Artribune Magazine #38

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Third Line della zona industriale di Al Quoz, se ne sono aggiunte altre come IVDE, Total Arts, intorno ad Alserkal Avenue. “Il trend è collezionare arte contemporanea. I collezionisti che abitano negli Emirati tendono ad acquistare opere dal Medio Oriente o dal sud est asiatico”, prosegue Carver, alimentando pertanto la domanda interna. L’altro pilastro su cui si basa questo mercato in crescita sono le risorse messe a disposizione da chi ha interessi non solo culturali nella regione. Come ha recentemente sottolineato Myriam Ben Salah, la curatrice della prossima edizione dell’Abraaj Group Art Prize, “avere le risorse per la realizzazione delle opere è la pietra miliare per avere una scena artistica rilevante”. In altre parole, le risorse creano prospettive concrete. Quest’anno i radar europei hanno intercettato alcuni artisti interessanti. Ramin Haerizadeh e Rokni Haerizadeh, ad esempio, sono nati a Teheran nel 1975 e nel 1978 e vivono a Dubai; a marzo hanno aperto il loro studio, condiviso con Hesam Rahmanian, ai collezionisti di Art Dubai; sono stati inoltre selezionati da Massimiliano Gioni per La Terra inquieta alla Triennale di Milano [si veda la recensione della mostra a pag. 98]. Realizzano video e collage sovrapponendo immagini che scaricano dalla televisione e da Internet e compongono affreschi con contenuti inquietanti, sarcastici e violenti. Sempre alla Triennale è esposta l’opera di Ahmed Mater, artista saudita nato nel 1979: anche lui lavora con il video, che però utilizza in modo più documentaristico per indagini sulla vita reale dei pellegrini e dei visitatori della Mecca, alla ricerca di una realtà non stereotipata. Alla Biennale di Venezia curata da Christine Macel, invece, sono esposti i lavori di Abdullah Al Saadi (nato nel 1967 negli Emirati): sono scatole di latta che contengono diari personali con aforismi, progetti, schizzi e incontri, come i rotoli del Mar Morto. L’aspetto di questi oggetti ricorda le tecniche calligrafiche giapponesi (Al Saadi ha vissuto a Tokyo per qualche anno) ma il tema dell’archiviazione della memoria è tipicamente occidentale. Ha una grande visibilità alla Biennale Maha Malluh, anche lei saudita (Riad, 1959). Prima artista a esporre un’opera d’arte pubblica a Gedda, all’Arsenale presenta Food for Thought ‘Amma Baad’ (2016) [nella foto a sx di Andrea Avezzù. Courtesy La Biennale di Venezia], un enorme mosaico di audiocassette disposte sui vassoi del pane a formare parole come “tentazione”, “proibito”, “sforzo”; sulle

cassette sono registrati discorsi destinati a indottrinare le donne, e il lavoro fa riflettere sulla condizione femminile in Arabia Saudita.

Le risorse messe in campo non si limitano a promuovere artisti nati o che risiedono nell’area del Golfo, ma anche chi ha una dimensione internazionale e una ricerca rilevante per quella regione. A documenta 14, ad esempio, è esposto un bellissimo lavoro video di Naeem Mohaiemen (Londra, 1969), Two meetings and a Funeral del 2017, sul tema della storia dei congressi dei Paesi non allineati (NAM) e l’Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC); è commissionato dalla Sharjah Art Foundation e da JustFilms/ Ford Foundation, ed esprime un punto di vista illuminante sulla storia dei rapporti tra questi Paesi e l’Occidente.

