VENEZIA
RASSEGNA D’ARTE CONTEMPORANEA
Ogni cosa è chiamata a giustificare la propria esistenza, tranne l’opera d’arte Nicólas Gómez Davila da “In margine ad un testo implicito”
RASSEGNA D’ARTE CONTEMPORANEA 6 - 26 luglio 2019 VENEZIA Palazzo Zenobio
Sestiere Dorsoduro 2596
A cura di: Aldo Maria Pero Annamaria Adessi Stefania Basso Milvia Bortoluzzi Fabio Castagna Gian Luigi Castelli Michele Coccioli Nicoletta Conio Emanuele Costantini Rosalia Costanza Franco Crocco Corrado De Benedictis Vanni de’Conti Silvia Enriconi Mirella Ghersi Beniamino Giannini Margherita Giordano Ivano Gonzo Grafica e impaginazione
Licinia Visconti
© Edizioni Arte del XXI Secolo
MOVIMENTO ARTE DEL XXI SECOLO www.artedelxxisecolo.it
Maria Teresa Guala Valeria Gubbati Kara Valeriano Lessio Luca Luciano Denise Mingardi Luisella Parise Giuseppe Piacenza Rossella Rossi Forza Marialuisa Sabato Gino Maria Sambucco Maruska Sessa Giampaolo Spedicato Luciano Tonello Sophia Zaccaron Lina Zenere
PRESENTAZIONE
Il Movimento Arte del XXI Secolo ha inaugurato la propria presenza a Venezia nel 2019 con due mostre allestite durante la 58. Biennale d’Arte di Venezia. Il movimento ha esposto a Ca’ Zenobio degli Armeni, la più importante testimonianza del tardo-barocco veneziano, la cui costruzione fu affidata ad Antonio Domenico Gaspari (1656-1723), che qui realizzò il lavoro più importante di una carriera scarsamente documentata sul piano biografico anche se i suoi interventi rivelano una personalità estrosa e a tratti geniale. Gaspari ha infatti lasciato un buon numero di progetti di rifacimenti e adattamenti di edifici sacri e profani in parte eseguiti, in parte soltanto delineati sulla carta, tra Seicento e Settecento. A Palazzo Zenobio si cimentò nella costruzione di un palazzo fra i più imponenti ed eleganti del Settecento veneziano. Committenti furono gli Zenobio, veronesi, Conti del Sacro Romano Impero, una famiglia immensamente ricca, proprietaria di numerosi castelli e di vastissimi beni feudali nei territori imperiali della val d’Adige, ascritta nel 1646 al patriziato della Serenissima mediante l’esborso di centomila ducati. Al servizio di committenti ricchissimi e dominati da un orgoglio che esigeva d’imporsi nei confronti della snobistica casta patrizia veneziana, Gaspari concepì senza limiti di spesa un edificio affrancato dagli schemi tradizionali nel prospetto, insolitamente semplice, se non fosse stato per l’enorme stemma di pietra collocato al centro del timpano ricurvo sovrastante il finestrone centrale del secondo piano, sostanziale elemento decorativo oltre che araldico, oggi malauguratamente rimosso, e prodigò per contro le più brillanti ed eleganti decorazioni nel lussuoso interno, comprendente una sala da ballo, forse la più sfarzosa di Venezia, collegata col tradizionale pòrtego da uno splendido arco sorreggente la tribuna dell’orchestra. A decorare cornice e soffitto fu chiamato Louis Dorigny (1654-1742), un pittore francese che svolse tutta la propria carriera in Italia con l’eccezione della decorazione del Palazzo d’inverno del Principe Eugenio di Savoia a Vienna. Dorigny creò, intorno alle consuete favole mitologiche, infinite suggestioni prospettiche ricche di particolari ameni, mentre le pareti del pòrtego furono arricchite dai paesaggi fantastici dipinti da Luca Carlevarijs (1663-1730), il grande precursore del Canaletto e dei più famosi vedutisti veneziani del secolo XVIII. Carlevarijs era legato da un lungo ed affettuoso rapporto con i proprietari al punto di essere conosciuto come ″Luca da ca’ Zenobio″. Nel 1700 intervenne anche Gregorio Lazzarini (1655-1730), pittore fantasioso ed eclettico, maestro di Giambattista Tiepolo. Ognuno dei due, in momenti diversi, dipinse un soffitto, mentre più tardi l’architetto e storico dell’architettura Tommaso Temanza (1705-1789), uno dei massimi teorici del neoclassicismo, costruì nel giardino un bel casino, quasi una piccola villa, per ospitare la ricca biblioteca.
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Nacque così un complesso di eccezionale eleganza, una delle testimonianze più suggestive del gusto di un’epoca oltre che di una famiglia di mecenati, fortunatamente sopravvissuto all’estinzione di quest’ultima. La discendenza maschile degli Zenobio finì, infatti, in maniera piuttosto tumultuosa con Alvise, uomo estroso e colto, ma alquanto stravagante, protagonista di una lunga faida con gli Inquisitori di Stato e con il Consiglio dei Dieci per l’ostinazione con cui soggiornava all’estero, soprattutto in Inghilterra, senza chiedere l’autorizzazione, obbligatoria per i patrizi. Era inoltre in disaccordo anche con il Primo Ministro William Pitt e con l’establishment politico inglese, da lui vivacemente contestato sulla stampa britannica, e ancòra con il governo austriaco, che lo considerava un pericoloso giacobino. Morto Alvise a Londra nel 1817, i suoi beni vennero ereditati dalla sorella Alba, vedova del procuratore di San Marco Zan Battista Albrizzi, e in casa Albrizzi, dove tuttora si trovano, passarono biblioteca e raccolte d’arte. Dopo alcuni anni, il palazzo diventò sede del Collegio Armeno ″Moorat Raphael″, per un certo periodo importantissimo centro di educazione e di formazione per giovani di nazionalità armena, diretto dai religiosi della Congregazione fondata dal Venerabile Mechitar, la cui casa madre è nell’isola di San Lazzaro, vicina al Lido. Se la scelta degli artisti è stata accurata, siamo stati molto aperti ad accogliere ogni proposta artistica senza alcuna posizione pregiudiziale. Pertanto, chi sfoglierà questo catalogo potrà gustare nel contempo una buona qualità tecnica ed un’estrema varietà di accenti. Il catalogo è stato realizzato da Licinia Visconti, Art Director del Movimento, che ha provveduto anche a fotografare tutte le opere per garantire un’alta qualità di stampa. Aldo Maria Pero, Novembre 2019
INTRODUCTION
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The XXI Century Art Movement started its presence in Venice in 2019 with two exhibitions set up during the 58th Venice Biennale d’Arte. The Movement displayed at Ca’ Zenobio degli Armeni, the most important evidence of Venice late baroque, the construction of which was entrusted to Antonio Domenico Gaspari ( 1656 – 1723 ), who produced here the most important work of a career poorly documented in terms of biography, even if his contributions reveal an inspired and at times gifted personality. Gaspari in fact left several refurbishing and adapting designs of sacred and secular buildings, some of them were carried out, some others only outlined, between the seventeenth and eighteenth centuries. With Palazzo Zenobio he tested himself in the building of one of the most impressive and stylish palaces in the Venetian 18th century. The clients were the Zenobio family, from Verona, Counts of the Holy Roman Empire, an immensely rich family , owner of several castles and vast feudal possessions in the imperial territories in Val d’Adige, ascribed in 1646 to the patriciate of the Venetian Republic in exchange for a hundred thousand duchies.
