A p ar mv news n 5 anno 6

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A.P.AR. Associazione Parkinsoniani Aretini Sezione Valdarno „ Frere Elza‟- c/o“La Bartolea” Via dei Mille 2 - 52025 Montevarchi Aperta il sabato da 9,30 a 11,30 - Resp. Andrea Guido Checcacci Tel.3393771813 - Email: apar.valdarno@libero.it. Codice IBAN c/c postale: IT04W0760114100000079124087 - Visitate il CONOSCEREXAIUTARE

COMUNICATO

sito: http://aparparkinson.wordpress.com/ C.F. A.P.AR. 92040450519 per destinare il 5 per mille.

N. 5 anno 6

A.P.AR. news

ONLUS Sezione Valdarno

agosto 2015

Indice Pag.1 A. Checcacci – Notizie dall‟Associazione 2 A. Guerrini – Il Parkinson 3 L. Laschi – La Logopedia 4-5 M. Alvisi – In marcia con la malattia che cambia

NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE

6 M. Prosperi – I Proverbi 6 G. Mantovani – I Pensieri 7-8 R. Favaro – Amarcord

di Andrea Guido Checcacci

PARKINSON OGGI. CHI LO CONOSCE? E L’A.P.AR. CHI LA CONOSCE? Si parla troppo poco del problema PARKINSON. La nostra attività si svolge in Montevarchi, in parte alla Bartolea ed in parte alla Casa di Riposo di Montevarchi. Alla Casa di Riposo viene svolta l'AFA speciale (Attività Fisica Adattata) organizzata dal distretto ASL8 in collaborazione con l'UISP che fornisce gli istruttori ed esplicata su un disciplinare specifico per i malati di Parkinson. E' l'attività con un maggior numero di ore settimanali. Abbiamo inoltre incontri di Logopedia e Canto terapia che aiutano i malati a recuperate una corretta respirazione, deglutizione e ritmo nel parlare oltre ad aumentare il tono della voce. Abbiamo messo insieme anche un piccolo coro che si è esibito in alcune manifestazioni pubbliche a Montevarchi. Abbiamo iniziato anche a fare incontri sull'alimentazione con una biologa nutrizionista perché parte importante nel buon funzionamento delle medicine, dato che alcuni alimenti ne contrastano la piena efficacia. In tal senso abbiamo anche iniziato la raccolta di ricette della cucina mediterranea per suggerire un po' di fantasia nell'alimentazione del parkinsoniano. Le abbiamo pubblicate e presentate il 27 giugno 2015 al nostro tradizionale appuntamento del pranzo sociale. Alla Bartolea teniamo incontri di gruppo per danza terapia, non ballo ma movimenti a tempo di musica rilassante per lo spirito e stimolanti per il fisico e incontri di sostegno psicologico sia con i pazienti che con i familiari, attività importantissima viste le tante problematiche che genera in famiglia la malattia. Ci occupiamo anche di informare i soci sulle novità in campo medico ed anche in campo legislativo in relazione con la malattia tramite vari canali: organizziamo conferenze, riportiamo articoli apparsi sui media tramite un blog e pubblichiamo periodicamente un giornalino, dove i soci possono esprimersi sia sulla malattia che su qualsiasi argomento. Le nostre attività sono integrative al trattamento farmacologico, essenziale per attenuare i sintomi della malattia che non ha ancora una speranza di guarigione, i nostri sforzi tendono a far vivere una normalità a queste persone. Ultimamente anche l'ambiente medico si è reso conto che queste terapie integrative sono efficaci per migliorarne la qualità della vita. Speriamo che le ricerche in atto sulle cellule staminali diano conferme ai primi esperimenti positivi fin qui effettuati. Recentemente l'associazione IN MARCIA, il cui nome si addice bene anche a noi perché i malati cercano di continuare la propria "marcia" nonostante le grosse difficoltà personali! ci aiuta nel trasporto dei pazienti alle terapie. Per informazioni sull'associazione potete utilizzare i nostri recapiti. 1


