La Regola Feudale di Predazzo

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pendio delle misure e dei quantitativi dei fondi della Regola Feudale fatto nell’anno 1752”, tre decenni prima del catasto teresiano. Ancora più interessante, ma per noi incomprensibile per la perdita o scomparsa dell’atto, è l’acquisizione della Montagna di Pelenzana dalla Regola Generale avvenuta in un anno imprecisato, ma dopo il 1783 e prima del 1830. Ritornando alla delimitazione del territorio feudale, così come indicato nell’atto del 1447, si nota la sua precisione in tre direzioni, ma l’indecifrabilità rispetto alla quarta, e cioè: • sul fondovalle fa da confine l’Avisio; • a monte sono di confine le creste dello spartiacque; • a oriente il Rivo di Valsorda; • a occidente la “sorgente di Fresna”. Qualsiasi tentativo di riconoscere la posizione di questo rivo non ha dato finora esito. S’intuisce che nell’atto è stato riportato un toponimo impreciso già alle origini (a Trento), poi trascritto in pari modo nei documenti di proprietà successivi. Solo nel Settecento compare la diversa formulazione “Fessura”, sostituita più tardi con “Tresca”. L’ipotesi più verosimile rimane quella che individua la quarta direzione nel ripido rivo che attraversa il bosco di Fessura, già ricordato nel 1608. La fondatezza di questo riconoscimento viene da un documento di verifica dei diritti vescovili, compilato nell’estate del 1528, ai tempi del Clesio. Gli incaricati trentini si presentarono a Predazzo e convocarono i tre regolani e altri otto uomini in rappresentanza di tutta la comunità agricola. In quest’occasione si riaffermò che esisteva un privilegio sulla montagna di Vardabe i cui confini incominciavano dal “Riff de Fessura” e si estendevano fino al “Rivo dai Forni” (Valsorda) e nella parte più alta del monte verso Moena al “Riff de le Rosse” (l’odierno Valon da Coi). Quanto alla valutazione dei beni, si può ricordare come nello statuto del 1679 i vicini fecero presente al vescovo la differenza fiscale tra i terreni feudali e quelli allodiali per i quali non scattava l’obbligo della tas-

sazione. Lo statuto redatto nel 1724 e ripreso più volte fino al 1794 è estremamente importante ai fini della riconoscibilità del diritto di vicinanza e della destinazione delle entrate. A questo secondo fine si precisa che ai vicini poteva essere erogato solo 1/15 degli utili ricavati dalla vendita del legname. Il rimanente doveva coprire le spese amministrative più diverse e soprattutto consentire l’acquisto di altri terreni coltivabili. Riferimento principale rimane ancora una volta il catasto teresiano del 1783 che individua la proprietà collettiva non soggetta a tassazione (boschi, pascoli, praterie di monte) e 114 particelle di coltivi e prati che ne sono soggette. Nelle vicende feudali del ventennio fascista va ricordata la ricognizione o perizia condotta da Antonio Zieger, consegnata nel 1943, nonché la verifica archivistica operata da Giacomo Guadagnini nel 1989, entrambi eseguite per aggiornare quanto nel frattempo si era accresciuto o modificato nella proprietà complessiva. Di grande interesse e fondamentali per la ricostruzione della sostanza di questa secolare comunione agricola è la documentazione raccolta in archivio come: • locazioni delle parti di monte (1727-1997): a seguito dei permessi rilasciati ai soci per rendere utilizzabili determinati appezzamenti attraverso la pulitura da rovi, “sondre”, cespugli e sassi (in dialetto “spazzar”) si crearono nuove aree per lo sfalcio nella media e alta montagna, concesse gratuitamente per un determinato numero di anni, oltre il quale divenivano “parte di monte”, inserite nel novero dei beni di godimento comune a ruota quinquennale e poi, dal 1906, ad assegnazione periodica al miglior offerente. Di ogni atto restano i quaderni manoscritti, purtroppo con vistose lacune, individuate come “Elenchi delle parti di monte da assegnare in locazione”. In essi sono molto utili i nomi di luogo e l’indicazione onomastica dei “baiti”; • locazioni delle parti di campo (1709-1967): come per le “parti di monte”, la Regola concedeva, prima per estrazione e poi, dal

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