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quando i tagli successivi del tasso di sconto varati dalla Federal Reserve non erano stati parallelamente seguiti dalla Banca centrale europea, con effetti di rallentamento sull’Eurozona che si sarebbero probabilmente potuti contenere, anche se non evitare. Oggi, peraltro, la situazione appare maggiormente allineata e i tassi di sconto sono ormai virtualmente giunti allo zero in ambedue le aree. Sotto il profilo degli stimoli all’economia, il pacchetto di 787 miliardi di dollari proposto dal presidente Obama, e approvato in febbraio dal Congresso, sta progressivamente producendo i suoi effetti, ma la ripresa dei consumi interni negli Stati Uniti tarda a manifestarsi, mentre i mercati della casa e dell’auto restano in condizioni di forte precarietà. In Europa è difficile calcolare la sommatoria degli interventi decisi dai diversi paesi, anche se il totale ammonta a svariate centinaia di miliardi, ma ciò che è certo è che avranno effetti diversificati, dato lo scarso livello di coordinamento con cui sono state introdotte le misure

di stimolo, il che spiega la maggiore debolezza della congiuntura economica europea attesa per il 2009 rispetto a quella americana. Non va trascurata la drammatica situazione in cui versa il Giappone, ormai orientato a sperimentare un secondo decennio di stagnazione dopo quello già drammatico iniziato a metà anni Novanta. Nel quarto trimestre 2008 il Pil del Giappone è caduto a un tasso inimmaginabile del 12% in ragione d’anno e il 2009 soffrirà, come si è detto, di una caduta che se il Fmi stima al 5,8%, l’Ocse prevede addirittura al 6,6%, e questo nonostante il pacchetto di stimolo da 154 miliardi di dollari annunciato in primavera, composto da sostegni al reddito mediante alleggerimenti fiscali e da finanziamenti all’economia in settori di punta. Ben oltre le incognite che riguardano i maggiori paesi industrializzati, si pongono quelle che si riferiscono ai paesi emergenti, mediamente molto più dipendenti dall’andamento dei mercati mondiali rispetto ai primi. Non solo la già ricordata Cina, ma anche le “tigri”

del sudest asiatico stanno sperimentando una grave situazione di rallentamento che mette in discussione lo stesso modello export-oriented assunto da decenni a questa parte; un tema che, sia pure in misura diversa, riguarda un po’ tutte le aree emergenti, dall’Est Europa all’America Latina all’Africa. Questo problema è stato ben presente al vertice del G20 di aprile dove si è cercato di dare una risposta alle esigenze di finanziamento degli scambi internazionali. La Banca mondiale e il Wto hanno espresso, nei mesi scorsi, forti preoccupazioni al riguardo, specie in relazione al forte deflusso di capitali che si sta verificando dalle aree emergenti. Per compensare la carenza di liquidità nei paesi più deboli, la Banca mondiale ha già annunciato un programma di finanziamento da 50 miliardi di dollari, destinato a garantire gli investitori rispetto ai rischi di default nei paesi esportatori più sofferenti a causa della crisi. Anche il G20 ha annunciato misure analoghe, probabilmente di portata superiore, anche se difficilmente valutabili a causa di possibili

doppi conteggi e crediti revolving tipici delle attività di finanziamento delle esportazioni. Nell’insieme, queste misure potrebbero però riuscire a stabilizzare i mercati internazionali e rassicurare gli operatori attivi nel commercio mondiale. Specie se la parte preponderante delle misure annunciate dal G20 si concretizzerà nei tempi e nei modi sperati, il che non sembra ancora di poter essere dato per scontato. Il mondo intero è rimasto impressionato dalla notizia di un finanziamento di 1.100 miliardi di dollari a salvataggio delle sorti dell’economia mondiale ma, nei fatti, almeno in parte questa cifra va ridimensionata. Infatti, il grosso riguarda la dotazione di 500 miliardi di dollari destinata a rimpolpare le casse del Fmi, ridotte a circa 250 miliardi di dollari prima dell’annuncio e, comunque, non facilmente utilizzabili. Con una massa di 750 miliardi di certo il Fmi potrà sostenere molte economie emergenti in seria difficoltà e, soprattutto, rassicurare gli investitori nei paesi avanzati. Ma, in primo luogo, non tutti i fondi sono stati ancora stanziati e, in secondo luogo, non è ancora chiaro quale tipo di politica il Fmi si accinge a mettere in pratica. Al di là dei dettagli e delle incertezze, comunque, le decisioni del G20 avranno certamente effetti largamente positivi e questo consente di proiettare momenti migliori per l’economia mondiale nel 2010. Come si è detto, la ripresa dovrebbe manifestarsi già verso fine 2009 e per l’anno prossimo potremo beneficiare di una situazione meno tesa, anche se non ancora brillante, dato che l’Eurozona e gli Stati Uniti si fermeranno a un ben modesto incremento dello 0,1-0,2%, e il Giappone ristagnerà ancora

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