At the service of customers so rich and proud to claim to prevail over the Venetian snobbish patrician class, Gaspari conceived, with no spending limits, a building freed from any traditional patterns on the façade, unusually simple, if it had not been for the huge stone emblem located at the centre of the curved tympanum overlying the central large window on the second floor, essential decorative element, as well as heraldic, now regrettably removed. In return he lavished the most brilliant and stylish decorations in the luxurious interiors, including a ballroom, probably the most sumptuous one in Venice, connected with the traditional pòrtego by a magnificent arch supporting the orchestra gallery. For the decoration of the cornice and the ceiling was appointed Louis Dorigny ( 1654- 1742 ), a French painter who carried out his whole career in Italy, with the exception of the decoration of the Winter Palace of Prince Eugene in Vienna. Dorigny designed, in the context of the usual mythological fairy tails, unlimited perspective suggestions, full of funny details, while the walls of the pòrtego were enriched by imaginary lanscapes painted by Luca Carlevarijis ( 1663 – 1730 ), the great precursor to Canaletto and the most famous Venetian landscape painters of the XVIII century. Carlevarijis was linked by a long and affectionate relationship to the owners so to be well-known as Luca da ca’ Zenobio. In 1700 there was also the contribution of Gregorio Lazzarini ( 1655- 1730 ), imaginative and eclectic painter, master of Giambattista Tiepolo. Each of the two, at different times, painted a ceiling, while later the architect and architecture historian Tommaso Temanza (1705 - 1789 ),one of the greatest theorists of neoclassicism, built in the garden a beautiful casino, a sort of small villa, to house the rich library. This led to a complex of extraordinary elegance, one of the most charming evidence of the tastes of the period as well as of a family of patrons, luckily survived their extintion. The mail line of the of the Zenobios ended up in a rather turbulent way with Alvise, a whimsical and cultivated man, but rather eccentric, protagonist of a long feud with the State Inquisitors and the Council of Ten because of his persistence staying abroad, especially in England, without requesting authorisation , compulsory for noblemen. He was also in conflict with the Prime Minister William Pitt and with the English politica establishment, strongly contested by him on the British press, and even more with Austrian government, which considered him a dangerous Jacobin. Alvise died in London in 1817 and his property was inherited by his sister Alba, widow of the prosecutor of San Marco Zan Battista Albrizzi, to whose house the library and the art collection were moved and where they are still kept. Some years later, the palace became the seat of the Armenian College Moorat Raphael, for a time a very important education and training centre for Armenian youth, run by religious of the Congregation founded by the Venerable Mechitar, whose mother home is on San Lazzaro isle , close to the Lido. Even if the choice of the artists was accurate, we were open to considering any artistic proposal with no preliminary position. Therefore, whoever browses this catalogue can appreciate at the same time a good technical quality and a great variety of stresses. The catalogue was made by Licinia Visconti, Art Director of the Movement, who also took photos of all the works displayed so as to ensure a high quality printing. Aldo Maria Pero, November 2019
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Annamaria Adessi Annamaria Adessi è nata e risiede a Trento, una città ricca di storia e di forti contrasti, quegli stessi che forse hanno contribuito alla formazione del carattere pensoso e talora critico della pittrice, che si è diplomata presso l’Istituto d’Arte ″Alessandro Vittoria” per poi conseguire la laurea in Sociologia presso la locale Università. Sposata e madre di due figli, si è dedicata all’insegnamento di Educazione artistica in varie Scuole statali e private per oltre un trentennio concludendo tale attività nel 2011, allorché, con un po’ di retorica, diremo che ha ripreso in mano il proprio destino artistico. Con accenti manzoniani si può affermare che, ad onta delle afflizioni coniugali e lavorative, non ha mai dimenticato la pratica dei pennelli esponendo per la prima volta alla III Biennale di pittura e grafica della Valle dei laghi (1977) ottenendo il Primo Premio fuori concorso per la grafica con l’opera L’orecchio di Dioniso. Successivamente ha partecipato ad alcune collettive in ambito locale. Ha disegnato alcune tavole a colori (figure femminili vestite con costumi popolari) per il volume Proverbi del Trentino dell’etnologo Umberto Raffaelli, pubblicato nel 1981. Ha dipinto una vetrata dedicata a Don Bosco nella Scuola media ″Maria Ausiliatrice″ di Trento. A partire dal decennio precedente, ma soprattutto con il 2012, ha intensificato la propria attività riprendendo anche la partecipazione alle mostre. La sua produzione artistica è assai eclettica e si pone in contrasto con quella sorta di ″coazione a ripetere″ che induce ad un’insistente riproposizione di stilemi autoimposti, ciò che per lei significherebbe asservire la sua libera creatività ad esigenze di mercato adagiandosi su una certa pigrizia inventiva. Coerentemente con il concetto di ″Unico″ teorizzato da Stirner, si può pertanto affermare che «le sue opere appartengono a lei e non è lei ad appartenere alle proprie opere».
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Re Mida vive in noi, 2019 - tecnica mista su tavola - 80x44
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Stefania Basso
Stefania Basso è nata e vive a Bassano del Grappa dove si è diplomata presso il Liceo classico ″G.B. Brocchi″ laureandosi successivamente all’Università di Padova in Scienze biologiche. Ha cominciato a disegnare e a dipingere sin dai tempi del Liceo ed ha coltivato sistematicamente la sua naturale propensione artistica. Sandro Gazzola ha sottolineato quanto della formazione scientifica sia passato nei suoi lavori: «Stefania Basso rappresenta l’artista-scienziato perché nella sua più pura maniera creativa è evidente la sua formazione universitaria in biologia, rimasta viva in lei nella necessità di comprendere l’origine della vita e i suoi misteri, percepiti come concetti limitanti lo studio analitico delle cose e capaci di porre in rilievo i confini oggettivi della scienza, evidenziati dalle incognite della psicologia e dell’infinito, aperte nello spazio mentale del singolo essere umano». La tematica relativa all’interiorità diventa filo conduttore di tutte le sue opere, riscontrabile nello sguardo profondo di un volto asessuato, come nell’incomprensibile desiderio di violenza, concretizzabile nel gesto di sopraffazione umana, capace di concludersi con una riflessione che pone a confronto l’identità di ciò che è fisico e misurabile con ciò che perde il senso dell’esistenza concreta...Quando appare più definito si scorgono oggetti collocati secondo nuovi ordini, diversi da quelli razionali, come il rapporto fra la strage, la rosa e il libro o fra il corpo femminile e la sua collocazione nello sfumato dello spazio virtuale e reale, ma anche spirituale quando si esprime in termini monocromi. I simboli non mancano e nascono per la necessità di cercare una via di verità risolutiva: l’″agenda rossa″ di Paolo Borsellino trattiene una rosa candida nel mezzo della strage, così come accade con il fiore nella celebre Guernica o nei viaggi poetici della speranza di Ungaretti, in cui si ritrova l’ ″allegria″ nel mezzo del naufragio.
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Rinascita Virtuale, 2018 - olio su tela - 50x70 11
Tempi Moderni, 2016 - matita su carta - 30x21 12
Millenovecentonovantadue ITALIA, 2014/2015 - olio su tela - 80x70 13
Milvia Bortoluzzi Veneta per antica genealogia, Milvia Bortoluzzi, cittadina di Thiene, ma di nascita montanara, reca in sé la memoria di antichi spazi silenti e di incontaminate plaghe, là dove la bellezza dei luoghi suscita una reverente preghiera poiché qui il tempo e l’eternità sembrano incontrarsi. Se questi sono i sentimenti che suscita Sull’altopiano, l’opera in mostra, tutta la sua vasta produzione è improntata ad una profonda capacità di compenetrazione negli aspetti della natura, che le appaiono quali dimostrazione di una superiore volontà creativa che induce a ripensare i versi carducciani di La chiesa di Polenta: «Un oblio lene de la faticosa/vita, un pensoso sospirar quïete,/una soave volontà di pianto/l’anime invade». Un senso della vita inteso come pratica etica ed una poetica artistica volta a cogliere le realtà intime delle cose narrate informa l’attività di Milvia Bortoluzzi nella triplice declinazione di pittrice ad olio, di acquarellista e di incisore. Nonostante le rilevanti differenze tecniche che tali ambiti creativi impongono, difficoltà superate con estrema disinvoltura, la matrice spirituale resta immutata ed aggiunge il valore di contenuti profondi e raffinati ad opere di alto pregio stilistico. Se la poetica e i concetti di fondo non variano, ad ogni settore di attività corrisponde un particolare contenuto narrativo. Così agli acquerelli viene affidata la delicatezza dei fiori, rappresentati in nuances sfumate di grande dolcezza rappresentativa, ma talora si aprono anche all’album di famiglia per accogliere il gruppo dei nipotini, le uniche figure dipinte anche in alcuni oli, che servono all’artista per affidare loro il senso di paesaggi deserti, testimoni non di caratteri ma di semplici atmosfere. Il settore tecnicamente più rilevante, sino al puro virtuosismo, è quello dell’incisione, un àmbito nel quale la Bortoluzzi si è guadagnata fama nazionale.
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Sull'altopiano, 2012 - olio su tela - 70x100 15
Fabio Castagna Fabio Castagna è nato e vive a Falcinello, uno splendido borgo situato nel cuore storico della Lunigiana, in provincia di La Spezia. Si tratta di un artista che dalla sua cittadina si è proiettato in ogni dove con un’attività espositiva intensa e di notevole qualità. Personaggio eclettico, ormai di fama internazionale, ha iniziato la propria attività come paesaggista e frescatore, ma opera anche in qualità di scultore e mosaicista. Nel breve spazio disponibile è impossibile elencare tutte le sue partecipazioni a concorsi e mostre internazionali, spesso in sedi di notevole prestigio storico e culturale. Di lui la critica Letizia Lanzarotti, con attenzione particolare al Sovrapposizionismo, il movimento artistico lanciato da Castagna, ha scritto: «Unica e sorprendente l’innovazione dell’artista, genio e inventore del Sovrapposizionismo. Come si può chiaramente notare dalle opere, non si tratta di una brama artistica che incrocia graficamente le figure per far apparire più esteticamente gradevole e dinamico il dipinto, ma di una vera e propria ricerca interiore, in cui l’artista e i soggetti che dipinge, prevalentemente ispirati all’umanità nel suo complesso, si interrogano sul rapporto tra realtà reale ed apparente. È il noumeno ed il fenomeno, la filosofia kantiana, la scoperta di un nuovo mezzo che, attraverso la pittura, raggiunge la realtà più vera, mostrando attraverso le trasparenze, i soggetti e gli oggetti posti su qualunque piano senza nascondere nulla. Il Sovrapposizionismo di Castagna, come ogni corrente dell’arte moderna e contemporanea, è certamente prossimo ad essere seguito ed imitato da seguaci o da chi vuole fare sua una tecnica perché la sente particolarmente vicina. Il valore delle opere del Maestro sta proprio nell’essere le prime ad aver lanciato il nuovo imprinting, il valore dell’autenticità che è universale e aumenta con il passare del tempo».
