JACÒ - LA MATERIA DENTRO a cura di antonio vitale

JACÒ la materia dentro a cura di antonio vitale

DELL’ATTIMO PERENNE

progetto grafico di Antonio Vitale

Š 2016 copyright - Antonio Vitale

JACĂ’ la materia dentro

JACÒ LA MATERIA DENTRO A CURA DI ANTONIO VITALE

15 OTTOBRE – 2 NOVEMBRE 2016

TESTO CRITICO DI ROCCO GIUDICE COORDINAMENTO DI GIUSEPPE VITALE

ASSOCIAZIONE CULTURALE “SPAZIOVITALEIN” VIA MILANO 20, 95128 CATANIA, ITALIA (t) +39 095 371010 / info@spaziovitalein.it

LA MOSTRA ADERISCE ALLA DODICESIMA “GIORNATA DEL CONTEMPORANEO” - AMACI SABATO 15 OTTOBRE 2016

JACÒ

JACÒ - LA MATERIA DENTRO è una mostra che l’Associazione Culturale SPAZIOVITALEin di Catania dedica a Jacò (al secolo Giacomo Platania - Catania, 1935), uno degli interpreti più potentemente espressivi di una pittura materica sensibile e lacerante, non solo siciliana.

L’allestimento della mostra suggerisce al visitatore un percorso intenso attraverso la scoperta della materia e la ricerca della luce, verso un’ipotesi che si sviluppa e che dimostra la capacità del segno di raccontarsi al di là della forma che costruisce.

L’elogio di un continuo incipit che definisce il filo rosso che veste tutta la mostra che rimbalza nella lettura del visitatore tra il chiarore e il colore delle opere più recenti, quali interpreti della Bellezza della Libertà, e le brumose concrezioni materiche, fedeli sentinelle delle nefandezze del mondo e degli sconvolgimenti personali, fragili e privati, dell’uomo.

Oltre venti opere, alcune delle quali di grande dimensione, punteggiano una vita di oltre cinquant’anni dedicata all’arte.

Un omaggio del maestro alla sua città, un tributo del mondo dell’arte catanese al Lavoro di questo importante interprete del pensiero artistico siciliano di fine novecento e più.

Antonio Vitale

testo di Rocco Giudice

Sarebbe difficile parlare di ‘immagine dell’opera’ di un pittore aniconico quale Jacò, ma è un fatto che di essa rimane un’impressione complessiva che va oltre i messaggi, i significati, le intenzioni da cui scaturisce e le circostanze cui collegarla.

Come vivesse indipendentemente da essa, quand’anche ne fosse un tramite, fornendone l’occasione, l’immagine complessiva che mi lega alla sua pittura è quella di uno Jacò ‘notturno’, ma di un notturno tonico, di corroborante reattivo contro tutte le false luci della ribalta in cui coloro che essa glorifica ci hanno rimesso la corona, gli angeli dai principi omologati ci hanno lasciato le penne e chi era stato santificato dalla sirene del successo ha perduto l’aureola. Jacò è rimasto lucidamente fedele alla sua poetica: che non nasceva da un’adesione opportunistica e per forza d’inerzia alle mode e non ha risentito dei cambiamenti negli interessi della critica specializzata, delle più o meno spontanee oscillazioni del gusto del pubblico, delle inversioni di marcia del mercato e di quanto in ciascuna di queste cose è dovuto alla parte che spetta all’equilibrio di ciascuna di queste variabili. Si trattava di una scelta di vita artistica che nasceva dall’educazione che presupponeva e dall’amore viscerale per il proprio lavoro, per l’autodisciplina imposta dalla conoscenza e dalla pratica di tecniche antiche, come l’encausto e di materiali pressoché dimenticati, quali la cera punica. Allora, antico e moderno, post-moderno e dinamiche connesse sono punti di vista e di partenza, non criteri di giudizio e di valore.

Non sorprende, quindi, che la pittura di Jacò sembri fatta apposta per smentire, per disilludere e farsi beffe delle convinzioni e consuetudini più comuni diffuse presso il grande pubblico – e non solo presso di esso, eventualmente. Astratto, Informale: alla prova dei fatti, alla luce delle opere sembrano etichette che postulano più di quanto non siano disposte a concedere. Schematizzazione attraverso una sorta di reductio o prudenziale ripiegamento sulle formule correnti; o negazione di ogni ipotesi che una forma posa scaturire a conforto delle nostre capacità percettive, al di là del semplice

