LE AMBIGUE LOGICHE DEL SOGNO

Spritzanalisi numero uno

LE AMBIGUE LOGICHE DEL SOGNO

di Francesco Frigione ed Elisa di Caprio

Orologio molle al momento della prima esplosione, Salvador Dalì (1954)

INTRODUZIONE Nella seconda puntata spritzanalitica – che gli autori del presente articolo hanno condotto, il 10 giugno 2022, sulla terrazza romana dell’Associazione Salve – ci si è inoltrati ancor più nei misteri del mondo onirico. Aiutati dal “Virgilio” Jorge Luís Borges, da Samuel Taylor Coleridge e da Maurits 1

Cornelis Escher nel campo dell’arte, da James Hillman e Silvia Ronchey nell’incontro tra psicologia analitica e iconografia bizantina, nonché da Sigmund Freud e da Ignacio Matte Blanco in quello della psicoanalisi, ci si è imbattuti nei paradossi logici dell’Inconscio. Le apparenti stranezze, le anomalie, le bizzarrie e le incongruenze che risultano allo sguardo più superficiale hanno assunto, così, un nuovo risvolto. Il pubblico ha partecipato con attenzione e curiosità e ha potuto sperimentare, alla fine, un gioco di costruzioni correlato all’immaginario di Coleridge e Borges, creativamente reinventato dagli stessi partecipanti.

LE TIGRI AZZURRE DI BORGES L’incantesimo della scrittura di Borges trasporta il lettore in India. La voce narrante è quella di uno studioso dell’Università di Lahore, progressivamente rapito dall’immagine dell’azzurro trascendente che vede nei sogni e che connette alle notizie di una superba e imprendibile tigre azzurra, che i giornali dicono sia stata avvistata nel cuore più tenebroso e rurale del Subcontinente.

Una volta raggiunto il villaggio, il protagonista si rende conto che i nativi tendono ad ingannarlo mostrandogli segni di falsi avvistamenti dell’inafferrabile felino. Ben presto capisce che ciò serve a tenerlo semplicemente lontano da un luogo tabù, un clivo dove, arrampicatosi di nascosto, s’imbatte in una scoperta stupefacente: delle pietre di un magico azzurro, la cui proprietà è quella di aumentare e diminuire arbitrariamente.

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Copertina della raccolta racconti “Venticinque Agosto 1983 e altri racconti inediti”, di J. L. Borges, edito da Franco Maria Ricci (1980)

Una volta entrato in possesso delle “tigri azzurre”, egli stesso ne viene “posseduto” e trattato dagli indigeni come “sacro”, ovvero terribile e numinoso.

Infatti, l’assurdo fenomeno che credeva di studiare finisce per divorarlo, divenendo l’ossessione della sua vita. Ritornato a Lahore, trascorre tutto il tempo a calcolare gli imprevedibili mutamenti delle pietre, finché una notte non si sente attratto da un potente richiamo che lo conduce, all’alba, al portale della moschea di Wazir Khan.

«Era l’ora in cui la luce non ha rivelato ancora i colori. Non c’era anima viva nel cortile.

Senza sapere il perché, affondai le mani nell’acqua della cisterna. Entrato nel recinto, pensai che Dio e Allah sono due nomi di un solo Essere inconcepibile e gli chiesi ad alta voce di liberarmi dal mio fardello. Immobile, attesi una risposta.

Non udii i passi, ma una voce vicina mi disse: “Sono venuto.”

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Accanto a me c’era il mendico. […] Mi tese la mano e mi disse […]: “Un’elemosina, Protettore dei Poveri.”

Frugai, e gli risposi: “Non ho neppure una moneta.”

“Ne hai molte”, fu la risposta.

Nella mia tasca destra c’erano le pietre. Ne presi una e la lasciai cadere nella mano vuota.

Non si udí il minimo rumore.

“Devi darmele tutte”, mi disse. “Colui che non ha dato tutto non ha dato nulla.” […]

Lasciai cadere tutte le pietre nella mano concava. Caddero come in fondo al mare, senza il minimo rumore.

Poi mi disse: “Non so ancora qual è la tua elemosina, ma la mia è spaventosa. Ti rimangono i giorni e le notti, il buon senso, le abitudini, il mondo.”