IL PARKINSON

di Angiolino Guerrini

LE INFORMAZIONI L‟estate è appena iniziata (prima decade di luglio 2015) e già si leggono notizie strampalate su alcuni autorevoli quotidiani nazionali. La notizia è appariscente e bene ha fatto Rossana Leone in Facebook Area Parko a intervenire subito: ”I titoloni di questi giornali on line (purtroppo tanti si fermano ai caratteri grandi che visivamente si percepiscono immediatamente) non fanno altro che evidenziare un paradosso; ovvero il Parkinson genera dei "mostri" privi di sensibilità e di coscienza per ciò che fanno. Sono sempre più convinta che ogni persona abbia un suo modo del tutto peculiare di essere, di porsi nei confronti degli altri e della vita in generale; ha un suo modo particolare di "rispondere" alle sollecitazioni e a tutti gli stimoli che riceve. Con buona sorte del Parkinson che resta pur sempre una brutta malattia, ma non l'orco che si "mangia" la personalità del malcapitato! Sicuramente accentua le caratteristiche già presenti, lavorando su ciò che trova nel profondo della persona. Ho cercato le fonti di questa notizia … si può leggere l'abstract in una rivista scientifica, più accredita: Pub Med. Ce ne sono altri di articoli che studiano la contorta personalità di Hitler (faceva anche uso di anfetamine...). La teoria è vecchia di decenni, ma non c'è nulla di scientifico: analisi di dati storici, connessi all'ipotesi, senza fondamento, che Hitler fosse affetto dalla malattia di Parkinson e che sia stata questa ipotetica condizione clinica a favorire decisioni "sbagliate” e "inumane". E così, i malati di Parkinson diventano tutti potenziali assassini, pazzi furiosi senza etica e inclini allo sterminio di massa. Ogni malato è un caso a sé, è vero, ma non si ha prova alcuna, nemmeno empirica, che la Malattia di Parkinson possa deformare a tal punto la personalità o portare a un comportamento anche lontanamente riconducibile a quello del dittatore tedesco. Credo non valga la pena di parlarne ancora. Piuttosto meglio spostare l'attenzione su di noi, persone col Parkinson, e sulle tante difficoltà che viviamo quotidianamente.”. Le cause che scatenarono la Seconda Guerra Mondiale con i suoi oltre cinquanta milioni di necrologi fu di natura politico economico, tant‟è che la paura (e un po‟ di buon senso) indussero a sottoscrivere trattati. Ad esempio il Trattato di Roma fu sottoscritto nella capitale italiana il 25 marzo 1957 e rappresenta il momento decisivo del processo costitutivo della Comunità Europea. I sei Paesi firmatari (Francia, Germania, Italia, Belgio, Lussemburgo e Olanda) istituirono con detto Trattato una Comunità Economica Europea (CEE). Infatti, l‟esigenza di un processo d‟integrazione europea fu sentita per prevenire nuovi conflitti in Europa, in particolare riavvicinando Francia e Germania, i maggiori antagonisti continentali delle due guerre mondiali. Come di consueto i Parkinsoniani restano in fiduciosa attesa dal mondo della ricerca scientifica. Chi soffre di Parkinson, in questa parte dell‟anno in un clima estremo, quale la calura, determina un altro elemento di sofferenza, ha bisogno di trascorrere l‟estate, in un ambiente di quiete. I mezzi d'informazione dovrebbero dedicarsi al dramma e all'emergenza, vere, che riguardano le condizioni di vita delle persone e delle famiglie. Il Parkinson coinvolge 300.000 malati in Italia, che raddoppieranno nei prossimi 15 anni. 80.000 di questi hanno meno di 50 anni, mentre 20.000 bambini in età scolare hanno un genitore con il Parkinson. Tra l‟altro in Italia c'è carenza di farmaci specifici. Inoltre, va segnalato che il 60% dei pazienti non riceve cure adeguate. (Fonte: Parkinson Italia).

Buone vacanze a tutti Le attività terapeutiche riprenderanno tutte a settembre. Primo appuntamento con l‟AFA lunedì 7/9 ore 9, RSA MV. 2