riflesso fisiologico. Che l’Informale equivalga, sempre e solo e in ogni caso, a introspezione: che l’Astratto evochi la decantazione o piuttosto, le strutture teoretiche in grado di dare forma a un’interiorità o che fanno di questa il sottofondo del ‘testo di superficie’, sarà pur vero, ma non è tutto. Il di più, l’Oltre, come recita il titolo di un quadro presente in sala, oltre le risonanze di forme, figure, spazio, tela, non è un fuori che garantisca una via d’uscita o un mondo con cui fare i conti o con cui riconciliarsi: è il mondo di qua della tela quello di cui Jacò deve trattenere l’aura, più che rifletterne l’urgenza o inseguirne il senso per scoprirne le motivazioni e mozioni più immediate o per mimarne i dinamismi autogeni. Perlomeno, l’oltre, in una direzione o nell’altra sia della tela che della cartografie del visibile, può essere qui, al centro del discorso pittorico: dentro di esso, dove c’è il colore: e che esso, la materia prima, possa ispirare come la pietra suggeriva a Michelangelo la forma da liberare: che vada ascoltato nella sua primaria articolazione di senso, materialmente inteso, come risonanza delle vibrazioni e tensioni che innesca, con la propria ‘voce’, va al di là della possibilità che il colore possa dar voce a qualche referente disposto a cedergli il campo senza opporre resistenza.

Prima che con un sistema di valori cromatici o con un codice di comportamento dei segni che li seleziona e compone rispetto a un modello autonomo o esterno all’ordine che tratteggia, a essere chiamati in gioco sono moti della volontà e meccanismi della percezione che si pongono con una loro elementare forza biologica: esercitata, in Jacò, senza proporsi di corrispondere o derogare a uno statuto semantico, a un codice simbolico ratificato. Se vediamo segni, tanto più se con salvacondotto simbolico accluso, sappiamo che non sono veicoli e anzi, vettori di sensi esibiti o nascosti, ma complessi organici, fattori di una propria forma di vita senza retroterra cui ancorarli o retroscena più luminosi della facciata; se scorgiamo figure geometriche balenare da un indistinto fondale da cui nulla potremmo aspettarci

aspettarci scaturisca, hanno il valore di forze fisiche, più o meno reagenti e in interazione fra di loro, sulla tela e oltre di essa; se intravediamo sagome infrangersi o rifrangersi in un bagliore in cui coagula una presenza che non dà altri indizi, non possiamo sapere se è la rarefazione o estenuazione di un dato visibile o solo immaginato o se è l’emergere di qualcosa cui siamo autorizzati a delegare un qualche ufficio di rappresentanza di personali o impersonali pulsioni a convivere con i fantasmi che non trovano patria o qualche ruolo all’interno del mondo di cui sono parte; se da un orizzonte da cui Jacò ha provveduto a rimuovere i volumi o disinnescare di distanze riconoscibili affiora l’essenziale di una visione che si dissolve per tornare allo stato di ‘natura’ di colore o le scorie di un mondo che esce dalla dimensione del sogno. È il linguaggio, innanzi tutto e i suoi dinamismi, i suoi ritmi, interni o subiti, interiori o meccanici, della forza di adesione o dell’effetto di contrasto di un colore sull’altro, a costituire il rumore di fondo che è già all’origine un’eco, una vibrazione primordiale della realtà ovunque si manifesti e con cui quest’arte, che ne sembra lontana, si tiene in contatto. Un’eco non tanto dell’Om o del Verbo, ma della musica in cui si irradiano da allora in poi, fino alle tele che ne trascrivono la musica arabescata in guizzi, frangenti, filamenti o filiere associative luminose, segmenti biomorfici.

Risonanza che misura e colma il vuoto o il pieno di attese, domande, conclusioni che smottano oltre i punti fermi – i segni; le forme; le figure: senza un percorso obbligato dall’uno agli altri – che non possono fare da traguardo, ma solo porre un argine provvisorio al flusso che attraversa la tela per giungere fino a noi.

Questo campo o spazio espressivo non è una superficie su cui si possa scrivere soltanto: l’universo cui Jacò fa da custode non si dà neppure per allegoria: né l’artista può fornirci la chiave d’accesso, che neppure lui possiede, essendo preso dentro la materia della propria arte, coinvolto nella formulazione del linguaggio che lo

lo rivela per segni, a modo loro, alfabetici, per svolgerne l’algebra indicibile, prima che incomprensibile, in una sintassi che ponga di fronte al dato di fatto, al complesso di forze che attraversano questo che, si vorrebbe dire, si presenta, appunto, come un ‘campo di forze’: e con una metafora sportiva, un campo di gioco che non è mai terreno neutro neppure quando non vi si ritrovino tensioni visibili, dissidi manifesti in cui l’artista proietta crisi e contraddizioni generali o personali: e questo vale per l’arte aniconica come per l’arte più palesemente legata alla tradizione figurativa.

