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Periodico semestrale anno XIV n째 31 - Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB Bergamo

Global Gli effetti della Digital Revolution. Chiari e scuri di un processo che ha cambiato in maniera irreversibile regole e scenari The effects of the Digital Revolution. Ups and downs of a process that irreversibly changed rules and settings

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Projects Il ruolo degli strumenti di rappresentazione nei processi di innovazione del linguaggio architettonico The role of representation tools in processes for innovating architectural idiom

News Il costruire intelligente per Expo Milano 2015. Rigenerazione urbana per un nuovo Rinascimento Smart building for Expo Milano 2015. Urban regeneration for a new Renaissance


Italcementi Italcementi Group

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Rivista semestrale pubblicata da Six Monthly Magazine published by Italcementi Group via Camozzi 124, Bergamo, Italia Direttore responsabile Editor in Chief Sergio Crippa Caporedattore Managing Editor Francesco Galimberti Coordinamento editoriale Editorial Coordinator Ofelia Palma Realizzazione editoriale Publishing House S.A.M. M.D.O. Redazione Editorial Staff Elena Cardani, Elena Tomei Autorizzazione del Tribunale di Bergamo n° 35 del 2 settembre 1997 Court Order n° 35 of 2nd September 1997, Bergamo Law Court

Parlando di una rivoluzione

■ Global ■

■ Projects ■

■ News ■

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Talkin’ ‘Bout A Revolution ■

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Fabio Benasso

Una trasformazione pervasiva

A Pervasive Transformation

Marco Morchio, Gionata Tedeschi

Sfide competitive per le imprese

Competitive Challenges For Business

Andrea Granelli

Evoluzione antropologica

Anthropological Evolution

Enrico Sassoon

L’onda che cambia i mercati

The Wave Transforming Markets

Joseph di Pasquale

L’instrumentum è il progetto

The instrumentum is the project

Testi a cura di / Texts by Jacqueline Ceresoli

Un mondo ambulante

A Traveling World

Progetto di Manuel Domínguez Fernández/Zuloark

Project by Manuel Domínguez Fernández/Zuloark

La città riproducibile

The Reproducible City

Progetto di Vincent Callebaut Architecte

Project by Vincent Callebaut Architecte

Copertina, l’Orto dei Sapori di Vincent Callebaut Architecte

Dinamica digitale

Digital Dynamism International competition on innovative vehicle design

Metropoli continua

Seamless Metropolis

Progetto di UFO-Urban Future Organization, CR-Design

Project by UFO-Urban Future Organization, CR-Design

Innovazioni integrate

Integrated Innovations

Progetto di Giampaolo Imbrighi (capoprogetto)

Project by Giampaolo Imbrighi (team leader)

Identità biotech

Biotech Identity

Progetto di Dror Benshetrit

Project by Dror Benshetrit

La sfida del veliero

The Sailing Ship Challenge

Progetto di Gehry Partners

Project by Gehry Partners

Expo 2015 Goes Biodynamic

Rigenerare città e territori

Regenerating Cities And The Territory

Armoniche tensioni

Harmonic Tensions

Cover, the Flavors Orchard by Vincent Callebaut Architecte

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Concorso internazionale di design di vetture innovative

Expo 2015 diventa biodinamico

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Chiuso in tipografia il 15 febbraio 2015 Printed February 15, 2015


























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Projects

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La digitalizzazione del progetto è stato uno spartiacque fondamentale nella storia recente dell’architettura, aprendo la strada a una stagione senza precedenti per il grado di libertà creativa relativo all’involucro e alla morfologia degli edifici. The digitalization of the project marked a fundamental dividing line in the recent history of architecture, opening up the way for an unprecedented period in terms of creative freedom in designing both the shell and morphology of buildings.

L’instrumentum è il progetto The instrumentum is the project Joseph di Pasquale*

arshall McLuhan ha detto “il medium è il messaggio“ intendendo con questa frase dire che la natura del mezzo con il quale viene espresso un determinato contenuto influisce, in qualche modo condiziona e addirittura modifica il contenuto stesso. Se, mutatis mutandis, applichiamo questo principio ai mezzi tecnici e tecnologici che gli architetti nel corso dei secoli hanno utilizzato per rappresentare le proprie idee progettuali, per disegnarle insomma, potremmo in qualche modo riscrivere la storia dell’architettura alla luce delle innovazioni che hanno modificato le tecniche di rappresentazione e del disegno: l’instrumentum è il progetto, appunto. Il primo esempio che mi viene in mente è senz’altro la scoperta e la messa a punto della tecnologia della prospettiva tra XV e XVI secolo e l’innegabile influenza che esercitò sulla percezione e concezione dello spazio “prospettico e centrale” che si espresse nella rivoluzione architettonica rinascimentale, probabilmente la più importante stagione di rinnovamento nella storia dell’architettura occidentale fino all’architettura moderna. E che dire dell’influenza che l’introduzione del parallelografo e del tecnigrafo all’inizio del secolo scorso possono aver avuto sul “primato dell’angolo retto” che i razionalisti a partire da Le Corbusier propagandavano come parte del nuovo “verbo” dell’architettura moderna? Idem dicasi per le finestre a nastro, le cui righe lunghe orizzontali erano quanto di più naturale si potesse disegnare usando appunto il parallelografo, e via di questo passo. Ma se è vero che in qualche modo lo strumento della rappresentazione abbia influenzato il modo di concepire l’architettura è anche vero che le rinnovate sensibilità estetiche e culturali abbiano indotto l’invenzione e il successo di certi strumenti di rappresentazione piuttosto che di altri. Se l’inventore del parallelografo fosse vissuto ai tempi di Bernini e di Borromini probabilmente non avrebbe venduto un solo esemplare della sua invenzione, mentre invece proprio in quegli anni si affermarono i primi curvilinei artigianali come strumento di aiuto al disegno, pieni di riccioli e di “curve francesi”. In altre parole lo strumento non fa che rendere possibile ciò che in potenza era già desiderato e quindi in un certo senso può determinare l’effettivo svilupparsi delle tendenze e delle innovazioni in architettura. In quest’ottica è forse possibile spiegare come mai tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo le sembianze dell’innovazione nell’architettura realizzata abbiano improvvisamente subìto un’accelerazione nel senso di una progressiva ma completa perdita di qualsiasi riferimento ortogonale cartesiano avvitandosi in una sempre più bizzarra ricerca dell’irregolare e della forma “plastico-scultorea“, con l’apparente intenzione di contravvenire a tutte quelle “regole“ che per decenni l’architettura “razionale“ si era imposta di osservare, inclusa perfino la legge della gravità. Gli architetti si sono improvvisamente messi a fare cioè tutto quello che era stato fino a quel momento proibito, co-

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me chi dopo una crisi di astinenza durata un secolo volesse recuperare il tempo perduto sperimentando qualsiasi forma e qualsiasi possibile geometria, inclusa l’apparente “non geometria” e l’apparente “non gravità”. Tutti, anche il grande pubblico, hanno potuto osservare questo processo nelle sue manifestazioni più clamorose rappresentate da certi edifici che sono assurte agli onori della cronaca in qualche modo anche rinnovando un certo interesse popolare nei confronti dell’architettura. Il simbolo che ha inaugurato questa stagione nell’architettura contemporanea è sicuramente rappresentato dal Guggenheim Museum di Frank Gehry, inaugurato a Bilbao nel 1997. Bilbao da oscura cittadina post-industriale della regione Basca divenne in pochi mesi la terza destinazione turistica della Spagna dopo Madrid e Barcellona. Pochi però si sono resi conto che dietro questo macroscopico effetto si nasconde una causa che è strettamente legata agli strumenti tecnologici a disposizione dei progettisti relativa ovviamente alla completa scomparsa dagli studi professionali dei tecnigrafi e alla loro sostituzione con software computerizzati. La prima versione di Autocad veniva messa sul mercato per la prima volta nel dicembre del 1982. In quel momento in tutti gli studi di architettura del mondo erano presenti solo tecnigrafi e in architettura imperava il post-modernismo, che professava un recupero degli elementi del linguaggio classico opportunamente semplificati (probabilmente per poter essere meglio disegnati utilizzando dei tecnigrafi) e rielaborati secondo una logica nuova e una semantica ordinata ai principi della semiotica di Roland Barthes e Umberto Eco. Robert Venturi inaugura ante litteram la serie con la sua Vanna House nel 1964, proprio nel 1982, lo stesso anno dell’introduzione di Autocad, veniva inaugurato a Portland il Public Service Building di Michael Graves, un cubo variamente trattato nei partiti architettonici con richiami fuoriscala a paraste, abachi ed echini classici e dove appaiono nei prospetti delle strane linee oblique, ancorché simmetricamente accoppiate, che tradiscono una certa insofferenza del postmoderno per l’ortogonalità e più in generale per tutto quello che il movimento moderno aveva stabilito come “canone“ dell’architettura. Ma già Fuksas nella Palestra di Paliano del 1979 aveva “inclinato” i bracci del tecnigrafo secondo un angolo assolutamente insolito e anomalo per disegnare un frontone vagamente classicheggiante “ruotato” rispetto all’edificio retrostante per assecondare l’inclinazione di una rampa di scale esterna. Sempre nel 1982 Gehry, usando ancora solo il tecnigrafo, progetta il Museo Aerospaziale della California a Los Angeles, dove il desiderio di evadere dall’ortogonalità è evidente: linee oblique, volumi inclinati, e allineamenti sghembi attraversano ovunque le sembianze del progetto, ma sono ancora evidentemente costrette dai limiti della rappresentazione tecnica necessaria al processo costruttivo. Queste insofferenze latenti e diffuse


