GASTÒN ORELLANA - DELL'ATTIMO PERENNE a cura di Antonio Vitale

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GASTÒN ORELLANA

DELL’ATTIMO PERENNE

a cura di Antonio Vitale


progetto grafico di Antonio Vitale

© 2015 copyright ‐ Antonio Vitale


DELL’ATTIMO PERENNE

L’Associazione Culturale “SPAZIOVITALEin” di Catania, in occasione dell’apertura della stagione artistica 2015‐2016 è oltremodo lieta di aver pensato ad un evento artistico di respiro internazionale dalla significativa densità artistico‐culturale, presentando la mostra dal titolo “DELL’ATTIMO PERENNE”, a cura di Antonio Vitale e con il coordinamento di Giuseppe Vitale, nella quale verrà esposto un intero straordinario ciclo tematico di venti opere incisorie, acqueforti acquetinte degli anni '70, realizzate dal maestro spagnolo GASTÒN ORELLANA. Il lirismo segnico struggente e poetico che permea e trasuda dalle opere del maestro Gaston Orellana lo definisce, per conto di acclarata critica, come uno dei più significativi artisti spagnoli dell'ultimo dopoguerra. Per Orellana si può ben parlare di «orizzonte lirico» che non conosce mai nella fitta narrazione delle sue opere una caduta di tensione emotiva, vivendo invece, sempre, la «poesia della notte», la compagnia della «Luna», il «dramma e la vertigine della vita». Pablo Neruda, nel 1966, ha scritto di lui: “Ciò che esiste nella pittura di Gastòn Orellana è vivo come la vita: così sicuro come un oggetto, misterioso come una pietra. Forse la sua arte accanita è un’estensione dell’anima; ma così materiale, tattile e rugosa e fertile come l’involucro d’un frutto. Queste scorze del mistero o abiti del sogno si possono toccare con mano e cantano, si possono percorrere nell'ardente lavoro della sua geologia personale”.


GASTÒN ORELLANA “dell’attimo perenne” a cura di Antonio Vitale 31 ottobre – 17 novembre 2015 testi critici di Antonio Vitale Luigi Carluccio testimonianza di Pablo Neruda coordinamento di Giuseppe Vitale

Associazione Culturale “SPAZIOVITALEin” via Milano 20, 95128 Catania ‐ (t) +39 095 371010 info@spaziovitalein.it ‐ www.spaziovitalein.it la mostra aderisce alla Undicesima “GIORNATA DEL CONTEMPORANEO” ‐ AMACI sabato 10 ottobre 2015 ‐ dalle 16.30 alle 20.00


Testo di Antonio Vitale

È

sempre interessante avvicinare e conoscere un artista sia personalmente che attraverso le sue opere, ma quest’incontro diventa vibrante e lascia un segno quando lo sguardo si posa sul lavoro artistico di colui il quale è considerato, per voce di acclarata critica internazionale, uno dei più interessanti ed intensi artisti spagnoli del dopoguerra: Gastòn Orellana. Tutto il clamore che la sua pittura riesce a suscitare trova valide ragioni nella sua poetica espressiva, la quale incarna il sentimento “dell’attimo perenne”, per opere sempre narrate nella temporaneità, fioca o abbagliante, di una luce lunare e nelle quali il maestro mirabilmente inciampa nei suoi formali confini neoespressionistici definendo, in tal modo, ad ogni passo compiuto dalle sue visionarie creature, una struttura segnica dalla statura totemica e per questo indefinita nel tempo. Per Orellana si può ben parlare di un inesauribile orizzonte poetico che non conosce mai nella fitta narrazione delle sue opere una caduta di tensione emotiva, per opere che vivono il buio della notte, la compagnia della Luna, ma anche il dramma e la vertigine della vita. Nella sua serie di opere incisorie degli anni settanta dal titolo “Il mio mondo”, il maestro spagnolo racconta tutto il suo pensiero declinandolo in venti differenti scene, rappresentando molti dei suoi protagonisti in ginocchio, attribuendo per tale comune geografia del corpo una motivazione e quindi un significato variamente differente, ma in tutte finitamente espresso: la sua preghiera laica. Ecco in alcune di queste opere uno sguardo contemplativo, come accade in “Dos hermanas” e “Pa jaro”, sognante in “Tres figuras”, trascendente in “Elevado”, ironico in “Salto Alto”, drammatico in “El hijo”. Tutti questi orizzonti, che hanno un proprio specifico sentimento, vengono da Orellana portati al limite di una corporeità segnica, quasi volesse proteggere ciascuna scena rappresentata nell’ombra polverosa di neri,


