere stazione di diramazione per diventare stazione passante (i treni in transito possono attraversarla senza dover fermare in stazione), e quindi tecnicamente Trastevere cessa anche di essere uno snodo. Nello stesso anno avviene la fusione operativa della Stazione Trastevere con la vicina Stazione Ostiense, in riva sinistra,

dove

vengono

concentrate

le

operazioni

di

smistamento dei binari: pur mantenendo per il pubblico due distinte denominazioni (Trastevere e Ostiense) le due stazioni sono da quest‟anno una super-stazione, dislocata sulle due sponde del fiume e collegata da moderne interconnessioni. Così è ancora oggi. Per la linea Roma-Fiumicino l‟occasione di rilancio arriva con i Mondiali di calcio di Italia 90. Per quell‟anno l‟evento sportivo internazionale prevede un ingente arrivo di visitatori da ogni parte del mondo, e il collegamento della ferrovia con l‟Aeroporto torna ad essere una priorità. Si trovano i fondi e viene approvato un progetto - che in

verità

lascia

perplessi

molti

progettisti

-

di

un

avvenieristico Air Terminal nell‟area dell‟ex Scalo merci Ostiense. Il 27 maggio 1990, appena in tempo per il fischio d‟inizio dei giochi, viene inaugurato il raccordo, lungo 3,2 km, pendenza 14‰ , interamente costruito in viadotto, che porta la ferrovia fin dentro l‟Aeroporto, con la nuova Stazione Fiumicino Aeroporto realizzata al 1° piano del Fabbricato Voli internazionali, al km 31,400. All‟inizio della diramazione 338


viene creato uno scalo tecnico, chiamato Bivio di Porto, che viene telecomandato dalla stazione di Fiumicino Aeroporto. La vecchia fermata di Porto viene definitivamente chiusa. Il 1990 è l‟anno di gloria della Linea Roma-Fiumicino, fiore

all‟occhiello

dell‟Italia,

quinta

potenza

economica

mondiale. La linea è servita da vetture ALe601 con il logo Alitalia e i tre colori della bandiera nazionale. Si creano per l‟occasione due linee ferroviarie speciali dirette, ribattezzate voli di sperficie: la Firenze-Fiumicino e la Napoli-Fiumicino, con i primi treni ETR 500, quattro volte al giorno.

La FR1 e il Leonardo Express

Durante i Mondiali di calcio di Italia 90 vengono occasionalmente Fiumicino-Air sfruttando

create Terminal

l‟anello

delle

corse

Ostiense,

ferroviario

urbano,

prolungate che fino

della

proseguono, a

Stazione

Tiburtina, secondo snodo ferroviario di Roma. È probabilmente in questa circostanza che si fa strada l‟idea di recuperare l‟ormai obsoleta rete ferroviaria urbana di Papa Pio IX, trasformandola in una moderna metropolitana di superficie, sul modello della RER francese. Ci si accorge così che, facendo correre nuovi treni, più agili, sui tracciati di più linee diverse, si possono creare nuove linee urbane capaci di assorbire un grande numero di viaggiatori. Questo progetto, che prende il nome di cura del

339


ferro, ha avuto tra i suoi più accesi sostenitori l‟allora sindaco di Roma Francesco Rutelli. Nasce così, nel 1993, la prima linea FM1 (dove FM sta per ferrovia metropolitana), che collega stabilmente la Stazione

Tiburtina

con

l‟Aeroporto

di

Fiumicino,

attraversando l‟intera città da nord-est a sud-ovest. Successivamente la linea, innestandosi sulle ferrovie regionali, viene prolungata fino a Fara Sabina, divenendo FR1 (dove Fr sta per ferrovia regionale). Nel 1999 entrano in servizio sulla FM1 i primi TAF, Treni ad Alta Frequentazione (composti di Ale 426/506 + Le739; prima insieme alle ALe801/940, e poi prendendone il posto). Sempre nel 1999 viene creato un nuovo servizio, chiamato