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nei confronti dell’ortogonalità e questa volontà di liberazione della forma stereometrica razionalista sarebbero probabilmente rimaste al livello di “desiderio“ se non si fosse compiuta la rivoluzione tecnologica che ha messo a disposizione di questi come di tutti gli altri architetti del mondo un nuovo potente mezzo di rappresentazione costituito appunto dall’avvento del computer e del disegno elettronico. È incredibile pensare come nel giro di poco più di un decennio dal 1982 fino a circa la metà degli anni Novanta, i tecnigrafi siano completamente scomparsi da tutti gli studi di architettura del mondo, sostituiti prima da costose workstation dedicate e progressivamente da sempre più economici PC in grado non solo di soppiantare completamente i tecnigrafi ma anche di aprire un nuovo mondo di geometrie e di possibilità nella concezione dell’architettura. L’evoluzione decisiva però non è stata quella che ha consentito di virtualizzare la rappresentazione artistica dell’architettura (i così detti “rendering“), ma è stata quella ben più sostanziale che ha consentito di sviluppare in modo diretto e matematico questi rendering trasformandoli in disegni sempre più dettagliati che conservavano tutte le informazioni geometriche del modello 3D di partenza, traducendole in codici e in informazioni costruttive utilizzabili per la realizzazione materiale di tutti i componenti edilizi necessari alla costruzione. In effetti non c’è mai stato bisogno dei computer per immaginare delle forme libere e plastiche come quelle che Gehry ha utilizzato a Bilbao. Già Mendelshon negli anni Venti e tutto il filone espressionista aveva generato forme molto simili per un’architettura “plastica“ ma che erano ovviamente rimaste delle utopie data l’assoluta impossibilità di trasformare in modo esatto e matematico quelle idee virtualmente presenti solo nella mente del progettista in disegni costruttivi e istruzioni operative per un cantiere. Questo invece negli anni Novanta era diventato possibile. È molto interessante notare come solo Frank Gehry, che era anche scultore, ebbe l’intuizione di adottare un software che veniva utilizzato nell’industria aeronautica per “digitalizzare“ le forme dei modellini di aeroplano modellate nella galleria del vento, usandolo appunto per “digitalizzare“ le forme scultoree da lui immaginate e materializzate inizialmente in modellini in scala ridotta, e trasformarle in un modello 3D. Da questo modello il software calcolava automaticamente un’ipotesi di geometria della gabbia strutturale portante e la scomponeva ottenendo le specifiche tecniche e i disegni di dettaglio dei singoli pezzi necessari alla realizzazione ciascuno diverso dall’altro in formato digitale da fornire poi al costruttore per la realizzazione. Il costruttore, dotato di macchine a controllo numerico non faceva altro che inserire i dati ottenuti dal software del progettista per tagliare il metallo secondo le specifiche del modello 3D. Ecco realizzato il collegamento informatico diretto tra creazione 3D virtuale del progettista e le macchine utlizzate per

“realizzare“ l’edificio. È stato questo il passaggio decisivo. Non i “rendering“ ma il collegamento diretto tra un modello tridimensionale e le informazioni tecniche per la realizzazione. Infatti non esistono rendering dell’edificio di Bilbao e forse questo aumentò l’impatto mediatico globale della sua realizzazione che segnò senz’altro uno spartiacque fondamentale nella storia recente dell’architettura aprendo la strada ad una stagione senza precedenti per il grado di libertà creativa relativo all’involucro e alla morfologia degli edifici. Questo ventennio di “stavaganze“ e di sperimentazioni mai viste prima nella storia dell’architettura è stato reso possibile e in parte causato da questa rivoluzione tecnologica. La combinazione di questi nuovi mezzi con la fase euforica dell’esplosione espansiva del mondo finanziario tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila ha fatto sì che ogni stravaganza immaginata dai progettisti venisse poi effettivamente realizzata. Oggi è in atto una ulteriore fase di upgrade tecnologico. I sistemi BIM (Building Information Modeling) sono già affermati largamente negli studi più avanzati e si imporranno nei prossimi anni come standard globale. Questi sistemi non fanno altro che sostituire i sistemi CAD come Autocad che si limitano a informatizzare il disegno 2D, con un sistema dove non si disegna più secondo la teoria delle proiezioni ortogonali ma si costruisce direttamente un modello 3D virtuale dal quale è poi possibile estrarre tutti i disegni 2D semplicemente sezionando il modello e ottenere anche tutte le informazioni metriche e dimensionali da fornire direttamente alle ditte realizzatrici. Quanto fu sperimentato da Gehry sta diventando quindi disponibile praticamente a tutti. È interessante notare come oggi però la diffusione del BIM si affermi soprattutto con l’obiettivo di ridurre i costi e i tempi del progetto, ma anche e soprattutto di ridurre i costi e i tempi di costruzione e di manutenzione. Siamo infatti arrivati a un ulteriore momento di svolta. Se le Olimpiadi di Pechino del 2008 hanno segnato l’apice di questo ventennio di euforia morfologica e finanziaria a soli undici anni dall’inaugurazione del Guggenheim di Gehry a Bilbao, forse l’Expo di Milano del 2015 tutta orientata alla sobrietà, a una immagine architettonica programmaticamente dimessa e concentrata più che sulla costruzione sullo smantellamento, sul riciclo e sul riuso, ne rappresenterà la chiusura simbolica. Questo dopo oltre sei anni di una interminabile crisi finanziaria globale e all’indomani della dichiarazione del presidente cinese Xi Jing Ping che a novembre scorso durante un forum a Pechino si è espresso a favore di una architettura più sobria e più armoniosa affermando “non più strane architetture in Cina!”, e se consideriamo che la Cina è stato lo scenario principale dove negli ultimi vent’anni si è sperimentato tutto lo sperimentabile, questo potrebbe forse bastare per farci dire con Mary Poppins che “il vento è cambiato” e una nuova stagione in architettura sta per cominciare.

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* Joseph di Pasquale (1968), architetto e urban designer, professore a contratto alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, master in Film Making alla New York Film Academy 2001. All’inizio della pratica professionale si interessa al tema della qualità architettonica e ambientale degli insediamenti produttivi di grandi dimensioni. Nel 2007 vince il concorso per l’ampliamento del parco Minitalia a Capriate San Gervasio (BG) e nel 2008 quello per la nuova ecotown di Jingwu in Cina, in cui applica le teorie sull’ecodensità che definisce nel testo “La cittá densa”. L’incontro con la Cina lo porta a interessarsi del rapporto tra globalizzazione e identità culturale elaborando il concetto di “sostenibilità culturale”. Nel 2009 vince il concorso per la sede del Guangdong Plastic Exchange a Canton, Cina, con un progetto ispirato al tema dell’esogramma come segno/simbolo della figurazione architettonica locale. Tra il 2008 e il 2012 tiene varie conferenze e lezioni in diverse università e convegni tra Cina, Europa e Brasile sul tema “globalitarismo architettonico vs sostenibilità culturale”.


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arshall McLuhan said that “the medium is the message” by which he meant that the nature of the means through which something is conveyed influences and, to some extent, determines or even alters what is being conveyed. If, mutatis mutandis, we apply this principle to the technical and technological means that architects have used down the centuries to represent their own design ideas (i.e. to design them) we could, in some sense, rewrite the history of architecture in light of the innovations that have altered methods of representation and design: the instrumentum is the project, we might say. The first example that comes to mind is, unquestionably, the discovery and perfecting of the technology of perspective in the 15th and 16th centuries, and the undeniable influence it had on the perception and conception of “perspective and central” space that was embodied in the architectural revolution during the Renaissance, probably the most important period of renewal in the history of Western architecture right down to modern architecture. And what about the influence that the introduction of the parallelograph and drafting machine at the beginning of last century may have had on the “primacy of right angles” that rationalists from Le Corbusier onwards claimed were part of the new “dictates” of modern architecture? The same applies to strip windows, whose long horizontal lines were the most natural thing that could be drawn using a parallelograph, and so on and so forth. But although it is still true that, in some sense, architectural design has been influenced by the means through which it has been represented, it is nevertheless true that greater aesthetic and cultural sensibility led to the invention and success of certain means of representation rather than others. If the inventor of the parallelograph had lived in Bernini’s and Borromini’s day then he probably would not have sold one single specimen of his invention. Those were the days when the first curved craft templates began to be used as a design tool, full of curls and “French curves”. In other words, a tool only makes possible what was potentially already desired and, hence, in a certain respect can help bring about the emergence of certain trends and innovations in architecture. In this light it is, perhaps, possible to explain why there was such a sudden acceleration in the development of innovation in built architecture between the end of the 20th and the beginning of the 21st century, in the sense of a gradual but complete loss of any kind of orthogonal Cartesian reference in favor of an increasingly bizarre quest for irregular and “plasticsculptural” forms, for the apparent purpose of contravening all those “rules” that “rational” architecture had pledged to conform to for decades, even including the law of gravity. Architects suddenly set about

doing everything which until then had been forbidden, like somebody who after a centuries abstinence wanted to make up for lost time by experimenting with every possible form and every possible geometric pattern, including apparent “nongeometry” and apparent “non-gravity”. Everybody, including the general public, has been able to take note of this process in its most striking embodiments represented by certain buildings that have hit the news and, to some extent, brought about renewed popular interest in architecture. This particular period in modern-day architecture is most certainly symbolized by Frank Gehry’s Guggenheim Museum that opened in Bilbao in 1997. From being just a rather obscure post-industrial town in the Basque region, within a few months Bilbao became Spain’s third most popular tourist destination after Madrid and Barcelona. However, not many people noticed that this macroscopic effect had a hidden cause closely tied to the technological means available to architects. We are, of course, referring to the total disappearance of drafting machines that have now been replaced by computerized software. The first version of Autocad was launched on the market for the first time in December 1982. At that time all architecture firms around the world were equipped with drafting machines and post-modernism was all the rage in architecture claiming it was reviving suitably simplified aspects of classical architecture (probably so that they could be designed more effectively using drafting machines) that were being reworked along new lines and a new kind of semantics geared to the principles of Roland Barthes’ and Umberto Eco’s semiotics. Robert Venturi was well ahead of the rest with his Vanna House from 1964 and then, in 1982, the same year the Autocad was introduced, Michael Graves’ Public Service Building opened in Portland, an architecturally elaborate cube with out of scale references to pilasters, abacuses and classical influences, whose elevations featured strange oblique lines (although still symmetrically combined together) betraying a certain dissatisfaction with the post-modern’s orthogonality and, more generally speaking, everything that the modern movement had laid down as the “Canon” of architecture. But even back in his 1979 project for a gym facility in Paliano, Fuksas “inclined” the arms of the drafting machine at a completely unusual and anomalous angle to design a vaguely classic-looking building front “rotated” in relation to the building at the rear to follow the slope of a flight of outside stairs. Again in 1982 Gehry used nothing but a drafting machine to design the California Aerospace Museum in Los Angeles, where the desire to break free from orthogonality is clearly evident: oblique lines, sloping structures and offset alignments appear right through the project, but they are still clearly con-


