Orfeo Reda "Opere" Palazzo Zenobio - 2019 58ma Biennale di Venezia

Page 1



ORFEO REDA OPERE A cura di ALDO MARIA PERO

VENEZIA Palazzo Zenobio Sestiere Dorsoduro 2596

6 ottobre - 3 novembre 2019


VENEZIA

Palazzo Zenobio Sestiere Dorsoduro 2596 A cura di Aldo Maria Pero

ORFEO REDA OPERE

6 ottobre - 3 novembre 2019

Foto e grafica Licinia Visconti

© Edizioni Arte del XXI Secolo

MOVIMENTO ARTE DEL XXI SECOLO

www.artedelxxisecolo.it


Presentazione Nato a Pantanolungo di Carolei, in provincia di Cosenza, Orfeo Reda vive nella ridente città di Amantea. La sua vita, che attraversa gran parte del secolo scorso per proiettarsi con inesausta vitalità nel terzo millennio, è stata oggetto di un’altrettanto prolungata osservazione del mondo che lo circondava, un mondo e una società le cui persone, paesaggi, climi e costumi ha indagato dando vita ad un vastissimo corpus di opere nelle quali l’unità dello stile si frange nei numerosi rivoli dell’analisi e della critica. Un’esistenza condotta in un’area eccentrica ai fondamentali sentieri della pittura contemporanea ha escluso Reda dallo sperimentalismo contemporaneo, spesso dissolutore di vocazioni autentiche, ma ha contribuito a fare di lui un testimone. La sua è infatti un’opera curiosa, talora affettuosa e talaltra ironica, qualche volta triste o disperata, raramente scherzosa: sostanzialmente documentaria e in questo senso rappresenta un vasto affresco modulare della sua Calabria, una terra dalle infinite bellezze e dai mille sospiri, quasi non esistesse concordia fra la venustà delle vedute e la vita delle genti che la popolano. Gente afflitta da mali antichi e da sventure recenti, dalla servitù dei giornalieri nei campi all’attuale caporalato, dalle malattie endemiche alla diffusione della droga, dalle ricchezze quasi insultanti all’estrema miseria, dall’emigrazione dei miserabili verso le Americhe all’immigrazione dei neri dei nostri giorni. E tutto questo viene rappresentato nella pacata e diuturna opera di questo grande pittore documentarista, capace tanto del grande slargo paesaggistico quanto del bozzetto intimista; il tutto reso con raffinata medietas cromatica. La sicura tecnica di Reda non ha bisogno di ricorrere all’enfasi dei colori per rappresentare quanto costituisce l’oggetto della sua attenzione perché il senso della giustizia e il suggello dell’etica sono tanto più forti quanto meno esaltati. Lui stesso ne ha sempre avuto chiara coscienza ed ha definito in chiari termini il ruolo affidato alla propria opera. Ne fa fede l’interessante passaggio di un’intervista nel quale dichiarò che la pittura era per lui «un modo di sensibilizzare il pubblico all’arte e ai problemi sociali, soprattutto della Calabria, oltre che di tutto il Mezzogiorno d’Italia, da sempre trascurato dalla classe politica e dal silenzio degli intellettuali».


Una volta identificato il nucleo del pensiero e dell’opera pittorica di Reda sarebbe buona regola tracciare una prospettiva storica della critica, ma ci troviamo di fronte ad una grave difficoltà insita nella modestia degli apporti che abbiamo avuto a disposizione. Emerge nel gruppo degli esegeti, quasi solitaria, la figura di Elio Marcianò, che ha firmato l’introduzione di un testo edito dall’Editrice Magalini. In questa pagine, dopo aver accennato in termini fortemente critici alla penosa situazione della critica d’arte in Calabria e più in generale delle iniziative culturali che vi si svolgono, Marcianò sottolinea il ruolo svolto dall’artista di Amantea nella «ricerca innovatrice di un amoroso realismo sociale di recupero di tradizioni, d’umanità e di civiltà…La sua pittura è intesa come ″modo di vita″ ed è costituita da saggezza, umiltà, amore, fede, morale, attaccamento ai costumi ed alle tradizioni, con un figurativismo fondato sulla natura umana e sulle caratteristiche della nostra cultura cristiana e sociale». Dopo aver preso in esame alcune opere particolarmente significative, Marcianò conclude la sua partecipe esegesi affermando che «dal suo mondo umiliato di ancestrale emarginazione, Orfeo Reda s’inserisce nella schiera dei nostri artisti che operano nell’ambito della nuova figurazione, assimilabile ad un ″nuovo realismo″» ricco di fermenti creativi come dimostrano le opere esposte in questa personale allestita nel quadro della Biennale d’Arte veneziana del 2019. Si tratta di sedici lavori di varia dimensione e rappresentativi di tutti i temi del suo vasto patrimonio poetico. La rassegna inizia con un lavoro che si potrebbe definire del cuore e della memoria: ″Amantea XIII secolo a.C. Oggi″, che presenta in tenere nuances azzurrine, in prospettiva rubata, i resti di edifici antichi nei quali si aggirano animali che per quanto facciano parte anche dell’oggi rimandano a pratiche pastorali d’altri tempi. L’impianto riconduce ai molti artisti italiani e stranieri, che nel Seicento e soprattutto nel secolo successivo hanno dedicato infiniti dipinti di questo genere a testimonianza del degrado urbano di Roma allorché fra i resti della magnificenza imperiale dell’Urbe, sotto gli archi del Foro, fra le pietre onuste di gloria e coperte di gramigna, si aggiravano greggi di pecore e una folla cenciosa. Lo ricorda Goethe in una pagina famosa del ″Viaggio in Italia″, li rievoca in mesti accenti Carducci in una delle sue ″Odi barbare″. Lo stesso senso di malinconia verso i tempi in cui la sua città era fiorita attraversando con incontaminato fascino le varie fasi di una lunga storia traspare nell’immagine delineata da Orfeo Reda nelle vesti di aedo della sua terra, una terra dall’illustre passato e dalle tragiche miserie, termini estremi di cui è ben consapevole.