no-stop

Termini-Fiumicino

Aeroporto

(oggi

Leonardo Express), trainati dalle nuove locomotive E464 (E464 + carrozze UIC appositamente ristrutturate), in precedenza affidati ai complessi di ALe841. Sulla FR1 l‟offerta tipica è di 4 treni l‟ora: di essi due seguono la percorrenza breve Aeroporto-Fara Sabina; il terzo è prolungato fino a Poggio Mirteto; il quarto è ulteriormente prolungato fino ad Orte. Esiste infine un servizio speciale diretto RomaAeroporto, chiamato Leonardo Express. In un primo tempo il servizio partiva dall‟Air Terminal di Roma Ostiense. Oggi il servizio parte da Roma Termini.

340


In attesa del Giubileo

Ma l‟euforia mondiale di Italia 90 dura poco, il tempo di una festa. Spostata la direttrice principale sul nuovo raccordo per l‟Aeroporto (dove fa capolinea il maggior numero di treni), la vecchia percorrenza per l‟abitato urbano di Fiumicino diventa un ramo secco, utile soltanto per la stagione del mare. La stazione urbana di Fiumicino, per distinguerla dalle altre stazioni dell‟area, viene ribattezzata Fiumicino Paese. Nel

1994

l‟innovativo

metodo

della

stazione

telecomandata, già sperimentato allo scalo tecnico di Bivio di Porto, viene esteso anche alla stazione di Fiumicino Paese, dove viene soppresso anche il servizio di biglietteria. Nel 1994, con l‟attivazione della linea FM1, i servizi per Fiumicino Città si attestano all‟Air Terminal della Stazione Ostiense. I servizi Alitalia per i Mondiani vengono soppressi appena quattro anni dopo la loro istituzione, nel 1994. Riporta Omar Cugini che sulla linea corrono treni ALe801/940 e i complessi di E646 + carrozze a piano ribassato. Nel 1995 arrivano i primi moderni complessi ALe841, nella tratta diretta tra Roma Termini e Fiumicino Aeroporto.

341


Intorno al 1994-95 l‟Air Terminal viene chiuso al traffico e i treni per Fiumicino Città seguono le sorti dell‟FM1, attestandosi a Fara Sabina, capolinea della FM1, con un‟offerta di un treno ogni ora. Il grande Giubileo dell‟anno Duemila sarà l‟occasione per nuovi cambiamenti sulla linea.

I nuovi asset regionali

Nel 1999 è insomma ormai chiaro che la direttrice principale

della

linea

è

quella

per

l‟aeroporto,

e

la

percorrenza per Fiumicino Paese è ormai un ramo secco. In quegli anni i tecnici delle FS valutano la soppressione della linea per Fiumicino Paese. Un aneddoto popolare vuole che sul finire del 1999 le Ferrovie abbiano deciso di testare gli effetti del cosiddetto Millennium Bug sulla rete ferroviaria, prendendo in esame proprio

l‟area

di

Fiumicino

Paese.

La

Ferrovia

viene

interrotta per molti giorni e si comincia a pensare che in realtà si tratti delle prove generali della chiusura della linea. Non si sa quanto c‟è di vero in questo aneddoto; fatto sta che la diramazione per Fiumicino Paese viene effettivamente chiusa il 30 gennaio 2000, e al suo posto viene istituito un autobus per Ponte Galeria, alla frequenza di 15 minuti. Mentre viene annunciata, l‟imminente realizzazione di una nuova stazione in corrispondenza del Bivio di Porto (che non verrà mai realizzata). 342


L‟area della vecchia stazione viene destinata dal Comune di Fiumicino alla nuova piazza di fronte alla nuova sede municipale, ma per qualche tempo la linea viene mantenuta armata, in attesa di trovare una buona idea sul da farsi per rilanciare i trasporti della cittadina. Ma inevitabilmente, sulla tratta non più utilizzata, inizia il degrado. C‟è qualche protesta dei pendolari, ma nel complesso nulla si muove. Nel associazioni