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strained by the bounds of technical representation associated with the building process. This widespread, latent dissatisfaction with orthogonality and this desire to break free from stereometric rationalist form would have remained nothing but a “desire”, if it were not for the technological revolution that provided these architects and all others around the world with a powerful new means of representation through the advent of the computer and electronic design. It is incredible to think how, in the space of just over a decade from 1982 until approximately midway through the 1990s, drafting machines virtually vanished from all architecture firms worldwide, first of all replaced by expensive dedicated workstations and then, gradually, by increasingly economic PCs, capable not only of totally replacing drafting machines but also of opening up a vast new array of geometric patterns and possibilities for designing architecture. Nevertheless, the decisive new development was not the possibility of making the artistic representation of architecture virtual (so-called “renderings”), but the much more substantial prospect of directly and mathematically developing these renderings into increasingly detailed designs, holding onto all the geometric information contained in the initial 3-D model and translating it into building information and codes that could be used to materialize all the building components required for construction. Indeed computers have never been required just to envisage free, sculptural forms like those Gehry used in Bilabo. Mendelsohn, back in the 1920s, and all the expressionist brigade of architects managed to generate very similar forms for “sculptural” architecture, although they remained nothing but utopian dreams due to the absolute impossibility of precisely and mathematically transforming those ideas (existing solely in the architect’s mind) into building designs and operating instructions for building site work. All this became possible, though, in the 1990s. It is interesting to note that only Frank Gehry, who was also a sculptor, had the idea of using a piece of software borrowed from the aeronautics industry, where it was used to “digitalize” the forms of aeroplane models designed in wind tunnels, to “digitalize” the sculptural forms he had envisaged and shape first into small scale models ready to later be transformed into a 3-D model. Using this model, the software could automatically calculate a geometrical hypothesis for a bearing structural cage that could then be broken down to obtain technical specifications and detailed drawings of the different individual pieces required in a digital format ready to be handed on to the builder to be constructed. Equipped with numerically-controlled machines, the builder merely had to enter the data obtained from the designer’s software in order to cut the metal according to the specifications for the 3-D model. We now had a direct computer-based link between the designer’s virtual 3-D creation and the

machines used to “make” the building. This was the decisive step. Not the “renderings” but the direct link between a three-dimensional model and the technical information for making it. Indeed, there are no renderings for the building in Bilbao and this is, perhaps, what really increased the global media impact of his creation, which certainly marked a fundamental dividing line in the recent history of architecture, opening up the way for an unprecedented period in terms of creative freedom in designing both the shell and morphology of buildings. This twenty year period of “extravagances” and experiments of a kind never previously seen in the history of architecture was made possible and, to some extent, caused by this technological revolution. The combination of these new means with a euphoric stage of explosive expansion in finance between the end of the 1990s and early 2000 meant that every imaginable extravagance thought up by architectural designers could actually be created. A further stage in technological upgrading is currently underway. BIM (Building Information Modeling) systems have already been incorporated in leading firms and will become standard worldwide over the next few years. These systems merely replace CAD systems like Autocad, which simply computerize 2-D design, with a new system that no longer draws on the theory of orthogonal projections for design purposes but directly constructs a virtual 3-D model from which all the 2-D designs can be extracted by simply sectioning the model, also providing all the metric-dimensional information that needs to be passed on directly to construction companies. What Gehry first experimented with is now becoming available to almost everybody. Nevertheless, it is interesting to note that the widespread use of BIM nowadays is mainly aimed at reducing project costs and times and, above all, at reducing building and maintenance costs and times. We have actually reached another turning point. While the Beijing Olympics held in 2008 marked the high point of this twenty year period of morphological and financial euphoria just eleven years after the opening of Gehry’s Guggenheim Museum in Bilbao, Milan Expo 2015, which is entirely focused on sobriety, has a programmatically abandoned architectural image and is more geared to dismantling, recycling and re-usage, will represent its symbolic end point. All this after six years of endless global financial recession and after the Chinese president, Mr. Xi Jing Ping, expressed his support for more austere and harmonious architecture during a forum held in Beijing, suggesting there should be “no more strange architecture in China!”. Bearing in mind that China has been the main setting over the last twenty years for experimenting with everything that could be experimented with, then this might be enough to convince us that, as Mary Poppins put it, “the wind has changed” and a new period in architecture is about to begin.

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* Joseph di Pasquale (1968), architect and urban designer, adjunct professor in the Faculty fo Architecture of Milan Polytechnic and master in Film Making at the New York Film Academy 2001. At the beginning of his career he was interested in the issue of the architectural and environmental quality of large manufacturing sites. In 2007 he won a competition to extend the Mini Italy Park in Capriate San Gervasio (Bergamo) and in 2008 to extend the new eco-town of Jingwu in China, to which he applied the theories of eco-density referred to in the book entitled “La città densa”. Encountering China led him to develop an interest in the relationship between globalization and cultural identity, elaborating upon the concept of "cultural sustainability”. In 2009 he won the competition to design the headquarters of the Guangdong Plastic Exchange in Canton, China, with a project inspired by the idea of an “hexagram” as a sign/symbol of local architectural design. In 2008-2012 he held various conferences and lectures at different universities and conventions in China, Europe and Brazil based on the theme of “architectural globalization versus cultural sustainability”.


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Un mondo ambulante A Traveling World Spagna, VLS-Very Large Structure Spain, VLS-Very Large Structure Progetto di Manuel Domínguez Fernández/Zuloark Project by Manuel Domínguez Fernández/Zuloark

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DIGITALE DIGITAL Rendering notturno della “VLS-Very Large Structure”, una città nomade che può spostarsi su cingoli verso luoghi in cui abbondano lavoro e risorse.

Night view rendering of “VLS-Very Large Structure”, a nomadic city that can move on caterpillar tracks to locations where work and resources are abundant.

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Pagina a fianco, la VLS è un progetto teoricamente fattibile che si rivolge al mondo dell’ingegneria pesante per trarre ispirazione per la sua colossale struttura di acciaio su cingoli. Opposite page, VLS is a theoretically feasible project, which looks to the world of heavy engineering to inspire its structure’s colossal steel frame and caterpillar tracks.

ell’epoca digitale, il network si è sostituito al laboratorio o atelier di architetti e artisti del Novecento, progettando in rete, la neo cultura architettonica punta sulla partecipazione attiva e condivisa del cittadino al fine di decidere interventi urbanistici e riposizionare l’urbanistica su scala funzionale, sociale e culturale. Tra le proposte più interessanti la “VLS-Very Large Structure. Prototipo di Piattaforma Mobile per la Gestione e la Coreografia del Territorio” di Zuloark (www.zuloark.com), che si definisce “area di apprendimento di prossimità” ideata da Manuel Domínguez, il quale immagina una città nomade, concepita per transitare su cingoli verso luoghi in cui lavoro e risorse sono un’opportunità imperdibile per ridisegnare la città. La fonte di riferimento di VLS è la Walking City di Ron Herron (Archigram, 1964), ma si distingue dal progetto utopistico di cinquant’anni fa per la generazione dell’elettricità nella città. Domínguez ha puntato su un progetto utopistico e concreto al tempo stesso, in cui l’aspetto ingegneristico è fondamentale, risolvendo in una colossale struttura di acciaio su cingoli, la sua idea di città mobile, di impatto cinematografico, simile a una piattaforma petrolifera o un cantiere navale ma su terra ferma. Monumentalità e mobilità sono le principali caratteristiche di una struttura dalla mole impressionante a impatto contenuto sull’ecosistema circostante. Sappiamo che là dove c’è una città prima c’era un ambiente naturale, e con questa “astronave” errante terrestre si dovrebbe favorire la riforestazione delle città statiche, valorizzando la gestione funzionale dell’ambiente. La VSL è stata progettata in Spagna, come opportunità di lavoro per i troppi cittadini disoccupati. La proposta di Domínguez, per quanto assurda possa sembrare, nei dettagli ingegneristici è meno fantascientifica di ciò che si immagina, poiché attualmente siamo dotati di nuove tecnologie “intelligenti”, applicate alla vita quotidiana e alla cultura di progettazione architettonica. Il suo modello di urbanistica e architettura auto-rigenerante insieme a una rivisitazione ludica

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e spettacolare della robotica rendono il progetto difficile ma fattibile, realistico seppure sperimentale, anche per l’impiego di nuove sofisticate tecnologie. Ma senza un sogno del futuro, innovazione e originalità non c’è progresso. Gli elementi più innovativi di VSL – per quanto utopica, progettata come il risultato della formazione universitaria tradizionale delle facoltà di architettura europee, che sfornano tesi di laurea inutili come puro esercizio teorico distanti anni luce dalla realtà – consistono nell’aver coniugato l’utopia con la cultura ingegneristica specializzata. Il progetto è possibile, primo perché può essere realizzato con materiali e tecnologie già esistenti, sebbene non ancora sperimentate in questo ambito, e secondo perché punta sull’autonomia di rifornimento energetico (sempre più necessaria per qualsiasi civiltà industrializzata) ed è concepita come un organismo vitale che ricicla i rifiuti e produce energia nel rispetto dell’ambiente. Per cambiare l’architettura è necessario sperimentare nuovi strumenti di progettazione, puntare su ciò che ancora non esiste. Come sappiamo, prima abbiamo immaginato grazie al cinema di conquistare la luna, poi ci siamo andati e oggi abbiamo, oltre a una miriade di satelliti qua e là, una navicella-casamondo ambulante, macchina dell’abitare spaziale che sta monitorizzando e sperimentando le possibilità di vivere nello spazio: un esperimento scientifico senza precedenti che aprirà nuovi orizzonti anche alla cultura architettonica. VLS è una proposta ambiziosa mirata a una gestione del territorio sinergica tra energia e materia che, secondo Domínguez, “porterebbe diversi effetti positivi come il riequilibrio della popolazione tra rurale e urbanizzata, con l’obiettivo di rinforzare il tessuto industriale collegandolo a nuovi modi di gestione e rinnovo ambientale, così da offrire nuove professioni e opportunità di vita a una comunità che dipende da aiuti europei”. In sintesi, il concept di VSL comprende autoproduzione, emancipazione e ricorso alle risorse preesistenti: tutto dipende da come verrà realizzata, e questa è la scommessa del futuro.


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La mobilità di VLS è presentata come un modo per promuovere la riforestazione delle città statiche che rimpiazza, e parte delle sue funzioni quotidiane riguarda la gestione dell’ambiente. VLS mobility is proposed as a way to encourage reforestation of the static cities which it replaces, and part of its day-to-day function is the management of this environment.