LE TERAPIE

di Lara Laschi Logopedista

Difficoltà nel masticare e deglutire: disfagia, aspirazione, inalazione e lenta masticazione In una persona con malattia di Parkinson i disturbi della masticazione o nella fase di trasporto orale sono sufficientemente diagnosticabili con la visita logopedica; altrimenti in casi in cui la natura e la gravità delle difficoltà deglutitorie non siano chiare, il logopedista può valutare l‟opportunità di indicare tecniche diagnostiche ulteriori per mezzo di videofluorografia e FEES. Nella determinazione dei disturbi legati alla deglutizione c‟e‟ la possibilità di incorrere in una sottostima, poiché potrebbe essere presente un (iniziale) problema di deglutizione senza che la persona se ne lamenti. Un graduale adattamento legato alle difficoltà di deglutizione, come mangiare più lentamente o bere a piccoli sorsi, non viene percepito da tutti i soggetti come un disturbo. I campanelli d‟allarme da tenere presente durante l‟alimentazione sono: - presenza di tosse durante o subito dopo il passaggio di cibo; - permanenza di cibo in gola e difficoltà respiratorie; - numerosi tentativi di deglutizione per un solo boccone; - aumento della salivazione o di muco durante o dopo i pasti; - dopo la consumazione dei pasti, comparsa di raucedine o voce “gorgogliante”; - modesto e costante rialzo febbrile durante le ore pomeridiane; - perdita di peso e/o disidratazione. Le indicazioni per gestire al meglio il problema della disfagia sono quindi quelle di alimentarsi lentamente durante la fase ON in un ambiente tranquillo e silenzioso; seduti con la schiena dritta, i piedi ben appoggiati e la testa leggermente flessa in avanti con il mento verso il petto. Ogni due o tre deglutizioni eseguire qualche colpo di tosse e una deglutizione a vuoto. Prima del pasto stimolare la muscolatura deglutitoria consumando un alimento freddo e triturato (ghiaccio, granita), dopo il pasto mantenere la posizione eretta per almeno 30 minuti. In casi più complessi, mediante controlli e valutazioni multi professionali, sarà necessario adottare adeguate strategie e/o posture e/o adattamenti alimentari.

LE RICETTE Progetto alimentazione per i Parkinsoniani, con il contributo del Comune di Montevarchi e la collaborazione del Distretto Valdarno Raccolte dai Soci Prima serie di: Andrea Checccacci, Giovanna Mantovani, Anna Chiara Pardi, Maria Prosperi.

La pagina di copertina della nostra ultima pubblicazione con il logo A.P.AR. news. Con la collaborazione di alcuni Soci e familiari, abbiamo dato inizio ad una raccolta di ricette ispirate alla tradizione culinaria del Valdarno, ricomprese nell‟arco della cucina mediterranea. La Malattia di Parkinson si contrasta in maniera più efficace alimentandosi con una sana cucina, così da realizzare un‟adeguata cura senza stravolgere le proprie abitudini alimentari. 3


