IL GOMITOLO

IL GOMITOLO Esposizione "Aó1. Episodios textiles de las artes visuales en el Paraguay" - Museo de

Arte Latino Américano, Buenos Aires, febbraio – agosto 2022

articolo e fotografie di Luciana Zollo

“Episodi intessuti” è senz’altro un titolo suggestivo. Si entra in una sala ampia dove distribuzione, disposizione e illuminazione emanano una soffusa affettuosità. Dieci artisti del Paraguay si esprimono nel linguaggio dei tessuti, in un misto di richiami che sembra riempire di voci diverse ma non dissonanti lo spazio di

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Il termine Ao Po'i , che in lingua guaraní significa “tela fina o indumento delicato” ha origine nel periodo coloniale a Yataity, nel dipartimento di Guairá, regione centrale del Paraguay, e si riferisce in generale alla creatività laboriosa delle donne paraguayane nella confezione, ricamo e decorazione di tessuti, per lo piú di cotone.

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esposizione: arti antichissime, cori femminili di ogni età, materia di fili nobili e plebei, pulcri e desueti, impreziositi dall’uso, mai vili, in quanto toccati, accarezzati, dolcemente e fermamente guidati alla forma desiderata, consacrati dall’intenzione di segnare, coprire, avvolgere, significare, raccontare, denunciare. Una sfilata di opere di espressività potente, in contrasto con la delicatezza dei supporti utilizzati, rivela messaggi e testimonianze di secoli di vita di cui l’episodio coloniale va letto come uno dei tanti periodi di esperienze e trasformazioni.

Un immenso patchwork di stoffe e broccati dai colori antichi che abbracciano l’intera gamma dei toni di terra, rocce e montagne pende da una parete come un manto regale e doloroso, a ricordare non senza ironia le peripezie degli ultimi due secoli di storia. Due lunghe strisce candide di seta ricamata con l’ossessiva ripetizione del testomantra Salí del encierro oliendo a intemperie, frase dello scrittore 2

Augusto Roa Bastos per descrivere la fine della dittatura di Stroessner in Paraguay nel 1989, evocano in forma e dimensioni il drappo cerimoniale

o il sudario: come non pensare al lenzuolo funebre di

Amaranta Buendía in Cien años de soledad?

Un girotondo di delicate e sobrie sottovesti femminili unite in una base circolare comune, che le mantiene indissolubilmente legate, è simbolo semplice ed elegante di sorellanza, dell’esistenza di un collettivo femminile al di là di ogni epoca e frontiera che non ha bisogno di definizioni oltre la sua circolarità danzante.

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Piccole figure misteriose di merletto inamidato conciliano la funzione decorativa e rasserenante di un oggetto domestico, il cosiddetto centrino, con la forma naturalistica del termitaio, centro organizzato di vita brulicante e comunitaria, a suggerire

che

l’operosità vive sia nella silenziosa quiete domestica che nella terra libera e selvatica, entrambe governate da leggi matriarcali di infinita alacrità ed invisibili poteri.

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Il pezzo forte della mostra? Un gomitolo di sottilissimi fili, a tratti

aggrovigliati,

di

sete

multicolori

che

si

direbbe

appena

appoggiato con naturalezza da mani indaffarate su una base ben illuminata.

L’opera si intitola Banderas, “Bandiere”, e propone, per

mano dell’autore Joaquín Sánchez, una revisione storica tramite la reinterpretazione nel linguaggio tessile della bandiera come oggetto e simbolo patriottico e identitario.

Sánchez è nato ad Asunción in

Paraguay nel 1977 e da vent’anni vive a La Paz, in Bolivia. Ha realizzato

il suo gomitolo

con i fili ricavati dalla sfilatura

–

decostruzione, o smontaggio - delle bandiere dei suoi due paesi, quello di nascita e quello di residenza.

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A significare l’inscindibile unità della struttura individuale dell’artista i fili sono stati successivamente avvolti insieme, nello spontaneo abbinamento dei loro vivaci colori, frammisti all’inevitabile bianco. Il gomitolo è metafora della memoria e della costruzione della storia personale di ognuno in relazione alle proprie circostanze ed è materiale riproduzione della dinamica di smontare i fatti per poter appropriarsene, di osservarne la costituzione, la trama appunto, ed analizzarli per riuscire a giustificarli, comprenderli, accettarli. Nel caso delle due patrie di Sánchez, la Bolivia e il Paraguay, si tratta di paesi confinanti, protagonisti in particolare di un aspro conflitto, la cosiddetta guerra del Chaco, dal nome della regione che li accoglie entrambi, nella quale tra il 1932 e il 1935 persero la vita 50000 soldati boliviani e 35000 paraguayani. L’opera di Sánchez emana un fascino soprendente nel suo duplice aspetto di oggetto umile e quotidiano dotato della luminositá brillante del materiale prezioso di cui è costuito, che riconduce alla sua forma originaria, le due bandiere.

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Oggetti solenni e rappresentativi, inerenti ad un’ufficialità da tralasciare e smontare, per i quali viene suggerita altra funzione, quasi opposta:

intima, sentimentale e profundamente sentita. Ma anche

complicata, come un grande gomitolo di fili multicolori che , sebbene sgargianti, restano per alcuni tratti irrimediabilmente aggrovigliati.

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