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he Web has replaced the old-fashioned 20th-century architect’s and artist’s workshop or atelier. Cutting-edge architectural design created on the Web focuses on getting ordinary people directly involved in selecting town-planning projects and projecting urban design onto a functional, social and cultural scale. Some of the most interesting proposals include “VLS-Very Large Structure. Mobile Test-grid Platform for the Territorial Management and Choreography” di Zuloark (www.zuloark.com), which describes itself as “a learning area in close vicinity” devised by Manuel Domínguez, who has envisaged a nomadic city designed for caterpillar track travel to places where work and resources provide a unique opportunity to redesign the city. VLS is inspired by Ron Herron’s Walking City (Archigram, 1964), differing from that utopian design of 50 years ago by the way it generates electricity in the city. Domínguez has focused on what is simultaneously a utopian and concrete project in which engineering has a vital role to play. His idea for a mobile film-like city, similar to an oil platform or shipbuilding yard only on dry land, takes the form of a gigantic steel structure on caterpillar tracks. Monumentality and mobility are the most distinctive features of this incredible size structure with only mitigated impact on the surrounding ecosystem. We know that where a city now stands there used to be a natural environment, and this wandering terrestrial “spaceship” should encourage the reforestation of static cities, enhancing the functional management of the environment. The VLS was designed in Spain providing jobs for some of the numerous unemployed. However absurd it might seem, Domínguez’s project is actually less science fiction-like in terms of its engineering features than we might at first think, since “smart” new technology is now ready to be applied to everyday life and architectural design. His model of self-regenerating architecture and town-planning and a spectacularly playful reworking of robotics make this a tricky but feasible project, quite realistic however experimental it might be, partly due to the

use of sophisticated new technology. After all, there is no progress without dreaming about the future, innovation and originality. The most innovative features of this VLS – however utopian it might seem and although it is designed based on a conventional university background in a faculty of European architecture (the kind that churns out rather useless degree theses that are little more than theoretical exercises, light-years away from reality) – lie in the way utopian dreaming has been brought in line with specialist engineering. The project is possible because, first and foremost, it can be constructed out of existing materials and technology, yet to be experimented in this field though, and secondly because it focuses on an autonomous energy supply (increasingly vital for any industrialized civilization) and is designed to be an organism for recycling waste and generating energy while respecting the environment. In order to change architecture we must experiment with new means of design and focus on what does not yet exist. As we know, it was the film industry that first envisaged going to the Moon, but then we actually went there and we now have a vast array of satellites all over the place, a travelling spaceship-houseworld, a machine for inhabiting space that is monitoring and experimenting with various possibilities for living in space: an unprecedented scientific experiment that will open up new horizons even in the realm of architecture. VLS is an ambitious idea aimed at developing synergic territorial management based on a combination of energy and matter, which, according to Domínguez, “would have various different positive effects, such as balancing out the population between the countryside and city, in order to strengthen the industrial fabric by connecting it to new means of environmental redevelopment and management, in order to generate new jobs and living opportunities for a community that depends on European aid”. In a nutshell, the VLS concept encompasses self-production, emancipation and the use of existing resources: everything depends on how it will be constructed, and this is the challenge for the future.


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VLS sfrutta tecnologie giĂ testate, come i macchinari per le miniere a cielo aperto, le attrezzature dei cantieri navali, la logistica e la gestione

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dei mega porti e delle mega navi, la tecnologia per lo spazio, gli eco-villaggi, l’urbanistica e l’architettura auto-generate, la robotica ecc.


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VLS uses technologies that are already tested, such as open-air mining machinery, shipyard installations, logistic and management in

super-ports and super-vessels, space technology, eco-villages, self-generated architecture and urbanism, robotics, etc.

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Schizzi e rendering dell’interno della VLS. Sketches and rendering of VLS interior.

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Sopra, sezione longitudinale. Sotto, prospetti frontale e laterale.

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Above, longitudinal section. Below, front and side elevations.


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La città riproducibile The Reproducible City Kunming, L’Orto dei Sapori Kunming, Flavors Orchard Progetto di Vincent Callebaut Architecte Project by Vincent Callebaut Architecte

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DIGITALE DIGITAL Rendering delle tre tipologie di Plus Ville che compongono l’“Orto dei Sapori”: Villa Möbius, Villa Montagna e Villa Conchiglia. Rendering of the three typologies composing the “Flavors Orchard”: Möbius Villa, Mountain Villa and Shell Villa.

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La Villa Möbius è organizzata intorno a un nastro continuo che disegna il simbolo dell’infinito intorno a due cortili, uno acquatico e l’altro coltivato. The Möbius Villa is organized around an endless ribbon drawing the symbol of infinity around two patios, one aquatic and the other planted.

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incent Callebaut (1977) è tra gli architetti più visionari e originali della sua generazione, già noto per progetti pionieristici che applicano la cultura digitale a concezioni di vita ecosostenibili e responsabili, in cui autonomia energetica e biodiversità sono il leitmotiv di una “ecobiocity” modello di innovazione sostenibile. L’architetto belga ha collezionato prestigiosi premi internazionali ed è stato segnalato in diverse “top list”. Nel 2014 è stato premiato per il progetto “Giardino Tao-Zhun” con “l’International Architecture Award”. Basta sfogliare la sua quinta monografia di architettura, intitolata “Città Fertili. Stili di vita eco-responsabili ispirati alla biomimetica” (Hong Kong, 2014, Cina) per entrare nel vivo hi-tech ecologista e fertile della sua idea di città. L’ambizioso progetto “L’Orto dei Sapori” consiste in una città pensata lungo il fiume Daguan che collega lo “Smeraldo”, il lago verde al centro della città di Kunming, al lago Dianchi a sud. Questo Eden situato a 1.894 metri di altitudine nella provincia di Yunnan van-

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ta un clima temperato tutto l’anno, tanto che Kunming è nota come “città dell’eterna primavera”. Il progetto prevede di riconvertire un’area (ex industriale) di 90.000 m2 in nuovo eco-quartiere riproducibile ovunque in Cina. Il concept si basa su una comunità energeticamente efficiente e a produzione autonoma e una biodiversità in base ai consumi, ottenuta riciclando i rifiuti in risorse naturali riutilizzabili all’infinito per una città post-fossile, neo-nucleare e a zero emissioni di carbonio. Il progetto comprende 45 “Ville Plus-energetiche” suddivise in tre tipologie architettoniche che formano tre eco-quartieri, ciascuno con una propria identità, installati nella smart grid di un Orto Comunitario. In Cina il settore dell’edilizia è responsabile di oltre il 40% delle emissioni totali di CO2, il consumatore primario di energia rispetto ai trasporti (30%) e all’industria (30%). La scommessa del futuro “tecno-ecologico”, non solo in Asia, sarà di rendere consumo e costi dell’energia sempre più sostenibili. In


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questa prospettiva il nuovo quartiere prevede ville energetiche in un immenso orto/giardino comunitario integrato in una smart grid autogestita dagli abitanti-giardinieri e da tutti i partecipanti al progetto. Come? Associando sistemi avanzati di automazione edilizia intelligente e informazioni integrate in ogni villa con una rete energetica per ridistribuire l’eccesso di produzione elettrica, termica e alimentare dove è necessaria e in base ai consumi. Il master plan bio-geografico prevede, nel rispetto delle qualità naturali del sito (alberi, siepi, corsi d’acqua, flora e fauna), di riportare l’agricoltura biologica nel cuore della città, centro del suo consumo. I parcheggi privati delle auto elettriche e i locali tecnici per l’automazione domotica saranno ubicati lungo una spina centrale ipogea. In superficie: orti per pedoni, piste ciclabili e percorsi per veicoli elettrici senza guidatore. Si è calcolato che le Ville Plus producono, nel corso dell’anno, più energia da fonti rinnovabili di quanta ne consumino da fonti esterne, attraverso l’impiego di complessi

sistemi combinati per la produzione energetica, strategie di costruzione passiva e illuminazione LED con rilevamento automatico di presenza e necessità. Tutte le acque grigie sono riciclabili in bacini e verranno riutilizzate per l’irrigazione e le toilette; inoltre le acque di scarico sono inviate a bio-reattori sulle facciate (con pannelli dotati di alghe) che nel processo di digestione anaerobica producono metano utilizzato per generare energia e raffreddare gli interni. Completano il progetto la Villa Möbius concepita come un nastro continuo che disegna il simbolo dell’infinito intorno a due cortili, uno acquatico e l’altro coltivato, aperti a 30° a formare un percorso pedonale inclinato. La Villa Montagna, architettura con una facciata a sud in vetro e una facciata a nord in legno opaca sembra un ventaglio cinese costruito da est a ovest per seguire idealmente il percorso del sole. La Villa Conchiglia, che levita su sei pilastri di acciaio inox, è una villa bozzolo, concepita a doppia bordatura e organizzata a spirale intorno a tre cortili.

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La Villa Montagna si apre a 180° come un enorme ventaglio cinese costruito da est a ovest per seguire idealmente il percorso del sole. Al centro della villa, un atrio pieno di luce si innalza su 4 livelli. Una scala a chiocciola avvolge un ascensore panoramico vetrato e serve tutti gli spazi notturni e di relax.

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incent Callebaut (1977) is one of the most original and visionary architects of his generation, already well known for his pioneering projects that apply digital technology to eco-sustainable and responsible styles of living in which energy autonomy and biodiversity are the leitmotifs of an “ecobiocity” geared to sustainable innovation. This Belgian architect has been awarded numerous prestigious international prizes and included in various different “top lists”. In 2014 he was awarded the “International Architecture Award” for his project “TaoZhun Garden”. You need only flick through his fifth architectural monograph entitled “Fertile Cities, eco-responsible lifestyles inspired by bio-mimetics” (Hong Kong, China, 2014) to get a clearer insight into the ecology-related and fertile high-technology involved in his idea of a city. The ambitious project entitled “Flavors Orchard” consists of a city designed to be accommodated along the Daguan river connecting the “Emerald”, the green lake of the city center of Kunming, to the Lake Dianchi to the south. This garden of Eden located at an altitude of 1,894 meters in

the province of Yunnan has a temperate climate all year long, so much so that Kunming is been nicknamed the “city of eternal spring”. The project aims to reconvert a 90,000 m² area of land (former industrial site) into a new eco-neighborhood that could be reproduced all over China.The concept is based on the idea of an energy-efficient, self-contained community in terms of production and biodiversity geared to consumer requirements obtained by recycling waste into natural resources that can be endlessly reused in a post-fossil, neo-nuclear, zero carbon emissions city. The project includes 45 “Plus-energy Houses” divided into three different architectural styles forming three eco-neighborhoods, each with its own identity, set within the smart grid of a Community Orchard. In China the building industry is responsible for over 40% of total CO2 emissions, it is also the primary energy consumer ahead of transport (30%) and industry (30%). Our “techno-ecological” future (not just in Asia) will focus on reducing consumption and energy costs in an increasingly sustainable manner. From this viewpoint,


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the new neighborhood envisages the construction of energy houses set in a huge community orchard/garden integrated into a smart grid independently managed by the inhabitants-gardeners and everybody involved in the project. So how? By incorporating cutting-edge smart building automation and information systems inside the houses on an energy network aimed at redistributing (where required in accordance with consumption) any extra electricity, thermal energy or food generated. The biogeographical master plan aims at restoring biological farming into the very heart of the city, the focal point of consumption, while respecting the natural qualities and properties of the site location (trees, hedges, waterways, flora and fauna). The private parking facilities for electric cars and technical amenities for domotics will be located along an underground backbone. Above ground there will be gardens for pedestrians, cycle paths and roads for electric vehicles without drivers. It has been calculated that throughout the year the Plus Houses will generate more energy from renewable sources than they consume from

external sources by using complex systems combined to generate energy and passive building strategies, as well as LED lighting with automatic presence detectors. All the greywater can be recycled in special pools and then reused for farming purposes or for toilets. Wastewater will be conveyed through to bio-reactors on the facades (featuring panels covered with seaweed), whose anaerobic digestive process will generate the methane then used for generating energy and cooling the interiors. The project is completed by Möbius House designed in the form of a seamless strip reproducing the symbol for infinity around two courtyards, one aquatic and the other farmed, opening up at an angle of 30° to form a sloping pedestrian path. Mountain House, a work of architecture with a south facing glass facade and north facing opaque wooden facade looks like a Chinese fan, built from east to west to ideally trace the sun’s path. Shell House, which levitates on six stainless steel columns, is a cocoon house designed with two layers of planks spiralling around three courtyards.