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Statico o dinamico, 2012 - olio e acrilico su tela - 70x100 17
Gian Luigi Castelli
Gian Luigi Castelli è stato allievo dello spazialista Mario Matera. Dopo i periodi futurista e surreal-metafisico, ispirato dai tagli di Fontana che fanno intuire spazi al di là della tela, si è avventurato nei pluralistici spazi mentali, spazi ove conscio e inconscio collaborano e pensieri e significanti fluiscono, premessa alla creazione del Plurispazialismo, avvenuta nel 1999. Con esso ha dato dinamicamente corpo a fluenti pensieri e significanti organizzando pulsioni, sensazioni, emozioni e anche idee, superando le posizioni di Cézanne, che si era limitato a rappresentare staticamente corpo e idee organizzando sensazioni. Castelli ha così fondato l’estetica del pensiero fluente. Mentre la ricomposizione dell’eterogeneità tra fenomeno e noumeno, superficie e profondità, appare vissuta da Cézanne in modo istintivo e diretto, come idea statica, il Plurispazialismo, facendo percorrere itenerari di pensiero, la fa vivere in modo dinamico e cosciente. Con il Plurispazialismo Castelli ha inoltre inserito nell’arte la visione della fisica quantistica con il suo caos, la sua indeterminazione e le sovrapposizioni di stati che l’osservatore, interagendo, può determinare insieme a reti relazionali per cui il fruitore delle opere plurispaziali, esercitando la propria fantasia, può dare una propria interpretazione a segni ed elementi indeterminati e correlare le proprie interpretazioni navigando in reti relazionali: egli può così creare racconti diventando anche lui un artista che s’inoltra nell’indifferenziato dove tutto è contaminato seguendo proprie regole e modalità. Ne può infine emerge operando senza esserne catturato e risolvendo la confusione e la contaminazione di una miriade di significati.
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Demian, 2003 - olio su tela - 70x50 19
Michele Coccioli Michele Coccioli si laurea in Architettura a Firenze nel 1982, vive a Casarano, in provincia di Lecce, ed è Responsabile della Funzione Immobili e Logistica della Banca Popolare Pugliese. I primi reportages in Italia e all’estero confermano la sua propensione per una fotografia d’indagine sociale. Verso la fine degli anni Novanta approfondisce le proprie tematiche dedicandosi a nuovi linguaggi che trovano sbocco stilistico nella fotografia di Vittorio Storaro in ambito cinematografico. L’universo immaginifico, il sogno, la dimensione irrazionale dell’essere diventano sempre più oggetto di analisi e di riflessione. Coccioli pensa alla fotografia come mezzo informativo e quale canale per smuovere l’anima, sempre contesa tra la tendenza alla realtà e ad un ″assoluto atto spirituale″, tra il tempo della memoria e la dimensione della contemporaneità. In questo contesto, intriganti proiezioni di luce, elaborate fusioni, sfocati, sovrapposizioni, prospettive insolite ed improbabili, alterazioni e variazioni, viraggi e contrasti cromatici hanno un ruolo determinante nella rappresentazione della propria psiche. Attraverso immagini apparentemente affastellate, disposte con mobile virtuosismo, prendono forma le emozioni, i ricordi, le nostalgie, le inquietudini, gli amori mancati, le gioie, i patti e le infedeltà. I confini tra verità e immaginazione, in questo specchio delle apparenze, si confondono a sgretolare la linea di demarcazione tra razionale e irrazionale, tra vita e sogno. Qui reale, mito e leggenda coesistono in un connubio inscindibile di suggestioni ed evocazioni liriche, e tutto alimenta quell’idea di armonia e bellezza che da sempre costituisce la risposta alla sete di infinito che anima lo spirito degli uomini.
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Interazioni, 2019 - stampa digitale - trittico 90x270 Nella sequenza fotografica, mentalmente elaborata all’interno del Rijksmuseum di Amsterdam durante la video-proiezione The Cleaner di Marina Abramovic, viene chiamata in causa la necessità di uno spettatore attivo, una sorta di “arte partecipativa” che diventa elemento essenziale dell’arte contemporanea. Il termine “contemplazione” di un’opera d’arte, considerato come un atteggiamento di passività e staticità nonché di venerazione e ammirazione, cede il posto ad una forma di ri-creazione, di coinvolgimento ad una esperienza che si sviluppa nel lasso di tempo necessario a mettere in connessione la vita dell’opera con quella del fruitore. Nel caso specifico l’interattività proiezione-fruitore consente al fruitore di diventare parte integrante del processo di creazione fino a trasformarsi a cavia di un esperimento. Il trittico sta ad evidenziare che l’arte non è più oggetto di osservazione e contemplazione ma spazio di interazione, fino a far diventare lo spettatore il soggetto del suo esperimento. (Michele Coccioli) 21
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Nicoletta Conio
Nicoletta Conio è nata a Savona e vive a Celle Ligure, una cittadina a pochi chilometri dal capoluogo. Qui ha iniziato giovanissima ad interessarsi di arte. Quasi inevitabilmente, la vicinanza di Albisola, uno dei grandi centri nazionali della ceramica, l’ha indotta ad operare in quell’ambito, successivamente abbandonato in favore della pittura. Conio è anche una teorica del proprio lavoro, che affronta con gli strumenti d’indagine messi a disposizione dal suo lavoro di psicologa, psicoterapeuta e, ancor più, di arteterapeuta. Essa è infatti convinta che l’arte sia l’unico spazio adatto dove sia possibile esprimere senza alcun condizionamento le proprie emozioni e le proprie fragilità spirituali. Tali presupposti ispirano anche la sua opera di pittrice orientata in senso sperimentale, autrice di una ricerca volta all’elaborazione di nuove tecniche e all’impiego di strumenti desueti e inusuali. Nonostante i molti impegni alternativi di varia natura, è sino ad oggi riuscita ad improntare il suo lavoro ad una dimensione professionale con la partecipazione a numerose mostre in Italia e all’estero esponendo in contesti prestigiosi dove è riuscita ad attirare l’attenzione non solo del pubblico ma anche della critica più avvertita. L’interesse della critica è dimostrato dalle numerose recensioni che le sono state dedicate in pochi anni. Ad esempio, nel volume Profili d’Artista. Percorsi di Arte Contemporanea, pubblicato a Genova nel 2013, si legge: «L’artista crea uno sfasamento percettivo che corrisponde ad uno spostamento dinamico ed alla conseguente riscrittura di un codice profondo…Il discorso estetico diventa anche filosofico e ritrova l’urgenza del gesto».
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Tempesta, 2018 - tecnica mista su tela- 50x50 25
Emanuele Costantini Il vicentino Emanuele Costantini ha iniziato ad esporre giovanissimo in collettive locali per poi estendere la propria attività, anche con mostre personali, in Italia e all’estero ottenendo buoni risultati di pubblico e di critica. Una parte del suo lavoro è stato realizzato in collaborazione con la gallerista Lina Zenere, sua concittadina, insieme alla quale espone anche in questa manifestazione. Sul versante critico, Grazia Boschetti ha ben compreso l’animus del pittore, del quale scrive: «Emanuele Costantini dopo varie esperienze sia in campo figurativo che grafico, non tralasciando neppure la scultura in bronzo, perviene ad uno stile originale, legato all’astrattismo. In una prima fase i suoi quadri sono caratterizzati da un particolare segno ritmico, inciso sul legno, che determina una struttura quasi geometrica, simile ad un alfabeto misterioso. Il suo interesse verso l’arte del passato e per le tecniche della pittura su tavola lo porta ad un’ulteriore evoluzione del suo percorso stilistico, influenzato anche dalla profonda impressione ricevuta visitando Aquileia ed Assisi, dove in particolare viene colpito dai dipinti di Cimabue, molto segnati dal tempo ma ancora in grado di suscitare profonde emozioni. Realizza allora un nuovo ciclo di opere nelle quali la superficie lignea viene scavata da solchi ed abrasioni che si trasformano in metafora del tempo che scava e consuma lasciando dietro di sé tracce che alludono alle stratificazioni del nostro vissuto. Il colore, steso in velature successive sullo strato di gesso che ricopre la tavola lignea, richiama invece gli intonaci graffiati dai secoli delle antiche case veneziane e con il suo cromatismo diventa espressione di un patrimonio di ricordi». 26
Muri del mondo, 2015 - tecnica mista su tavola - 22x22 ciascuno 27
Rosalia Costanza
Rosalia Costanza è una donna del Sud, una siciliana che, a giudicare dalla sua pittura, ha il calore e la forza espressiva dell’isolana, anche se pare piuttosto figlia di mari esotici che del tranquillo bacino mediterraneo. Chi medita sui suoi quadri viene dapprima colpito dalla vivacità dei colori e dei soggetti, miriadi di multicolori pappagalli, svettanti ed esili palme, sabbie fini e tranquille risacche; in un secondo momento tale lettura appare riduttiva perché si incomincia ad intuire che oltre la luminosità dei cieli e la ricchezza dei colori qualcosa vibra più intensamente, si avverte un’eco lontana che conduce la mente al cuore e trasforma le pure immagini in sentimenti e concetti. Quali sentimenti e quali concetti? Il senso di una presenza superiore, la traccia del divino che è in noi e in tutte le creature dell’universo, il che induce a riflettere sul signore del creato e sul concetto che oltre al tempo esiste l’eternità e che al nostro breve destino corrisponde un’eternità certa che all’uomo è stata promessa. Sulla base di tali riflessioni il catalogo di Rosalia si trasforma in un medievale libro di Ore, aperto da Dio alla nostra meditazione. Del resto, che si diceva un tempo? Che i cicli di affreschi chiesastici e conventuali erano la Bibbia degli analfabeti. Di fronte alla natura anche noi siamo degli analfabeti, ma possiamo emendarci. Agli aspetti meramente estetici si rivolge Paolo Levi quando scrive che «Tema dominante dei lavori proposti da Costanza Rosalia che sia quello della Sicilia o di un'isola esotica in mezzo all'oceano, il mare è il protagonista assoluto del suo fervido immaginario».