Lo vediamo, in questa mostra, come di rado era capitato (almeno a chi scrive) assistere da parte di Jacò a una così aperta e pronunciata disposizione alla dimensione civile e perfino, storica: in una modalità che, se non è narrativa, è sequenziale. Come nella serie di opere che Jacò dedica a Nelson Mandela, di cui diremo più avanti. Le inquietudini e le speranze, con quello che hanno di indefinito, di inafferrabile e di gratuito, possono ugualmente trovare una loro collocazione dove non vi è spazio che non sia dato col loro sussistere al di fuori, prima o accanto a riscontri reali, storici, immaginari o morali. Tuttavia, Jacò non pone condizioni: né vuole disporre esiti o delineare un tracciato, ancorché per ipotesi, in cui chi osserva sia condotto a conclusioni date in premessa.

Ecco perché, in Primavera (della serie dedicata a Nelson Mandela), i richiami kandiskiani, con la loro freddezza geometrica quand’anche volta a stilemi biomorfici, sembrano portati a una temperatura da cui sono stati spuntati come germogli dispersivi gli algori: e questi possono coesistere, in una sorta di ideale clima pacificato, con le efflorescenze calde di Mirò, ancorché virate a una iconografia ‘a freddo’, di gusto matissiano. Non c’è contrasto, perché lo spazio che essi occupano è tutto della voce, ovvero di una estensione armonica, di una intensità dell’immaginazione, che si risolve in quella capacità di spingere a una stilizzata sintesi l’analogia che, del resto, l’autorizza. In Spiriti liberi, sempre nella stessa serie, stilizzate

stilizzate apparizioni evocano personaggi da shtetl, più che un ritorno da pellegrini erranti, in un volo della fantasia o in una fuga di all’ultimo momento, bensì per effetto di una permanente nostalgia, verso la Gerusalemme celeste di Chagall, in cui le atmosfere iperboree e mistiche sono, perciò, esoticamente dissolte verso lo sfondo dorato da icona. In Contro luce, bande/bende cromatiche alla Rothko formano una partitura scalare che assume i contorni di bandiere in una sorta di apartheid cromatico, sferzate da un grafismo minaccioso che la testa cafra può contemplare dal futuro vedendovi la dissolvenza le sbarre della cella in cui era imprigionata.

La favola di uno è la realtà di ciascuno, la storia di chi per vivere quella di tutti non ha vissuto come gli altri diventa, per lui, la favola e insieme, il mito di tutti; e la storia di un popolo si rivela una favola in rapporto anche all’uomo chiamato a rappresentarlo o a guidarlo, un’astrazione mitologica. Al punto che Jacò non deve stabilire se la lirica sospensione della realtà sia un modo per eludere o sospendere il giudizio su di essa: che, se compete all’arte, non è mai in nome di una superiorità morale dei vincitori, ma in vista di una spes contra spem. Che fa di lui, in questi lavori, il testimone di una speranza: titolo di merito da rivolgere all’artista Jacò e a chiunque porta con sé la materia dentro l’era digitale. Che non si perda.

LE OPERE

CROCIFISSIONE, 1990 - t.m. su tela - 250x220 cm

MURO, 1990 - t.m. su tela - 250x220 cm

BIANCO COME, 1990 - t.m. su tela - 220x165,5 cm

RITORNO DEL GUERRIERO, 2007 - t.m. su tavola - 195x180 cm

SOGNO D’ESTATE, 2014 - t.m. su tela - 63,5x63,5 cm

SPAZIO SEGNATO, 1999 - t.m. su tela - 80x90 cm

PROGETTO D’ANIMA, 2012 - t.m. su tela - 77x104 cm

OLTRE, 2011 - t.m. su tavola - 77x77 cm

SPAZIO VARIO SEGNATO, 2014 - t.m. su tavola - 59,5x79,5 cm

ROSSO ACCOSTATO, 2014 - t.m. su tela - 57x69,5 cm

ETNA, 2012 - t.m. su tavola - 105x93,5 cm

ICARO, 2014 - t.m. su tavola - 59,5x80 cm

OMBRE, 2009 - t.m. su tavola - 72,5x54,5 cm

CONTROLUCE (omaggio a Nelson Mandela), 2013 - t.m. su tavola - 91x104,5 cm

STRADE TORTUOSE (omaggio a Nelson Mandela), 2013 - t.m. su tavola - 91x104,5 cm

SPIRITI LIBERI (omaggio a Nelson Mandela), 2013 - t.m. su tavola - 91x104,5 cm

PRIMAVERA (omaggio a Nelson Mandela), 2013 - t.m. su tavola - 91x104,5 cm

JACÒ, al secolo Giacomo Platania, nasce il 28 ottobre del 1935 a Catania (ma viene registrato all’ Ufficio Anagrafe del tempo solo il 9 novembre dello stesso anno). Catania, città del “Liotru”, dove vive e lavora.