The Mountain Villa opens out at 180° such as a huge Chinese fan built from east to west to ideally follow the sun’s path. In the center of the villa, an atrium full of light raises on 4 levels. A spiral staircase coils around a panoramic glazed elevator to distribute all the night and relaxation spaces.

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Sezione trasversale e pianta del livello 3 della Villa Conchiglia. La Villa Conchiglia poggia su 6 pilastri di

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acciaio inox innalzandosi verso il cielo per far arrivare la sua turbina eolica assiale pi첫 in alto della

cima degli alberi da frutto.

Cross section and plan of level 3 of the Shell Villa. The Shell Villa stands on its 6 stainless steel pillars

to stretch towards the sky and to make its axial wind turbine higher than the top of the fruit trees.


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Dinamica digitale Digital Dynamism Salone di Detroit, Michelin Challenge Design 2014 Detroit Motor Show, Michelin Challenge Design 2014 Concorso internazionale di design di vetture innovative International competition on innovative vehicle design

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a cultura digitale, complessa e dinamica, offre un’opportunità per rivoluzionare la progettazione degli scenari urbani e del vivere quotidiano. Le idee e i progetti più interessanti arrivano da giovani designer, capaci di coniugare prodotti dal design esclusivo, curati nei minimi dettagli, ecoefficienti, funzionali, confortevoli e realizzati con nuovi materiali con l’obiettivo di salvaguardare l’ambiente. I designer della nostra epoca digitale partono dal principio di riprogettare il mondo prendendo come specifico riferimento la dimensione quotidiana dell’esistenza, vista da chi la abita come sistema socio-tecnologico, con strategie d’intervento “dal basso”, legate alle specifiche esigenze locali e contestualizzate. All’interno di questo quadro di approccio metodologico, concettuale e operativo, i designer non producono soltanto artefatti, più o meno decorativi e commerciali, ma quelli più sperimentali, ridisegnando scenari di qualità della vita. Se il futuro è come deve essere imprevedibile, il presente contiene in sé le premesse per i diversi possibili futuri e il domani sarà costruito con ciò che oggi è in fase di realizzazione o è già prodotto industrialmente. In particolare ecoefficienza e benessere sono una piattaforma di confronto ideale tra diversi progetti sperimentati su scala internazionale. Andiamo incontro a una megalopoli planetaria come risultato di una molteplicità d’eventi, di scelte consapevoli e di casualità che si realizzeranno in diverse scale spaziali e temporali. La transizione alla sostenibilità hi-tech dipenderà da quali forme sapremo progettare verso cui orientare un’idea di benessere sociale condiviso. Domani si potrà vivere meglio consumando meno e valorizzando qualità intrinseche dell’ambiente, dei materiali e dei contesti fisici e sociali in cui ci troviamo a vivere. Al punto in cui siamo di emergenza ambientale e applicazione della cultura digitale alla vita quotidiana e alla progettazione ingegneristica-architettonica, è tempo di passare da progetti (o meglio idee visionarie) a progetti concreti e soluzioni possibili per tutelare la qualità del

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territorio e della vita. Si pone il problema incentrato sui veicoli ecosostenibili con o senza guidatori l’esposizione di prototipi progettati per il concorso Michelin Challenge Design 2014 che, giunto alla decima edizione ha affrontato il tema “Driven/Unidriven: la dualità delle automobili di domani”, puntando su veicoli di trasporto completamente autonomi. Il primo premio è stato assegnato a Chris Luchowiec (Polonia) con BOT, una microcapsula per trasporto in ride-sharing autonoma, adatta a zone con popolazione relativamente bassa, per risolvere il tema dei pendolari che usano l’auto da soli e devono far fronte alle difficoltà del trasporto di massa, come periodi di attesa ripetitivi, ultimo miglio, mancanza di flessibilità. BOT è un gioiellino dal design sinuoso che utilizza molteplici soluzioni tecnologiche innovative, tra cui la guida senza conducente, batterie al litio-aria capienti, intelligenza artificiale, sedili ritraibili organicamente, finestrini con display luminosi. Il secondo premio è stato vinto da Chauang Dong & Team (Cina), con AKA24, un veicolo progettato per il singolo conducente, miniaturizzato e dal design ergonomico, flessibile e pensato per risolvere le esigenze di mobilità della vita quotidiana nelle grandi città della Cina, congestionate dal traffico. Di nuovo c’è che basta un semplice cambio di postura del corpo per modificare la mobilità di guida: orizzontale o verticale, conduzione manuale o automatica. Quando la macchina funziona manualmente, il suo telaio è parallelo al terreno. Nel caso in cui la macchina sia in modalità automatica, il corpo dell’auto è verticale e il controllo di guida è affidato a rotaie magnetiche poste lungo i lati della strada. Infine, il terzo posto è stato assegnato a Takbeom Heogh (Corea del Sud), grazie all’originale GlenK, un camion trasformabile pensato per le complesse e dense città del futuro, che può cambiare configurazioni e dimensioni attraverso comportamenti autonomi e connessioni flessibili. Un motore collocato all’interno di ogni ruota consente ai diversi compartimenti di muoversi in modo indipendente e permette di diminuire il raggio di curva.


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DIGITALE DIGITAL

Chris Luchowiec, BOT, soluzione per il trasporto in ride-sharing completamente autonoma. Chris Luchowiec, BOT, a completely autonomous, ride-sharing transportation solution.

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Chuang Dong, AKA24, col semplice cambio di postura del corpo si può cambiare la modalità di guida: manuale o automatica. Chuang Dong, AKA24, simply changing the body posture the car can switch the driving state: driven or undriven.

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he dynamism and complexity of digital culture now offers the opportunity to revolutionize the design of urban settings and everyday life. The most interesting ideas and projects are coming from young designers capable of combining exclusively designed products that are carefully studied in the most minute detail, eco-efficient, practical, comfortable and made out of the latest materials with the ultimate goal of protecting the environment. Designers in our digital age work on the principle of redesigning the world drawing specific inspiration from the everyday side of life, seen from the viewpoint of those people who inhabit it as a socio-technological system drawing on “bottom up” operating strategies connected with specific local and contextualized requirements. Within this general methodological, conceptual and operative framework, designers do not merely create more or less decorative and commercial artefacts, but rather more experimental products that help reshape the scenarios of quality living. Whereas, as is naturally the case, the future may be seen

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Takbeom Heog, GelenK, camion trasformabile pensato per le dense città del futuro. Takbeom Heog, GelenK, transformable truck thought for future dense cities.

as something unpredictable, the present holds all the premises for various possible futures and tomorrow will be constructed around what is being created today or what is already industrially manufactured. More specifically, eco-efficiency and well-being provide an ideal testing ground for various projects experimented with on an international scale. We are heading towards a sort of planetary megalopolis resulting from a vast array of events, carefully thought out options and random happenings taking place on various different spatial and time scales. The transition towards high-tech will depend on how we set about developing an idea of shared social well-being. We will be able to live better tomorrow by consuming less and enhancing the intrinsic qualities and properties of the environment, materials and the physical-social contexts in which we live. In the environmental crisis in which we are currently living and with the application of digital culture for the purposes of both everyday life and engineering-architectural design, it is time to move on from projects (or, rather, visionary


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ideas) to concrete enterprises and possible solutions for safeguarding the quality of both the land and our lives. As regards the issue of eco-sustainable vehicles with or without drivers, the display of prototypes designed for the recently launched Michelin Challenge Design 2014 (that has now reached its10th edition) chose to focus on the theme of “Driven/Undriven: the dual nature of cars of the future�, focusing on completely autonomous means of transport. First prize was awarded to Chris Luchowiec (Poland) for BOT, a micro transportation capsule for independent ride-sharing, ideal for relatively low population density areas, designed to solve the problem of commuters, who drive alone and have to cope with all those familiar issues associated with mass transportation, such as the long reiterated periods of waiting around, the final mile, and a lack of flexibility. BOT is a little gem with a sinuous design, drawing on various different innovative technological solutions. It is driver-less, has a highcapacity lithium-air battery, artificial intelligence, structurally removable seats, and windows fitted with lumi-

nous displays. Second prize went to Chauang Dong & Team (China) and their project for AKA 24 a miniaturized vehicle designed for one single driver with a flexible ergonomic design devised for everyday driving around big cities in China that are now so heavily congested by traffic. Its innovations include the fact that it only takes a simple change in bodily posture to alter how it drives: horizontal or vertical, manual or automatic drive. When the car is operating manually, its frame is parallel to the ground. When it is shifted into automatic drive, the main body of the car is vertical and it drives along magnetic tracks placed along the sides of the road. Last but not least, third prize went to Takbeom Heogh (South Korea) with its highly original GlenK project for a transformable lorry designed for the extremely intricate and densely populated cities of the future, which can change layout and size by means of independent movements and flexible connections. An engine placed inside each wheel allows the various compartments to move around independently, thereby reducing the radius of curvature.

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Metropoli continua Seamless Metropolis Baia di Shenzhen, Cloud Citizen Shenzhen Bay Area, Cloud Citizen Progetto di UFO-Urban Future Organization, CR-Design Project by UFO-Urban Future Organization, CR-Design

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DIGITALE DIGITAL Cloud Citizen è una proposta futuristica per una città verde, iper-densa e tridimensionale. Cloud Citizen is a futuristic proposal for a green, hyperdense, threedimensional city.