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Ogni cosa che respiri lodi Iah, 2011 - olio su tela - 70x30 29
Franco Crocco
Figlio d’arte, Franco Crocco ha svolto gli studi presso l’Istituto Statale d’Arte di Ciampino (Roma) con Gastone Primon e all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove è stato allievo di Enzo Brunori e Duilio Rossoni. L’incontro con Enzo Brunori, artista umbro esponente di spicco, sia pur solo sul versante ideologico, del Gruppo Astratto-Concreto teorizzato nel 1952 da Lionello Venturi, è stato decisivo per la sua formazione ed evoluzione artistica in ambito astratto-informale dopo un lungo percorso figurativo. È docente di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico ″Enzo Rossi″ di Roma e titolare del Corso di Pittura Materica e Sperimentale presso la ″Scuola d’Arti Ornamentali″ del Comune di Roma. Sue opere sono presenti in numerosi musei comunali e spazi istituzionali. Ha esposto, tra l’altro, al MACRO Testaccio di Roma, in numerose Fiere e Gallerie d’Arte in Italia e in Europa. Una sua opera è stata acquisita dal MAC - Museo di Arte Contemporanea di Pernambuco “Teresa Costa Rego” di Olinda (Brasile). Fa parte del gruppo di artisti di Orler Style Channel ed è presente in collettive del Gruppo e in alcune televendite. Numerose altre presenze espositive hanno contribuito a dare rilievo al cammino di Crocco. La sua ricerca si è evoluta seguendo la sperimentazione informale, concepita soprattutto in relazione ad una produzione pittorica che predilige linee espressive autonome e in continuo aggiornamento. La possibilità di combinare fra di loro tecniche assai differenti, in una persistente e costante volontà di aggiornamento, ha permesso all’artista di esplorare campi spesso inaccessibili e senza l’assillo di arrivare ad un lavoro da considerare quale opera compiuta.
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Latest news, 2017 - tecnica mista su compensato - 75x75 31
Fragile, 2019 - tecnica mista su compensato - 70x100 32
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Corrado De Benedictis
Corrado De Benedictis è un artista di Napoli che rappresenta la quintessenza della tradizionale cortesia ed eleganza di modi della grande borghesia partenopea. Di lui Antonio Filippetti ha scritto: «Le vie attraverso le quali si sviluppa e manifesta la creatività di ciascuno sono diverse e talvolta persino imperscrutabili nel senso cioè che ogni volta che il talento si mette all'opera percorre strade quasi mai attese o predestinate. Di conseguenza alcuni artisti animano il proprio lavoro anche mediante il confronto col mondo "terzo", vale a dire in sinergia con il grado di accoglienza o ripulsa che la loro opera suscita di volta in volta nelle diverse proposizioni, mentre altri preferiscono il silenzio del fare operoso, distaccato e avulso per così dire dal contesto, alla perenne ricerca forse di una completezza o perfezione che solo il tempo futuro potrà poi eventualmente inverare o suggellare». Corrado De Benedictis ha scelto questa seconda strada, nel senso che ha inteso privilegiare nel corso del tempo l'hortus conclusus della propria creatività, trovando anzi la propria ragione d'essere (d'essere artista beninteso) nel chiuso di una ricerca continua ma silenziosa: un "vizio" che l'artista ha praticato e forse anche privilegiato lungo un arco di tempo assai lungo, diversi decenni durante i quali con ammirevole ostinazione ha continuato a lavorare e produrre al di fuori degli schemi precostituiti del mercato e, cosa ancora più egregia, al di là del richiamo delle sirene della popolarità o del successo di giornata. È accaduto così che se ne sia stato a riflettere sulle sue esperienze, producendo ma anche distruggendo parte delle proprie elaborazioni nella ricerca della realizzazione di un "prodotto finito" che lo appagasse appieno.
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Corpi diafani, 1998 - olio su tela - 70x50 35
Vanni de’ Conti Vanni de’ Conti inizia la propria attività nelle gallerie di Brera nei primi Anni ‘70 fotografando vernissages, artisti e opere per poi spaziare in tutta la Milano artistica. Fotografa per un’Editrice d’arte e collabora con P. Restany, U. Eco ed altri critici alla realizzazione di alcune monografie: Dova, Turcato, Nigro ed altri. È del 1976 il primo libro per l'artista Lattuada; del 1982 il primo portfolio, Immagini, a cui seguono nel 1983 La Danza e Vanni de’ Conti per Bargiornale. Nel 1984 pubblica Il Carnevale di Venezia e Dipingere Venezia; nel 1985 Verona Amore e altri volumi fanno seguito negli anni successivi. Sempre nel 1985 vince il Premio Internazionale in Spagna per la Fotografia di Folclore e nello stesso anno inizia l’opera PHÔS (Luce), Storia della luce e universo cosmico che porterà a termine nel 1996. Verso la fine degli Anni ’80, in seguito ad esperimenti e riflessioni, divide la propria produzione artistica in due principali direzioni: Uscire dalla forma, quindi spaccare, rompere l’immagine, è la via che porta a completare PHÔS, mentre Uscire dal Colore per entrare in altre gamme cromatiche è la via che negli anni consente di realizzare gli ″Acquarelli″. Nel 1992 dà vita ai primi Acquarelli fotografici, frutto di una ricerca iniziata nel 1975. Successivamente si dedica al giornalismo enogastronomico, proseguendo l’attività di fotografo ed artista. Nel 1998 diventa capo redattore della rivista Sapori d’Italia e continua l’attività fotografica e libraria con diverse pubblicazioni cominciando dal 2000 ad esporre in numerose mostre. Nel 2019 ottiene l’assegnazione del Premio Caravaggio nell’ambito di Spoleto-Arte. La premiazione avviene all’Hotel Hilton di Malta.
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Voglia di uscire, ( serie presenze) 1973 - foto digitale ink jet - 50x70 37
Silvia Enriconi
Silvia Enriconi è nata a Milano e fin dall’infanzia ha cominciato a manifestare una decisa propensione per il disegno e la pittura. Con gli anni, da autodidatta, ha provato molte tecniche, dall'olio all'acrilico fino alla pittura digitale, che oggi attira la sua attenzione. Il suo è un mondo che si traduce in un omaggio alla donna con una ricca galleria di volti che sembrano voler indagare cieli e mondi diversi, domestici ed esotici, di pura invenzione o con accostamenti ad altri pittori, come ad esempio Tamara de Lempicka. Ad una straordinaria fantasia, che ama la deformazione e l’ironia fa da parallelo uno stile espressionista che le consente una libertà creativa di notevole varietà di temi e di impegni: illustrazioni, copertine, creazioni su carta da lei stessa preparata a mano. Queste sue opere richiamano alla memoria Maurice de Vlaminck per la icastica violenza cromatica ed Emil Nolde per l’esotismo di molte tele. Un’altra sua pregevole caratteristica è la notevole capacità d’impaginazione con la quale crea tele perfettamente equilibrate nonostante la disinvoltura con la quale tratta il materiale a disposizione, come avviene ad esempio nella tela qui esposta. Un insieme di bottiglie crea un equilibrio che pare sul punto di rompersi per distribuirsi a caso nell’ordine geometrico previsto dall’autrice. Negli ultimi anni Silvia Enriconi si è dedicata alla pittura digitale, una risorsa notevole per varietà di scenari e per le infinite variazioni cromatiche, ma assai difficile nella gestione che in molti artisti raramente sa assumere toni morbidi e stilisticamente disinvolti, ma la pittrice lombarda è riuscita a trovare opportune soluzioni giocando sulle masse di colori che sa distribuire con disinvolta maestria.