Non udii i passi del mendicante cieco, né lo vidi perdersi nell’alba.»1

Nel finale, dunque, lo scrittore argentino ci annuncia che la liberazione dall’incubo, arrestando la presa dell’Inconscio insondabile e innumerabile sull’Io, sembra segnare il ritorno di questo alle certezze del mondo “reale”. In effetti, però, esso rappresenta la fuga dalla terribile scoperta dell’esistenza, che, dietro la fragile parvenza razionale, schiude l’orizzonte di una logica altra.

Essa appartiene all’esperienza del divino, del sacro, del trascendente, e inizia il soggetto al suo processo di individuazione psichica. Una mente troppo votata all’univocità della logica aristotelica, come quella dell’accademico, paventa ciò che, splendido e affascinante, abita e colora la dimensione ignota della vita.

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Jorge Luís Borges, Tigri azzurre, in Venticinque Agosto 1983 e altri racconti inediti, Franco Maria Ricci Editore, Parma, Milano, 1980 - pp. 47-48.

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James Hillman e Silvia Ronchey (immagine tratta da http://www.silviaronchey.it/ritratti/3/130/James-Hillman/)

Udiamo riverberi del racconto borgesiano nel dialogo tra lo psicologo analista e filosofo James Hillman e la bizantinista Silvia Ronchey, ne L’ultima immagine2. I due autori, ripercorrendo in maniera originale l’estatica visione di Jung nella cappella di Gallia Placidia, a Ravenna3, riflettono sul senso della percezione immaginale dell’azzurro del mondo presente in alcuni mosaici.

Questa esperienza diventa trasformativa quando la bellezza che la caratterizza richiama l’amore incondizionato nei confronti del nostro pianeta. Hillman e Ronchey ripensano a come la Terra assuma connotati sublimi nel viaggio spaziale degli astronauti, o in quello cosmogonico dei mistici persiani. La

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James Hillman, Silvia Ronchey, L’ultima immagine, Rizzoli, Milano, 2021.

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Riportata nell’autobiografia di Carl Gustav Jung “Sogni, Ricordi e Riflessioni”, a cura di Aniela Jaffé (Rizzoli, Milano, 1978/1992): «Già in occasione della mia prima visita a Ravenna, nel 1913, la tomba di Galla Placidia mi era parsa significativa e di un fascino eccezionale. La seconda volta, venti anni dopo, ebbi la stessa impressione. Ancora una volta, visitandola, mi sentii in uno strano stato d'animo; di nuovo, ne fui profondamente turbato. Mi trovavo con una conoscente, e dalla tomba andammo direttamente al Battistero degli Ortodossi. Qui per prima cosa mi colpì la tenue luce azzurrina diffusa, che però non mi sorprese. Non cercai di capire da dove provenisse, né mi turbava il prodigio di questa luce senza alcuna sorgente apparente. Ero piuttosto sorpreso perché al posto delle finestre che ricordavo di aver visto nella mia prima visita, vi erano ora quattro grandi mosaici di incredibile bellezza, e che a quanto pareva avevo completamente dimenticati. […] Ho conservato un chiarissimo ricordo del mosaico di Pietro che affoga, e ancora oggi posso vederne ogni dettaglio: l'azzurro del mare, le singole tessere del mosaico, i cartigli con le parole che escono dalle bocche di Pietro e di Cristo, e che tentai di decifrare. Appena lasciato il battistero mi recai subito da Alinari per comprare fotografie dei mosaici, ma non ne potei trovare. […] Quando ero di nuovo in patria, chiesi a un mio conoscente che andava a Ravenna di procurarmi le riproduzioni. Naturalmente non poté trovarle, perché poté constatare che i mosaici che io avevo descritto non esistevano! […] La signora che era stata lì con me lungamente si rifiutò di credere che ciò che “aveva visto con i suoi occhi” non esisteva. Come si sa, è molto difficile determinare se, e fino a qual punto, due persone vedano contemporaneamente la stessa cosa.» (pp. 338-340).

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conseguenza è il desiderio non utilitaristico di proteggere il pianeta, percepito come luogo di convivenza tra specie e generi.

