l'Artugna 94 2001

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Un varsor con suo ferro... Due inventari budoiesi degli inizi del ’700

nella seconda metà del 1700?, c’è poi un duplice matrimonio con l’assegnazione dei figli non ancora risolta per la linea materna), ma l’entusiasmo dell’aver trovato le proprie radici è stato preponderante in chi con me stava collaborando alla ricerca e si sentiva coinvolto in primis ed ha così subito passato alla rivista la segnalazione quanto fino ad allora scoperto... I PUPIN di Romans, fabbri, costruttori e riparatori di carrozze (bellissimo il museo assemblato da «nonno Bonaventura») continuano la professione costruendo rimorchi. Alcuni rami collaterali sono sparsi nell’Isontino. – Pordenone. Molti ricorderanno le «storiche» Autovie PUPIN fondate all’inizio del secolo in piazza Cavour e da qualche anno non più operative. Ebbene il fondatore Giobatta PUPIN (n. 1852) era nipote di un altro Giobatta nato a Cavasso nella Cargna come si legge nei registri della parrocchia di San Marco in occasione del battesimo dell’ultima figlia nata il 20 aprile 1829; dalle trascrizioni dei battesimi degli altri figli apprendiamo che era industriante e tessère, ossia operaio tessile come tanti altri carnici scesi, all’epoca, prima a Rorai, poi a Pordenone. Pietro, il padre del fondatore delle autovie viene infatti battezzato a Rorai; domestico si trasferisce a San Giorgio ove il figlio inizierà la propria attività di meccanico e poi di imprenditore. Attualmente la famiglia è diffusa in tutto il Friuli (ricordiamo la fioreria PUPIN a Montereale Valcellina) e presenta una presenza femminile anche in Argentina. Da segnalare una crocerossina insignita di medaglia di bronzo al merito. I PUPPINI bolognesi annoverano anche Umberto (n.1884), sindaco della città, rettore della prestigiosa Università, e poi ministro del Regno d’Italia. Essi sono probabilmente ricollegabili al pittore veneziano Biagio Dalle Lame (nome dal quartiere di Bologna ove risiedeva a metà dei 1500), amico del Giorgione, che portava infatti il cognome PUPPINI (o PIPINI o PUPIN). Non va dimenticato che all’epoea abbiamo presenze costanti nella città lagunare di PUPPIN sia da Budoia che da Cavazzo e che potrebbero esser collegate appunto con Biagio Puppini. Ricordiamo anche un ennesimo GioBatta che, medico condotto a Calderara (borgata a nord di Bologna), esegue nel 1756 un intervento su di una persona caduta da una pianta. Oggi alcuni nipoti di Umberto risiedono a Milano. OSVALDO PUPPIN

Se al giorno d’oggi dovessimo metterci a fare l’inventario completo di ciò che possediamo, probabilmente impiegheremmo diversi giorni e forse alla fine non riusciremmo a elencare tutto: vestiti, calzature, mobili, piccoli e grandi elettrodomestici, stoviglie, posate, attrezzi da giardinaggio, giochi, giocattoli, libri, mezzi di trasporto... Ne verrebbe fuori una lista interminabile, tale da riempire sicuramente molte pagine. Chi ha esperienza di traslochi da una casa a un’altra sa che quelle sono occasioni nelle quali solitamente si scopre, tra il divertito e il preoccupato, di essere proprietari di tantissime cose, alcune indispensabili, altre utili, altre ancora superflue, inutili, ingombranti. Non era certo così anche nel passato: fino a tempi non lontani (basta chiedere a chi è nato prima della seconda guerra mondiale) le case delle persone comuni avevano ben pochi oggetti: qualche mobile, gli utensili necessari per la vita di casa, gli attrezzi per il lavoro e poco altro. La scarsa ricchezza (un eufemismo per non dire la miseria!) impediva che le abitazioni si riempissero come ora di cose non sempre utili, anzi, un tempo in molte case mancavano pure quelle essenziali. Solo il rapido progresso verificatosi nel dopoguerra, pur con tempi e modi diversi da paese a paese e da famiglia a famiglia, ha portato all’abbondanza materiale di cui oggi godiamo (e talvolta, a dir il vero, soffriamo). Tutto ciò per fare da introduzione un po’ retorica a un paio di interessanti documenti storici che vogliamo presentare ai lettori de l’Artugna. Si tratta di due inventari di beni stesi nello stesso giorno, il 18 luglio 1719 (ovvero 282 anni fa), dal notaio polcenighese Gio Batta Curioni1. Il qual Curioni, per ordine del conte Antonio Andrea di Polcenigo, si era recato a Budoia, accompagnato dall’ufficiale di giustizia, per annotare scrupolosamente tutto ciò che era posseduto da due budoiesi, Giacomo del fu Agnolo (Angelo) Burigana e Osvaldo del fu Iseppo (Giuseppe) pure lui Burigana. I due risultavano entrambi debitori del nobile giurisdicente polcenighese, anche se non sappiamo di quanto e perché: forse non avevano restituito al conte dei soldi prestati, oppure non gli avevano pagato affitti dovuti per terre o case. Il conte, inflessibile, aveva dunque spedito loro il notaio e l’ufficiale a casa per inventariarne i beni, primo passo verso il sequestro e la confisca degli stessi. La disgraziata occasione (disgraziata per i Burigana, che devono aver certo tremato e pianto alla visita del notaio e dell’ufficiale) ci

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