2002

c‟è

un

ambientaliste,

bel per

progetto,

promosso

recuperare

la

da

vecchia

stazione di Porto facendone la porta di accesso all‟area archeologica di Porto. Ma non se ne fa nulla. Intanto anche i deviatoi di Bivio di Porto vengono sostituiti da un semplice posto di comunicazione, telecomandato dalla stazione di Fiumicino Aeroporto. Nel 2003 si fa avanti l‟ANAS, che presenta un progetto di recupero del sedime ferroviario per trasformarlo in una carreggiata stradale. Ma nemmeno qui se ne fa nulla. C‟è un altro bel progetto per la realizzazione di un tram locale sulla ex linea ferroviaria. Idem come sopra. E intanto la vegetazione si impadronisce dei binari. Nel frattempo RFI rimuove l‟elettrificazione e disattiva gli apparati di stazione. Nel 2003 si parla di un progetto di riattivazione della linea, a servizio del Porto di Fiumicino. Ma la notizia è di

343


poco successiva e contrastante con un‟altra notizia che dice che Ferservizi, società immobiliare delle Ferrovie, avrebbe messo in vendita le aree in blocco. A distanza di anni anche il Bivio di Porto viene smantellato. Nel 2005, al km 26,800, viene realizzata la nuova stazione di Parco Leonardo. Nel 2007 arriva la parola fine: il Comune di Fiumicino, proprietario dell‟area della Stazione di Fiumicino Paese la vende ad un consorzio di costruttori, che decide per la demolizione e la costruzione, al suo posto, di una nuova area residenziale. Attualmente i collegamenti con Fiumicino Paese sono assicurati da bus CotraL diretti a Roma, e bus navetta per l‟Aeroporto e la Stazione Parco Leonardo della FR1. Simile è l‟offerta tipica sulla FR3, con 4 treni l‟ora: due di essi svolgono la percorrenza breve Ostiense-Cesano; il terzo è prolungato fino a Bracciano; il quarto è ulteriormente prolungato fino a Viterbo Porta Fiorentina. Sulla FR5 l‟offerta tipica è di 2 treni l‟ora, che coprono la tratta Termini-Civitavecchia.

344


Rio Galeria

Abstract non disponibile.

345


346


Rudere di Vigna Consorti

Il Rudere di Vigna Consorti è un casaletto rurale, facente originariamente parte del complesso agrario dei Casaletti del Trullo. Tra gli edifici del complesso è quello che presenta maggiori elementi di degrado. Eâ€&#x; segnalata la presenza di un vicino annesso agricolo (Magazzino al Divin Maestro), studiato dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00970740A, Banchini R. - cat. Peixoto J.R.).

347


348


Sommario

Fiera di Roma ................................................................ 3 Figlie del Crocifisso ........................................................ 5 Fontana di Pio IV ........................................................... 7 La Magliana della decadenza ......................................... 7 Fontana di Villa Bonelli .................................................15 Fontanile alla Serenella .................................................17 Fontanile Cantone.........................................................19 Fontanile Consorti-Jacobini ..........................................21 Fontanile Cuccu............................................................23 Fontanile Giombini .......................................................25 Forno al Fosso di Papa Leone ........................................27 Forte Magliana ..............................................................29 Forte Portuense.............................................................31 Il Casale degli Irlandesi ................................................ 32 Breve storia delle difese di Roma .................................. 33 Come funziona Forte Portuense .................................... 33 Fosso della Magliana .....................................................35 Fosso di Affogalasino .....................................................37 349