IN MARCIA CON LA MALATTIA CHE CAMBIA da Dott. Mario Alvisi - Psichiatra Montevarchi 20/06/2015 Il Parkinson è una malattia degenerativa di una zona nel tronco dell‟encefalo la cui causa è sconosciuta e dopo la malattia di Alzheimer è la più diffusa, con una frequenza di 150 casi su 100.000. Non si conosce l„origine del Parkinson ma, sicuramente in corrispondenza del locus niger, che si trova nella parte basale dell‟encefalo, c‟è una perdita di neuroni con una conseguente depigmentazione. La frequenza della malattia nella popolazione aumenta con l‟età giungendo all‟1-2% oltre i 65 anni. L‟esordio della malattia è insidioso e solitamente i segni si verificano monolateralmente per mantenersi a lungo asimmetrici. I segni: - tremore parkinsoniano che si manifesta a riposo e si riduce o scompare durante i movimenti volontari mentre si accentua nell‟affaticamento, nelle emozioni, negli sforzi intellettivi e scompare nel sonno; - acinesia-ipertonia, la prima provoca riduzione e lentezza dei movimenti, i gesti devono essere pensati e il volto presenta amimia e riduzione dell‟ammiccamento spontaneo; nei movimenti del camminare l‟acinesia provoca perdita del penzolamento delle braccia. L‟ipertonia è responsabile di una riduzione della mobilità passiva con rigidità del polso e del gomito (troclea dentata). - riduzione o perdita completa dell‟odorato, Deficit che un po‟ conosciamo nei momenti di grave infreddagione e che, sappiamo, profondamente influisce nell‟amore. Il quadro clinico e il trattamento possono essere anche complicato dalla comparsa di disturbi psichiatrici con sintomi di depressione talvolta reattiva, confusione e allucinazioni. Le allucinazioni possono essere molto marcate ma non si accompagnano ad ansia bensì a perplessità. Questa sintomatologia è provocata dai farmaci con cui è curato il Parkinson la cui riduzione però è spesso all‟origine di aggravamento nella malattia di base; uguale aggravamento può verificarsi con psicofarmaci associati per la cura di questi disturbi. Ci troviamo quindi di fronte ad un quadro molto complesso, dove non sono possibili né una guarigione né una stabilizzazione e non c‟è nemmeno un sintomo specifico per cui prendere un‟Aspirina e borbottando poterselo far passare sentendosi però un po‟ padroni della propria malattia. Non c‟è nemmeno un po‟ di confusione e involuzione mentale pur avendo un danno cellulare nei nuclei della base. Il Parkinsoniano conosce tutti i sintomi, i segnali positivi e negativi e sa misurare e giudicare ogni evento (1). Quando la malattia torna in campo con un peggioramento serve innanzi tutto l‟impegno a combattere la paura e a tirare fuori la parte migliore di se stessi valorizzando quello che si ha e utilizzandolo per acquisire sicurezza (1). Quando la persona affetta da Parkinson sta male, è come se si portaste addosso al proprio personale manicomio di sintomi (cioè vive come in una gabbia) con impedimenti, esclusioni e derisioni da cui può uscire solo dialogando dentro se stesso o con altri in un setting terapeutico (organizzazione e condivisione di realtà e livelli emotivi) (2). Già questo esempio, con tanti altri che potremmo trovare in Medicina, mostra che la salute non è un‟entità fissa. Essa varia per ogni individuo in relazione ad elementi interni ed esterni; il ruolo del medico sarebbe importantissimo nell‟aiutare le persone ad adattarsi alle nuove condizioni. Il rapporto dell‟individuo con la propria malattia anche soggettivamente è progressivamente molto cambiato, per quello che possiamo sapere, dai secoli della preistoria ai secoli a noi più prossimi, dai tempi in cui l‟uomo era immerso nella natura a quelli in cui ne cercava la collaborazione, tentando poi, come ora, di renderla sottomessa. Passiamo dai tempi in cui gli eventi naturali erano spesso mortali, salvo in favorevoli coincidenze di clima e di fauna non aggressiva, a quelli in cui l‟uomo iniziò, magari casualmente, a ripararsi con un muro e un tetto coltivando il fuoco in ambienti non pericolosi (grotte, templi, case) potendoli spostare e quindi per utilizzarli senza perderne il controllo. Stiamo evidentemente parlando di un viaggio durato milioni di anni di cui alcuni studiosi riescono a trovare tracce nei reperti dentro le tombe, caratterizzandoli come virus o addirittura tracce di DNA, e che all‟inizio non erano nemmeno comprese dagli interessati. E‟ un progressivo e reciproco riconoscersi dell‟uomo e dell‟agente patogeno (il corpo estraneo che entra in contatto con l‟individuo facendolo ammalare); in questo senso ritengo si possano considerare agenti patogeni sia le pietre, le frecce, la bomba atomica, i batteri e i virus che a loro volta possono trovare gli individui più fragili riconoscendone i punti più aggredibili. Si crea come un equilibrio per cui la fragilità dell‟uomo e la potenza del suo aggressore stabiliscono il realizzarsi della malattia o il mantenersi della salute. Infatti, così come l‟individuo tenta di spostarsi di fronte ad un colpo di fucile o di riscaldarsi quando in contatto con un virus influenzale mantenendo la salute, anche il fucile può essere a pallettoni e il virus particolarmente patogeno creando gravi malattie. Elementi sempre caratterizzanti la malattia sono il dolore e la sofferenza che permettono una valutazione