Vent’anni dopo, nel 2000, si colloca ″Paesaggio calabrese″, un paesaggio urbano che si slarga sino ad inglobare spazi extra-cittadini con il campanile che si slancia a fare da elemento d’unione fra la realtà dell’insieme abitativo e le nubi che narrano di vicende lontane. Il significato della tela va oltre l’immediato visibile e si carica di significati umani.

Il bove che si abbevera alla fontanella, ″parcheggiato″ come un’auto in pieno centro fra l’indifferenza dei due uomini presenti, sta a rivendicare un ruolo ancora contadino, campagnolo, alla città che contemporaneamente accampa pretese turistiche, mentre i due personaggi che indossano abiti senza ambizioni sono il simbolo di un mondo ancora in fase di transizione tra passato e presente. Interessante il contrasto del bianco mediterraneo delle abitazioni e il cilestrino che si afferma oltre i tetti, mentre gli abiti scuri dei due abitanti vivacizza l’insieme e lo sottrae alla sua sostanziale monocromia. Il più recente ″Siccità″, una piccola tela del 2016, è un divertissement che illustra in modo molto significativo la bonaria, ma ferma e talora dolorosa, ironia del pittore. Tecnicamente assai pregevole per la capacità di creare un brano narrativo in primo piano per poi slanciarsi in una lunga prospettiva articolata in una vertiginosa sequenza di campiture, sottolineate nei diversi piani da una serie di variazioni cromatiche. Volendo, si potrebbe pensare ad un apologo sulla scarsità d’acqua che affligge certe aree della Calabria. Qui abbiamo quello che un critico spagnolo definirebbe un chiste, una barzelletta: un ragazzino si colloca a mezza strada fra una fontanella secca e un grande bacino idrico.

Perplesso dall’inspiegabile contrasto, risolve a modo suo la questione: orina allegramente contro la pila della fontana. Mani in tasca, aria sorniona, sembra dire: se non ce la dai tu, l’acqua la fornisco io! ″Alla fonte″, al contrario della precedente, alza molto il campo di visione. Così facendo elimina la prospettiva e costringe lo sguardo a fissarsi sulle tre figure che compongono il bozzetto: una ragazza dal capo velato a nascondere completamente il volto, un ragazzo che riceve da lei dell’acqua e un uomo che guarda con espressione indefinibile quanto avviene, come se l’insieme si sdoppiasse: da un lato i due giovani uniti dal gesto di versare e di ricevere acqua; dall’altro un uomo che osserva senza avere rapporti con i due. Nella sua sapida semplicità, qui viene narrata una storia minima, quella di un mondo arretrato privo di acqua corrente nelle abitazioni, quella di un gesto di cortesia e l’eleganza della donna, alta e snella, dotata dell’atavico senso di equilibrio che consente di portare pesi anche rilevanti sul capo. Un ultimo particolare interessante è costituito dal fatto che nel quadro si inserisce un movimento, il gesto di versare il liquido, superando in tal modo la tradizionale immobilità di simili lavori.