Fosso di Papa Leone ..................................................... 39 Fosso di Santa Passera ................................................. 41 Fosso Tiradiavoli........................................................... 43 Fratel Policarpo ............................................................ 45 Gamma ........................................................................ 47 Garitta monumentale.................................................... 49 Depretis e l’orribile 1876 ...............................................49 Genio militare ............................................................... 51 Giuseppe Testa, eroe partigiano ....................................51 Gesù Divino Lavoratore................................................. 53 La Cappella di Pietra Papa ............................................54 Il campanile ...................................................................55 Giardino dei frutti perduti ............................................. 57 Greentower................................................................... 59 Grotte delle Fate ........................................................... 61 Martesilvano, dio della frontiera ....................................61 Grottoni ....................................................................... 63 Il dibattito è aperto ........................................................64 Felice, martire con Adautto ............................................65 Le reliquie, in giro per l’Europa ......................................66 Idroscalo del Littorio ..................................................... 69 Idrovore di Ponte Galeria............................................... 71 Imbarco dei Papi ........................................................... 73 Sisto IV, primo papa della Magliana ..............................73 Ipogeo di Santa Passera ................................................ 77 Dike e l’Età dell’oro........................................................78

350


Israelitico ......................................................................81 Istituto dei Paolini .........................................................83 La Famiglia Paolina ...................................................... 83 Istituto della Divina VolontĂ ..........................................87 Istituto Vigna Pia ..........................................................89 La Meridiana.................................................................91 Il Quartier generale dei Francesi ................................... 92 La Pisana ......................................................................95 La Salle.........................................................................97 La Serenella ..................................................................99 La Vignarola ............................................................... 101 Le Mantellate .............................................................. 103 Le Turchine ................................................................ 105 Maccaferri................................................................... 107 I cancelli componibili Magliana ................................... 108 Madonna di Pompei..................................................... 111 Madonna di Pompei, bene storico artistico .................. 111 Cari saluti da Magliana .............................................. 113 Magazzini romani alla Mira Lanza................................ 115 Magazzini romani di Parco dei Medici .......................... 117 Magliana Nuova (zona urbanistica) .............................. 119 Notizia storica ............................................................. 120 Inquadramento urbanistico ......................................... 121 Miscellanea ................................................................. 121 Magliana Vecchia (zona urbanistica) ............................ 123 Miscellanea ................................................................. 124

351


Mansio di Pozzo Pantaleo ............................................ 125 La sosta dei viandanti ................................................ 126 Marconi (zona urbanistica).......................................... 127 Notizia storica ............................................................. 128 Notizia urbanistica ...................................................... 129 Miscellanea................................................................. 130 Martiri Portuensi ........................................................ 131 Mater Divinae Gratiae ................................................. 133 Mira Lanza, lotto del 1918 .......................................... 135 Mira Lanza, lotto del 1924 .......................................... 137 Mira Lanza, lotto del 1947 .......................................... 139 Mulini Biondi ............................................................. 141 Murature romane di viale Marconi .............................. 143 Necropoli alla Mira Lanza ............................................ 145 Necropoli di Ponte Galeria ........................................... 147 L’uomo senza sorriso di Malnome ............................... 147 Necropoli di via Blaserna ............................................ 149 Necropoli di viale Marconi ........................................... 151 Necropoli di Vigna Pia ................................................. 153 La Tomba di Atilia ...................................................... 154 Il Colombario di Vigna Pia .......................................... 155 Necropoli preistorica ................................................... 157 Usi funerari portuensi ................................................. 157 Necropoli protostorica ................................................. 161 Nostra Signora del Sacro cuore ................................... 163 Nostra Signora di Valme ............................................. 165 352


Wojtila, elogio del chiasso ........................................... 166 Nuovo Corviale ............................................................ 169 Opera Don Guanella ................................................... 171 Oratorio Damasiano .................................................... 173 Oratorio del Divin Maestro .......................................... 175 Orti di Cesare ............................................................. 177 Caio Giulio, il tiranno .................................................. 178 Cleopatra, amante portuense ...................................... 180 Calpurnia, la nobile rivale ........................................... 182 Alla corte di Cleopatra ................................................ 183 Cicerone e la beffa dei papiri ...................................... 185 La notte che piansero i cavalli ..................................... 185 Palatium Sancti Johannis ........................................... 187 Palazzetto di Innocenzo VIII ......................................... 189 Innocenzo VIII, cacciatore di streghe ........................... 189 Papiliones ................................................................... 191 Parco del Tevere .......................................................... 193 Piana di Affogalasino ................................................... 195 Papa Alessandro e la gran bombarda ......................... 195 Piazza dâ€&#x;Armi .............................................................. 197 Pietra Papa ................................................................. 199 I Prati dei Papa ........................................................... 200 Piscina dei Rospi ......................................................... 203 Polveriera.................................................................... 205 Ponte dei Congressi ..................................................... 207 Ponte dei Francesi ....................................................... 209