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Natura morta, 2019 - tecnica mista su tela - 100x70 39
Mirella Ghersi
La genovese Mirella Ghersi è un personaggio, anzi un non-personaggio, vestito di discrezione e modestia; due abiti mentali, fortunatamente per lei molto trasparenti che hanno permesso di intravedere opere molto interessanti. Vincendo la sua riottosità, l’abbiamo convinta a mostrarle al pubblico. Le sue sono creazioni concettuali che hanno trovato un’interessante forma di presentazione nel connubio tra figura e titolo, il quale enuncia le intenzioni dell’autrice e consente spesso di penetrare nel suo intimo mondo di affetti, di sentimenti e d’intuizioni. Lavori di estrema pulizia esecutiva, si riallacciano al versante figurativo europeo che sulla base delle speculazioni di Tristan Tzara, grande protagonista del Dadaismo e suscitatore di numerose energie artistiche, ha segnato un momento particolarmente interessante della cultura figurativa del Novecento. Alle formulazioni teoriche dell’intellettuale franco-romeno fu particolarmente sensibile Hans Arp, ai cui lavori pare talora ispirarsi, così come a quelli di Alberto Savinio, il fratello di Giorgio De Chirico, la pittrice genovese, la quale ama molto impostare le sue tele istituendo puntuali rapporti di equidistanza fra i loro elementi costitutivi. A tali attenzioni si affianca lo studiatissimo impiego del colore, che non domina ma avvolge le scene proposte all’attenzione del pubblico. Il fatto di considerare l’esercizio della pittura come un divertimento personale che non è il caso di esibire, ha fatto sì che Mirella abbia prodotto poche opere e che le abbia raramente esposte nonostante la buona accoglienza costantemente ricevuta nel corso delle sue mostre. La sua partecipazione a questa manifestazione veneziana, se non eccezionale, è tanto per lei che per il pubblico un’occasione rara e preziosa.
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Solitudine, 2011 - tecnica mista su cartone - 80x60 41
Beniamino Giannini Beniamino Giannini opera nel campo della scultura e della pittura figurativa dal 1970. Ha in seguito compiuto un lungo processo evolutivo che lo ha condotto verso il 2004 nell’ambito dell’informale associato al figurativo e sempre alla ricerca di nuove tecniche e materiali riuscendo ad interpretare le sue opere con originale struttura compositiva. Il suo lavoro ha ottenuto molti ed importanti riconoscimenti. Fra gli ultimi l’Onorificenza di Maestro d’Arte su iniziativa della calabrese Camera Regionale della Moda, il Premio Primavera-Targa del Ministero della Difesa; il Diploma d’onore, un riconoscimento nel campo della cultura artistica che esalta i valori della gente del sud (2010); la nomina di Ambasciatore dell’arte del Mediterraneo, conferita dai Cavalieri Templari dell’Ordine della Civetta. Nadine Giove ha scritto di lui: «Un informale che non rinuncia al figurativo e diviene alchimia di contrasti dal forte impianto narrativo. Nell’arte di Beniamino Giannini l’espressività dei volti e le posture dei corpi si mescolano alla ricerca dei colori, spesso cupi e meditativi. La caratteristica maggiore dell’artista è quella di dipingere le proprie tele con lunghe pennellate in una danza sensuale con il colore e con le forme. Tali pennellate, però, si rompono improvvisamente per materializzarsi in figure umane, spesso femminili, o in graffi e gocciolature volutamente casuali. C’è sempre, infatti, nella sua arte una certa continuità stilistica e tematica che, lungi dall’apparire monotona, ne sottolinea al contrario la potenza narrativa ed evocatrice. Il suo è, infatti, un lungo racconto frammentato in immagini, che pare volersi intrecciare al flusso di coscienza dell’artista e dell’umanità intera. In Beniamino Giannini, per concludere, una gestualità apparentemente impulsiva diviene ricerca subliminale dell’anima e reinterpretazione sensibile della società contemporanea».
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Altri tempi, 2008 - tecnica mista su tela - 80x80 43
Giada, 2007 - tecnica mista su tela - 80x80 44
Il particolare, (da Agnolo Bronzino - Allegoria del trionfo di Venere) 2008 - tecnica mista su tela - 80x80 45
Margherita Giordano
La romana Margherita Giordano ha conseguito nel 2011, con il massimo dei voti, la laurea in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e già durante gli studi ha cominciato ad esporre in varie collettive locali. Due anni dopo ha ottenuto la qualifica di Interior Designer presso l’Istituto Quasar di Roma. In seguito, alcune occasioni favorevoli e l’apprezzamento che ha saputo guadagnarsi le hanno permesso di inserirsi nel mondo artistico della capitale. Parallelamente la sua attività espositiva si è arricchita di una serie di appuntamenti altamente qualificati che le hanno consentito di dare corpo ad un curriculum di tutto rispetto in un veramente breve periodo di tempo, ma ciò che più importa è la sua maturazione concettuale e la capacità di individuare e perseguire con notevole maturità gli obiettivi che di volta in volta si prefigge. Come logico date le premesse, oltre a concezioni quantistiche cadono nel suo circuito d’interessi la filosofia e l’alchimia, un itinerario che porta anche allo studio dei materiali. Sia la tela che il legno vengono catalizzati con resine epossidiche rendendoli trattabili con inchiostri ad alcol. Frutto di un’ultima ricerca è la sperimentazione di nuovi supporti come alluminio e rame, gli specchi e la ceramica. A chiudere il cerchio della personalità artistica di Margherita Giordano è lo studio appassionato della psicologia, in particolare di Carl Gustav Jung e di James Hillman, e dei grandi Maestri della pittura, capaci di suggerire, al di là del tempo, modelli di grandiosi contenuti stilistici che restano imprescindibili anche per gli artisti del nostro tempo.
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Widow, 2018 - tecnica mista su legno - 70x50 47
Ivano Gonzo
Ivano Gonzo vive in un grazioso paesino della provincia vicentina. Spirito pensoso e dotato di forte senso autocritico, è autore di una pittura che definirei non solo essenziale ma addirittura ″sofferta″. Lo confessa lui stesso quando dice: «La mia è sempre stata una pittura sentita più che veduta: ho sempre dipinto adoperando la fantasia, e proprio per questo mi sono sempre sentito libero dai condizionamenti che potevano derivare dall’esterno, senza forzature, provando la libertà del fare e del creare. Il mio inizio è stato una pittura molto romantica, fatta di paesaggi campestri, la vita dei campi, i ricordi della mia giovinezza. Il periodo successivo è stato non meno interessante: ho cercato di eliminare… tutte quelle forzature e particolarità che potevano disturbare l’opera, una volta compiuta. Quindi ho cercato il colore e il suo contrasto in maniera gestuale fino al limite estremo; e devo dire che questo mi è servito molto per le ricerche che stavano maturando nella mia mente: l’abbandono del colore sul finire degli anni ’80, la ricerca di una pittura con pochissimi toni, la gestualità, sono i processi che mi hanno portato a questo astrattismo molto sintetico, ma che per me è quanto di più concreto possa esserci». L’analisi di Gonzo è impeccabile. Infatti il suo itinerario di ricerca ha preso le mosse dalle lezioni di pittura del maestro Giuseppe Punin sino all’illuminante incontro con il critico d’arte Pierre Restany, fondatore del Nouveau Réalisme, per approdare, dopo un’iniziale fase di realismo, ad una severa maturità creativa fondata sulla ricerca del colore e dell’essenza ultima del segno.
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Oltre il segno, 2019 - tecnica mista su tela - 100x80 49
Maria Teresa Guala Maria Teresa Guala è nata a Torino ed è figlia d’arte: il padre, pittore e pubblicitario, aveva avuto l’appalto di TO-Esposizioni e proveniva da una nota famiglia di artisti del Monferrato. Da parte sua, la giovane ha compiuto i suoi studi all’Accademia Albertina di Belle Arti della sua città. Erano gli Anni ‘60 ed ebbe come guida il Prof. Scroppo. Contemporaneamente ha studiato lingue ed ha lavorato come traduttrice. La vocazione naturale ha però dovuto fare i conti, come è avvenuto a molti suoi colleghi, con le realtà della vita ed è quindi stata costretta per vari motivi di lavoro e di famiglia ad interrompere l’attività artistica per un lungo periodo. Ha ripreso a dipingere con vigoroso slancio nel 2000 con una personale alla Galleria Micro’ di Torino, replicata l’anno seguente presso la Promotrice delle Belle Arti. Negli anni successivi è stata protagonista di molti eventi che hanno portato le sue opere, oltre che in Italia, in vari Paesi dell’Europa occidentale, in Russia e negli Stati Uniti, dove ha recentemente esposto per due mesi presso lo Zhou Center di Chicago. Nel 2017 ha partecipato alla Triennale di Roma. Inoltre collabora con diverse gallerie negli Stati Uniti vincendo un contest con la galleria Artavita di Santa Barbara per partecipare ad Art Basel. È stata anche contattata da VIDA, casa di mode di San Francisco, come fashion designer. Sempre nel 2017 ha tenuto una personale al Palazzo Ducale Genova. Di lei Angelo Mistrangelo ha scritto: «Il cammino espressivo di Maria Teresa Guala si identifica con una ricerca legata al colore, al fluire intenso della linea e alla vitale scansione delle immagini. In particolare, la pittrice ha elaborato un discorso in cui la semplificazione della rappresentazione appare caratterizzata, come ha suggerito recentemente Arturo Bottello, da una adesione all'espressionismo tedesco».