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dell‟effetto della cura. Comprendere (dal lat. cum prehendere) il dolore da un punto di vista soggettivo vuol dire afferrare, penetrare con la mente, capire e implica i diversi livelli di empatia che si stabiliscono con l‟altro. Parlare di malattia implica una distinzione tra dolore fisico e morale e sebbene non sia facile una distinzione tra dolore e sofferenza, che sono considerati quasi sinonimi; va precisato che il dolore non è una creazione soggettiva, mentre la sofferenza è il modo di sentirlo di ciascuno ed è questo che ci accompagnerà nel ricordo, nel tempo. E‟ anche importante ricordare, come si diceva all‟inizio, che il dolore ha significato diverso secondo chi lo percepisce (alcuni individui hanno una soglia bassa cioè lo sentono prima, altri hanno una soglia alta e il dolore lo sentono dopo) e secondo le epoche e della cultura cui gli individui appartengono. Ben diverso è il modo di vivere il dolore nella cultura consumistica moderna o nel pensiero degli antichi Romani del tardo Impero, convertiti alla Fede in Cristo, che stava in quel tempo nascendo, per cui il dolore era strumento di redenzione. La definizione di cosa è la salute ci viene autorevolmente data dall‟OMS. Il 7 aprile 1948 l‟OMS, entrando nell‟ambito delle Nazioni Unite, definì che “la salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non una mera assenza di malattia o infermità”. Successivamente (1978) l‟OMS “riafferma con forza che la salute, come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale è un diritto fondamentale dell‟uomo e presuppone la partecipazione di numerosi settori socio-economici oltre che di quelli sanitari”. Più o meno contemporaneamente si andavano maturando nuovi concetti di salute: capacità di gestire (coping) le malattie, la capacità di adattarsi e autogestirsi. Nel 2009 un editoriale di Lancet (importante rivista medica di lingua Inglese) dal titolo “Cos‟è la salute?” ricorda che un medico e filosofo francese, Georges Canguilhem nel 1943 aveva pubblicato un libro dal titolo “Il Normale e il Patologico” dove il concetto di salute si associa alla capacità di adattarsi all‟ambiente. La salute è definita non dal medico, ma dalla persona in relazione ai suoi bisogni di funzionamento. Il ruolo del medico è di aiutare le persone ad adattarsi alle nuove condizioni. Vi rendete ben conto quanto sia diversa questa impostazione del rapporto tra quella seguita da qualsiasi anche buon operatore, pagato o volontario, e quella indicata dall‟OMS. D‟altra parte il concetto di salute deve confrontarsi con una realtà in cambiamento e quello che per l‟OMS andava bene negli anni quaranta del secolo scorso, quando la popolazione era “giovane” e le malattie erano prevalentemente acute, non va più bene per una popolazione come la nostra, sempre più vecchia e con malattie croniche. In questi casi è possibile attuare un modello che fa leva sulla prevenzione, sulle risorse della comunità, sull‟empowerment delle persone. La terapia di Gruppo aiuta ad apprendere come gestire la malattia e come stimolare la capacità di adattamento dei pazienti. Il Gruppo si pone come una terza raffigurazione del rapporto di due individui che, oltre a sottrarsi all‟approccio individualistico proprio della psicologia ma anche a quello economicistico della sociologia, è caratterizzata da empatia e dialogo (3). Il gruppo famigliare del Parkinsoniano è gravemente sovraccaricato materialmente e affettivamente per rispondere alla diminuzione di autonomia fisica e alla necessità di vivere sentimenti forti e rassicuranti. Spesso scoprire di soffrire il Parkinson è fonte di ripensamento alla propria vita con insicurezza, perdita di ruolo e limitazione delle capacità fisiche. Gli obiettivi del proprio futuro, i propri sentimenti possono addirittura essere negati e questo può portare a essere meno inclini verso il partner sia a livello affettivo sia sessuale, o a pensare che l‟abbandono sia avvenuto o avverrà da parte sua. Qualunque sia l‟ambito della preoccupazione è importante che l‟interessato sia favorito nel parlarne liberamente, magari consigliando l‟aiuto di uno specialista in modo di ridurre le tensioni, risolvere i dubbi e non allontanarsi. Servono legami affettivi forti in tutti i sensi per affrontare e vivere una vita dura in cui è indispensabile sempre la massima sincerità perché la vita sia appagante anche per chi soffre di Parkinson. Legami che possono ricostituirsi nelle Associazioni ove si favoriscano rapporti di auto-aiuto o con il proprio mondo interno di cui si teme il crollo totale. Mi piace pensare che legami di auto-aiuto possano stabilirsi tra diverse associazioni dando le basi a una forma di “globaiuto”, nel rapporto tra specificità diverse, nello spazio tra sociale e mondo interno ove tutti, in un modo o nell‟altro ci si arricchisce di contributi reciproci. Marciare non è più necessariamente uno sforzo da soldati ma un richiamo, un coinvolgimento sui tempi e sicuramente affermazione di non essere soli ma con qualcuno accanto. 1) Guerrini Angiolino – Parkinson insieme – Ed. Bordeaux; 2) Alvisi Mario – I Parkinsoniani (medici di se stessi) ed il Dolore – ed. A.P.AR. News; 3) Alvisi Mario – Proposta programma di lavoro indirizzata all‟Ass. Brogi Giovanni presso Comune di Montevarchi.

