Luca Scacchi in treno © Giovanni Ricci
LUCA SCACCHI GRACCO. AVANTI DI VENT’ANNI Il suo biglietto da visita recitava: Luca Scacchi Gracco – Hysterical Consultant. È stato uno dei personaggi più interessanti e intelligenti che abbiano popolato la vita di Johnny Ricci. Nato nel 1930 e scomparso poco più di un anno fa, Luca Scacchi Gracco è stata una figura fondamentale, anche se ben poco riconosciuta, nel panorama dell’arte italiana. Artista, talent scout, mercante. Per primo ha portato fuori dall’Inghilterra la pittura di Francis Bacon. Era il 1959 e nella sua galleria appena aperta – in via Marco De Marchi 5, lo Studio d’Arte Contemporanea – espone il grande artista inglese, che aveva conosciuto a Tangeri. Ma gli italiani non lo capiscono e il giovane mercante si trova costretto a vendere quelle opere tra la Svizzera tedesca e gli Stati Uniti. Nello stesso luogo espone Sutherland, Arp, Moore. Nel 1963 espone anche Piero Manzoni, che era appena morto, neppure trentenne. Ma la mossa troppo ardita gli costa la perdita dei finanziatori, che lo abbandonano e lo costringono a chiudere la galleria. In tutto questo Ricci gli è vicino, fa le foto per la galleria, lo ascolta paziente. Giulio Carlo Argan scrive di lui: “L’uomo più forte ed arrogante del momento, più svelto di tutti, più intelligente, aveva superato in astuzia e preceduto di vent’anni i mercanti stranieri”. In precedenza aveva avuto un importante rapporto con Picasso, accanto al quale era vissuto per un certo tempo in Provenza. E pare che proprio Picasso avesse aggiunto al suo cognome d’origine il secondo cognome, Gracco. Era figlio di un grande industriale della seta comasco. Non voleva parlare di quella città e non rivelava mai il suo vero nome di battesimo, Emilio. Una sorta di rabdomante della bellezza, che riconosceva immediatamente un oggetto prezioso, importante. Colto e intuitivo al tempo stesso, parlava in codice, così che solo i suoi sodali potessero capirlo. Era un affabulatore, raccontava un quadro per telefono e riusciva anche a venderlo. Dall’Austria, negli Anni Sessanta, aveva portato i disegni di Klimt e Schiele, ma Ricci racconta che la gente non capiva neppure quelli, scambiandoli per opere leggere, da appendere nei negozi di parrucchiere. Era un grande viaggiatore e durante i suoi viaggi comprava cose che teneva per anni, ma che anche rivendeva subito per finanziarsi un altro viaggio. Con lui Johnny Ricci gira per l’Europa, dove Scacchi è stimato da molti. “Non aveva paura di niente, sfidava tutti. Quando ero con lui, mi pareva di essere in un film di James Bond. Era un uomo autoritario e autorevole al tempo stesso. Ne combinava di tutti i colori, come un ragazzaccio dispettoso. Ci siamo trovati spesso in difficoltà, ma poi ce l’abbiamo sempre fatta”. In realtà era difficile anche come committente. Ricci racconta, ridendo, che una volta riuscì a prendersi gioco di Scacchi: “Lo avevano incaricato di fare un libro sulla plastica. Così comprò centinaia di oggetti e mi incaricò di fotografarli. Per un disguido le mie foto non gli arrivarono e io me le ripresi. Giorni dopo mi chiamò arrabbiatissimo e mi disse che le foto, che in realtà non aveva visto, non andavano bene. Lasciai passare qualche tempo e gli feci riavere lo stesso materiale. Allora mi chiamò entusiasta, dicendomi che per ottenere il meglio da me bisognava sgridarmi”.
era il fotografo ufficiale delle gallerie. La mia fama era: “Hai un problema? Vai da Ricci che te lo risolve”. Mi piaceva sperimentare, trovare nuove soluzioni. Un giorno sono stato chiamato da Schubert a fotografare una mostra di sculture di de Chirico. Lo aveva già chiesto ad altri, ma le foto non funzionavano. Con la scultura ci vuole coraggio: se ti spaventi sei finito. Per fare le foto ho stravolto la disposizione delle statue. Poi il maestro ha guardato il mio lavoro e non ha avuto niente da dire: era come se mi avessero dato una laurea. Perché ci vuole coraggio?
Bisogna trovare un punto di vista che riassuma tutti quelli possibili. Le migliori fotografie delle opere di Medardo Rosso se l’è fatte lui stesso. Le sue sculture sono accenni di luce, con la quale Medardo dialogava. Nelle sue foto c’è la poesia dell’opera.
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ATTUALITÀ
È così anche per Brancusi. Ma tornando al tuo lavoro milanese: com’è andata negli Anni Settanta, con i grandi mutamenti politici e sociali?
una persona molto più giovane di me come Annalisa Guidetti, la mia socia, capace di muoversi con disinvoltura con il computer, è fondamentale. Lei era l’assistente di galleria di SimoNon ho più frequentato na Bordone. Mi ha Brera. Ho lavorato chiesto se poteva meno per l’arte. lavorare con me Poi ho ripreso mezza giornata negli Anni Otper imparare tanta, ho iniSono stati veramente la professione. ziato a lavoraanni fantastici. Ho Mi ha convinre per gallerie documentato tutto to perché mi come quella di ha detto che se Valeria Belvela cavava bene dere, in via Senacon l’informatica to. Ha fatto delle ed era automunita, mostre molto e io non guido l’automoraffinate, per esempio con Nagasawa, un altro bile. Col tempo è nato fra noi un sodalizio imprescindibile. artista che amo fotografare. Sei ancora parecchio attivo. Cos’è cambiato nel corso degli anni?
Principalmente la tecnica. Ora utilizzo il digitale e operare con
Oggi pochi giovani fanno il vostro lavoro. Non sono tanti quelli che vogliono riprodurre le opere. È una professione che ha ancora senso?
Certo che ha senso! Però molti credono di diventare protagonisti fotografando le opere degli altri, e sbagliano di grosso. Invece il nostro mestiere è una sorta di servizio. Tutti hanno talento, basta capire il proprio, grande o piccolo che sia, per utilizzarlo nel migliore dei modi. Sei una persona schiva, è difficile vederti in giro per gallerie.
In genere vado solo alle mostre degli amici. Non ho mai accettato di esporre le mie fotografie. A me piace risolvere i problemi, mi piacciono le sfide di luce, di inquadratura. Più volte sono riuscito a riprodurre opere apparentemente impossibili da documentare. La chiave del mio lavoro è la semplicità. Certo, mi rendo conto sempre più che è un cammino difficile, ma è quanto dà un senso al mio operare. [con la collaborazione di Greta Valente]