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Sistema, 2018 - acrilico - 50x70
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Valeria Gubbati Valeria Gubbati vive a Mestre, in provincia di Venezia. La sua è una pittura di contenuti nella quale porta agli estremi limiti espressivi una vocazione espressionista che carica di significato i temi trattati, come ad esempio la figura dell’angelo in mostra. Dopo un apprendistato svolto negli studi dei Maestri Bruno Saetti, Millo Bortoluzzi, Corrado Amadi e Cesare De Toni, ha frequentato un corso di nudo presso la Galleria ″Contatto″. Una volta messi a punto gli opportuni strumenti operativi, ha cominciato a svolgere un’intensa attività artistica che trova abbondante riscontro documentario in cataloghi, in riviste e in antologie nelle quali abbina alla pittura i frutti della sua vena poetica. Ricordiamo a questo proposito il Catalogo ″Bolaffi Arte″ e pubblicazioni edite dall’UNESCO. Foto delle sue opere sono apparse anche ne ″Il Gazzettino di Venezia″, ne ″Il Gazzettino Illustrato″, ne ″La Nuova Venezia″, in ″Gente Veneta″, in ″Arte Triveneta″, nelle pagine de ″Il Secolo d’Italia″ e in ″Trentino Corriere Alpi″. Dal punto di vista espositivo, senza esaurire l’elenco, sarà opportuno rammentare le mostre fatte con l’Associazione Culturale ″La Rotonda″, con ″Contemporary. Mostra Mercato di Arte contemporanea″ a Padova, sotto l’egida dell’Associazione ″Il Baglio″ di Palermo, con il Gruppo Artistico ″Espressioni″, nel quadro della Fiera d’Arte Contemporanea ″God Art″ e di Spazio Event Art. Molte sue opere sono conservate in collezioni pubbliche e private e altrettanto numerose sono le personali: Villa Widman Foscari a Mira, le Gallerie ″La Cella″, ″S. Lorenzo″, ″La Barrique″ e ″Nichelino″ sempre a Mira, ed altre ancora che la tirannia dello spazio impedisce di citare.
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Rossoetereo, 2018 - tecnica mista su tela - 60x45 53
Kara
Carla Gallato, in arte Kara, è nata a San Donà di Piave e vive a Treviso. Ottenuto il diploma di geometra, si è laureata in architettura e, ad abundantiam, ha ottenuto il diploma professionale rilasciato dall’École de Cuisine dell’Hotel Ritz di Parigi. Come molti altri suoi colleghi, ad onta di una chiara vocazione per l’arte, è stata costretta fare i conti con la realtà e ad assolvere ad una serie di impegni di lavoro e di famiglia e ad abbandonare a lungo i pennelli. Giunti a naturale conclusione tali obblighi dell’opportunità e dell’affetto nonché della politica, caratterizzata da un impegno al femminile, è ritornata a ″fare arte″ in età matura. Ha frequentato corsi di acquerello per comprendere in ultima istanza che la passione dell’olio, dominante nella sua fervida gioventù, era ancora la sua preferita. Ad essa ha aggiunto la lavorazione dell’argilla. Appassionata di cultura orientale, specie giapponese e cinese, introduce nei suoi dipinti e nelle sue ceramiche Raku la filosofia del Kintsugi ricreando da una situazione imperfetta un mondo diverso e più affascinante e prezioso per l’impiego di materiali nobili come l’oro e l’argento. Questa tecnica, che vanta un profondo risvolto etico, si fonda sul presupposto che dall’imperfezione possano sortire forme di superiore valore estetico e di interiore perfezione. Kara utilizza materiale cartaceo a richiamo classico o attuale, carta da origami, lettere o parole in lingua giapponese come elementi di decorazione artistica senza dimenticare il valore esoterico che tali segni possiedono nelle culture da cui provengono. Realizza anche libri d’Artista che contengono disegni a china, carta da origami, tessuti grezzi e pagine di libro ripiegate. Espone da anni in tutta Italia.
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Kintsugi-bonsai, 2018 - olio su tela - 100x100 55
Valeriano Lessio
Valeriano Lessio ha sempre manifestato interesse per ogni forma d’arte e una naturale predisposizione per la pittura. Ha frequentato con successo numerosi corsi d’arte sotto la guida di noti maestri veneti. Inizialmente è stato attratto dalla pittura figurativa eseguita ad olio ed in seguito arricchita da materiali che spalmati preventivamente sulla tela conferiscono all’opera brillantezza e movimento. Decisamente importante nella sua formazione è stata la realizzazione di opere a tempera su tavola che segnano il periodo iperrealista, in cui i soggetti raccontano una loro storia con una dovizia di particolari stupefacente. Il suo eclettismo lo porta ad una sintesi mentale di tutte le parti della storia dell’arte e lo conduce a percorrere strade che gli consentono di sperimentare l’informale, arricchendo i suoi paesaggi di linee e colori con accostamenti personali ed inusuali segni di una ricerca e di un equilibrio colto nella sua immediatezza. Valeriano Lessio in seguito sperimenta anche l’astrattismo, che assume vigore ed energia in funzione del colore e diviene il suo naturale modo di esprimersi. Ha cominciato a farsi conoscere nel 1992 e da allora non ha mai smesso di esporre in eventi che lo hanno portato a Milano, Venezia, Roma, Bologna e nella riviera adriatica. Nel Veneto si è mosso in maniera attenta e qualificante. In Europa ha esposto a Monaco e a Barcellona, al museo Dalì di Berlino e al museo di Brugge in Belgio oltre che in Canada. In Italia è stato invitato in spazi istituzionali di prestigio e recentemente ha esposto al Museo del Mare di Genova (giugno 2015) e presso la Cancelleria Apostolica Vaticana a Rom (novembre 2016). Riferimenti bibliografici si trovano nel Catalogo Mondadori (CAM) e nelle pagine del Sole 24 Ore Cultura.
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Percorsi, 2019 - tecnica mista su tela - 70x70 57
Luca Luciano
Luca Luciano è nato a Borrello, un minuscolo paesino in provincia di Chieti. Allievo del maestro Rosario Di Nunzio, vive attualmente a Roccaraso, un altro piccolo centro in provincia dell’Aquila. Dopo studi approfonditi sui maestri del Rinascimento italiano e su quelli francesi e italiani del Novecento, posto di fronte alla vastissima messe di novità proposte dalle correnti artistiche che si avvicendarono vorticosamente negli anni che precedettero e seguirono la Prima guerra mondiale, Luciano sottopose ad attenta indagine i particolari, i segreti della composizione e si soffermò in primo luogo sulla composizione e sulla funzione del colore, un tema che si proponeva come fondamentale dilemma: il colore come fine o come mezzo? Le soluzioni adottabili erano diverse e tutte di grande interesse, ciò che indusse il giovane pittore a preferire inizialmente l’opzione per il disegno tentando, sulla base di studi teorici, nuove vie di figurazioni. Poi, con un discorso nuovo sulla prospettiva, sullo spazio, sulla luce e sul colore, creò un’architettura plastica rigorosa e al tempo stesso mobilissima, aprendosi a tutte le suggestioni introspettive. L’artista ha lasciato un passo un po’ ironico a memoria di quelle circostanze decisive per il suo futuro professionale: «Ad un certo punto della mia carriera pittorica mi sono reso conto che i miei lavori non mi soddisfacevano più e sentivo il bisogno di scoprire e intraprendere nuove strade di comunicazione visiva. Come succede sempre in questi casi (chi cerca trova), mi sono imbattuto in questa idea che ho battezzato Rhaptismo (dal greco rhapto: io cucio insieme). Come dice il saggio: “se per la tua strada incontri un bivio prendilo” e così ho fatto».
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La ragnatela, 2018 - tecnica mista su tavola - 83x80 59
Denise Mingardi
Denise Mingardi è nata a Vicenza e la sua attività artistica si svolge nel duplice ruolo di artista e di poetessa. Ha frequentato vari laboratori artistici e molti corsi di pittura con l’insegnante Valeria Bertesina dedicando particolare attenzione all’acquarello, all’impiego dell’olio e degli acrilici. Ha inoltre preso parte a workshop e a corsi di incisione, tra i quali il Corso Triennale di “Incisione e libro d’artista” presso la Scuola di Scienza e Arte della Legatura “Olivotto” e il Master Biennale di ”Libro d’Artista e Incisione” alla Scuola di Arte e Mestieri di Vicenza ed ha partecipato a corsi di Trompe-l’oeil con il maestro Filippo Manassero di Torino. Per le sue attività artistiche e letterarie ha ricevuto molti premi e riconoscimenti. Espone da molti anni opere pittoriche eseguite con varie tecniche: incisioni, libri d’artista e taccuini d’artista, e mail-art in varie collettive nazionali e internazionali. In particolare le tecniche d’incisione su matrici nei materiali più vari evidenziano una ricerca in cui la sperimentazione tecnica è parte integrante del processo creativo. Tra le sue tecniche artistiche la linoleografia, la xilografia e la stampa calcografica sono i mezzi espressivi preferiti, con i quali realizza anche opere di grande formato che stampa in proprio. Nella realizzazione di libri d’artista la poesia è fonte di ispirazione e di continuo dialogo con le immagini. Sue opere sono presenti in archivi di musei e collezioni private in Italia e all’estero: Arezzo, Macerata, Milano, Padova, Roma, Napoli, Venezia, Vicenza, Viterbo, Argentina, Barcellona, Madrid, Lubiana.