Inizia la sua attività nei primi anni cinquanta, dedicandosi alla decorazione sotto la guida del padre e dello zio Alfio. Appena quindicenne sperimenta materiali non tradizionali quali sabbia, cemento, ossidi di rame, stoffe e carta.

A metà degli anni cinquanta per motivi di lavoro si trasferisce a Torino, dove viene avviato dai fermenti che in quegli anni alimentano la vita culturale del capoluogo piemontese e constata la validità di certe sue intuizioni giovanili. La possibilità di conoscere l'opera dei maestri dal vivo, la visita ai musei e la frequentazione quotidiana delle gallerie arricchiscono notevolmente il suo bagaglio culturale.

Alla fine degli anni cinquanta inizia l'attività espositiva.

Nel 1965 partecipa al Premio Nazionale “Sciacca antica” e al “Premio Pordenone”.

Nello stesso anno costituisce assieme al pittore Vaccaielli e al poeta Glienti il gruppo “Pro Arte Figurativa” organizzando numerose mostre nel territorio.

Nel 1969 riprende le sue ricerche sull'astrazione e partecipa a numerose mostre collettive.

Nel 1972 partecipa alla rassegna Mediterranea di Messina e alla Rassegna Internazionale “Acireale Turistico Termale” con un intervento video.

Nel 1974 partecipa al Premio “Joan Mirò” di Barcellona.

Nel 1969 e 1978 è invitato al “Premio Cadorago” di Como e al “Premio Aci Trezza” di Catania.

Lo stesso anno realizza una cartella di serigrafie e partecipa alla mostra “Venti artisti siciliani” alla Galleria “La Tela” di Palermo e alla “New Gallery” di Catania.

Nel 1980 partecipa ancora alla “Rassegna Mediterranea” di Messina e lo stesso anno,

anno, su segnalazione di Francesco Gallo, viene invitato ad una prestigiosa mostra scambio in Iraq.

Nel 1984 è invitato alla mostra “Artisti Siciliani” a Conegliano Veneto.

Dal 1985 la sua attività di restauratore di opere d’arte antica lo vedono intensamente impegnato in importanti lavori per Musei, Chiese e prestigiose collezione private non solo in Sicilia. Negli anni dal 1990 al 2005 occupa la cattedra di Restauro Pittorico e Tecniche di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Catania.

Parallelamente alla sua attività di docenza coltiva con grande passione la sua sperimentazione pittorica con esiti artistici che lo vedono protagonista in oltre cento mostre, tra personali e collettive, non solo in Italia.

PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI 1973 Galleria “L'ariete” – S. Giovanni La Punta, Catania 1974 Galleria “Underground” – Giarre, Catania 1975 “Little Gallery” – Catania 1976 “Citibank” – Milano e Roma 1977 “New Gallery” – Catania 1977 Galleria “Condor” – Palermo 1978 Galleria “Morabito” – Reggio Calabria 1978 Galleria “Penna” – Messina 1988 “Refettorio di San Giuliano” – Catania 1989 “Palazzo di Città” – Acireale, Catania 1990 “Ex Chiesa dei Cavalieri di Malta” – Siracusa 1991 “Arte in bottega” – Catania 1993 “Atelier sul mare, Museo d’Arte Contemporanea” – Tusa, Messina 2014 Galleria “Il Quadrifoglio” – Siracusa 2015 Galleria Civica d'Arte "Pippo Giuffrida" – Misterbianco, Catania 2016 “SPAZIOVITALEin” – Catania

ALLA SUA ATTIVITÀ SI SONO INTERESSATI Scena aperta, Eurart, Giornale di Sicilia, La Sicilia, Corriere della Sera, La Repubblica, L'Unità, La Gazzetta del Sud, L'Aretuseo, RAI – Gazzettino di Sicilia e varie televisioni private.

HANNO SCRITTO DI LUI R. Campanella, U. Cantone, V. Di Maria, O. Fazzina, F. Gallo, P. Giansiracusa, R. Giudice, S. Grasso, Lessini, V. Librando, I. Mussa, I. Patamia, A. Rossi, M. Sgalambro, F. Sinatra, C. Viola, A. Vitale