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I Proverbi

dalla collezione di Maria Prosperi

(segue dai numeri 3/2015 e 4/2015) 46 – trenta dì ha novembre, con aprile, giugno e settembre, di ventotto ce n‟è uno, tutti gli altri ne hanno trentuno; 47 – chi bello vuole apparire, di qualcosa deve soffrire; 48 – chi rompe paga e i cocci sono suoi; 49 – non dire colmo finché la noce non è nel sacco; 50 – fino a quando non vedo, non credo; 51 – chi tace acconsente; 52 – la vita è breve. Morir si deve; 53 – a carnevale ogni scherzo vale; 54 – chi si loda, s‟imbroda; 55 – nessuno è santo davanti a Dio;

56 – aprile, dolce dormire; 57 – sposa bagnata, sposa fortunata; 58 – piangi, piangi riderai quando ti sposi; 59 – la casa nasconde, ma non ruba; 60 – a caval donato non si guarda in bocca; 61 – la gatta frettolosa fece i gattini ciechi; 62 – il mal voluto non è mai troppo; 63 – si chiama Pietro e torna indietro; 64 – l‟ospite dopo tre giorni puzza; 65 – Garbino morì e Garbaccio rimase costì; 66 – la donna ne sa una più del diavolo. (continua nei prossimi numeri)

I PENSIERI L’imprevisto

di Giovanna Mantovani - 17 giugno 2015 -

Stamattina dovevo andare al mare. Il Parkinson ha detto: ”Devi restare”. La schiena fa male e si può cadere. Bisogna aspettare, neanche dagli amici dell‟A.P.AR. posso andare. È una festa cui partecipare, per salutare e parlare con qualcuno. Sono riuscita ad andare e sono rimasta contenta. Nessuno può capire quanto è brutto questo male, solo chi prova, lo può dire, andiamo avanti sperando di guarire.

Passa il tempo

- 15 giugno 2015 –

Volendo o no i giorni si susseguono ininterrottamente e ti trovi con mille difficoltà, mai immaginate. Guardi la primavera che arriva, vedi i fiori che non puoi andare a raccogliere. Gli alberi si rivestono ma, non puoi andare a sedere alla loro ombra. Caro Parkinson basta tristezza. Le amicizie è facile farle, basta volerlo e ci sarà un sorriso, una telefonata che interrompe la solitudine.

I disabili Ho letto i pensieri di un gruppo di mamme con figli disabili, più o meno grandi. Hanno un centro, dove trascorrono alcune ore del giorno, tutte le mamme adorano ancora di più queste creature, danno tanto affetto e lo richiedono. L'amore di una madre per un figlio è qualcosa di grande fatto di sorrisi, carezze che parlano, l‟amore nutre e fortifica il nostro rapporto senza confini. Alcuni pensieri: “La carrozzella è troppo grande per un bambino”; “Una mano distorta che vorrebbe afferrare il cuore”, “Uno sguardo a una rondine che vibra nel cielo, non chiede niente, solo attendere”. Ho detto questo perché, anche l‟associazione come l'A.P.AR. ha bisogno d‟amore, è importante fare gruppo, volersi bene e cercarlo la dov'è. In quest‟associazione c‟è voluto tanto sacrificio, per tutte queste mamme, di Angiolino e ora anche di Andrea. Non sto bene e soffro di non poter essere presente. Ringrazio e saluto tutti (Chiara, …). 6


LA VOCE DEI SOCI

(Ideata da Marco Matteini)

Noi ragazzi di una volta.