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La proposta consiste in una mega struttura interconnessa che definisce una terza dimensione della città raggiungendo un’altezza di 680 metri. The proposal consists of one connected mega structure creating a third dimension of the city reaching 680 meters up in the sky.

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agli anni Cinquanta l’architettura organica è sedotta dalle potenzialità costruttive della curva in cemento; negli anni Zero, in seguito alla rivoluzione digitale, alla progettazione computerizzata, non è impossibile pianificare intere città-nuvola come simbolo di green city che si sviluppa nel cielo. In questo ambito di ricerca l’artista-ingegnere Tomas Saraceno stupisce con le sue Cloud City, e nell’architettura razionalfantascientifica, gli eredi tecnologizzati di Archigram, il team UFO-Urban Future Organization e CR-Design, non ha rivali. UFO, nel nome un destino, è un collettivo interdisciplinare che pratica un’architettura creativa e visionaria, fondato a Londra nel 1996. Nel 2014 in collaborazione con un gruppo di design computerizzato e progettazione rigenerativa della Chalmers Technical University in Svezia e con l’ambizioso e visionario progetto “Cloud Citizen” ha vinto il primo premio al concorso per la riqualificazione dell’area di Shenzhen Bay Ring in Cina. Questa città orientata alla produzione diventa una Super City, dove è un piacere vivere verde hi-tech, innovativa anche nei materiali applicati all’architettura e orientata al terziario. Questo progetto riscatta dalla fama di killer dell’inquinamento ambientale i cinesi e tenta di risolvere il problema della sostenibilità e adattabilità ambientale di fronte al cambiamento climatico globale. Cloud Citizen, definirla città verde è riduttivo, in realtà è stata progettata come integrazione, valorizzazione nonché landmark dell’area di Shenzhen Bay (ex quartiere industriale), antistante a Hong-Kong, come è accaduto a Parigi con La Défense, a Londra con Canary Wharf, a Francoforte con la ECB Area e a Mosca col Presnensky District. Cluod Citizen, fluttuante sull’acqua, s’ispira a un tradizionale e suggestivo paesaggio disegnato con la china dagli artisti cinesi e comprende moduli abitativi in cui abbondano spazi di verde pubblico, uffici, strutture ricreative e zone commerciali. L’agglomerato di strutture verticali visto da lontano si

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confonde con le nuvole, vive di energia prodotta dall’ambiente e disegna uno scenografico skyline che a qualcuno potrebbe richiamare alla memoria quei castelli di sabbia bagnata dal mare che da bambini abbiamo costruito in spiaggia. Questa città bianca è parte integrante dell’ecosistema urbano, appare leggera come il vapore acqueo, produce energia dal sole, dal vento e dalle alghe, immagazzina carbonio e filtra particelle dall’aria, è dotata di serre per le piante selvatiche e di comparti per la produzione alimentare. Si caratterizza per i numerosi parchi pensili, spazi pubblici sospesi fino a 700 metri di altezza; sembra un miraggio che s’innalza nel cielo, ma in realtà è solidissima, funzionale e confortevole. Lavoro, tempo libero e socializzazione convivono in maniera armonica in una città del futuro sognata non soltanto dai cinesi. Questa green city, che si edifica in un quartiere finanziario di 170 ettari, include un agglomerato di 350 grattacieli ecosostenibili, tra cui tre monumentali torri “totemiche” (la più alta è di 680 metri), alcuni edifici culturali, aree commerciali e per il tempo libero. Il progetto prevede un sistema di raccolta di acqua piovana, impianti eolici e fotovoltaici, sistemi innovativi per la raccolta e il riciclo dei rifiuti e per il filtraggio. Ogni spazio pubblico è collegato con un parco: polmone verde e rete di comunicazione in tre dimensioni. La funzione del parco, cuore del progetto, comprende un costante green network per la città. Questa visionaria configurazione di città futuribile, in cui natura e architettura sono interconnesse, dovrebbe educare gli abitanti a modificare e sviluppare uno stile di vita più salutare, in relazione con l’ambiente naturale perché non è l’architettura a cambiare il mondo ma il nostro modo di progettarla e di viverla. Cloud Citizen è una metropoli continua e interconnessa che si pone come modello di costruzione di grandi città contemporanee, non disdegna un‘iconografia di forte impatto scenografico, personalizzazione, comunicazione e trasforma la densificazione in un’opportunità sperimentale.


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Cloud Citizen è una metropoli continua, con lo spazio pubblico programmato sospeso in aria, che comprende spazi per uffici per un futuro centro IT, aree commerciali, culturali e per il tempo libero. Cloud Citizen is a continuous metropolis with programed public space suspended in the air comprising both office spaces for an envisioned IT industry cluster, and commercial, leisure and cultural spaces.

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ver since the 1950s organic architecture has been seduced by the structural potential of concrete curves and in the new millennium, in the wake of the digital revolution and computerized design, it is now even feasible to plan entire cloud-cities symbolizing a kind of “green city” built up in the skies. Within this particular realm of research, the artist-engineer Tomas Saraceno has astounded us with his Cloud City, and UFOUrban Future Organization and CR-Design, who are the technologicalized descendants of Archigram, are now unrivalled in the field. UFO, whose name says it all, is an interdisciplinary team designing creative and visionary architecture that was first set up in London in 1996 and in 2014, in partnership with a regenerative and computerized design team from Chalmers Technical University, Sweden, won first prize in the competition to redevelop the Shenzhen Bay Ring area of China with an ambitious and visionary project entitled “Cloud Citizen”. The project is designed to develop a production-oriented city into a Super City, whose green high-tech environment is a pleasure to live in, extremely innovative even in terms of materials applied to architecture, and carefully focused around the services industry. This project will help combat China’s reputation for being an environmental killer and, at the same time, attempt to solve the problem of sustainability and environmental adaptability in light of global climate changes. Describing Cloud Citizen as a green city is actually reductive, since it was actually designed to integrate, enhance and provide a new landmark for the Shenzhen Bay area (former industrial neighborhood) just across the water from Hong Kong, similar to what has already been achieved at La Défense in Paris, Canary Wharf in London, the ECB Area of Frankfurt and Presnensky District in Moscow. Hovering above the water, Cloud Citizen is inspired by the kind of striking traditional landscapes drawn with pen and ink by Chinese artists. It includes living units with plenty of public greenery, offices, recreation facilities and commercial areas. Viewed from a distance, this agglomerate of vertical

structures blends into the clouds and actually runs on energy coming from the environment. It has a striking skyline, which, in some people’s minds, is reminiscent of those sandcastles soaked by the sea we used to build on the beach when we were children. This white city is an integral part of the urban ecosystem and looks as light as water vapor, generating energy from sunshine, wind and seaweed, storing away carbon and filtering air particles. It is also equipped with glasshouses for wild plants and food production units. It stands out for its numerous hanging parks, public spaces suspended up to 700 meters in the air making it look like a mirage up in the sky, whereas, in actual fact, it is extremely solid, functional and comfortable. Work, free time and socializing mix together harmoniously in a kind of city of the future dreamt of not only by the Chinese. This green city built in a financial district covering 170 hectares includes an agglomeration of 350 ecosustainable skyscrapers, including three monumental “totem-like” towers (the tallest is 680 meters high), some cultural buildings, commercial areas and leisure facilities. It is also equipped with a rainwater collection system, wind and photovoltaic power systems, innovative systems for collecting and recycling waste and for filtering, with every single public space connected to a park: acting as a “green lung” and three-dimensional communications network. The purpose of the park, the real heart of the project, includes providing the city with a permanent green network. This visionary configuration of a city of the future, where nature and architecture will be interconnected, should help teach its inhabitants to alter and develop a more healthy lifestyle in relation to the natural environment, because it will not be architecture that changes the world but rather our way of designing and living in it. Cloud Citizen is a permanent interconnected metropolis offering a building benchmark for big modern-day cities. It can boast highly striking iconographic features, customization and communication, and it even transforms densification into an experimental opportunity.


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La scala complessiva è ripartita in unità più piccole e una grande varietà di spazi crea un ambiente unico per l’interazione e la creatività. Ogni spazio pubblico è collegato con un parco che funge da polmone verde e da rete di comunicazione in tutte le tre dimensioni.

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The overall scale is broken down into smaller units and a large variety of spaces creates a unique environment for interaction and creativity. Each public space is connected with a park that acts like a green lung and communication network in all three dimensions.

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Innovazioni integrate Integrated Innovations Taichung, concorso di idee Taiwan Tower Taichung, Taiwan Conceptual Tower Competition Progetto di Giampaolo Imbrighi (capoprogetto) Project by Giampaolo Imbrighi (team leader)

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Pagina a fianco, concept progettuale della struttura. Opposite page, design concept of the structure.

a Taiwan Tower mira a suggerire, se non codificare, un metodo per la progettazione di interventi sulla morfologia della forma urbana e architettonica che, oltre a soddisfare i criteri di normativi e i requisiti di adattamento ambientale, promuova l’invenzione e stimoli lo sviluppo e la produzione di nuovi materiali e sistemi di costruzione. La proposta di Giampaolo Imbrighi, capoprogetto, (con Teresa Crescenzi, CEO di A&U Engineering, Eugenio Cimino CEO di SC Co, Albera di Coding, oltre ai collaboratori) per questa conceptual competition a Taichung, si sviluppa in una zona dalla particolare orografia, dove la nuova città si va formando in una parte piana che poi si eleva a costituire quasi una barriera verso il mare. Si richiedeva un edificio dalla cui sommità si potesse vedere il mare e si integrasse con un parco in via di realizzazione. Si è immaginata una torre fogliforme dotata di un involucro, in un innovativo materiale metallico traforato, con diverse funzioni: strutturale, estetica e capace di conferire un sistema di appropriata filtratura solare in estate, con un effetto di notevole risparmio energetico. Il rapporto tra la parte trasparente e quella opaca di questa struttura cambia a seconda dell’esposizione della torre: nel lato più esposta al sole la percentuale di superficie opaca aumenterà, al fine di proteggere dall’irraggiamento solare, mentre nelle parti non direttamente colpite dal sole a causa dell’esposizione e della curvatura della forma architettonica, sarà più trasparente. All’interno della maglia dell’involucro esterno, ma indipendente da essa, una superficie trasparente di vetro protegge e illumina gli spazi interni che saranno visibili dall’esterno quando illuminati. La base dell’edificio è nascosta da una collina artificiale per essere perfettamente fusa con l’ambiente circostante ed evolve come continuazione naturale del parco. La costruzione si erge in verticale e in continuità su questo tipo di basamento naturale, assumendo forme di paesaggio vegetale. Alta circa 300 metri si articola in 55 livelli fuori terra. Le parti interrate e il podio contengono attività pubbliche, quali l’area accoglienza, il col-