353


Ponte dell‟Aeronautica ................................................ 211 Ponte dell‟Industria..................................................... 213 Ponte di ferro .............................................................. 214 Ponte San Paolo .......................................................... 215 Le donne di Ponte di ferro ........................................... 216 Ponte della Magliana ................................................... 219 Ponte della Scienza ..................................................... 221 Ponte di Mezzocammino .............................................. 223 Ponte esterno sul GRA ................................................ 225 Ponte Galeria (zona urbanistica).................................. 227 Il Megaceronte di Ponte Galeria .................................. 228 Miscellanea................................................................. 230 Ponte Marconi ............................................................ 231 L’imbarco di Ponte Marconi ......................................... 232 I lucchetti dell’amore ................................................... 233 Ponte mediano sul GRA .............................................. 235 Ponte Morandi ............................................................ 237 La frana del 28 giugno 1965 ...................................... 238 Ponte romano di Parco dei Medici................................ 241 Ponte sul Fosso della Magliana ................................... 243 Portale del Castelletto ................................................. 245 Portale di Via Portuense 809 ....................................... 247 Portale di vicolo del Conte ........................................... 249 Portale Forlanini ......................................................... 251 L’Ospedale polivalente ............................................... 252 I coniugi Monaco, eroi partigiani ................................. 253 Tum tum tum, qui Radio Londra ................................. 255

354


Portale Pantalei ........................................................... 259 Portale Spallanzani ..................................................... 261 Porto fluviale ............................................................... 263 Portuense (zona urbanistica) ....................................... 265 Miscellanea ................................................................. 266 Pozzo Pantaleo ............................................................ 267 La chiesina di San Pantaleone .................................... 268 Pozzo Pantaleo medievale ............................................ 271 Pratorotondo ............................................................... 273 Presunta Prigione del Popolo ....................................... 275 Il Rapimento Moro ....................................................... 276 Lettere dalla Prigione del popolo ................................. 277 L’Italia piange Moro .................................................... 278 Quartiere d‟Armi ......................................................... 281 Lettere dal Forte 1920-1956 ....................................... 281 Rectaflex ..................................................................... 283 La fabbrica Rectaflex .................................................. 283 Un incidente di percorso.............................................. 286 Italia-Germania, guerra a distanza ............................. 290 Alti e bassi del 1951 ................................................... 294 La fabbrica perfetta .................................................... 297 La commessa militare americana ................................ 301 Signori, si chiude ........................................................ 305 Le ultime meraviglie Rectaflex ..................................... 310 Oltre le Alpi, il colpo di coda ........................................ 315 Descrizione architettonica ........................................... 319 Rete ferroviaria portuense ........................................... 321 Il Diavolo viaggia in treno............................................ 321 Pio IX, il papa ferroviere .............................................. 323 La costiera nord Roma-Civitavecchia .......................... 326 Oltre la Magliana, il mare ........................................... 328 La diramazione di Ponte dell’Industria ....................... 330 La Dorsale Tirrenica .................................................... 331 355


La diramazione di Fiumicino ....................................... 332 Gli interventi per il nuovo aeroporto ............................ 334 Il passante di Maccarese ............................................ 337 La FR1 e il Leonardo Express ..................................... 339 In attesa del Giubileo .................................................. 341 I nuovi asset regionali................................................. 342 Rio Galeria ................................................................. 345 Rudere di Vigna Consorti ............................................ 347 Sommario ....................................................................... 349

356


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