Amarcord di Renata Favaro

(Seconda parte. La prima è stata pubblicata nel n. 4/2015) I lunghi pomeriggi d‟estate li trascorrevamo a parlare o a giocare, seduti sul soffice tappeto erboso, sotto la generosa ombra offerta dagli alberi delle robinie che alimentate da una leggera brezza, agitavano il ventaglio di rami carichi di foglie che rinfrescavano l‟aria e offrivano un po‟ di sollievo al caldo afoso. Naturalmente i ragazzi d‟oggi sono figli della tecnologia e chattano, navigano, giocano in internet con l‟ausilio del telefonino confortati dalla loro solitaria compagnia. E vero che noi potevamo giocare all‟aria aperta, avevamo gli spazi per farlo ed eravamo una colonia di ragazzi di varie età e teatro dei nostri giochi e delle nostre scorribande in bici era la nostra strada che ospitava le nostre case, circondate da ordinati orti e giardini. Era una strada chiusa, lunga 100 metri circa fiancheggiata da file di alberi su entrambi i lati e confinava con un istituto per ciechi. Un muro alto circa un paio di metri e una porticina di ferro che permetteva l‟accesso nella nostra strada da parte degli ospiti dell‟istituto, ci separava dalla stesso. Quella strada ci ha visto giocare, piangere, litigare, fare la pace e diventare adulti, soprattutto è stata testimone di anni spensierati e felici di epoca ormai lontana nel tempo, un periodo che forse non si ripeterà mai più, ma continuerà a vivere nel ricordo di chi quel tempo l‟ha vissuto. Al giorno d‟oggi il cellulare lo possiedono grandi e piccini. Il telefono fisso si usa poco. Ricordo che il telefono è entrato nelle nostre case in sordina, intorno agli anni 50. Era attaccato al muro come un quadro e in famiglia era oggetto di autentica venerazione, era usato con parsimonia e per usarlo dovevamo chiedere il permesso ai genitori o fratelli più grandi. I ragazzi moderni praticano diversi sport mentre i ragazzi di una volta raramente praticavano sport in veste agonistica. Noi ragazzi di una volta non ci facevamo mancare i momenti di gloria quando organizzavamo le gare di atletica con la supervisione dei fratelli più grandi che seguivano le nostre gare. Mio fratello ci allenava, un altro fratello arbitrava e il nostro parroco ci prestava la palestra del patronato quando pioveva. E noi ragazzi gareggiavamo. Una volta chiuse le gare si tornava a praticare, almeno fino al momento in cui a qualcuno di noi veniva rubata l‟adolescenza per andare a lavorare, il gioco e, c‟erano giochi per tutte le stagioni. Per quando faceva caldo o freddo, per le giornate di pioggia o per quelle di sole, si organizzavano gare accanite con i giochi più disparati e si giocava, si giocava, si giocava. Si giocava in attesa di diventare grandi e in attesa di quel futuro che quando siamo ragazzi lo crediamo ricco di speranze e di promesse, ma per qualcuno di noi la vita non aveva mantenuto le sue promesse, i sogni erano naufragati miseramente nella delusione. Noi ragazzi di una volta non avevamo l‟abitudine di recriminare, di contestare, quasi sempre si accettava ciò che la sorte ci riservava. E la sorte aveva riservato destini e sorprese diverse per ognuno di noi. Ed era di noi, della nostra sorte, di lavoro, di figli, di gioie, di dispiaceri, di famiglia, di futuro, di sogni che parlavamo fra compagni di gioco quando, nei pomeriggi d‟estate andavamo a trovare i nostri genitori e ci ritrovavamo con i nostri figli, nella nostra strada; quella strada sempre piena di ragazzi che ci aveva visto crescere giocando, mentre le nostre mamme e le nostre nonne, sedute poco distante da noi, con le loro seggiole chiacchieravano lavorando a maglia e all‟uncinetto. Ognuno aveva il proprio vissuto, che spesso era stato ed era difficile, faticoso e veniva raccontato con una punta di amarezza. Nonostante che con qualcuno di noi la vita fosse stata difficile, dura e amara e di fortuna ne avesse vista poca, ritrovava il sorriso quando tutti insieme giocavamo con i nostri figli, i nostri giochi, che a ritroso nel tempo ci riportavano a quei ricordi ormai lontani che la nostalgia impreziosisce, ammantandoli di quel fascino misterioso che appartiene al tempo che passa. Forse i “ragazzi di una volta” vivevano da ragazzi, senza correre per diventare adulti troppo in fretta. Ci pensava la vita a farli 7