mai nebbiosi, spesso interrogativi, sempre indagatori. In tal modo egli opera una precisa scelta stilistica che sposta la carne di una pennellata nello scheletro di un segno che ci appare per questa sua natura come scrittura e per questo ontologicamente depositaria di un messaggio. Questa segnica esplicita o ermetica che ritroviamo nelle sue opere definisce un territorio plastico unico, aperto al dialogo con le proposte dei surrealisti e capace di condurre l’ansia di deformazione della figura umana alla più alta dose d’espressione ed inquietudine dell’arte contemporanea. Orellana gioca con mente sottile ad assassinare l’ovvio, il consolidato, divenendo in tal modo interprete originale di un nuovo linguaggio, di una possibile strada, di un inedito binario del tempo lineare, di una, infine, personale estetica di un inviolato cosmo fatto da creature mai viste che si muovo in paesaggi antigravitazionali al limite dello spazio fisico. Questo gioco della vita e dell’arte è il lavoro della vita, della sua vita, costa fatica, impegna il fisico e la mente, induce a cercare senza sosta e, quando sembra aver trovato, deve intraprendere una lunga ed estenuante sedimentazione ed elaborazione, imbrigliare l’idea, delineare un progetto per giungere infine alla sua realizzazione. Opera su opera ci parla della vita quotidiana, dello specifico tempo in cui avviene un’osservazione, della storia fatta non solo di vita propria ma anche della vita degli altri, di sogni oscillanti tra picchi e baratri, mediante un esitato modus espressivo che si presenta ai nostri sguardi intimo e profondo. Questo rapporto di complicità tra ciò che viene guardato e chi guarda rivela il timbro ricercato e trovato da Orellana, di una pittura mai urlata nel virtuosismo di forme o nell’arroganza di colori, ma che identifica come “sacerdote” ogni sua opera che con laica vocazione ha l’alto compito di offrire la chiarezza di un messaggio, duro o sognante, che mai inciampi nella distrazione da un Senso. Un cammino dai molti passi tra catarsi, presentimento e sentimento, per una moltitudine di opere che parlano sussurrando e facendolo


esprimono quell’intensità che solo la poesia è capace di restituirci e che ha significato, anche, il perché dell’amicizia di una vita con “Mi chiamo Pablo, l’uccello, l’uccello di una sola piuma, il volatore d’ombra chiara e di chiarezza confusa, le ali non mi vedono […] così vengo e me ne vado, volo e non volo, ma canto: sono l’uccello furioso della tempesta tranquilla”.



Testo di Luigi Carluccio

Questa serie folgorante di acqueforti ci dà una chiave per entrare nel vivo dell'immaginazione di Orellana. Ci dà, anzi, condensata e contenuta come in una forma simbolica, la figura attorno alla quale la sua immaginazione e la sua moralità ruotano costantemente: una figura d'uomo, una maschera d'uomo, fatta di nervi assai più che di carne, perciò così dolente: un puro contorno, appena l'impronta di ciò che l'occhio sensibile può cogliere di una creatura strinata, stiacciata, stravolta in quel clima di apocalisse che è tipico di Orellana, e trascinata nel vortice di una fuga senza fine, sospinta dalla follia del mondo. La maschera, si potrebbe anche dire, di una creatura coperta di lividi e di piaghe, tumefatta, umiliata sino ad essere niente altro che una fonte di grida e di lacrime. La complessità scenica delle opere più intense di Orellana, "II ponte sopra Maracaibo”, "II processo”, "Aeroporto", "Dodicesimo piano", si è come contratta; sulla scena si accampa una sola figura che occupa tutto lo spazio della rappresentazione; che assorbe, anzi richiama sopra di sé tutte le luci. Una forma disperatamente viva, che sembra avventarsi contro i limiti dell'immagine e poi improvvisamente ripiega, rigettata indietro dalle avversità, frustrata nei suoi aneliti più urgenti, piegata da torture orrende, delle quali porta i crismi mostruosi. È uno spettacolo cui assistiamo al limite della sopportazione fisica e spirituale e che sovrappone al sentimento così acuto della struggente attualità dei suoi temi un senso angoscioso della loro perennità. Come un ammonimento che viene da lontano e non potrà mai aver fine. Il dialogo tra attualità e perennità, che si sviluppa sui temi di un malessere esistenziale, di un allarme remoto, di un male oscuro, è sempre un dialogo dell'impossibilità, delle rinunce, dei cedimenti, dei tradimenti: un dialogo fatto di invettive e di esorcismi. La sensibilità emotiva di Orellana brucia tutta in queste pagine, e con la sensibilità brucia, tra i morsi degli acidi e lo spessore dei segni, la sua presenza fisica, la sua parte di storia.