«H. […] Alla visione di Jung io contrappongo quella dell’astronauta, che ne rappresenta il rovesciamento copernicano: vedere improvvisamente la Terra, nella sua bellezza, come cosmo. È stato decisivo per lui e dopo di lui per moltissimi, considerato l’enorme uso che è stato fatto di quell’immagine, sulle copertine delle riviste e dei libri, ovunque. Il globo blu. Questo è ciò che deve essere protetto. È nostra madre, è la nostra sacra terra. È il nostro pianeta. È la nostra diversità. […]

E davanti a quest’immagine si staglia la nostra più profonda istanza ambientale. Più profonda, perché non riguarda la sostenibilità o la riorganizzazione economica o le emissioni dei gas serra, non attiva il tipo di linguaggio al quale siamo abituati. Ci parla nei termini di un’esperienza quasi religiosa della bellezza. Il mondo è così bello, dobbiamo lasciarlo fiorire. […] E credo che questa sia la sola vera motivazione a salvare la Terra che possa diventare collettiva. È la più forte delle motivazioni perché tutte le altre sono economiche o tecnologiche, ma non toccano l’anima nello stesso modo.»4

DA MATTE BLANCO A ESCHER: L’INCONSCIO COME INSIEMI INFINITI

L’inconscio come insiemi infiniti (1975) è il titolo dell’opera più rappresentativa di Ignacio Matte Blanco (1908-1995), psicoanalista cileno, trasferitosi definitivamente in Italia nel 1966. Lo studioso di orientamento kleiniano sviluppa concetti, riguardanti la struttura logica dell’Inconscio, che Freud aveva espresso soprattutto ne L’Interpretazione dei sogni (1900) e in Metapsicologia (1940). Matte Blanco tenta apprezzabilmente di connettere il linguaggio descrittivo e letterario tipico della psicologia del profondo a quello estremamente astratto della matematica, in particolare all’insiemistica.

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James Hillman, Silvia Ronchey, L’ultima immagine, Rizzoli, Milano, 2021 – pp. 177-178.

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Ignacio Matte Blanco

L’idea cardine è che Coscienza e Inconscio detengano logiche differenti: la prima si esprime negli assunti di Identità e Non contraddizione, esplicitati da Aristotele. Essa viene definita “asimmetrica”, in quanto stabilisce delle differenze tali da far sì che un elemento contenitore, ad esempio, non possa essere contenuto in un suo contenuto. L’Inconscio, invece, può far coincidere all’ennesima potenza, ovvero all’infinito, termini che la Coscienza oppone e disgiunge. In qualche modo, la compresenza dei due approcci – cognitivi/affettivi - genera una bilogica5. L’ignoranza del soggetto di quale sia

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«Dobbiamo essere molto chiari circa il significato di questa espressione. Un sistema bi-logico è un sistema formato da due sistemi logici. Il primo è la logica semplicemente bivalente che osserviamo nel suo stato “puro” in molte parti di pensiero; in qualche aspetto “normale” delle manifestazioni deliranti, dei sintomi nevrotici, dei sogni come anche in un gran numero di altre manifestazioni di persone normali e nel pensiero scientifico. Il secondo sistema è rappresentato da ciò che abbiamo chiamato prima logica anaclitica in cui nel mezzo di alcune strutture logiche fa la sua comparsa il principio di simmetria. La logica anaclitica sarebbe quindi la congiunzione del principio di simmetria con la logica semplicemente bivalente e formerebbe un sistema a se stante che possiamo anche chiamare un sistema logico-alogico, considerando che uno dei suoi componenti è al di fuori della logica (bivalente) o di fatto distrugge la logica, ma, se contenuto in uno stroma logico fatto di logica bivalente, produce un composto con caratteristiche proprie. Questi due sistemi, logica bivalente e logica anaclitica, li vediamo effettivamente insieme in un gran numero

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l’esperienza che egli vive su un piano inconscio la rende disturbante, fino alle conseguenze più psichicamente distruttive. Come spiega Pietro Bria portando l’esempio di un sintomo claustrofobico:

« E così – se prendiamo un esempio clinico molto semplificato come la fobia di un luogo chiuso come l’ascensore – la reazione di profonda angoscia del paziente difronte a questa situazione che potrà ad un osservatore esterno logico bivalente apparire assolutamente inadeguata allo stimolo del momento che per quest’ultimo l’ascensore è un luogo chiuso e buio ma distinto e delimitato da tanti (infiniti) altri luoghi chiusi bui e provvisto di un rischio abbastanza limitato, e invece perfettamente coerente con l’assunto che l’elemento ascensore luogo chiuso-buio-con rischio limitato è diventato […] identico e non semplicemente equivalente a tutti i luoghi chiusi-bui e pericolosi, reali e immaginabili, passati, presenti e futuri: in altre parole è diventato identico alla classe dei luoghi chiusi-bui pericolosi caricandosi così di infinita chiusura, di infinito buio e di infinito pericolo: di qui la “coerente” paura del paziente di essere (infinitamente) annientato!»6

L’assurdo apparente che deriva dal praticare la bi-logica ha un riscontro nelle geniali strutture architettoniche disegnate da Escher. Queste parrebbero contraddire ogni elementare regola costruttiva, ma, invece, incredibilmente, si dispiegano sulle due dimensioni del foglio di carta e, come dimostrato di recente dal team del professor Gershon Elber7 della facoltà di Computer Science dell’Università Technion di Haifa (Israele), si reggono nelle tre dimensioni - grazie all’impiego di una moderna stampante 3D. Mostrano un sorprendente volto nascosto, celato dall’illusione del grande artista olandese, come nella famosa litografia Belvedere (1958).

di manifestazioni umane, specialmente nell’emozione.» (Ignacio Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1981 – p. 66) 6

Pietro Bria, La bi-logica dell’inconscio, l’infinito e il pensiero scientifico, in AAVV (a cura di Pietro Bria), Il pensiero e l’infinito. Scritti sul pensiero di Ignacio Matte Blanco, Teda Edizioni, Castrovillari (CS), 1989 - p. 21.

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A tale proposito, si veda il video YouTube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=cmr4HqjSSw4.

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Belvedere, M. C. Escher (litografia, 1958)

IL SOGNO DI COLERIDGE E IL PALAZZO DI KUBLA KHAN Il continuum tra realtà onirica, architettura e scrittura si manifesta, ancora una volta, nel resoconto che Borges fa nel Libro di sogni (1995) di una visione avuta dal poeta romantico inglese Samuel Taylor Coleridge, nell’estate del 1797, e secoli prima dal grande imperatore mongolo Kublai Khan (12151294). Coleridge, che l’anno seguente pubblicherà la celebre Ballata del vecchio marinaio, a causa di un malore adoperò un sonnifero (conoscendo il debole del poeta per il laudano, forse fu quella la sostanza) che lo portò a sognare in versi il palazzo dell’imperatore di cui stava leggendo in quel momento una descrizione fattane da Samuel Purchas nei suoi Pellegrinaggi (1613).

Borges sottolinea con maestria come i mirabili trecento versi, che il poeta inglese aveva recepito dal sogno in contemporanea con le immagini del mitico 9

edificio, non poterono essere trascritti che in minima parte, a causa dell’inaspettato arrivo di un visitatore che distolse Coleridge dal ricordo.

Dunque, ci svela il grande scrittore argentino, la costruzione poetica rimase frammentaria e inconclusa; ma qui risiede il mistero più sconvolgente: né Coleridge, né Purchas, sapevano che lo stesso palazzo originario era sorto per tradurre nella realtà un sogno dello stesso Kublai Khan! Infatti «Vent’anni dopo, apparve a Parigi, frammentariamente, la prima versione occidentale di una di quelle storie universali di cui è tanto ricca la letteratura persiana, il Compendio di Storie di Rashid ad-Din, che risale al secolo XIV. In una pagina si legge: “A est di Shang-tu, Kublai Khan eresse un palazzo, secondo un disegno che aveva visto in sogno e che serbava nella memoria”. […]

Un imperatore mongolo, nel secolo XIII, sogna un palazzo e lo edifica conformemente alla visione; nel secolo XVIII un poeta inglese che non poteva sapere che la fabbrica era nata da un sogno, sogna un poema sul palazzo. Confrontate con questa simmetria, che opera con anime di uomini dormienti e abbraccia continenti e secoli, niente o ben poco sono, mi pare, le levitazioni, resurrezioni e apparizioni dei libri devozionali.»8

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Jorge Luís Borges, Il sogno di Coleridge, N. 66, in Libro di sogni, Adelphi, Milano, 2015 - p. 188-189.