crescere mentre oggigiorno i ragazzi sono adulti da piccoli e bambini da grandi. Credo che la ragione di questo sia perché sono catapultati precocemente nel mondo degli adulti, dove vivono con i ritmi degli adulti. Sono sommersi dai giocattoli ma ci giocano poco stregati dal cellulare tuttofare che assorbe il loro tempo e contribuisce un po‟ a isolarli, isolamento che spesso esclude la famiglia e dove c‟è spazio solo per il gruppo di amici. Nei pomeriggi d‟inverno, durante il periodo della scuola, la radio trasmetteva il programma per i più piccoli, racconti e favole raccontate da mastro Lesina che introduceva la fiaba con una canzoncina: “Io son mastro Lesina, son ciabattin, faccio scarpette di tipo assai fin, con raspa e martello che bel lavorar e ai bimbi buoni le fiabe narrar”. Cominciava a raccontare: “C‟era una volta, tanto tempo fa ... ”. Per i più grandi (Scuola media) veniva trasmesso lo sceneggiato radiofonico che raccontava la biografia di personaggi storici o artistici che venivano alternate con storie tratte da famosi romanzi della letteratura ed io sedevo accanto alla radio ad ascoltare lo sceneggiato, sgranocchiando un pezzo di pane con una midolla di grana, o una mezza patata americana “dolce”, cotta in forno o lessata, era la nostra merenda. Riprendendo il discorso sui bimbi di una volta, anche se può sembrare una contraddizione, una dignitosa povertà scandiva la vita di allora. Parliamo degli anni cinquanta. Le famiglie con sei otto o nove figli non erano rare, nel mio condominio ce ne erano tre e per i genitori mantenerla con decoro richiedeva grossi sacrifici. Il compito più gravoso spettava alle mamme che mettevano in tavola tutta la famiglia e mettere in tavola tre volte al giorno dieci undici persone era un‟impresa da abilissima manager E in quel tempo cucinare richiedeva tempo, inventiva, allora non esistevano i cibi surgelati e non c‟erano neanche i frigoriferi e i cibi era difficile conservarli. Era ancora compito della mamma distribuire il cibo a tavola e tutti si dovevano accontentare di quanto e di cosa veniva messo nel piatto e guai a protestare, si rischiava di saltare il pasto. I ragazzi di una volta sapevano di essere fortunati se mangiavano tre volte al giorno. La colazione era a base di latte, orzo o malto col pane, di solito era pane biscottato perché i biscotti veri e propri comparivano ogni tanto. Alla sera ai ragazzi veniva servita una tazza con il latte con la polenta tolta dal paiolo un minuto prima di essere versarla sul tagliere, in alternativa c‟era una minestra, a volte sulla tavola compariva il baccalà a volta le salsicce o il formaggio e il tutto accompagnato dalla polenta. Quando poi passava il “pomaro” di solito al pomeriggio verso le tre, le mamme scendevano a comprare le mele mentre erano occupate a contrattare col pomaro e a ciaccolare, noi salivamo nel camion e ci prendevamo una bella mela succosa che addentavamo voracemente con il beneplacito del “pomaro”. La mela era il frutto che si mangiava di più, cotta in forno nei dolci, perché costava poco. Nelle famiglie i vestiti spesso erano quelli dei fratelli più grandi magari riveduti e corretti dalle abilissime mani delle mamme. Il bucato era fatto a mano. La lavatrice era ancora un sogno lontano, e ricordo che mia madre, in attesa che il sogno si materializzasse il sabato sera, metteva i panni a mollo e alle cinque della domenica mattina cominciava a lavare. Che vita faticosa per queste vestali, totalmente dedite alla famiglia, ai figli dei quali si occupavano quasi esclusivamente loro, i papà tornavano tardi dal lavoro. Certo è che allora c‟era più sobrietà, le famiglie non navigavano nell‟oro, non esistevano le cose usa e getta, ma vivevano la loro povertà con dignità, in modo più che decoroso e noi ragazzi di una volta, non mi ricordo che soffrissimo o si fosse tristi o afflitti, o ci si sentisse poveri. Non si conosceva il significato di questa parola, non sentivamo la mancanza di ciò che non possedevamo o che non conoscevamo e non ci si lagnava mai. Non ci si lagnava se faceva freddo a casa o a scuola. Non esistevano i termosifoni, ma solo stufe a legna o a carbone, non sempre sufficienti a riscaldare tutta, la casa o le aule di scuola. In compenso indossavamo calze pesanti e pesanti maglie di lana a maniche lunghe che ci riscaldavano sufficientemente. Il freddo e il caldo facevano parte della vita del quotidiano, come l‟alternarsi delle stagioni. (continua nel prossimo numero) 8


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