Con ″Due mondi″, nel 1987 Reda ha assolto un còmpito e affrontato due temi. Il problema felicemente risolto è stata la realizzazione di una pittura dalle notevoli caratteristiche di finitura e di carattere geometrico; i due temi in cui si è cimentato consistono nella sottolineatura inedita di un passato (l’orcio) e di un presente (gli strumenti scientifici) e la realizzazione di una natura morta originale, lontana dai soliti frutti e dagli abusati fiori. Oltre trent’anni dopo, nel 2012, ″Civiltà sepolta″ ripropone l’argomento presentando una serie di oggetti che sembrano provenire dagli scavi, da una civiltà sepolta, appunto. Essi sono affastellati in uno spazio dalle brevi misure ed insistono su di un vecchio volume mentre il pennello in primo piano costituisce la simbolica firma dell’autore, che si concede il vezzo di aggiungere un dipinto, una piccola marina, nel dipinto secondo una consuetudine introdotta con grande fortuna e numerosi emuli da Jacob van Ruysdael. ″L’emigrante″ introduce il tema dello spopolamento del Meridione dovuto alla povertà che ha spinto torme di miserabili prima verso alcuni Paesi europei, poi ai lidi delle Americhe e infine lungo i sentieri dell’emigrazione interna diretta alle città del Nord, in particolare Torino, dove lo sviluppo della FIAT ha per lungo tempo richiesto sempre nuove braccia. Il fenomeno, tra la fine dell’Ottocento e il 1914, allorché lo scoppio della Prima Guerra mondiale interruppe i viaggi transatlantici, assunse tali proporzioni da indurre il socialista Giovanni Pascoli a schierarsi a favore della politica coloniale in Africa in modo da conservare al nostro Paese le risorse umane che si stavano disperdendo in altri continenti. Qui il pittore non sa nascondere la propria umana partecipazione, che si rivela nei tratti stralunati e pensosamente afflitti del giovane che con i suoi poveri bagagli è in attesa di un treno che lo porti lontano dal suo mondo e dai propri affetti. Persino il sereno azzurrino che compare così spesso nelle opere di Reda scompare e s’impone il colore del mantello dell’esilio. ″Apocalisse″ narra il dramma della droga e della disperazione materna di fronte ad un figlio coinvolto nelle spirali della perdizione. Il quadro è tragico, pieno di straordinaria potenza drammatica. Al fondo è il giovane che si pratica la fatale iniezione nel braccio mentre in prima piano la madre afflitta sembra, nel suo grido di dolore, il personaggio di una ″Deposizione″. Accanto a lei, il figlio più giovane contempla la scena con sguardo sgomento. La tavolozza di Reda si fa più vivace e ricca di colori in ″Angoscia″, mentre rafforza l’amata tonalità cilestrina in ″Sud atavica assuefazione″, due lavori che, per quanto realizzati in


tempi diversi, sembrano appartenere ad una medesima temperie spirituale: il senso dell’abbandono e della inevitabilità di destini inevitabilmente segnati. Ancora più cromaticamente brillanti risultano due tele risalenti al biennio 2015-16, ″Smarrimento totale″ e ″Solitudine″, che affrontano un fondamentale topos letterario, quello della solitudine avvertita in mezzo ad una folla festante. Nella fattispecie, in ambedue i casi due anziani signori perfettamente vestiti, cappello compreso, siedono sulla terrazza di uno stabilimento balneare accanto a donne seminude e provocanti. Uno appare assopito o perso nei suoi pensieri, lontano comunque dall’ambiente che lo circonda; l’altro ha un’evidente perplessità stampata sul volto, quasi si chiedesse: mio Dio, che faccio qui? Si tratta di opere che vanno oltre il puro bozzetto per innalzare il proprio significato ad una vera e propria indagine psicologica in un tocco di amara mondanità che sa separare sorti e destini diversi fra loro inconciliabili ma, per virtù pittorica, rappresentabili in un solo spazio artistico. ″Relatività″ e ″Natura morta″, splendidi per esecuzione, sono la stessa cosa con titoli diversi, ossia la rappresentazione di alcuni oggetti virtuosisticamente resi come tributo all’eleganza formale e alla disinvoltura cromatica. Chiudono la rassegna due lavori che si potrebbero definire ″interni urbani″, l’uno, ″La Fornaretta″, con un impianto di vasto respiro che trova la propria centralità nell’elegante figuretta che lo attraversa; l’altro, ″Paesaggio particolare″ mostra uno spazio interno con corde cui sono appesi abiti e panni ad asciugare. Solo sedici tele, ma sufficienti a documentare la vastità e la profondità degli interessi artistici e sociali di Orfeo Reda. Aldo Maria Pero


Amantea XIII sec.A.C. Oggi 1980 - tecnica mista su tela - 80x60


Paesaggio Calabrese, 2000 - tecnica mista su tela - 80x60


SiccitĂ , 2016 - tecnica mista su tela - 60x40


Alla fonte,1987 - tecnica mista su tela - 100x70


Due mondi, 1983 - tecnica mista su tela - 90x60


CiviltĂ sepolta, 2017 - tecnica mista su tela - 50x40


L’ emigrante, 1992 - tecnica mista su tela - 120x60


Apocalisse, 2004 - tecnica mista su tela - 100x70


Angoscia, 1995- tecnica mista su tela - 80x60


Sud atavica assuefazione, 2008 - tecnica mista su tavola -50x70


Solitudine, 2016 - tecnica mista su tela - 70x50


Smarrimento totale, 2015 - tecnica mista su tela - 80x60


RelativitĂ , 2013 - tecnica mista su tela - 60x40


Natura morta, 2015 - mista su tela - 60x40


La Fornaretta, 2016 - tecnica mista su tela - 100x50


Paesaggio Particolare, 2018 - tecnica mista su tela - 50x35


©Edizioni Arte del XXI Secolo www artedelxxisecolo.it

Orfeo Reda cell. 329.669.6168 orfeoreda1932@gmail.com




Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.