Sul piatto vi è una serie di questioni mica da poco. Innanzitutto il concetto stesso di chiesa. Ha ancora senso? A guardare le chiese contemporanee edificate in questi ultimi anni in Italia, sembra che gli architetti rispondano con piattaforme-campus dedicate non alla religione, ma piuttosto alle religioni. Sta di fatto che la Chiesa, intesa come Stato, pare molto più interessata all’architettura contemporanea rispetto allo Stato, inteso come Italia.
Se questa è una chiesa
di Zaira Magliozzi
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Di opinioni contro ce ne sono a bizzeffe. Tutto ri-comincia alla fine del 2009, quando il Complesso Parrocchiale San Paolo a Foligno, dello Studio Fuksas, riporta l’attenzione sul mai realmente sopito dibattito dell’architettura sacra contemporanea. Il primo ad alzare la voce è Sgarbi, che su Il Giornale tuona: “Basta con le archistar atee e le loro chiese-scatole”. Sempre nello stesso periodo, un manipolo di intellettuali lancia un appello a Papa Benedetto XVI “per il ritorno a un’arte sacra autenticamente cattolica”. Un disperato richiamo a cui aderiscono in 1.800 da tutto il mondo. Francesco Borgonovo, tra gli altri, scrive: “Basta con le chiese che assomigliano a capannoni o cubi di cemento”. Mentre, a febbraio di quest’anno, il Cardinal Ravasi rincara la dose, parlando di chiese come sale congressi e palazzetti dello sport. Il concetto è chiaro. Le nuove architetture sacre, quelle che Giò Ponti chiamava
“chiese pinocchio”, non piacciono perché sono brutte, antiestetiche e rappresentano un insulto alla cristianità.
Ma perché tanto accanimento? Passiamo al setaccio alcuni casi limite. Al Complesso San Paolo a Foligno di Massimiliano Fuksas non viene perdonato il cemento facciavista, tantomeno la forma aspramente cubica. È indubbio che l’edificio fatichi a inserirsi nel contesto, ma vanno anche notati alcuni accorgimenti. L’espediente della “scatola nella scatola” assicura un gioco di luci inaspettato, dotando lo spazio interno
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