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Anime Scalze, 2019 - Tre incisioni calcografiche su plexiglas punta secca - 100x70 61
Luisella Parisi
Luisella Parisi è nata a Milano dove ha studiato all’Istituto d’arte e seguito Corsi biennali di disegno per tessuti e disegno artistico oltre che di restauro e di affresco. Utilizza a seconda dei casi tecniche appropriate: tecnica mista, acquerello, olio e acrilici. Ama certe ambientazioni notturne cariche di mistero come nella tela in mostra. La sua attività espositiva, molto accurata nelle scelte, si è sviluppata soprattutto in Italia con apprezzabili risultati di critica e di pubblico, come testimoniano gli importanti premi ricevuti, tra i quelli spiccano quelli ottenuti a Parigi e a New York, senza contare il Premio Internazionale degli Sforza, svoltosi a Milano nel 2013. Molti sono stati i critici che si sono interessati al suo lavoro e che si sono espressi in termini molto positivi nei suoi riguardi. Ad esempio A. De Bono ha scritto: «Luisella Parisi, nota artista della Brianza, ha una sensibilità pittorica che supera la norma stilistica, per rapportarsi ad un'inquietudine segreta, ad una affinità spirituale con gli universi paralleli, ad una sublimità della forma che pare secernere un'aura astrale al limite dell' irrazionale». A sua volta, parzialmente riprendendo i temi evidenziati da De Bono, U. Zingales ha chiosato: «Le sue sono composizioni oniriche con immagini e figure immerse in un mondo fluido e irreale: con la rappresentazione di passate civiltà o di cavalli o di donne, in cui la realtà è sublimata nella dimensione magica del sogno e del mito».
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Venezia tra gotico orientale e maschera moresca, 1998 - tecnica mista su tela - 46x86 63
Giuseppe Piacenza
Giuseppe Piacenza è nato a Masio, un paesino in provincia di Alessandria e vive a San Marcello Pistoiese. Ha frequentato il Liceo Artistico di Torino e successivamente ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento del disegno, un’attività che ha svolto per anni in diversi Istituti. Ma la sua autentica dimensione umana e artistica consiste in un’alta esercitazione stilistica e in un profondo sentimento religioso. Vale la pena di leggere le sue parole: «Lo scopo della mia pittura è l’Amore perché in ogni mia opera intendo mostrare la vita di Dio essendo l’arte espressione umana e divina. Per me la pittura è uno specchio per riflettere l’amore per l’universo, un ambito in cui rendo visibile l’amore di Dio in eterno. Intendo esprimere la realtà universale non come appare, ma come sarà nel futuro. Io non dipingo per me stesso, ma per l’avvento del ″Regno di Dio″ e per la pace tramite il disarmo: la pace non può essere imposta con la guerra vinta, cioè, con la violenza, ma è frutto dell’Amore di Dio fra tutti gli uomini». Un critico di valore come Paolo Levi ci allontana da Dio e ci avvicina alla concretezza dell’arte di Piacenza: «L’opera di Giuseppe Piacenza è protesa verso un’ineffabile dimensione cosmica. Nei suoi quadri le astronavi fatte di luce sfrecciano nell’infinito degli spazi siderali alla scoperta di galassie, pianeti e buchi neri. Le immagini, costruite attraverso campiture geometriche di colori compatti e gioiosi, perdono ogni connotazione realistica e descrittiva per assumere il valore di un canto personale innalzato all’armonia del Creato».
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Astronave pluripunta, 2013 - acrilico su tela - 70x50 65
Sideronave Paola, 2018 - acrilico su tela 70x50 66
Sideronave rotonda, 2013 - acrilico su tela - 50x70 67
Rossella Rossi Forza La romana Rossella Rossi Forza sembra mirare alla realizzazione pratica del motto mazziniano ″pensiero e azione″. La sua intensa attività, articolata sul duplice versante della pittura e della scultura, è infatti fondata sulla realizzazione di una costante elaborazione di pensieri che vengono da lontano, a lungo meditati ed elaborati prima che assumano forma e colore. Questi due elementi costitutivi non si sviluppano, come quasi sempre accade, in itinerari paralleli, ma si fondono in un armonico ed aristotelico sinolo di materia e forma sino a rappresentare la forza del pensiero in salde elaborazioni nelle quali il colore, lungi dal costituire un fattore complementare, assume un ruolo che si proietta con pari dignità nella forma. L’intima natura della sua opera trova piena espressione nell’astrazione e infatti il figurativo è per sua natura descrittivo, mentre l’astratto esprime la forza del pensiero, dell’introspezione, dello scandaglio nelle profondità, confessabili o segrete, dell’animo. Un pensiero non è descrittivamente rappresentabile e per questa ragione i lavori della pittrice capitolina sono poderose sintesi nelle quali la forza costituisce il moto dell’animo o l’acutezza dell’idea, mentre il colore ne rappresenta il tono, la qualità, l’intensità. In quest’ottica elitaria, l’approdo all’impiego del computer è diventato da qualche anno un esito complementare molto importante che esalta le significative analogie che le sue opere presentano in pittura e in scultura. Tale profonda dedizione ad un sogno artistico di alto e nobile profilo ha trovato soddisfacenti riscontri e riconoscimenti in sede critica, come dimostra l’esito e il plauso di pubblico e di critica ottenuto nelle accuratamente selezionate sedi di mostre. Di conseguenza Rossi Sforza trova i suoi lavori riprodotti in molte pubblicazioni importanti e fisicamente collocati in siti prestigiosi.
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Evidenza Contraria, 2008 - tecnica mista su tela - 120x100 69
Marialuisa Sabato
Marialuisa Sabato è nata a Bari dove abita. La pittrice descrive con tanto garbo il suo rapporto con l’arte che vale la pena di leggere le sue espressioni: «La mia vita artistica è stata ed è ancora un percorso fortemente emozionale. In quasi vent'anni di lavoro intensissimo e vivacissimo (come si può facilmente vedere dal numero di mostre e luoghi in cui ho viaggiato ed esposto) la mia ricerca non si è mai fermata e la mia inquietudine artistica è stata una compagna di lavoro utile e stimolante. La mia Arte è Specchio della mia Anima che (sorprendentemente anche per me), si riversa sulla tela impetuosa fuori dal mio "io" e racconta se stessa senza limite alcuno. Madre Natura è stata sempre la mia prediletta... la più grande ed inesauribile fonte di ispirazione... con la sua inviolabile bellezza... la sua superiorità e raffinatezza... Ma, come spesso hanno scritto del mio lavoro, la mia natura è un pretesto...per codificare un linguaggio universale, che mi permetta di parlare con ogni essere di questo universo (e forse anche di altri!!!)... l'esperanto perfetto. A questo punto luci e colori fluidamente prendono forma, fluttuano spandendosi lentamente nell'aria densa, come olio versato nell'acqua...e si contrappongono con forza all'oscurità... perché dall'oscurità l'uomo fugge e vuol viaggiare verso la luce...ma l'oscurità è anche parte del suo cuore...quindi, alla fine, l'uomo fugge dalla parte oscura di sé... Il mio desiderio più profondo è che la mia ARTE possa essere rifugio per quell’uomo…».
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La marcia della Primavera, 2019 - acrilico su tela - 100x80 71
Gino Maria Sambucco
Gino Maria Sambucco è nato a Codroipo, in provincia di Udine, dove risiede. Come fotografo ha sino ad oggi svolto un’intensa attività espositiva. Infatti, dopo una serie di mostre personali e collettive, tra cui la recente personale a Milano nella storica ‘Milano art Gallery’ tra marzo e aprile; e la collettiva veneziana ‘Pro-Biennale’, inaugurata domenica 5 maggio, in questi due anni, oltre alla partecipazione a fiere d’arte, Gino Maria Sambucco ha sviluppato un approccio molto personale nella sua attività artistica. La sua produzione si articola in due direzioni: la prima in prevalenza è fotografia di montagne, non tanto foto di paesaggio quanto di qualcosa di diverso e unico poiché non fotografa per far vedere la bellezza delle Dolomiti, ma ciò che vi si incontra. Sambuco anni fa ha scoperto un aspetto misterioso in questi monti, cioè delle figure umane e di animali che si stagliano e si ergono fra il cielo e la terra nei profili rocciosi o nelle cime e che ha denominato ‘Mitici e Dolomitici’: potrebbero essere immagini uscite dalla favola o dai racconti di montagna, come anche di provenienza extraterrestre. La seconda è un tipo particolare di fotografia che nasce proprio in questo periodo e deriva dai programmi interni delle nuove fotocamere digitali.