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legamento alla metro, un museo e un auditorium, mentre ai primi 10 piani trovano posto attività commerciali. I piani soprastanti, destinati a residenze e uffici, sono intercalati ogni dieci livelli da piani per le funzioni tecnologiche. Ciascuno di questi moduli è dotato di giardini esterni. Dal 51° al 54° piano sono organizzati ristorante e caffetteria. L’osservatorio occupa gli ultimi due livelli, posti sotto l’elemento finale della torre, uno spazio liquido e complesso di coronamento. Le tecnologie innovative dei materiali prescelti hanno costituito un corollario irrinunciabile della progettazione dell’edificio. La tecnologia del particolare strato di cui sono ricoperti i vetri esterni cancella i depositi organici che si trovano sulla superficie. Grazie a un effetto fotocatalizzatore, i raggi UV favoriscono la decomposizione di particelle organiche che vengono pulite grazie all’azione detergente sul vetro dovuta agli agenti atmosferici. L’innovativa calza strutturale esterna, dotata di percorsi di ispezione praticabili nello spazio tra maglia e superfici vetrate, semplifica le operazioni di manutenzione. L’uso di materie prime seconde, ottenute da scarti di produzione e alla fine del ciclo vitale del prodotto, come legno, alluminio, metalli, pietre naturali ecc., consente una riduzione dell’utilizzo di materie prime con vantaggi sull’impatto ambientale. L’economia gestionale è inoltre migliorata dalla progettazione impiantistica improntata a rendimento, risparmio e recupero. La valutazione della complessità strutturale deriva dal concept formale e dalle azioni che si generano su un sistema fogliforme. Per fronteggiare le sollecitazioni principali (carichi flessionali, azioni orizzontali del vento e terremoti), si è pensato a un mantello che riproducesse la rete delle nervature esterne di una foglia e contribuisse in parallelo alla nervatura centrale in calcestruzzo armato integrato. Essenza del comportamento strutturale è il Mantle Continuous System, trasformato in un sistema a mantello discreto di elementi strutturali con un apparente disordine, con una assenza di regolarità geometrica, che assorbissero gli sforzi sino a portarli a terra, generando così un Organic Mantle System.


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he Taiwan Tower aims to define, and even to codify, a method for the design of interventions on the morphology of urban and architectural form that in addition to meeting all the criteria of local law and all requirements of environmental adaptation, is able to invent, develop and produce new technology materials and building systems. The proposal by Giampaolo Imbrighi, as team leader, (with Teresa Crescenzi, CEO of A&U Engineering, Eugenio Cimino CEO of SC Co, Albera of Coding, and other collaborators) for this conceptual competition in Taichung is developed in an area with a particular orography, where the new city is being formed in a flat part which then rises to constitute almost a barrier to the sea. The brief required a building allowing to see the sea from its top and that would integrate with a park under construction. The project envisions a leaf-like tower wrapped with an innovative metallic material perforated, with different functions: structural, aesthetic and capable of giving a system of appropriate solar filtering in summer, for an effective energy saving. The relation between the transparent and the opaque sides of this structure changes depending on the tower’s exposure: in the southern side the percentage of opaque surface will increase, in order to protect from the sun irradiation, whereas in the parts that are not directly hit by the sun because of their orientation and architectural curvature, the wrapping will be more transparent. Inside the mesh of the outer shell, but independent of it, a transparent glass surface protects and illuminates the interior spaces that will be visible from the outside when illuminated. The basis of the building is hidden by an artificial hill in order to be perfectly merged with the surrounding environment and evolves as a natural continuation of the park. The tower rises up vertically and continuously on this kind of natural hill, formally evoking natural and vegetal shapes. About 300 meters high, it develops on 55 floors above ground. The basements and the podium

host public activities, such as reception area, link to the metro line, a museum, and an auditorium, whereas the first 10 floors host commercial businesses. Above that, the floors contain residences and offices and every ten levels there is a floor for technical functions. Each of these 10-level modules includes external gardens. Floor 51st to 54th host restaurant and cafeteria. The observatory occupies the last two floors, under the tower’s final element, a sort of complex liquid space topping the building. The innovative technologies of the chosen materials have been an indispensable corollary to the building design. The technology of the special layer coating the external glasses erases all organic deposits lying on the surface. Through to a photocatalyst effect, UV rays catalyze the decomposition of organic particles, then erased thanks to the natural deterging action of the atmospheric agents on the glass surface. The innovative external structural wrapping, with walkable inspection paths between the external network and the glass surfaces, simplifies all the maintenance operations. The use of second raw materials, obtained from the production waste and in the end of the product life-cycle, such as wood, aluminum, metals, natural stones, etc., allows a reduction in the use of raw materials, with advantages on the environment impact. Management economy is further improved by the plants planning characterized by efficiency, saving and recycling. The evaluation of structural complexity derives from the formal concept and from the actions generated by such leaf-like system. To face the main stresses (flexion loads, horizontal wind loads, earthquakes), the project envisions a mantle reproducing the network of external venation of a leaf and combining with the central rib made of integrated reinforced concrete. The key of such structural performance is the Mantle Continuous System, transformed in a mantle system of apparently disordered structural elements, with no geometric regularity, capable to transfer the loads to the ground, thus generating an Organic Mantle System.


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Il concept strutturale della maglia esterna consente di liberare lo spazio interno dagli elementi verticali in modo da garantire un’ampia flessibilità funzionale e la differenziazione spaziale di ogni piano. The structural concept of the exterior wrapping allows freeing the inside space from the vertical elements in order to ensure a broad functional flexibility and the diversification of each floor.


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IdentitĂ biotech Biotech Identity Istanbul, Isola HavvAda Istanbul, HavvAda Island Progetto di Dror Benshetrit Project by Dror Benshetrit

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DIGITALE DIGITAL Questo progetto di 16.535.000 m2 è un’isola verde composta da sei colline di diverse dimensioni disposte in cerchio intorno al centro urbano. This 16,535,000 m2 project is a green island made of 6 hills of different sizes circling the downtown center of the city.

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ei micro ambienti di varie dimensioni (230-400 metri), intorno a un nucleo centrale, tipo anfiteatro, più artificiali che organici, ognuno sostenuto da una cupola geodetica, colline verdi sinuose come dune del deserto concepite per ospitare residenze, un Quartiere dell’Istruzione, una Collina dell’Intrattenimento, Aree per la Salute e lo Sport e il Quartiere degli Affari, comunicanti tra loro attraverso passerelle e funivie. Questa in sintesi è l’isola di HavvAda (dal diametro di 3 km, mentre quello della conca centrale è di 1 km) progettata dall’architetto e designer turco Dror Benshetrit, che ha aperto una sede a New York nel 2002. Autore di una produzione originale in cui architettura, design e moda si integrano e ruotano intorno al tema dell’abitare e dell’ambiente. Lo studio esplora le potenzialità di progettazione digitale con progetti che aprono nuove riflessioni e prospettive creative green ethics, ed è noto in Italia per

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prodotti disegnati per Alessi, Boffi, Levis e Puma. L’isola artificiale turca è pensata come organismo vivente, un paesaggio che si adatta alle dinamiche micro ambientali del territorio circostante. Questo ambizioso Paradiso artificiale, utopistico e rivoluzionario propone un nuovo e complesso modello di griglia urbanistica in grado di armonizzare la funzionalità con le esigenze di compatibilità ambientale, ingegneria e cultura digitale. Tutte le città del futuro dovranno risolvere problematiche attuali quali: sovraffollamento, traffico e soprattutto inquinamento. HavvAda si basa su forme geometriche (cerchio e triangolo) e la loro valorizzazione strutturale. Ciascun edificio è costruito usando la geometria QuaDror: un sistema strutturale di sostegno innovativo brevettato da Dror. HavvAda (prende il nominativo dall’ebraico Havva, da Haia, vivere, “colei che dà vita”) si sviluppa intorno al cerchio e in orizzontale più che in verticale e po-


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trebbe ospitare 3.000.000 abitanti. È interamente disegnata in 3D, e infatti sembra lo sfondo ideale per il film Avatar parte seconda. HavvAda s’ispira ai concept di città-giardino, alle teorie del design urbano di Ebenezer Howard, ai paradigmi della sostenibilità dell’Anarchist Urban Ecosystem di Nathan Revercomb e agli studi di Bukminster Fuller. Quest’isola sostenibile propone un nuovo habitat in bilico tra natura e cultura digitale, tra design fluido e urbanistica utopistica del futuro e poggia sul concetto che la natura da sfondo deve diventare modello architettonico, tenendo in considerazione la progettazione delle trasformazioni dell’ambiente fisico e la creazione di eden artificiali. L’isola per il momento non c’è ancora, ma pare sia stata progettata come antidoto alla proposta del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan di costruire un canale tra il Mar Nero e il Mar di Marmara nel Bosforo, a Istanbul. L’isola artificiale abitabile dovrebbe,

secondo l’autore, risolvere problemi ambientali, poiché sarà autosufficiente nell’alimentazione di energia, ricorrendo a un parco eolico offshore e pannelli solari situati sulle pendici e, al posto di condizionatori per controllare la temperatura, pomperebbe l’acqua marina attraverso un anello di acqua refrigerata per fornire freschezza a tutta l’isola. Le pendenze vengono sfruttate per creare un sistema di ventilazione naturale, mentre la presenza del verde in copertura consente di aumentare le prestazioni termiche sia del riscaldamento che del raffreddamento. Il centro dell’isola, che è il cuore della nuova città galleggiante, rappresenta il luogo d’incontro e di integrazione dove abitanti ed edifici sono collegati tra loro tramite percorsi posizionati lungo la circonferenza di ciascuna collina. L’identità biotech di HavvAda propone un’organizzazione della vita comunitaria ispirata agli studi dei modelli di ripartizione dell’energia del corpo umano.

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Ogni isola sorge su una megastruttura sferica che sostiene le residenze sui fianchi della collina stessa e la vita comunitaria al centro. Each hill rises up on top of a mega structural sphere that supports the residences on the hillsides and a community life at the center.