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Ritratto di Samuel Taylor Coleridge (da Wikipedia)

A questo punto, Borges illustra un’ipotesi affascinante e sovraumana, la traccia di un piano che trascende gli individui ma che si serve di essi per trascorrere da una dimensione senza tempo a una storica. L’archetipo di questo palazzo sembra galleggiare in un universo immaginale, dal quale appare e scompare lasciando tracce che rimandano a una forma insatura, forse infinita.

«Se lo schema non è errato, in una notte dalla quale ci separano i secoli, qualcuno sognerà lo stesso sogno e, senza sospettare che altri lo hanno già sognato, gli darà la forma di un marmo o di una musica. Forse la serie dei sogni non ha fine, forse la chiave sta nell’ultimo.

Scritto quanto precede, intravedo o credo di intravedere un’altra spiegazione. Forse un archetipo non ancora rivelato agli uomini, un oggetto eterno (per usare la nomenclatura di

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Whitehead), sta entrando gradatamente nel mondo; la sua prima manifestazione fu il palazzo; la seconda il poema. Chi li avesse paragonati avrebbe visto che erano essenzialmente uguali.»9

Ritratto di Kublai Khan (da Wikipedia)

IL GIOCO DELL’ARCHITETTURA ONIRICA DEL GRUPPO Sulla scorta di queste letture meravigliose, nel nostro incontro spritzanalitico abbiamo proposto ai presenti di misurarsi con un gioco di costruzioni in legno e di brillanti sassi di vetro azzurro – le nostre “tigri azzurre”. Il ludus prevedeva la partecipazione silenziosa a un’architettura comune, alla quale giungere dopo aver connesso e modificato liberamente, con la forza dell’intuizione più che del ragionamento, i primi abbozzi individuali separati.

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Ibid., p. 190-191.

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In questa piacevole, ma per nulla innocente, manifestazione del gruppo si è palesata, sotto gli occhi di tutti e della telecamera che riprendeva, un’immagine psichica proveniente dall’anima più profonda di quella piccola comunità che lì si trovava a connettersi. Legami affettivi e di pensiero hanno trovato blocchi, colonne, travi e pietre per tracciare un simbolo di un momento che è affiorato dall’Inconscio per arricchire e allietare la vita della Coscienza.

Un passaggio del gioco di costruzione di un edificio del gruppo di Spritzanalisi del 10 giugno 2022 (foto tratta dal video di Flavia Incitti)

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BREVI CURRICULA DEGLI AUTORI E CONTATTI

Francesco Frigione (Napoli, 1962) vive e lavora, come psicologo psicoterapeuta e psicodrammatista analitico junghiano, a Roma. Insegna Psicodramma presso la Scuola di specializzazione in psicoterapia Psicoumanitas. Forma allievi psicoterapeuti, insegnanti ed educatori. Progetta e realizza interventi di prevenzione nelle scuole e iniziative psico-socio-culturali sul territorio. È membro del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, fondato da Aldo Carotenuto e del Comitato Direttivo della rivista di psicologia Giornale Storico di Psicologia e Letteratura. Ha fondato e dirige la rivista internazionale online di psicologia, cultura e arti Animamediatica e il webzine www.animamediatica.it. Oltre a centinaia di articoli scientifici e di divulgazione psicologica, ha pubblicato il libro di racconti “Le ragioni nascoste” (GM Press, Napoli, 2018). Sta attualmente ultimando la stesura di un testo sul tema della distanza, dove la psicologia del profondo e la psicologia sociale s’intrecciano alle arti, alla storia e all’antropologia.

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Elisa di Caprio nasce a Roma il 31 agosto 1995.

Dopo aver conseguito il diploma classico approda nel mondo della Psicologia, della quale esplora il lato clinico ed il lato della comunicazione, specializzandosi in Psicologia della Comunicazione e del Marketing. Trova da sempre rifugio nell’immaginazione e nella scrittura, la quale ha coltivato nel tempo frequentando corsi di scrittura creativa. Ha recentemente concluso un Master in Sessuologia e Dinamiche di coppia, presso l’Associazione Italiana di Sessuologia Clinica, e superato l’esame di stato per l’abilitazione alla professione di psicologa. Attualmente collabora presso lo Studio di Psicoterapia Frigione e si sta specializzando in Psicoterapia psicodinamica dell’età evolutiva.

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