Le scaglie dell'esperienza viva affiorano nella loro forma più semplice, quasi richiamate e rivelate dalla toccata d'una luce fosforica, che le modella contro un fondale d'ombra trasparente. Il linguaggio di Orellana è estremamente semplice in queste acqueforti e tuttavia porta con sé tutti gli echi ed i riverberi di una grande tradizione: la severa tensione morale di Goya, la nevrosi espressionista di El Greco, l'incandescenza ritmica di Gòngora (se le piume di Gòngora diventano dardi), la torsione fiammeggiante e fiorita dell'ornamento, così tragico e sontuoso, che veste con una filigrana d'argento e oro le figure del dolore, della morte, del nulla. Ma sul piano della coscienza Orellana fa pensare alle immagini più oggettive e più crudeli di Grosz, nate ache quelle in un tempo segnato dalle cadute e dallo sfacelo. C'è la stessa decisione, la stessa volontà di denuncia, anche se Orellana non ferma crudamente gli effetti della crudeltà, ma le sue infami pressioni sulla materia viva e non offre, quindi, il calco nudo, spietato, analiticamente esplorato di una situazione realistica ma, semmai, l'epifania di un tormento interiore, l'apparizione allucinante, su un cielo nero appena tinto da gialli rosa azzurri verdi in toni smorti, di inquietanti presagi, di orribili presentimenti. Messaggeri misteriosi, come ne arrivano nel silenzio dei sogni e degli incubi. Leggeri grumi dolenti, quasi ectoplasmi di una pena profonda e lancinante, che tra i graffi della malasorte lasciano intuire ferite pronte a dare sangue, i segni dei colpi ricevuti. Superstiti di una strage immensa, che mostrano ancora un sussulto di vita ed un irriducibile desiderio di durare.


LE OPERE – «IL MIO MONDO»



ARRODILLADO


PIE' QUE FUMA


SALTOÂ ALTO


CIERTAÂ SONRISA


PAJAROÂ ALTO


LAÂ CAIDA


ELÂ HIJO


LUZ


LUNA Y SONRISAS


LA PALANCA

la stampa


EL PARAGUAS Y LA LUNA


ELÂ HUMO


ELEVADO


DOSÂ HERMANAS


TRESÂ FIGURAS


MADRE E HIJO


EL PIE' MECANICO


NINO Y LA LUNA


OJO Y NARIZ


ELÂ CARRO




GASTÒN ORELLANA

nato nel 1933 a Valparaiso, in Cile, da antica famiglia spagnola dell'Estremadura, resta profondamente legato all'identità della spagnola terra di origine, anche se scorrendo l'intenso percorso della sua vita e della sua opera balza con evidenza il carattere di un internazionalismo culturale che riesce a comporre in una profonda unità operativa le più diverse esperienze che hanno segnato la sua avventurosa esistenza, condotta fra America Latina, Spagna, Stati Uniti ed Europa. Negli anni della formazione studia Belle Arti nella capitale Santiago e poi continua alla Escuela de Bellas Artes de Viña de Mar. Agli anni del liceo risale l’incontro con Pablo Neruda, con il quale sarà legato da una profonda ammirazione e amicizia. Il regime cileno accusa gli intellettuali di comunismo: Orellana si trova in una situazione di difficoltà, e nel 1950 la prima personale, all’Istituto Cileno ‐ Nordamericano di Cultura di Valparaiso, viene contrastata dallo stesso direttore dell’Istituto. Consigliato da Neruda, si trasferisce prima in Perù, poi in Bolivia, in Argentina e infine in Spagna nel 1958. Nel 1959 con Mignoni, Jardiel, Genovés e il poeta Conde, fonda il gruppo HONDO e ne redige il manifesto, prima esperienza in Spagna della cosiddetta “Nueva Figuración”. Quando il gruppo si scioglie Orellana rimane l’unico a proseguire rigorosamente verso tale ricerca. Nel 1959 Orellana partecipa alla ben nota mostra “The New Images of Man” al MOMA. In questo clima inizia il successo internazionale di Orellana, che nel 1965 lo riporterà negli S tati Uniti, dove si s tabilirà per diversi anni, inserendosi nell'intenso