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ix micro-environments of various sizes (230-400 m), set around a central amphitheater-style core, which are more artificial than organic, each held up by a geodetic dome, winding green hills that look like sand dunes in the desert designed for accommodating residential quarters, an Education Quarter, an Entertainments Hill, Health and Sports Areas, and a Business District, all interconnected by pathways and cableways. This, in a nutshell, is the island of HavvAda (measuring 3 km in diameter, while the diameter of the central bowl is 1 km) designed by the firm run by the Turkish architect and designer Dror Benshetrit, who opened offices in New York in 2002. The creator of an original range of works in which architecture, design and fashion blend together and hinge around the issue of dwelling and the environment. The firm explores the potential of digital design through projects studying the creative prospects and potential of green ethics. It is well known in Italy for the products it has designed for Alessi, Boffi, Levis and Puma. This manmade island in Turkey is designed like a living organism, a landscape that adapts to the micro-environmental dynamics of the surrounding land. This ambitious manmade utopian and revolutionary Paradise offers a brand-new and complex vision of grid-based town-planning capable of bringing functionality in line with the specific needs of environmental compatibility, engineering and digital culture. All cities of the future will have to deal with such cuttingedge issues as: crowding, traffic and, above all, pollution. HavvAda is based around geometric forms (the circle and triangle) and how they can be exploited structurally. Each building is constructed using QuaDror geometry: an innovative structural support system patented by Dror. HavvAda (whose name comes from the Hebrew word Havva from Haia meaning to live, “she who gives life”) is developed around a circle, more horizontally than vertically, and can accommodate 3 million inhabitants.

It is entirely 3-D designed and actually looks like the ideal backdrop for the film Avatar, Part 2. HavvAda is inspired by concepts for a garden-city, Ebenezer Howard’s theories of urban design, paradigms of sustainability devised by Nathan Revercomb’s Anarchist Urban Ecosystem, and Buckminster Fuller’s studies. This sustainable island offers a completely new type of habitat poised between nature and digital culture, fluid design and utopian town-planning of the future (but of a déjà vu kind) and is based on a concept according to which nature must be more than a backdrop, it must provide architectural guidelines, taking into account plans for transformations to the physical environment and the creation of man-made Edens. For the time being the island does not exist, but apparently it has been designed as an antidote to Recep Tayyip Erdogan’s proposal (the Turkish Prime Minister) to construct a canal between the Black Sea and the Sea of Marmara in the Bosphorus, Istanbul. According to its designer, this inhabitable man-made island could solve environmental issues, since it will be self-sufficient in terms of its energy supply, making use of an offshore windfarm and solar panels located on the slopes. Instead of using air-conditioners to control the temperature, it will pump seawater through a refrigerated water loop to cool the entire island. Slopes are exploited to create a natural system of ventilation, while landscaping on the roof will improve the thermal ratings of both the heating and cooling systems. The center of the island, which is the heart of the new floating city, will provide a meeting and integration place, where the inhabitants and buildings are connected together by means of pathways placed along the contour of each shope. HavvAda’s biotech identity envisages the organization of community life inspired by studies into models for the breaking down of energy by the human body.


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Gli edifici sono orizzontali e circondano le colline a diversi livelli. Sono tutti interconnessi e radicati alla base periferica della collina. La struttura degli edifici e l’infrastruttura dell’isola sono integrate.

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The buildings are horizontal, circling the hills at different levels. They are all connected one to another and grounded at the peripheral base of the hill. Buildings structure and island infrastructure are integrated.


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La conca centrale con un diametro di 1 km costituisce uno spazio ideale per parchi e centri ricreativi.

The 1-km diameter central valley offers ideal space for parks and recreation centers.

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La sfida del veliero The Sailing Ship Challenge Parigi, Fondazione Louis Vuitton Paris, Foundation Louis Vuitton Progetto di Gehry Partners Project by Gehry Partners

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DIGITALE DIGITAL Il volume della Fondazione Louis Vuitton, posato su un bacino artificiale come un grande vascello, è rivestito da dodici vele vetrate che giocano con gli effetti di luce e i riflessi sposando l’ambiente naturale.

Set on an artificial water garden like a large vessel, the Foundation Louis Vuitton is enveloped by twelve glass sails playing with light and mirror effects, and blending with the natural environment.

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Con una superficie complessiva di 11.000 m2, l’edificio offre 11 gallerie espositive, un auditorio con una capacità da 360 a 1.000 persone, e terrazze con viste panoramiche su Parigi. With a total surface area of 11,000 m2, the building offers 11 exhibition galleries, a 360-to-1,000-seater auditorium, and terraces with panoramic views over Paris.

no spettacolare veliero luminoso simile a una nuvola di vetro, soprannominata “Iceberg”, da ottobre del 2014 si libra nel Jardin du Bois de Boulogne tra alberi secolari del Jardin d’Acclimatation: è la Fondazione Louis Vuitton appoggiata su specchi d’acqua artificiali che scorrono attraverso una cascata e ha modificato lo skyline del XVI Arrondissement e di Parigi. Questo nuovo centro di cultura e mondanità, galleggiante nel verde dell’ex parco reale, aperto al pubblico sotto Luigi XIV e tra i più noti al mondo, si estende nella zona ovest de la Ville Moderne per eccellenza. È un gioiello d’ingegneria firmato Frank O. Gehry (Toronto 1929), archistar che a 86 anni rende omaggio alla grandeur della Francia e al suo committente Bernard Arnault, presidente e CEO della holding del lusso LVMH, proprietaria della celebre Maison LV. Questo apparente vascello è composto da quattro terrazze con giardini pensili, undici gallerie, uno studio, una libreria, un auditorium dalle configurazioni variabili e dalla capacità scalabile da 360 a 1.000 persone al piano interrato, spazi per ospitare sia la collezione permanente sia mostre temporanee, una cascata con passeggiate e un ristorante. È subito diventato un riferimento internazionale, icona della progettazione digitale realizzato grazie al software 3D Digital Project, sviluppato da Gehry Technologies e sulla base del software Catia di Dassault Systèmes, già pluripremiato in Francia e negli USA e iscritto nel programma del ciclo di studi in architettura dell’università di Harvard. Il veliero flottante nel cielo riflette l’ambiente verdeggiante che lo circonda ed è stato ideato nel rispetto delle regole della costruzione sostenibile e delle complesse problematiche ecologiche.

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La Fondazione prevede di raccogliere le acque pluviali utilizzate per la pulizia, l’irrigazione e l’alimentazione del bacino sulla quale galleggia. L’edificio hi-tech è di una modernità stridente per la frenetica Ville Lumière, ancor più contraddittorio se confrontato con i vicini grattacieli. Contenitore dall’appeal pervasivo, pensato per ospitare eventi di moda, arte e musica contemporanea, seduce per le sue forme organiche, le linee sinuose tecno-Art Nouveau e rappresenta una sfida progettuale ingegneristica. La struttura metallica, alleggerita da forme non statiche, suggerisce l’idea di un perenne divenire. La difficoltà degli assemblaggi e l’unicità di ogni componente dell’edificio – dai 19.000 pannelli in Ductal® ai 3.584 pannelli in vetro – hanno portato gli ingeneri ad adattare i processi industriali a una fabbricazione su misura per realizzare le dodici vele semitrasparenti sostenute da una complessa struttura di metallo e travi di legno stratificato. Incastonati tra le vele, si ergono i blocchi scatolari bianchi che contengono le diverse funzioni richieste dal programma progettuale, collegati tra loro da percorsi e terrazze panoramiche che si aprono a viste mozzafiato su Parigi. L’attraversamento dello spazio interno nel dipanarsi tra metalli, vetri e legnami che sorreggono la struttura attraverso intricate passerelle, anfratti, saliscendi, è una inusuale esperienza estetica e motoria di rara intensità, in bilico tra narrazione e sensazione, sogno e realtà, memoria e contemporaneità. L’ardita struttura della Fondazione Vuitton rappresenta il proseguimento dell’avventura culturale e progettuale della città che dalla Tour Eiffel a oggi ha investito nell’architettura di forte impatto scenografico.


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Pagina a fianco, particolare dell’ingresso della Fondazione. Opposite page, detail of the entrance of the Foundation.

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spectacular sailing ship that looks like a cloud of glass, nicknamed “Iceberg”, has been standing in Jardin du Bois de Boulogne since October 2014 amidst all the old trees and woodlands of the Jardin d’Acclimatation: it is actually the Fondation Louis Vuitton resting gently on artificial pools of water that flow like a waterfall and have altered the skyline of the 16th Arrondissement and Paris in general. This new center for culture and society closing, floating around the greenery of the old Royal Park that first opened to the public during the reign of Louis XIV and is one of the most famous in the whole world, extends into the western part of the Ville Moderne by definition. This engineering marvel was designed by Frank O. Gehry (Toronto 1929), an archistar, who, at the age of 86, is paying tribute to France’s grandeur and the project’s patron, Bernard Arnault, President and CEO of the luxury holding LVMH, owner of the famous Maison LV. Looking rather like a sailing vessel, it is composed of four terraces with hanging gardens, eleven galleries, a studio, a library, an auditorium with various different layouts and capacity ranging from 360-1000 people on the basement level, spaces for hosting both the permanent collection and temporary exhibitions, a waterfall with passageways, and restaurant. It immediately became an international benchmark, an icon of digital design created using 3-D Digital Project software developed by Gehry Technologies based on Catia software by Dassault Systèmes, a multi-award winner in France and the United States and now included on the architecture syllabus at Harvard University. This sailing ship floating in the sky reflects the landscaped environment around it and was designed in conformance with the rules and

regulations of sustainable building and eco-friendly problematic complexes. The Foundation plans to collect rainwater to be used for cleaning, irrigation and supplying the pool of water it floats on. This high-tech building is incredibly modern for the frenetic Ville Lumière, even more contradictory if compared with the neighboring skyscrapers. Its pervasive appeal, designed for hosting fashion, art and contemporary music events, seduces us with its organic forms, sinuous techno-Art Nouveau lines and is a real designengineering feat. The metallic structure, livened up by non-static forms, conjures up the idea of a process of constant becoming. Assembly issues and the uniqueness of each building component – ranging from the 19,000 Ductal® panels to the 3,584 glass panels – forced the engineers to adapt the industrial processes to customized manufacturing to create the 12 semi-transparent sails held up by an intricate metal structure and stratified wooden beams. The white box-shaped blocks containing the various functions referred to in the design brief are wedged between the sails, connected together by pathways and panoramic decks offering breath-taking views across Paris. Crossing the interior space amidst the maze of metal, glass and timbers that support the structure by means of intricate passageways, gorges and ups-and-downs, is an unusual aesthetic-motor experience of rare intensity, poised between narration and sensation, dreaming and reality, the past and present. The Foundation Vuitton’s bold structure is a continuation of the cultural-design adventure of the city Paris, which, ever since the Eiffel Tower, has always invested in visually striking architecture.


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