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I Dolomitici Teverone e Borgà con sguardo severo verso l’Europa, 2018 - foto digitale ink jet - 50x70 73
Maruska Sessa
Maruska Sessa è nata a Maribor in Slovenia, ma si è formata professionalmente in Sicilia, ad Agrigento, dove è vissuta fino al 2013. Risiede attualmente ad Edolo, in provincia di Brescia. Il suo lavoro è saldamente impostato sugli studi fatti che le hanno permesso di conseguire una Laurea in pittura con il massimo dei voti e un Master in arte e psicologia abbinato ad un laboratorio di Arteterapia. Molte sono le mostre cui ha preso parte e numerosi i riconoscimenti ottenuti. Per uno sguardo critico alla sua opera è opportuno richiamare il giudizio di Pietro Seddio secondo il quale il nucleo della poetica di Maruska Sessa si riassume in tre parole: spazio, tempo, libertà. «Quello che produce si legge chiaramente attraverso le sue tele che stanno a dimostrare come ami lo spazio nel quale fa fluttuare i suoi personaggi stilizzati che sembrano voler catturare il tempo e così acquisire quella libertà, asse portante della natura umana, che caratterizza la sua vita. Al di là di quei canoni pittorici che sono inseriti in tantissime tele, la nostra pittrice ha voluto costruire un suo modo interpretativo che fosse una forma di pittura non identificabile con gli stereotipi tradizionali. Quindi è ricorsa alla valorizzazione del tempo nel limite della tela, fissando i motivi creativi per inglobarli in una sorta di ragnatela allo scopo di ottenere alla fine la libertà assoluta perché la sua pittura è intrisa di questo concetto». Si può concludere che la produzione dell’artista slovena è un’interessante testimonianza delle virtù comunicative dell’arte e della sua capacità di unire in sintesi creative concetti e sentimenti diversi e talora contrastanti.
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Opera muta, 2019 - olio su tavola inserti papier colle -100x100 75
Giampaolo Spedicato Giampaolo Spedicato è nato a Vigevano, città dove tuttora risiede. Ha conseguito il diploma di Graphic Designer frequentando l’Istituto d’Arte e Comunicazione Visiva ENAIP di Vigevano, dove ha avuto, tra gli altri, come maestri il rinomato pittore vigevanese Cesare Giardini e l'eclettico cromatologo Enrico Conti. Gli inizi della sua attività pittorica lo hanno visto all’opera nella produzione di dipinti su vetro e su specchio, rappresentando, prevalentemente, scene ispirate alle saghe celtiche affiancate da altre di ambientazione esotica, con riferimento particolare alla mitologia indiana. Si è dedicato, inoltre, alla produzione di lavori per i più piccoli ispirandosi alle leggende nordiche ed alle fiabe, sia classiche che moderne. La scelta dei soggetti è dettata dalla personale valutazione del colore che viene portata all’esasperazione soprattutto in ambienti esotici che si prestano alle esaltazioni cromatiche. L’utilizzo di colori acrilici gli impone una tecnica che non permette ripensamenti in fase di stesura del pigmento e quindi la riuscita del dipinto è determinata sia in fase di progettazione che in quella di realizzazione. Sul piano ideologico i suoi lavori non si accompagnano a commenti di origine filosofica o metafisica e mal sopportano riferimenti all’anima o all’intimo della personalità in quanto sono dettati solo dalla propria ricerca estetica e dallo studio sulle percezioni, fondamentali nella pianificazione rappresentativa. Ne consegue che ogni sua opera va letta più in chiave stilistica e tecnica che concettuale. Opportunamente Caterina Randazzo ha rilevato che le opere di Spedicato sono: «Raffigurazioni forti ed incisive, dai significativi contrasti cromatici, dominate da una tavolozza decisa e brillante, calda e avvolgente come gli stessi luoghi rappresentati».
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Contrasti, 2010 - acrilico su mdf - 65x100 77
Luciano Tonello
Luciano Tonello è nato a Vicenza, dove risiede. I suoi esordi sono classici per un futuro pittore: licenza di pittura conseguita presso l’Accademia di Brera a Milano. Dopo un esordio espositivo in una chiesa vicentina, fatto che il Maestro considera un segno del destino, la sua carriera è decollata con numerose esposizioni in Italia e all’estero. Per quanto riguarda la critica, Tonello considera il Primo Premio ottenuto a Londra nel 2016 il successo più importante ottenuto sino ad oggi anche perché la capitale inglese è oggi uno dei due centri artistici di maggior rilievo internazionale. Due personaggi dell’arte sono per il pittore vicentino altrettanti punti fermi della sua attività: Vittorio Sgarbi e Salvo Nugnes. In una recente intervista pubblicata in “Arte e Cultura” così ricorda il primo incontro con il critico ferrarese: «Una piacevole sorpresa; come la maggior parte delle persone, la mia conoscenza del professore era di tipo mediatico e perciò parziale. Mi sono emozionato: in me convivevano due sentimenti opposti. Da un lato un timore reverenziale, dall’altro il desiderio di mettersi in gioco, sottoponendosi al suo giudizio». Il connubio artistico creativo con il manager della cultura Salvo Nugnes è nato da una casualità: «Una mia amica pittrice di Vicenza mi ha proposto di partecipare ad un evento la sera del 19 dicembre 2015 presso la sede milanese della MAG; in quell’occasione ho incontrato il dottor Salvo, al quale ho mostrato alcuni miei lavori, che hanno suscitato il suo interesse».
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Il mondo delle donne, 2018 - acquerello su carta - 43x43 79
Alla cortese attenzione, 2018 - china e pennarello su carta - 46x60 80
Ponte di sospiri, 2017 - tempera e acquerello su carta - 39x31 81
Sophia Zaccaron
Sophia Zaccaron è nata a Conegliano e si è diplomata in Design Industriale all'Istituto d'Arte di Vittorio Veneto. Cresce in un clima culturalmente vivace dove si intrecciano tutte le arti, da quelle figurative con pittura, scultura e fotografia, fino alle arti performative approcciandosi quindi agli ambienti teatrali e musicali. Crescendo sviluppa, attraverso un percorso non sempre lineare, le proprie doti creative, evidenti fin dalla più tenera età. Incoraggiata dalla frequentazione di figure importanti del mondo culturale, Sophia impara a frequentare gli ambienti ed i circuiti del mondo artistico, iniziando a maturare un proprio stile poliedrico. Nel 2005 a soli 14 anni, collaborando con gli artisti Luca Bonetti e Claudia Azzalini, vince il concorso ArtInIce a Livigno (SO) realizzando "Zen Zen", scultura interamente in ghiaccio alta 4 metri raffigurante un Buddha a tre teste. Negli anni successivi le vicende artistiche di Sophia prendono un ritmo vertiginoso con risultati veramente importanti per i luoghi in cui ha esposto, per la chiara percezione che oggi è importante sposare l’arte con la moda e con l’industria, due settori in cui ha già ottenuto risultati significativi, come ad esempio un’originale linea di borsette. Dal punto di vista strettamente artistico, la sua ricerca pittorica attuale si basa sullo studio della luce e del colore in base allo spessore: i suoi quadri sono "vivi" perché a seconda della luce che ricevono cambiano radicalmente. L'uso che fa dell'oro richiama l'usanza giapponese che prende il nome di Kintsugi, una pratica che suggerisci come riparare un oggetto, solitamente in ceramica, con l' oro per dare valore allo stesso. Per l'artista questo va a "riparare" l'anima dove è stata ferita dando valore all'esperienza.
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Anima, 2017 - tecnica mista su tela - 100x100 83
Lina Zenere
Lina Zenere è nata a Pozzoleone e risiede a Bressanvido, due piccoli centri in provincia di Vicenza. Artista e operatrice culturale dello Spazio espositivo Studio Elle Arte Contemporanea Vicenza, si è diplomata presso l’Istituto d’Arte di Nove ed ha completato il suo percorso artistico con docenti dell’Accademia di Venezia. Docente a sua volta di Discipline Artistiche, per parecchi anni si è interessata a vari ambiti artistici: la pittura, la scultura, il mosaico, l’affresco, la ceramica e la scenografia. Il suo lungo cammino artistico, iniziato dall’ispirazione delle maschere tribali africane e americane e non privo di riferimenti alle origini del teatro classico -greco, romano e giapponese-, è giunto oggi a risultati molto interessanti sia per i contenuti che per le forme con le quali vengono espressi. Dice di lei Raffaella Ferrari, critica d’arte: «L’artista è una testimone appassionata di un movimento nato nei primi anni del ‘900, comunemente definito “primitivismo”, che ha contraddistinto alcune tendenze culturali dell’Occidente contemporaneo. In particolare Lina, attraverso questa forma d’arte, ha inteso farci conoscere, insieme alle tematiche successive, l’inestimabile bellezza, la storia della donna nei vari secoli e nei vari popoli, badando ad illustrare la sintesi che esalta con raffinata eleganza la femminilità, le emozioni e gli stati d’animo. Successivamente si stacca dal figurativo e volge il suo interesse alla forma astratta interpretando forme ondulate e ispirate alla natura. Preferisce la tecnica raku che perfeziona ed esegue nelle opere: le impronte, le metamorfosi, le meduse, oro blu, oro rosa, e infine la serie di formelle Strade d’acqua “Onde senza quiete”, commentate anche da Marianovella Perina.
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Strade d’acqua, onde senza quiete, 2017 - tecnica raku - 22x22 ciascuno 85
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