contesto culturale newyorchese, stabilendo stretti rapporti con la cultura d'avanguardia. La sua pittura si arricchisce particolarmente in questo contesto assumendo nuove dinamiche spaziali e nuove drammatizzazioni gestuali e materiche. Nel 1970 è invitato alla Biennale di Venezia, nel Padiglione Spagnolo con una mostra personale. In Italia Orellana sperimenta nuove tecniche, dalla scultura in vetro (a Murano), alla ceramica (ad Albisola, in Liguria). Fra le mostre più significative di questo periodo conviene segnalare quella alla Galleria Schubert di Milano nel 1971, una presentata da Enrico Crispolti alla Galleria Rotta di Genova nel 1972, parecchie alla galleria della sua mercante di Madrid, Juana Mordo, la mostra inaugurale del Hirshhorn Museum and Sculpture Garden nel 1974, alla Fiera di Basilea nel 1976, alla Fondazione André Malraux a Reims nel 1977 e alla FIAC di Parigi nel 1978. Nel 1986 Orellana si ristabilisce definitivamente in Europa ed a cura di Germano Beringhelli si organizza una grande mostra al Museo Español de Arte Contemporaneo a Madrid. A Milano si realizzerà nel 1990 una grande Mostra Antologica promossa dal Comune a cura di Tommaso Trini, nello Spazio Ansaldo, che offrirà una prospettiva complessiva sul grande lavoro condotto negli anni dall'artista e sulla sua libertà creativa capace di piegare alle proprie esigenze espressive tanto i materiali quanto lo spazio della tela. Roberto Tassi poi presenterà nel 1993 una mostra al Taipei Fine Arts Museum a Taipei, Taiwan. Nel 1995 si fece una mostra alla Casa das Artes a Vigo, in Spagna. L'importanza cardinale di questa mostra, come segnala il critico Marco Ricardo Barnatán, e che fu la prima a mostrare “il nuovo Orellana”, essendo cambiato il metodo pittorico


dell'artista negli anni precedenti usando tecniche assorbite del lavoro della terracotta e anche portando il vortice dell'espressione tematica su ciò che Tommaso Trini chiama “un popolo di figure”. Nel 1999 questa rinnovata e rivoluzionaria figurazione e trattamento del soggetto fu evidenziata nella mostra "Bronx Around" nello spettacolare Centro San Francisco nell'antica città di Caceres. Il rinnovamento dell'espressione estetica di Orellana portò alla sua mercante, Christian Stein, a dichiarare all'inaugurazione del padiglione spagnolo alla Biennale di Venezia del 1995 che “GASTON ORELLANA È L'ARTISTA DI MAGGIOR INTERESSE CHE LA SPAGNA HA CREATO DOPO TÀPIES E MIRÓ”. Nel 1998 la Stein fece nel suo padiglione alla fiera di ARCO, a Madrid, una mostra personale dell'artista. Nel 2005 viene esibita per prima volta l'opera "Crucifixion n1", proprietà dei Musei Vaticani nella Santa Casa di Loreto. Nello stesso anno, l'opera "La cama escarlata" (NY 1967) è inclusa nella grande mostra "Il male" alla Palazzina di Caccia di Stupinigi di Torino, curata da Vittorio Sgarbi, che comprende opere dei più significativi maestri dal Quattrocento al Novecento. L'opera di Orellana di quest'ultimo periodo mostrano una marcata evoluzione dalle opere degli anni di New York, con colossali assemblaggi e polittici, usando una tecnica di graffito mai prima usata nella pittura, e addirittura aggiungendo dei collage di vari elementi come i metalli e specchi antichi. Mediante i dipinti sagomati a forma di lettere con la giustapposizione di più tele, Orellana sposta la pittura, dove un significato non è mai letterale, non coincide col significante, verso l'arte di oggetti che invece consente di comunicare la cosa, la letteralità della cosa in sé, pur senza abdicare all'uso delle metafore.


L'italiana Jole de Sanna presenta gli ultimi lavori dell'artista nel volume “Gaston Orellana, Orestea” dove scrive che “L'intera storia della pittura e l'esperienza dell'arte nella seconda metà del XX secolo non sfugge alla cattura di Gaston mentre svolge l'esistenza di Gaston fra i frutti di una storia civile e politica che scuotono il Sud America dei dittatori, l'Europa del dissesto e riassesto culturale e New York capitale dell'arte”.


Le opere de «IL MIO MONDO», 1973 ‐ acqueforti acquetinte ‐ 35x50 cm / ciascuna



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