ASTA LA VISTA

di SANTA NASTRO

DAVID HOCKNEY E I RAGAZZI DEL ‘37 Il 2016 è stato l’anno d’oro di David Hockney. L’artista, che ha appena compiuto ottant’anni, è stato invitato a progettare una vetrata per Westminster Abbey, che sarà presentata nel mese di giugno 2018 in concomitanza con l’apertura nella chiesa della Queen’s Jubilee Gallery. La Tate Britain di Londra gli ha dedicato una grande retrospettiva che ha traslocato poi a Parigi, al Centre Pompidou, dove ha aperto da poco. La stessa mostra arriverà successivamente a New York, mentre da fine giugno un’altra personale – focalizzata sui ritratti – è allestita a Ca’ Pesaro a Venezia [ne parliamo nell’inserto Grandi Mostre a pag. 56]. Nel frattempo, la città di Bradford nel West Yorkshire, in Inghilterra, ha annunciato che la Cartwright Hall celebrerà il compleanno dell’artista con una galleria permanente in suo onore. Nato proprio a Bradford il 9 luglio 1937, Hockney ha frequentato la Bradford Grammar School prima di iscriversi al Bradford Regional College of Art nel 1953, dove ha ricevuto una formazione tradizionale basata sul disegno dal vero. La galleria ospiterà una mostra permanente dei primi lavori di Hockney e schizzi, disegni, stampe e fotografie che documentano la sua carriera. Molti di questi, soprattutto i primi lavori, sono stati raramente esposti al pubblico, e saranno al fianco di alcuni dei lavori più noti. Ad esempio Le Plongeur, un’ironica piscina “di carta”, dipinta verso la fine degli Anni Settanta. Come ha reagito il mondo delle aste a questa carrellata di successi? Il mercato di Hockney è naturalmente sempre stato molto solido: un artista, una certezza. Già nel 2009 le sue quotazioni in asta si aggiravano intorno ai 2-3 milioni di euro. Addirittura un’asta del 1989 da Sotheby’s negli Stati Uniti vedeva il suo Deep and Wet Water del 1971 battuto per 1.254.325 euro. Ma i risultati più soddisfacenti gli vengono proprio dall’ultimo biennio (e dagli Stati Uniti), arrivando a toccare stime da star. Nel 2016, a novembre, Woldgate Woods, 24,25, and 26 October 2006, un’opera del 2006, ha raggiunto quasi 10 milioni di euro in asta da Sotheby’s (nel frattempo, da Phillips, The Gate del 2000 arrivava a 6 milioni). A maggio 2017, Building, Pershing Square, Los Angeles del 1964 viene battuta per 6.2 milioni di euro. Risultati che hanno distanziato (e di parecchio) il top lot del 2009 realizzato da Christie’s con un’opera del 1966-67.

ART PEOPLE VOICES

di ANTONELLA CRIPPA

DIEGO BERGAMASCHI Vicepresidente degli Amici della GAMeC, Diego Bergamaschi (Verona, 1968) colleziona da quindici anni, da dieci in modo decisamente “appassionato e coinvolto”. L’anno scorso ha sfondato “il muro delle 100 opere”, facendosi assorbire dal mondo dell’arte in maniera progressivamente crescente ma riuscendo a mantenere un equilibrio tra famiglia, lavoro (in banca) e passione. “Ogni opera rappresenta una stagione della vita e della ricerca. Le foto di Luigi Ghirri prima, poi un lavoro di Ryan Gander che ha rappresentato il salto di qualità internazionale, poi ancora Rirkrit Tiravanija, uno dei primi acquisti impegnativi da un punto di vista economico”, racconta. “Tra gli ultimi, una griglia in bronzo di Jonathan Monk, il perfetto mix tra il collezionare giovani artisti concettuali e la sfida intellettuale che è spesso il motore del mio cercare”. Hai qualche specifico indirizzo di ricerca? Mi interessa più lo stimolo intellettuale e meno l’estetica. Sono arrivato addirittura ad acquisire un logo di Gintaras Didžiapetris, un file che posso riprodurre all’infinito a mio piacimento. Ultimamente però sono più attratto dalla materia e sto guardando al “nuovo materialismo” dei seppur diversi Michael E. Smith, Adriano Amaral, Mandla Reuter, Lena Henke, Daniel Turner e, in Italia, Giulia Cenci e Nicola Martini. Mi interessano anche il Sudamerica e l’Africa: non possiedo nessuna opera ma sto studiando. Interessi recenti? Gregor Schneider, Runo Lagomarsino, Flavio Favelli, Andrea Kvas e Nicola Martini mi piacciono molto. Di alcuni di loro ho preso dei lavori. Recentissimamente ho comprato un’opera di Elena Mazzi (ora esposta a Palazzo Fortuny in Intuition), una scultura di Giulia Cenci, una fotografia di Renato Leotta che oggi sta felicemente dietro alla griglia appesa di Jonathan Monk. Alla Biennale ho avuto tre conferme: Petrit Halilaj, Roberto Cuoghi e Anne Imhof. Sono ancora senza parole... Come sono oggi le collezioni? Il mercato è spaccato in due: da una parte le potenti collezioni internazionali, dove c’è anche molta finanza; dall’altra la ricerca più discreta, “al dettaglio”, delle collezioni europee, giovani collezionisti con un grado di preparazione che fa invidia a tanti addetti ai lavori.

MERCATO

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